Trib. Firenze, sentenza 19/07/2024, n. 2380

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Firenze, sentenza 19/07/2024, n. 2380
Giurisdizione : Trib. Firenze
Numero : 2380
Data del deposito : 19 luglio 2024

Testo completo

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di Firenze
Sezione Protezione Internazionale
Il Collegio composto dai seguenti magistrati:
Dott. L M Presidente
Dott.ssa B F Giudice relatore
Dott. U C Giudice
nella causa iscritta a ruolo generale N. 2023/7448 tra
, rappresentato e difeso dall' avv. M C Parte_1
contro
difesa ex lege da Avvocatura Distrettuale Controparte_1
dello Stato - Firenze
all'esito della camera di consiglio del 17.7.2024 , ha emesso la seguente
SENTENZA ex art. 281 terdecies cpc e ex art. 19-ter d.lgs 286/98



1. I fatti di lite e lo svolgimento del processo.

Con ricorso ex artt. 281 decies c.p.c. e 19 ter D. Lgs. 286/1998 depositato in data 19/06/2023,
, nato l'01.02.1995 a Mandi Bahauddin (Pakistan), cittadino PAKISTANO, Parte_1
CP_ impugna il decreto adottato dalla Questura della Provincia di Cat. A.12/2023-38 Div. .IV Per_1
Sez. dell'11.05.2023, notificato il 26.05.2023, con cui il Questore ha rigettato la sua richiesta di rilascio di permesso di soggiorno per protezione speciale ex art 19 comma1.1. D.L.vo 286\1998, adeguandosi
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al parere negativo della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione
Internazionale di Firenze-sez. Livorno, in data 20/02/2023. CP_ Il ricorrente lamenta l'illegittimità del provvedimento della Questura di , e la non corretta valutazione sia della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale che del Questore allorché non hanno riconosciuto i presupposti di un permesso di soggiorno per protezione speciale ai sensi dell'art. 19, commi 1 e 1.1 del d. lgs. 286/98.
Deduce il ricorrente che per contro è persona integrata nel tessuto sociale italiano, avendo ance ottenuto diversi impieghi lavorativi.
In particolare, deduce di stare svolgendo attività lavorativa come operaio verniciatore con contratto di apprendistato a tempo pieno stipulato in data 01.02.2023 con inquadramento di livello C1 secondo il
CCNL Metalmeccanica Industria alle dipendenze della con sede in Viareggio Controparte_2
(LU) Via Ciabattini 56/A, azienda esercente attività di riparazione e manutenzione di navi, (cfr. lettera di assunzione 01.02.2023;
Unilav 23.02.2023: doc. 6,7), percependo una retribuzione mensile di €.
1.000,00 (cfr. buste paga ottobre 2022- aprile 2023: doc. 9). Altresì, documenta di disporre di stabile sistemazione alloggiativa presso l'abitazione del connazionale in Castelfranco di Persona_2
Sotto Via Francesca Nord 22 (cfr. comunicazione cessione fabbricato 27.07.2022: doc. 7 bis), e di avere conseguito una formazione professionale specifica in materia di rischi sulla sicurezza sul luogo di al lavoro. Alla luce dell'incensuratezza ed assenza di pendenze giudiziarie a carico, non sarebbe corretto affermare che nel corso della sua ormai quadriennale permanenza sul T.N. il ricorrente non abbia svolto un proficuo percorso di integrazione socio-lavorativa contrapposto ad uno sradicamento dal Paese d'origine, atteso che gli sforzi di integrazione socio-lavorativa risultano invece idonei a dimostrare la continuità e stabilità del radicamento socio-lavorativo in Italia anche sotto il profilo retributivo e relazionale.
Lamenta quindi – nonostante il già avvenuto rigetto della domanda di protezione internazionale – la violazione del principio di non respingimento, laddove venisse respinto in patria, in considerazione della situazione di sistematica violazione dei diritti umani dovuta alla condizione culturale, sociale, politica ed economica del paese d'origine.
Insiste poi, sulla base della novellata formulazione dell'art. 19 d.lgs. 286/1998, perché sia valorizzata la condizione di vulnerabilità in cui verrebbe a trovarsi, ove fosse costretto a tornare in patria, rapportata alla perdita di legami sociali e familiari nel paese di provenienza, nonché al percorso di integrazione anche lavorativa in Italia.
Conclude chiedendo che, accertata la sussistenza dei requisiti previsti dall'art. 19, commi 1 e 1.1 ed annullato il provvedimento impugnato, sia dichiarato il diritto del ricorrente al riconoscimento della
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protezione speciale, nonché perché sia ordinato alla Questura competente il rilascio del relativo permesso di soggiorno.
Il si è costituito in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso, eccependo che non Controparte_1
vi sia sradicamento dal territorio di origine, né situazioni di estrema difficoltà economica sociale, né forme di integrazione avanzata nel contesto socio-culturale italiano.
All'udienza di comparizione fissata per il 12/03/2024, il GOP delegato procedeva all'audizione del ricorrente, il quale rispondeva in lingua urdu, con l'ausilio di un interprete.
All'esito, la causa era rimessa al Collegio per la decisione, autorizzando il ricorrente, su sua richiesta, alla produzione di documentazione lavorativa, adempimento cui la parte faceva seguito, con note integrative.


2. Il quadro normativo.

Il Collegio Osserva preliminarmente il Collegio che la domanda oggetto di causa viene trattata, per il principio del tempus regit actum, col rito sommario collegiale di cui agli artt. 281 decies c.p.c. e 19 ter
D.l.vo 115\2011 quali norme processuali vigenti all'epoca di azionamento della domanda amministrativa (2022).
Quanto alla normativa sostanziale applicabile la stessa va individuata in quella vigente all'epoca della presentazione dalla domanda al Questore (2022) che ha poi deciso, acquisito il parere della
Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale competente.
Va rilevato al proposito che la domanda di rilascio è stata proposta successivamente all'emanazione del decreto-legge 113/2018 (entrato in vigore il 5.10.2018) che attraverso la tipizzazione di nuovi titoli di soggiorno ha sostanzialmente abolito il permesso di soggiorno 'umanitario', restringendo notevolmente
l'ambito applicativo dell'art. 5 comma 6 D.L.vo 286\1998 che ha perso la connotazione di atipicità\residualità che caratterizzava la precedente formulazione .
IL D.L. 113\2018 ha comunque previsto, oltre alle ipotesi più tipizzate dei permessi per 'casi speciali' 1, all'art. 1 comma 8, la possibilità di concessione di permessi per 'protezione speciale', in caso di presupposti di sussistenza dei presupposti ex articolo 19, commi 1 e 1.1 e . 19 comma 2 lettera d-bis, in caso di valutazione di istanza di rinnovo di permesso di soggiorno 'umanitario' già una prima volta riconosciuto ai sensi dell'articolo 32, comma 3, del D.L.vo 25\2008 “. 1 i permessi di soggiorno per le vittime di violenza domestica di cui all'art. 18-bis D.L.vo 286\1998 , per ipotesi di sfruttamento lavorativo di cui all'art. 22 D.L.vo 286\1998, per protezione sociale di cui all'art. 18 D.L.vo 286\1998 , per calamità di cui all'art. 20-bis D.L.vo 286\1998 e per atti di particolare valore civile di cui all'art. 42-bis D.L.vo 286\1998 pagina 3 di 10
Il decreto ha modificato l'art. 5, comma 6 T.U.I. reintroducendo, quale limite al diniego e Parte_2 alla revoca del permesso di soggiorno, “il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano”.
E' stato inoltre riscritto il comma 1.1. dell'art. 19 del d.lvo 286/98 la cui attuale formulazione è la seguente: “Non sono ammessi il respingimento o l'espulsione o l'estradizione di una persona verso uno
Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani e degradanti. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell'esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani. Non sono altresì ammessi il respingimento o l'espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, a meno che esso non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente si tiene conto della natura e dell'effettività dei vincoli familiari dell'interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno sul territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese di origine.”
Qualora ricorrano i presupposti di cui al comma 1.1 dell'art. 19 TUI, contempla il rilascio di un permesso di soggiorno “per protezione speciale” di durata biennale e convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, ai sensi del combinato disposto degli artt. 19 comma 1.2. e 6 comma 1- bis) TUI e dell'art. 32 comma terzo D.lvo 25/2008 come modificati rispettivamente dagli artt. 1 lett.e )
e b) e 2 lett. e) del D.L. 130/2020.
La prima parte del novellato art. 19 comma 1.1 esplicita il divieto assoluto di non refoulement collegato sia al rischio del richiedente di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti, formula che richiama il principio di cui all'art. 3 Cedu, sia alla clausola generale di cui all'art. 5, comma 6, TUI.
Tale norma appare inoltre riconoscere uno spazio residuale di tutela per coloro che si trovino in condizioni di vulnerabilità non rilevanti ai fini delle protezioni maggiori ma comunque di rilevo costituzionale (art. 10, comma 3 Cost).
La seconda parte dell'art. 19.1.1. ha invece introdotto una nuova fattispecie di inespellibilità per rischio di violazione del diritto alla vita privata e familiare, con un evidente richiamo all'art. 8 CEDU.
Quest'ultima, a differenza della prima, ha un carattere relativo in quanto comunque è necessario valutare se la permanenza dello straniero in Italia contrasti con ragioni di sicurezza nazionale, nonché di ordine e sicurezza pubblica.
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Ciò posto è evidente che la nuova normativa ha tenuto conto dell'elaborazione giurisprudenziale compiuta dalla Corte di Cassazione in tema di protezione umanitaria (durante il vigore dell'art. 5, comma 6 TUI in vigore e prima dell'entrata in vigore del d.l. 113/2018).
La disciplina della protezione umanitaria costituisce una forma di protezione complementare, rispetto al rifugio e alla protezione sussidiaria - che hanno invece derivazione comunitaria ed internazionale-, e rappresenta una manifestazione attuativa del diritto di asilo costituzionale (art. 10, comma 3 Cost)
(Corte Cost. 24 luglio 2019, n. 194).
Tale forma di protezione costituisce una misura atipica e residuale, che include situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica, non può disporsi l'espulsione e deve provvedersi all'accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutarsi caso per caso. Può trattarsi di situazioni di vulnerabilità soggettiva (come ad es. condizioni di salute o di età del richiedente), ma anche di carattere oggettivo, relative al paese di origine (ad es. grave instabilità politica, carestie, disastri naturali, condizioni di povertà estreme), ovvero contesti personali e situazionali che, pur non avendo caratteristiche o intensità sufficiente per integrare i presupposti delle protezioni “maggiori”, risultino tuttavia meritevoli di tutela, alla luce dei valori e dei principi costituzionali del nostro ordinamento.
Le situazioni c.d. vulnerabili possono quindi derivare da cause non normativamente tipizzate:“Gli interessi protetti non possono restare ingabbiati in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali;
sicché, ha puntualizzato questa Corte, l'apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni
(tra varie, Cass. 15 maggio 2019, nn. 13079 e 13096). Le basi normative non sono, allora, affatto fragili, ma “a compasso largo”: l'orizzontalità dei diritti umani fondamentali, col sostegno dell'art. 8 Cedu, promuove l'evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l'attuazione (Cass. sez. un. 29461/2019). La giurisprudenza di legittimità, a far data dalla sentenza n. 4455/2018, ha attribuito rilievo centrale, ai fini della concessione della protezione umanitaria, alla valutazione comparativa tra il grado d'integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell'esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale.
Da ultimo, le Sezioni Unite hanno chiarito che “occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d'integrazione raggiunta in Italia. Tale valutazione comparativa dovrà essere svolta attribuendo alla condizione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine un peso tanto
pagina 5 di 10 minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano. Situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel Paese di origine possono fondare il diritto del richiedente alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione del medesimo in Italia. Per contro, quando si accerti che tale livello sia stato raggiunto, se il ritorno in Paesi d'origine rende probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare sì da recare un vulnus al diritto riconosciuto dall'art. 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi dell'art. 5 T.U. cit., per riconoscere il permesso di soggiorno”.
Nel compiere tale giudizio, quindi, devono valutarsi “non solo il rischio di danni futuri – legati alle condizioni oggettive e soggettive che il migrante (ri)troverà nel Paese di origine – ma anche il rischio di un danno attuale da perdita di relazioni affettive, di professionalità maturate, di osmosi culturale riuscita”.
In particolare, “in presenza di un elevato livello di integrazione effettiva nel nostro Paese – desumibile da indici socialmente rilevanti quali la titolarità di un rapporto di lavoro (pur se a tempo determinato costituendo tale forma di rapporto di lavoro quella più diffusa, in questo momento storico, di accesso al mercato del lavoro), la titolarità di un rapporto locatizio, la presenza di figli che frequentino asili o scuole, la partecipazione ad attività associative radicate nel territorio di insediamento – saranno le condizioni oggettive e soggettive nel Paese di origine ad assumere una rilevanza proporzionalmente minore” e viceversa “situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel Paese di origine possono fondare il diritto del richiedente alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione del medesimo in Italia” (Cass. sez. un. 24413/2021).
Per quanto sussista una certa continuità tra la disciplina della protezione umanitaria e quella della protezione speciale il nuovo regime appare maggiormente incentrato sul radicamento dello straniero sul territorio nazionale. Se, infatti, ai fini della concessione della protezione umanitaria deve essere effettuata una "comparazione attenuata” tra la situazione di inserimento sociale in Italia del richiedente
e il pericolo di gravi violazioni dei diritti umani che egli avrebbe potuto soffrire in caso di rimpatrio,
l'attuale normativa attribuisce all'elemento del rischio della violazione della vita privata e familiare una rilevanza autonoma o, quantomeno, prevalente nella valutazione dei presupposti necessari al riconoscimento della protezione speciale.
La giurisprudenza di legittimità, richiamando l'art. 8 CEDU, ha chiarito che sono tre i parametri di radicamento sul territorio nazionale che assumono rilevanza sulla base della formulazione dell'art. 19, comma 1.1: quello familiare, quello sociale (in cui sono incluse le relazioni lavorative ed economiche che pure concorrono a comporre la vita privata ovvero l'identità sociale di una persona) e quello
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desumibile dalla durata del soggiorno sul territorio nazionale, quest'ultimo difficilmente apprezzabile in via autonoma (Cass. 7861/2022;
Cass. 24945/2022).
La Cassazione, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite n. 24413 del 2021, pur riferita alla previgente protezione complementare, ma sviluppando argomentazioni che per la loro generalità appaiono suscettibili di essere trasposte anche nel nuovo contesto normativo, ha precisato che “"tutti i rapporti sociali tra gli immigrati stabilmente insediati e la comunità nella quale vivono” sono “parte integrante della nozione di "vita privata" ai sensi dell'art.
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