Trib. Livorno, sentenza 03/04/2024, n. 279

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Livorno, sentenza 03/04/2024, n. 279
Giurisdizione : Trib. Livorno
Numero : 279
Data del deposito : 3 aprile 2024

Testo completo

N. R.G. 483/2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di LIVORNO
Sezione Lavoro
Il Tribunale, nella persona del Giudice, dott.ssa Sara Maffei, ha pronunciato all'esito della camera di consiglio dell'udienza odierna, alle ore 19:19, mediante lettura del dispositivo con motivazione contestuale, assenti i procuratori, ex art. 429 c.p.c. la seguente
SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 483/2023 promossa da:
SI OR (C.F. [...]), con il patrocinio dell'avv. CAPONETTI
PIETRO e dell'avv. CAPONETTI LUCA
PARTE RICORRENTE
Contro
I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA SOCIALE (C.F. 02121151001), con il patrocinio dell'avv. MINICUCCI MASSIMILIANO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato in data 24.5.2023 RA IO adiva il Giudice del lavoro affinché fossero accolte le seguenti conclusioni “accertare e dichiarare l'illegittimità del rigetto della domanda Naspi presentata dal ricorrente in data 5.10.2022, e conseguentemente condannare l'INPS convenuto a riconoscere e corrispondere al ricorrente quanto dovuto a titolo di Naspi ex art. 4 D.L.vo 22/2015, per il periodo indicato nella domanda stessa,
o per quello che sarà ritenuto di giustizia, ed agli interessi e rivalutazione dalla predetta data o da quella che sarà ritenuta dal Tribunale”, con vittoria delle spese di lite da distrarsi in favore dei procuratori antistatari. pagina 1 di 7


Allegava il ricorrente di aver lavorato, in favore dell'Amministrazione Penitenziaria, a far data dall'1.4.2017 e sino al 31.8.2022, con mansioni di “operaio generico e aiuto addetto cucina” presso la casa circondariale di Livorno. Esponeva quindi il RA che, in data 5.10.2022, presentava domanda di disoccupazione NASPI, domanda inizialmente accolta dall'Ente, poi rigettata con nota del 14.2.2023 con la motivazione “Trattasi di detenuto in casa circondariale con lavoro svolto per amministrazione carceraria: non ha diritto alla NASPI”. L'odierno attore, essenzialmente, si duole del rigetto dell'INPS alla luce del possesso in capo ad esso ricorrente di tutti i requisiti previsti dall'art
3, D. Lgs. 22/2015
.
Si costituiva l'INPS contestando le argomentazioni di cui al ricorso del quale, pertanto, chiedeva il rigetto. In particolare, l'Ente convenuto contestava la possibilità che fosse configurato, con riferimento al lavoro carcerario, uno stato di “disoccupazione involontaria” per la diversità dei presupposti che caratterizzano il mercato del lavoro, rispetto al contesto del lavoro in carcere, sottolineando l'impossibilità di equiparare le prestazioni svolte all'interno e fuori da un istituto penitenziario.
La causa, istruita mediante l'esame dei documenti in atti versati, era discussa all'udienza odierna e decisa con sentenza con motivazione contestuale.
Il ricorso è infondato e non merita accoglimento per quanto di ragione.
Il ricorrente si duole del fatto che, pur ritenendo di essere in possesso di tutti i requisiti di legge,
l'INPS gli ha negato il diritto alla NASPI poiché la prestazione lavorativa è stata resa interamente durante il periodo di carcerazione cui egli è ancora sottoposto.
Deve allora osservarsi che, intervenendo su una fattispecie solo in parte sovrapponibile a quella per cui è causa -poiché relativa al diniego della NASPI opposto ad un soggetto non più detenuto, ma scarcerato per fine pena-, si è di recente pronunciata la Suprema Corte con la sentenza n. 396/2024 che ha riconosciuto che “la cessazione per fine pena del rapporto di lavoro inframurario svolto dal detenuto alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria dà luogo ad uno stato di disoccupazione involontaria rilevante ai fini della tutela previdenziale NASPI”.
La Suprema Corte, dopo un ampio excursus normativo e giurisprudenziale costituzionale sul lavoro inframurario volto a ad evidenziare come “nel corso degli anni, il lavoro intramurario abbia sempre più perduto i caratteri di specialità che all'inizio lo caratterizzavano, ed abbia visto il riconoscimento a favore del lavoratore detenuto dei diritti spettanti a tutti i lavoratori in genere e delle azioni a tutela innanzi al medesimo giudice del lavoro”, ha in particolare argomentato che “In ogni caso, risulta decisiva la considerazione secondo
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la quale, nonostante la peculiarità di alcuni istituti derivanti dall'interferenza del trattamento penitenziario, la causa tipica del rapporto di lavoro – costituita dallo scambio di attività lavorativa e remunerazione – resta centrale anche nel lavoro intramurario: anche qui, invero, la funzione economico sociale principale del rapporto lavorativo va vista nello scambio sinallagmatico tra prestazione lavorativa e compenso del lavoro. Invero, il fine rieducativo del lavoro dei detenuti non influisce sui contenuti della prestazione e sulle modalità di svolgimento del rapporto;
la rieducazione ed il reinserimento sociale, lungi dall'essere elementi che alterano lo schema causale del rapporto, costituiscono il fine del lavoro, l'auspicabile effetto dell'applicazione del detenuto ad un'attività lavorativa;
in altri termini è la prestazione di lavoro in sé che ha un potenziale rieducativo per i vari e diversi effetti che può produrre a favore della persona del detenuto (dal riempimento di un tempo altrimenti vuoto, all'acquisizione di competenze professionali, al conseguimento di disponibilità
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