Trib. Bari, sentenza 09/01/2025, n. 28
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Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI BARI
in composizione monocratica, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona del dott. GIUSEPPE
MINERVINI, all'udienza del 9.1.2025 ha pronunciato, all'esito della camera di consiglio, la seguente
SENTENZA
nella causa in materia di lavoro in primo grado iscritta al n.3424 dell'anno 2022
TRA
avv. COLAIANNI K Parte_1
ricorrente
E
, avv. T CUTRONE, E TROTTA CP_1
resistente conclusioni: come in atti
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso nell'anno 2022, l'istante in epigrafe indicato, dipendente dell' in pensione, chiedeva CP_1 di accertare lo svolgimento di mansioni superiori afferenti alla categoria D5 CCNL di categoria dal
1.1.2007 ovvero al livello spettante con conseguente condanna al pagamento delle relative differenze retributive e delle spese di lite nei termini ivi in dettaglio indicati. Costituitosi in giudizio, l'ente convenuto contestava la fondatezza dell'azione anche nel merito. Istruita con produzioni documentali ed orali, all'odierna udienza, il Giudice decideva come da sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Pregiudizialmente, va rigettata l'eccezione sollevata dalla parte intimata d'improcedibilità della domanda di regolarizzazione contributiva avanzata dall'istante. Sul punto è agevole rilevare che nella conclusione sub 4 del ricorso è stato richiesto di:” ordinare …..la trasmissione di quanto statuito all per CP_2 adeguamento contributivo e per il ricalcolo del trattamento pensionistico del sig. . Alla luce del tenore letterale Pt_1
CP_ di tale conclusione, è di tutta evidenza che difetta una domanda articolata dall'istante verso l' ricorrendo solo un'istanza di ordine rivolto ad un soggetto indefinito di mera “trasmissione”della CP_ sentenza emettenda all' per gli adempimenti di pertinenza.
2. Nel merito, occorre premettere che nel rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione l'art. 2103 cod. civ. non trova applicazione, in quanto l'art. 2, comma 2, d.lgs. n.
29/1993 (oggi art. 2, comma 2, d.lgs. n. 165/2001) rinvia alle regole di diritto comune soltanto per quanto concerne gli aspetti del rapporto che non siano specificamente disciplinati in modo diverso dal decreto medesimo, come avviene per l'aspetto delle mansioni di cui all'art. 52 d.lgs. n. 165/2001 si rinviene una disciplina specifica. Al riguardo la Corte di cassazione ha chiarito che l'art. 56 del decreto legislativo n. 29 del 1993 (poi trasfuso nell'art. 52 del decreto legislativo n. 165 del 2001, disposizione applicabile ratione temporis al caso in scrutinio) ha una portata generale nell'ambito della disciplina dei rapporti di lavoro pubblico privatizzati. Essa ha inoltre evidenziato che, a norma dell'ultimo comma dell'art. 56 cit. (oggi, come detto, art. 52 d.lgs. 165/2001), nella formulazione introdotta dall'art. 25 del decreto legislativo n. 80 del 1998, le disposizioni del Testo unico sul pubblico impiego trovano applicazione nelle controversie che fanno riferimento a un periodo successivo alla data di decorrenza dell'efficacia del c.c.n.l. per il comparto sanità stipulato il 7.4.1999 (v. Cass. 20692/04, in motivazione).
Ai sensi dell'art. 52, D. Lgs. n. 165/2001, “
1. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all'articolo 35, comma 1, lettera a). L'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione. […] 2. Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore: a) nel caso di vacanza di posto in organico per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti come previsto al comma 4;
b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell'assenza per ferie, per la durata dell'assenza.
3. Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l'attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni.
4. Nei casi di cui al comma 2, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore. Qualora l'utilizzazione del dipendente sia disposta per sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti.
5. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l'assegnazione risponde personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave. […]”. La disciplina relativa alle mansioni (e quindi ad un possibile demansionamento) è affidata - per quel che concerne il pubblico impiego contrattualizzato - all'art. 52 del D.lgs. 30.3.2001, n.
165, la cui lettura va, nondimeno, combinata con quanto disposto dall'art. 2103 cod. civ.. Entrambe le norme ribadiscono, senza contraddizioni, che “il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali
è stato assunto” e vietano, in questo modo, ogni forma di mutamento in pejus delle mansioni, fosse anche pattizia, poiché lo stesso porterebbe ad una lesione alla professionalità acquisita dal prestatore;
l'unico punto di divergenza tra la disciplina fissata dal codice civile e quella prevista dal Testo Unico sul
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pubblico impiego riguarda, non a caso, la progressione interna: nel pubblico impiego, infatti, le progressioni di carriera avvengono unicamente tramite concorso pubblico. In entrambi i casi ai fini della verifica del legittimo esercizio dello ius variandi da parte del datore di lavoro deve essere valutata dal giudice di merito la omogeneità tra le mansioni successivamente attribuite e quelle di originaria appartenenza, sotto il profilo della loro equivalenza in concreto rispetto alla competenza richiesta, al livello professionale raggiunto ed alla utilizzazione del patrimonio professionale acquisito dal dipendente nella pregressa fase del rapporto e nella precedente attività svolta In particolare,
l'equivalenza delle mansioni, che condiziona la legittimità dell'esercizio dello ius variandi, a norma dell'art. 2103 cod. civ. va verificata sia sul piano oggettivo, e cioè sotto il profilo della inclusione nella stessa area professionale e salariale delle mansioni iniziali e di quelle di destinazione, sia sul piano soggettivo, in relazione al quale è necessario che le due mansioni siano professionalmente affini, nel senso che le nuove si armonizzino con le capacità professionali già acquisite dall'interessato durante il rapporto lavorativo, consentendo ulteriori affinamenti e sviluppi. Dunque, dalle disposizioni esaminate emerge che il lavoratore subordinato ha un vero e proprio diritto allo svolgimento della prestazione secondo la tipologia lavorativa propria della qualifica di appartenenza, con la conseguenza che la violazione di tale diritto (c.d. "demansionamento") determina la configurazione di un danno risarcibile.
3. Va richiamato poi in generale il principio secondo cui in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo