Trib. L'Aquila, sentenza 10/01/2024, n. 12
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Testo completo
NRG. 281 del 2022;
TRIBUNALE DI L'AQUILA Sezione Lavoro e Previdenza REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona di Giulio Cruciani, in funzione di Giudice del Lavoro, nella causa tra:
Parte_1
ricorrente, rappresentata e difesa dall'avv.to F. Di Genova
e
Controparte_1 in persona del legale rappresentante resistente, rappresentato e difeso dagli avv.ti P. De Nicola e F. Tempesta
all'udienza del 10 gennaio 2024 ha pronunciato, dandone lettura all'esito della camera di consiglio, la seguente sentenza:
Dichiara illegittima la sospensione dal lavoro della ricorrente a decorrere dal 21.2.22 al 1.5.22 con ogni conseguenza normativa ed economica, in particolare condanna parte resistente al pagamento della relativa retribuzione con interessi e rivalutazione;
Condanna la parte resistente al pagamento in favore della ricorrente delle spese di lite che liquida in € 2.500,00, oltre spese, iva e cpa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La parte ricorrente è stata sospesa dal lavoro e dalla retribuzione nel periodo 21.2.22 – 1.5.22 per non aver presentato all'accesso sui luoghi di lavoro il cd. Green pass rafforzato in un primo momento e il cd. Green pass base in un secondo momento, chiede, pertanto, la retribuzione non corrispostale.
Una premessa, verrà valutata non la legittimità dell'obbligo vaccinale anti Sars-CoV-2, bensì la legittimità, nel caso concreto, della sospensione dal lavoro per assenza della vaccinazione obbligatoria per l'ultracinquantenne ex art. 4, quinquies, c. 4, dl. 44/21, questo essendo (in via principale) il tema del decidere nel presente giudizio.
Ad una valutazione costituzionalmente orientata (ed anche letterale) non vi è alcuna norma di legge - né potrebbe mai esservi anche per lo sbarramento costituzionale del divieto di discriminazione ex art. 3 Cost. - che imponga un obbligo vaccinale anti Sars-CoV-2 per prestare lavoro per lavoratori con una determinata fascia di età, ma solamente l'imposizione di un tale obbligo se e nei limiti in cui sia strumento di prevenzione dal contagio.
Invero, si consideri che lo Stato italiano si fonda sul lavoro (art. 1 Cost.) e su questo si fonda non solo la dignità professionale ma anche la dignità personale dell'essere umano che vuole mantenersi con le proprie forze (dignità, limite invalicabile all'obbligatorietà del trattamento sanitario, quale il vaccino, di cui all'art. 32 Cost.). Il reddito da lavoro costituisce per lo più il reddito di sussistenza, senza di esso si scivola nel degrado e nella dipendenza.
Solo ad una lettura superficiale (e comunque non costituzionalmente orientata) gli artt. 4, 4-bis e 4-ter, poi 4-quater e 4-quinquies dl. 44/21, per tutelare la salute pubblica, imporrebbero (per quanto qui rileva) l'obbligo vaccinale anti Sars-CoV-2 a certe categorie di lavoratori e ai lavoratori dai 50 anni in su.
In realtà così non è perché il dato letterale delle norme oltre che la Costituzione devono orientare il Giudice verso un'interpretazione che ancora l'obbligo vaccinale per certe categorie di lavoratori e i
lavoratori ultracinquantenni alla sussistenza del presupposto della capacità preventiva dal contagio del vaccino.
In effetti, la ragione evidente per la quale si impone che il lavoratore sia vaccinato è che questi nel luogo di lavoro non possa essere così fonte di rischio per i colleghi (o per i terzi particolarmente esposti);
poiché il lavoratore non vaccinato a differenza di quello vaccinato esporrebbe gli altri con i quali entra in contatto nei luoghi di lavoro al rischio di infezione Sars-CoV-2, il medesimo non deve essere presente nei luoghi di lavoro (mentre lo può il lavoratore vaccinato).
Questo è il fondamento e, quindi, il limite di applicazione di tali norme già espresso chiaramente nelle stesse: secondo l'interpretazione letterale la vaccinazione obbligatoria è quella volta a prevenire l'infezione (si ripete lo dice la norma “prevenzione”, nel corpo e nella rubrica).
Di più, è un'interpretazione costituzionalmente imposta perché è il fondamento che solo potrebbe (ma come detto non si valuterà la più ampia questione della costituzionalità dell'obbligo vaccinale anti Sars- CoV-2) giustificare una discriminazione così rilevante.
Tale fondamento non è presente nel caso in esame: i vaccinati, rebus sic stantibus, ossia con i farmaci oggi a disposizione della popolazione italiana, come i non vaccinati, si infettano ed infettano gli altri.
Non vi è alcuna evidenza scientifica che abbia dimostrato che il vaccinato, con i prodotti attualmente in commercio, non si contagi e non contagi a sua volta.
Di più, la realtà dei fatti ha dimostrato il contrario.
La comune esperienza di tutti (personale, familiare, della cerchia di conoscenti) conferma il dato evidente che, allo stato, chi non si è vaccinato può infettarsi e infettare come può infettarsi e infettare chi ha ricevuto una dose, due dosi etc..
Evidenza scientifica e comune esperienza fanno assurgere tale dato nel contesto attuale - contagiosità dei vaccinati come dei non vaccinati - a fatto notorio ai sensi dell'art. 115, c.p.c. (il che esclude in radice la necessità o l'opportunità di svolgere una ctu in sede processuale).
Allora è evidente che venuto meno il presupposto per il quale alcuni lavoratori possono entrare nei luoghi di lavoro ed altri no, la
sospensione del ricorrente, giustificata dal fatto che non si sia vaccinato, è del tutto priva di fondamento.
Per completezza si osserva che un eventuale
TRIBUNALE DI L'AQUILA Sezione Lavoro e Previdenza REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona di Giulio Cruciani, in funzione di Giudice del Lavoro, nella causa tra:
Parte_1
ricorrente, rappresentata e difesa dall'avv.to F. Di Genova
e
Controparte_1 in persona del legale rappresentante resistente, rappresentato e difeso dagli avv.ti P. De Nicola e F. Tempesta
all'udienza del 10 gennaio 2024 ha pronunciato, dandone lettura all'esito della camera di consiglio, la seguente sentenza:
Dichiara illegittima la sospensione dal lavoro della ricorrente a decorrere dal 21.2.22 al 1.5.22 con ogni conseguenza normativa ed economica, in particolare condanna parte resistente al pagamento della relativa retribuzione con interessi e rivalutazione;
Condanna la parte resistente al pagamento in favore della ricorrente delle spese di lite che liquida in € 2.500,00, oltre spese, iva e cpa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La parte ricorrente è stata sospesa dal lavoro e dalla retribuzione nel periodo 21.2.22 – 1.5.22 per non aver presentato all'accesso sui luoghi di lavoro il cd. Green pass rafforzato in un primo momento e il cd. Green pass base in un secondo momento, chiede, pertanto, la retribuzione non corrispostale.
Una premessa, verrà valutata non la legittimità dell'obbligo vaccinale anti Sars-CoV-2, bensì la legittimità, nel caso concreto, della sospensione dal lavoro per assenza della vaccinazione obbligatoria per l'ultracinquantenne ex art. 4, quinquies, c. 4, dl. 44/21, questo essendo (in via principale) il tema del decidere nel presente giudizio.
Ad una valutazione costituzionalmente orientata (ed anche letterale) non vi è alcuna norma di legge - né potrebbe mai esservi anche per lo sbarramento costituzionale del divieto di discriminazione ex art. 3 Cost. - che imponga un obbligo vaccinale anti Sars-CoV-2 per prestare lavoro per lavoratori con una determinata fascia di età, ma solamente l'imposizione di un tale obbligo se e nei limiti in cui sia strumento di prevenzione dal contagio.
Invero, si consideri che lo Stato italiano si fonda sul lavoro (art. 1 Cost.) e su questo si fonda non solo la dignità professionale ma anche la dignità personale dell'essere umano che vuole mantenersi con le proprie forze (dignità, limite invalicabile all'obbligatorietà del trattamento sanitario, quale il vaccino, di cui all'art. 32 Cost.). Il reddito da lavoro costituisce per lo più il reddito di sussistenza, senza di esso si scivola nel degrado e nella dipendenza.
Solo ad una lettura superficiale (e comunque non costituzionalmente orientata) gli artt. 4, 4-bis e 4-ter, poi 4-quater e 4-quinquies dl. 44/21, per tutelare la salute pubblica, imporrebbero (per quanto qui rileva) l'obbligo vaccinale anti Sars-CoV-2 a certe categorie di lavoratori e ai lavoratori dai 50 anni in su.
In realtà così non è perché il dato letterale delle norme oltre che la Costituzione devono orientare il Giudice verso un'interpretazione che ancora l'obbligo vaccinale per certe categorie di lavoratori e i
lavoratori ultracinquantenni alla sussistenza del presupposto della capacità preventiva dal contagio del vaccino.
In effetti, la ragione evidente per la quale si impone che il lavoratore sia vaccinato è che questi nel luogo di lavoro non possa essere così fonte di rischio per i colleghi (o per i terzi particolarmente esposti);
poiché il lavoratore non vaccinato a differenza di quello vaccinato esporrebbe gli altri con i quali entra in contatto nei luoghi di lavoro al rischio di infezione Sars-CoV-2, il medesimo non deve essere presente nei luoghi di lavoro (mentre lo può il lavoratore vaccinato).
Questo è il fondamento e, quindi, il limite di applicazione di tali norme già espresso chiaramente nelle stesse: secondo l'interpretazione letterale la vaccinazione obbligatoria è quella volta a prevenire l'infezione (si ripete lo dice la norma “prevenzione”, nel corpo e nella rubrica).
Di più, è un'interpretazione costituzionalmente imposta perché è il fondamento che solo potrebbe (ma come detto non si valuterà la più ampia questione della costituzionalità dell'obbligo vaccinale anti Sars- CoV-2) giustificare una discriminazione così rilevante.
Tale fondamento non è presente nel caso in esame: i vaccinati, rebus sic stantibus, ossia con i farmaci oggi a disposizione della popolazione italiana, come i non vaccinati, si infettano ed infettano gli altri.
Non vi è alcuna evidenza scientifica che abbia dimostrato che il vaccinato, con i prodotti attualmente in commercio, non si contagi e non contagi a sua volta.
Di più, la realtà dei fatti ha dimostrato il contrario.
La comune esperienza di tutti (personale, familiare, della cerchia di conoscenti) conferma il dato evidente che, allo stato, chi non si è vaccinato può infettarsi e infettare come può infettarsi e infettare chi ha ricevuto una dose, due dosi etc..
Evidenza scientifica e comune esperienza fanno assurgere tale dato nel contesto attuale - contagiosità dei vaccinati come dei non vaccinati - a fatto notorio ai sensi dell'art. 115, c.p.c. (il che esclude in radice la necessità o l'opportunità di svolgere una ctu in sede processuale).
Allora è evidente che venuto meno il presupposto per il quale alcuni lavoratori possono entrare nei luoghi di lavoro ed altri no, la
sospensione del ricorrente, giustificata dal fatto che non si sia vaccinato, è del tutto priva di fondamento.
Per completezza si osserva che un eventuale
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