Trib. Velletri, sentenza 06/12/2024, n. 1757
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Testo completo
N. R.G. 1936/2023
REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE DI VELLETRI
Sezione Lavoro
Il Tribunale in composizione monocratica, in persona della dott.ssa Raffaella Falcione quale Giudice del lavoro, preso atto del “Deposito di note scritte” di cui all'art. 127 ter del
D.lgs. n. 149/2022, in sostituzione dell'udienza del 12/11/2024 ha emesso la seguente
SENTENZA COMPLETA DI DISPOSITIVO E DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA
DECISIONE AI SENSI DEGLI ARTT. 127 Ter e 429 C.P.C.
nella causa lavoro di I grado iscritta al n. 1236 del Ruolo Generale dell'anno 2023 vertente tra
Ricorrente Parte_1
Rappresentata e difesa dagli Avv.ti Silvia Aloe e Francesca Maccioni
E
in persona del legale rappresentante p.t., Resistente - Contumace Controparte_1
OGGETTO: Retribuzione
P.Q.M
.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza o eccezione disattesa,
1. Accerta e dichiara che nel periodo di lavoro svolto alle dipendenze Parte_1 della (11.06.2021-31.12.2022) aveva diritto ad essere inquadrata nel V Controparte_1
Livello del CCNL Commercio/Terziario, in ragione delle mansioni svolte in concreto in modo effettivo, pieno e continuativo.
2. Per l'effetto, condanna la società in persona del l.r. pro-tempore, a Controparte_1 corrispondere in favore di la somma complessiva di € 15.259,14 per i Parte_1
pagina 1 di 11
titoli di cui in motivazione, oltre interessi legali sul capitale via via rivalutato dal dì della maturazione al saldo, con assorbimento nel capo di condanna della somma di cui all'ordinanza ex art. 423 c.p.c. del 30.01.2024.
3. Rigetta la domanda di risarcimento del danno da discriminazione.
4. Compensa di 1/3 le spese processuali e condanna la società resistente, in persona del l.r. pro-tempore, a rimborsare alla ricorrente il residuo, liquidato in complessivi €
2.500,00 oltre IVA e CPA e spese generali come per legge, da distrarre in favore dei procuratori che se ne dichiarano antistatari.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La ricorrente epigrafata, con ricorso depositato in data 13.04.2023, ritualmente notificato, conviene in giudizio la società che opera nel settore della vendita al Controparte_1 dettaglio di prodotti surgelati, in franchising con la , di cui afferma essere CP_2 stata dipendente dall'11.06.2021 al 31.12.2022 in virtù di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, con inquadramento nel VII livello del CCNL
Commercio/Terziario, qualifica di operaia e orario inizialmente part-time, poi full-time, ed infine nuovamente part-time. Riferisce di avere svolto la prestazione di lavoro presso i due punti vendita della società siti in Pomezia, via Columella, e Ardea, Tor San Lorenzo, secondo le direttive impartite dalla sig.ra , presuntivamente dipendente Parte_2 della e madre di e della convenuta- che CP_1 Parte_3 Parte_4 gestivano i predetti punti vendita. Sostiene che, in virtù delle mansioni svolte in concreto per tutto il periodo di lavoro di cui innanzi (presso entrambi i punti vendita), aveva diritto ad essere inquadrata nel superiore V livello in quanto non si occupava soltanto della pulizia dei negozi bensì: si occupava delle attività di vendita e relative operazioni di cassa con conteggio delle entrate/uscite giornaliere;
gestiva i rapporti con i clienti;
gestiva i rapporti con i fornitori occupandosi della sottoscrizione e archiviazione dei documenti fiscali e delle bolle di consegna. Precisa, infatti, che nei periodi in cui ha lavorato presso
l'uno o l'altro punto vendita era l'unica addetta al negozio, in quanto , Persona_1 assunta dopo di lei, coadiuvava in massima parte i signori che svolgevano le sue Pt_3 stesse mansioni presso l'altro esercizio. Riferisce, infine, di essere andata in congedo per maternità dall'1.10.2022 e lamenta che la società non le ha corrisposto né la retribuzione del mese di settembre 2022, né l'indennità di maternità (benché l' avesse accolto la CP_3 relativa domanda) né, infine, il TFR. Afferma, quindi, di essere stata retribuita in misura inferiore a quanto a lei spettante, ai sensi degli artt. 36 Cost. e 2099 c.c. e, sulla base di tale premessa fattuale, chiede la condanna della società convenuta, in persona del l.r.p.t., al pagamento in suo favore del credito retributivo maturato nel periodo per cui è causa,
pagina 2 di 11
pari alla somma complessiva di € 15.259,14, oltre accessori, per i titoli di cui ai conteggi allegati a ricorso. Infine, sull'assunto che il mancato rinnovo del contratto a termine è stato determinato dal suo stato di gravidanza, chiede la condanna della società resistente
a risarcirle il danno da discriminazione, quantificato nell'importo di € 7.106,52 -pari a 12 mensilità della retribuzione part-time per il V livello percepita nell'ultimo periodo di lavoro-.
La società benché ritualmente citata, non si costituiva in giudizio, per cui ne Controparte_1 veniva dichiarata la contumacia.
Il processo veniva istruito a mezzo dei documenti prodotti dai procuratori della ricorrente, con la prova per testi e interrogatorio formale del l.r. della società convenuta. All'udienza del 30.01.2024 questo giudicante emetteva, ai sensi dell'art. 423 c.p.c., ordinanza di pagamento in favore della ricorrente della somma di € 2.230, oltre accessori di legge, in quanto credito certo, liquido ed esigibile nonché sorretto da prova scritta. All'esito del deposito di note di udienza, ex art. 127 ter c.p.c., il giudice decideva la causa con sentenza completa di dispositivo ed esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione ai sensi dell'art. 429 c.p.c..
Così delineato il thema decidendum del giudizio, appare utile premettere che, com'è noto,
l'onere della prova incombe, ex art. 2697 c.c., sulla parte ricorrente, per cui il lavoratore che agisce per il riconoscimento di un credito retributivo della deve fornire la prova dell'esistenza del rapporto di lavoro, della sua natura, durata, delle mansioni assegnategli
e dell'articolazione oraria della prestazione resa, a cui consegue il diritto alla corresponsione delle singole voci chieste in pagamento. E', altresì, opportuno precisare che è nota l'affermazione, reiteratamente e correttamente ripetuta nelle massime giurisprudenziali, secondo cui spetta al lavoratore, che chiede il riconoscimento del compenso per lavoro in eccedenza -straordinario lavoro festivo - ferie e permessi non goduti –, fornire la prova positiva dell'esecuzione della prestazione lavorativa oltre i limiti, legalmente o contrattualmente previsti. Tale affermazione costituisce la proiezione del principio guida del citato art. 2697 c.c., configurandosi lo svolgimento di lavoro “in eccedenza” rispetto all'orario normale quale fatto costitutivo della pretesa azionata, senza che rilevi il maggiore agio che potrebbe avere il datore di lavoro a provare il fatto in questione, non potendo questa circostanza, da sola, costituire una valida ragione per sovvertire le regole probatorie generali.
Inoltre, giova rammentare che l'art. 2103 c.c. – nella versione anteriore alle modifiche apportate dal D.lgs. 81/2015) – prevedeva che: “Il prestatore di lavoro deve essere adibito
pagina 3 di 11 alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi …
Ogni patto contrario è nullo”.
La norma, dopo la novella del 2015, dispone che: “Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all'inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale. Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall'assolvimento dell'obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell'atto di assegnazione delle nuove mansioni. Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi. Nelle ipotesi di cui al secondo e al quarto comma, il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa. Nelle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria
REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE DI VELLETRI
Sezione Lavoro
Il Tribunale in composizione monocratica, in persona della dott.ssa Raffaella Falcione quale Giudice del lavoro, preso atto del “Deposito di note scritte” di cui all'art. 127 ter del
D.lgs. n. 149/2022, in sostituzione dell'udienza del 12/11/2024 ha emesso la seguente
SENTENZA COMPLETA DI DISPOSITIVO E DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA
DECISIONE AI SENSI DEGLI ARTT. 127 Ter e 429 C.P.C.
nella causa lavoro di I grado iscritta al n. 1236 del Ruolo Generale dell'anno 2023 vertente tra
Ricorrente Parte_1
Rappresentata e difesa dagli Avv.ti Silvia Aloe e Francesca Maccioni
E
in persona del legale rappresentante p.t., Resistente - Contumace Controparte_1
OGGETTO: Retribuzione
P.Q.M
.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza o eccezione disattesa,
1. Accerta e dichiara che nel periodo di lavoro svolto alle dipendenze Parte_1 della (11.06.2021-31.12.2022) aveva diritto ad essere inquadrata nel V Controparte_1
Livello del CCNL Commercio/Terziario, in ragione delle mansioni svolte in concreto in modo effettivo, pieno e continuativo.
2. Per l'effetto, condanna la società in persona del l.r. pro-tempore, a Controparte_1 corrispondere in favore di la somma complessiva di € 15.259,14 per i Parte_1
pagina 1 di 11
titoli di cui in motivazione, oltre interessi legali sul capitale via via rivalutato dal dì della maturazione al saldo, con assorbimento nel capo di condanna della somma di cui all'ordinanza ex art. 423 c.p.c. del 30.01.2024.
3. Rigetta la domanda di risarcimento del danno da discriminazione.
4. Compensa di 1/3 le spese processuali e condanna la società resistente, in persona del l.r. pro-tempore, a rimborsare alla ricorrente il residuo, liquidato in complessivi €
2.500,00 oltre IVA e CPA e spese generali come per legge, da distrarre in favore dei procuratori che se ne dichiarano antistatari.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La ricorrente epigrafata, con ricorso depositato in data 13.04.2023, ritualmente notificato, conviene in giudizio la società che opera nel settore della vendita al Controparte_1 dettaglio di prodotti surgelati, in franchising con la , di cui afferma essere CP_2 stata dipendente dall'11.06.2021 al 31.12.2022 in virtù di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, con inquadramento nel VII livello del CCNL
Commercio/Terziario, qualifica di operaia e orario inizialmente part-time, poi full-time, ed infine nuovamente part-time. Riferisce di avere svolto la prestazione di lavoro presso i due punti vendita della società siti in Pomezia, via Columella, e Ardea, Tor San Lorenzo, secondo le direttive impartite dalla sig.ra , presuntivamente dipendente Parte_2 della e madre di e della convenuta- che CP_1 Parte_3 Parte_4 gestivano i predetti punti vendita. Sostiene che, in virtù delle mansioni svolte in concreto per tutto il periodo di lavoro di cui innanzi (presso entrambi i punti vendita), aveva diritto ad essere inquadrata nel superiore V livello in quanto non si occupava soltanto della pulizia dei negozi bensì: si occupava delle attività di vendita e relative operazioni di cassa con conteggio delle entrate/uscite giornaliere;
gestiva i rapporti con i clienti;
gestiva i rapporti con i fornitori occupandosi della sottoscrizione e archiviazione dei documenti fiscali e delle bolle di consegna. Precisa, infatti, che nei periodi in cui ha lavorato presso
l'uno o l'altro punto vendita era l'unica addetta al negozio, in quanto , Persona_1 assunta dopo di lei, coadiuvava in massima parte i signori che svolgevano le sue Pt_3 stesse mansioni presso l'altro esercizio. Riferisce, infine, di essere andata in congedo per maternità dall'1.10.2022 e lamenta che la società non le ha corrisposto né la retribuzione del mese di settembre 2022, né l'indennità di maternità (benché l' avesse accolto la CP_3 relativa domanda) né, infine, il TFR. Afferma, quindi, di essere stata retribuita in misura inferiore a quanto a lei spettante, ai sensi degli artt. 36 Cost. e 2099 c.c. e, sulla base di tale premessa fattuale, chiede la condanna della società convenuta, in persona del l.r.p.t., al pagamento in suo favore del credito retributivo maturato nel periodo per cui è causa,
pagina 2 di 11
pari alla somma complessiva di € 15.259,14, oltre accessori, per i titoli di cui ai conteggi allegati a ricorso. Infine, sull'assunto che il mancato rinnovo del contratto a termine è stato determinato dal suo stato di gravidanza, chiede la condanna della società resistente
a risarcirle il danno da discriminazione, quantificato nell'importo di € 7.106,52 -pari a 12 mensilità della retribuzione part-time per il V livello percepita nell'ultimo periodo di lavoro-.
La società benché ritualmente citata, non si costituiva in giudizio, per cui ne Controparte_1 veniva dichiarata la contumacia.
Il processo veniva istruito a mezzo dei documenti prodotti dai procuratori della ricorrente, con la prova per testi e interrogatorio formale del l.r. della società convenuta. All'udienza del 30.01.2024 questo giudicante emetteva, ai sensi dell'art. 423 c.p.c., ordinanza di pagamento in favore della ricorrente della somma di € 2.230, oltre accessori di legge, in quanto credito certo, liquido ed esigibile nonché sorretto da prova scritta. All'esito del deposito di note di udienza, ex art. 127 ter c.p.c., il giudice decideva la causa con sentenza completa di dispositivo ed esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione ai sensi dell'art. 429 c.p.c..
Così delineato il thema decidendum del giudizio, appare utile premettere che, com'è noto,
l'onere della prova incombe, ex art. 2697 c.c., sulla parte ricorrente, per cui il lavoratore che agisce per il riconoscimento di un credito retributivo della deve fornire la prova dell'esistenza del rapporto di lavoro, della sua natura, durata, delle mansioni assegnategli
e dell'articolazione oraria della prestazione resa, a cui consegue il diritto alla corresponsione delle singole voci chieste in pagamento. E', altresì, opportuno precisare che è nota l'affermazione, reiteratamente e correttamente ripetuta nelle massime giurisprudenziali, secondo cui spetta al lavoratore, che chiede il riconoscimento del compenso per lavoro in eccedenza -straordinario lavoro festivo - ferie e permessi non goduti –, fornire la prova positiva dell'esecuzione della prestazione lavorativa oltre i limiti, legalmente o contrattualmente previsti. Tale affermazione costituisce la proiezione del principio guida del citato art. 2697 c.c., configurandosi lo svolgimento di lavoro “in eccedenza” rispetto all'orario normale quale fatto costitutivo della pretesa azionata, senza che rilevi il maggiore agio che potrebbe avere il datore di lavoro a provare il fatto in questione, non potendo questa circostanza, da sola, costituire una valida ragione per sovvertire le regole probatorie generali.
Inoltre, giova rammentare che l'art. 2103 c.c. – nella versione anteriore alle modifiche apportate dal D.lgs. 81/2015) – prevedeva che: “Il prestatore di lavoro deve essere adibito
pagina 3 di 11 alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi …
Ogni patto contrario è nullo”.
La norma, dopo la novella del 2015, dispone che: “Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all'inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale. Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall'assolvimento dell'obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell'atto di assegnazione delle nuove mansioni. Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi. Nelle ipotesi di cui al secondo e al quarto comma, il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa. Nelle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria
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