Trib. Bergamo, sentenza 14/03/2024, n. 288
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Testo completo
R.G. N. 145 / 2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI BERGAMO
SEZIONE LAVORO in composizione monocratica e in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa
G B, ha pronunciato la seguente
SENTENZA CONTESTUALE nella controversia di primo grado promossa da
Parte_1 con l'avv. R S
- RICORRENTE - contro
Controparte_1 con l'avv. G C
e
Controparte_2 con l'avv. A T
- RESISTENTI-
Controparte_3 con l'avv. S V
-TERZA CHIAMATA-
Oggetto: mansione e jus variandi
Nelle note per l'udienza di discussione, i procuratori delle parti concludevano come in atti.
FATTO
Con ricorso depositato il 23.1.23, la parte ricorrente conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Bergamo – Sezione Lavoro, la datrice di lavoro e la committente per CP_1 CP_2
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sentirle condannare in solido al pagamento di € 10.001,62 per differenze retributive ed €
1350,22 per Tfr oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalle singole scadenze al saldo con vittoria di spese distratte in favore del procuratore antistatario.
Il ricorrente, a sostegno della domanda, ha dedotto:
- di essere stato dipendente di dal 29 maggio 2016 al 23 novembre 2021 con CP_1 qualifica di operaio e inquadramento al V livello, poi promosso dal 31 luglio 2020 al IV livello junior,
- di esser sempre stato addetto al cantiere del committente a Varedo. CP_2
***
Si costituiva ritualmente in giudizio la datrice di lavoro eccependo Controparte_1
l'infondatezza in fatto e in diritto delle domande di cui al ricorso e chiedendo il rigetto delle avversarie pretese, con vittoria di spese, diritti e onorari.
In fatto, la datrice di lavoro esponeva che
- con verbale di assemblea ordinaria del 30 ottobre 2015 deliberava lo stato di Org_1
crisi che veniva prorogato all'assemblea del 28 giugno 2016 e del 22 dicembre 2016,
- che subentrava nel rapporto di lavoro in forza di trasferimento d'azienda ex CP_1
articolo 2112 cc e manteneva il trattamento retributivo e normativo della cedente comprensivo anche della decurtazione delle retribuzioni per lo stato di crisi,
- che con delibera assembleare del 23 ottobre 2017 la datrice di lavoro convenuta dichiarava lo stato di crisi.
La datrice di lavoro confermava che il ricorrente è sempre stato addetto al cantiere di Varedo nell'ambito dell'appalto CP_2
***
Si costituiva ritualmente in giudizio , eccependo l'infondatezza in fatto e in CP_2 diritto delle domande di cui al ricorso ed evidenziando di aver stipulato il contratto di appalto con solo dal 2.5.2017 e, pertanto, di non poter essere chiamato in solidarietà per gli CP_1 eventuali debiti della datrice di lavoro nei confronti del ricorrente antecedenti tale data. ha eccepito che, essendo un appalto genuino, non può avere contezza CP_2 dell'adibizione ad esso del ricorrente. In diritto, la committente ha contestato la prescrizione quinquennale del credito.
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ha chiesto autorizzarsi la chiamata di terzo , quale appaltatore diretto, ai CP_2 CP_3 fini dell'esercizio del diritto di manleva.
costituitosi regolarmente in giudizio, contestato quanto affermato dal lavoratore ed CP_3 esclusa la fondatezza del ricorso, ha accettato la domanda di manleva avanzata da ed CP_2 esperito domanda di manleva nei confronti di in forza dell'art. 16 del contratto di CP_1 appalto stipulato.
Le convenute e hanno accettato il contraddittorio sulla domanda di CP_1 CP_3 manleva.
***
Il Giudice in prima udienza ha avanzato una proposta conciliativa che è stata accettata dalla sola parte ricorrente.
Nelle note del 20.4.23 il ricorrente ha riferito di non aver mai ha ricevuto convocazione alcuna relativamente alle assemblee di cui sono stati da controparte prodotti verbali e/o delibere
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Il Giudice, fallito il tentativo di conciliazione a causa della mancata adesione dei convenuti alla proposta dell'ufficio, esperiva la necessaria attività istruttoria, all'esito della quale invitava le parti a “redigere conteggi congiunti secondo i seguenti parametri: - livello V fino al marzo 2020 - livello IV dall'aprile 2020”.
Esperita la necessaria istruttoria, il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione, disposta la trattazione scritta dell'udienza e lette le note depositate, ha deciso la controversia come da sentenza depositata ex art 127 ter c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
I. Le trattenute operate dalle datrici di lavoro
Il ricorrente ha lamentato di nulla sapere delle asserite delibere dello stato di crisi dedotte dalle datrici di lavoro convenute.
Va preliminarmente evidenziato che il rito lavoro è strutturato secondo un sistema di decadenze e rigide preclusioni processuali finalizzate a pervenire ad una celere conclusione delle controversie. In particolare, il sistema prevede che la parte ricorrente è onerata di allegare compiutamente, con l'atto introduttivo del giudizio, i fatti costitutivi delle domande azionate, nonché produrre le prove preesistenti e chiedere l'ammissione di quelle c.d. costituende (art.
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414 c.p.c.). Di contro la parte resistente ha l'onere di costituirsi in giudizio nel termine di cui all'art. 416 c.p.c., a mezzo del deposito di una memoria difensiva con cui eventualmente eccepire l'esistenza di fatti estintivi o modificativi del diritto azionato dal ricorrente, contestare in modo specifico i medesimi fatti costitutivi della pretesa attorea, disconoscere/contestare la produzione documentale della controparte, produrre a sua volta documenti e chiedere
l'ammissione degli ulteriori mezzi istruttori.
Nel rito del lavoro, in base al combinato disposto degli art. 416, comma 3, c.p.c., che stabilisce che il convenuto deve indicare a pena di decadenza i mezzi di prova dei quali intende avvalersi, ed in particolar modo i documenti, che deve contestualmente depositare - onere probatorio gravante anche sull'attore per il principio di reciprocità fissato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 13 del 1977 - e art. 437, comma 2, c.p.c., che, a sua volta, pone il divieto di ammissione in grado di appello di nuovi mezzi di prova -fra i quali devono annoverarsi anche i documenti - l'omessa indicazione, nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, dei documenti, e l'omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza del diritto alla produzione dei documenti stessi, salvo che la produzione non sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall'evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione (ad esempio, a seguito di riconvenzionale o di intervento o chiamata in causa del terzo). La irreversibilità della estinzione del diritto di produrre i documenti, dovuta al mancato rispetto di termini perentori e decadenziali, rende il diritto stesso insuscettibile di reviviscenza.
Sul punto la giurisprudenza è granitica (Cass. civ. n. 16337/2009) “Nel rito del lavoro, l'omessa indicazione dei documenti probatori nell'atto di costituzione in giudizio, imposta dall'art. 416, terzo comma
c.p.c., e l'omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza dal diritto di produrli, salvo che i documenti si siano formati successivamente ovvero la loro produzione sia giustificata dallo sviluppo del processo (art. 420, quinto comma, c.p.c.).”.
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La datrice di lavoro convenuta in sede di costituzione non ha offerto la necessaria prova documentale della legittimità delle trattenute operate.
Da una parte, non ha dato tempestiva prova dell'accettazione dello stato di crisi CP_1 da parte del lavoratore al momento dell'assunzione (sempre ove un accordo derogatorio in peius della retribuzione al di sotto dei minimi tabellari possa essere concluso senza alcuna tutela
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del lavoratore in sede di assunzione e di ciò si dubita) e quindi la disciplina delle trattenute sulla retribuzione risultante dalle delibere di stato di crisi di non può essere applicata al Org_1 ricorrente.
Dall'altra, in sede di costituzione non ha prodotto le asserite convocazioni del CP_1 ricorrente alle assemblee nelle quali è stato deliberato lo stato di crisi né ha dedotto che il sig.
ha partecipato ad esse o è stato informato delle delibere assunte. Pt_1
Lacoopital ha prodotto notizia delle assemblee pubblicata sull'eco di Bergamo tardivamente solo con note del 13.6.23 (note per la terza udienza celebrata) e l'accettazione della delibera di stato di crisi di al momento dell'assunzione in solo con note del 29.2.24 per Org_1 CP_1
l'udienza di discussione.
La produzione dei suddetti documenti è assolutamente e irrimediabilmente tardiva.
Tanto basta per escludere la legittimità delle trattenute.
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In ogni caso, quanto al periodo dall'assunzione fino al 23.10.17 (prima delibera dello stato di crisi di preme evidenziare quanto segue. CP_1
Da una parte, che mai può essere considerata come valida deroga ai minimi salariali per la delibera adottata da altro soggetto giuridico quale è e che CP_1 Organizzazione_2 anche l'eventuale conoscenza di tale delibera dal lavoratore non è fonte idonea alla riduzione della retribuzione sotto i minimi previsti dalla contrattazione collettiva nonché per la rinuncia al pagamento di istituti previsti dalla contrattazione collettiva.
Dall'altra, che la documentazione - tardivamente prodotta e inammissibile di accettazione della riduzione della retribuzione in accordo con la delibera di – costituirebbe un CP_1 accordo individuale di riduzione in peius della retribuzione al di sotto dei limiti minimi previsti dal CCNL applicato al rapporto di lavoro vietato dall'art. 2077 c.c..
Sul punto si richiamano le argomentazioni rese da questo Tribunale
“Pacifico risulta quindi tra le parti che dalla cessione del rapporto di lavoro fino alla delibera dell'assemblea di Lacoopital del 23.10.17, la resistente non ha mai deliberato lo stato di crisi. La ex datrice di CP_1 lavoro deduce che la legittimità della corresponsione di una retribuzione inferiore ai minimi retributivi stabiliti dalla contrattazione collettiva si basa sull'accordo sindacale del 16.2.17 con il quale nell'ambito della cessione del ramo di azienda da a si conveniva il mantenimento della “attuale trattamento Org_1 CP_1 retributivo e normativo in capo alla cedente”.
5 Sul punto giova richiamare la giurisprudenza della Suprema Corte che permette la deroga in peius della retribuzione solo nelle ipotesi espressamente previste e non estensibili della Delibera di crisi aziendale o di un piano di avviamento ai sensi della L. n. 142 del 2001, art. 6 (sul punto Cass. lav., 28.8.13, n. 19832).
La condizione di stato di crisi deliberata da e i suoi presupposti non possono essere estesi ad un Org_1 soggetto giuridico completamente diversi e nuovo come la resistente la parte convenuta non individua CP_1 le norme di legge o contrattuali che possano “estendere” la condizione di crisi e i presupposti di essa anche alla cessionaria. Il verbale del 16.2.17 non potrebbe mai sostituire la delibera dello stato di crisi, infatti non si vede come potrebbe in quanto lo stato di crisi deve essere deliberato dall'assemblea e non può essere deciso dai rappresentanti di cedente e cessionaria e dalle sigle sindacali. Nessun rilievo può assumere una ratifica successiva, data la normativa eccezionale e quindi di stretta interpretazione in punto di stato di crisi e la disciplina in punto di rinuncia dettata in materia di rapporto di lavoro.”
Con riferimento alle trattenute successive al 23.10.17, si osserva che nel regolamento della cooperativa non è prevista la convocazione mediante pubblicazione su un quotidiano e nessun riferimento è operato all' , pertanto non si ritiene che tale metodo possa essere CP_4 un idoneo mezzo per la convocazione dell'assemblea dei soci. Infatti, l'art. 2366 c.c. prevede che “L'avviso deve essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica o in almeno un quotidiano indicato nello statuto almeno quindici giorni prima di quello fissato per l'assemblea.”. Nessuna indicazione vi è nel regolamento della cooperativa. Non può sottacersi poi che il quotidiano di pubblicazione delle convocazioni è a tiratura locale e il ricorrente risiede a Besana Brianza e il posto di lavoro del ricorrente, anticipando gli esiti dell'istruttoria, è sempre stato Varedo, quindi all'esterno dell'area di prevalente diffusione del quotidiano, la diligenza richiesta al socio lavoratore per prendere contezza della convocazione sarebbe quindi sproporzionata.
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Va allora ricordato il principio di carattere generale secondo cui “in tema di società cooperative, la deliberazione, nell'ambito di un piano di crisi aziendale, di una riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi del socio lavoratore e di forme di apporto anche economico da parte di questi, ex art. 6, comma 1, lett. d) ed e), della l. n. 142 del 2001, in deroga al principio generale del divieto di incidenza "in pejus" del trattamento economico minimo previsto dalla contrattazione collettiva, di cui all'art. 3 della predetta legge, è condizionata alla necessaria temporaneità dello stato di crisi e, quindi, all'essenziale apposizione di un termine finale ad esso, la cui carenza non determina una ipotesi di illiceità dell'oggetto o una violazione di norme volte ad impedire la deviazione dallo scopo economico pratico della società, che giustificano la sanzione più grave
6 della nullità ex art. 2379 c.c., ma rientra nella regola generale dell'annullabilità delle delibere assembleari di cui all'art. 2377 c.c., con applicazione del relativo regime di impugnazione” (cass. civ., ord. 2967/21).
Ed in tema di validità delle deliberazioni assembleari delle società di capitali, la Suprema
Corte ha chiarito che “la omessa convocazione (di tutti o di alcuni) dei soci, comportando la mancanza, in concreto, di un elemento essenziale dello schema legale della deliberazione assembleare, determina l'inesistenza giuridica di quest'ultima;invece la irregolarità, o il vizio, che infici la convocazione non determina la stessa conseguenza, ma la mera annullabilità della deliberazione ai sensi dell'art. 2377 cod. civ., giacché, per quanto viziato, quell'elemento essenziale comunque sussiste” (così Cass. civ., Sez. 1, Sentenza n. 9364 del
11/06/2003).
In senso analogo si è espressa la giurisprudenza di merito, ritenendo che “il vizio di nullità della delibera in quanto , previsto dal terzo comma dell'art. 2479 ter per le decisioni adottate dai soci delle S.r.l., si risolve, nel caso di deliberazione assembleare, nella completa carenza di convocazione del socio, riecheggiando, in materia di
S.r.l., l'analoga previsione di nullità contenuta per le delibere assembleari di nel primo CP_2 comma dell'art. 2379 c.c. in riferimento ai casi di (cfr.
Trib. Milano, sent. 9438 del 20 settembre 2018). Viceversa, ogni qual volta è configurabile una irregolarità ovvero un vizio che inficia la convocazione, la conseguenza non è la radicale inesistenza o nullità della delibera, bensì quella dell'annullabilità (cfr. Trib. Milano, sent. 11591 del 21 ottobre 2016;Cass. ord. 22987 del 2019)” (così Trib. Bologna, 14 giugno 2021, n. 1470, nonchè, in materia di delibere condominiali, SS.UU. n. 4806 del 07/03/2005 secondo cui “in tema di condominio negli edifici, debbono qualificarsi nulle le delibere dell'assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito
(contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose
o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all'oggetto;debbono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione, quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in
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relazione all'oggetto. Ne consegue che la mancata comunicazione, a taluno dei condomini, dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale comporta, non la nullità, ma
l'annullabilità della delibera condominiale, la quale, ove non impugnata nel termine di trenta giorni previsto dall'art. 1137, terzo comma, cod. civ. (decorrente, per i condomini assenti, dalla comunicazione, e, per i condomini dissenzienti, dalla sua approvazione), è valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio”) conformi: Trib. Bergamo, sez. lav. n. 144/2023, dott.ssa Bertoncini;Trib. Bergamo, sez. Lav. n. 438/2023, dott.ssa Bertoncini;Trib. Bergamo,
Sez. Lav., n. 646/2023, Dott. Lapenta.
Va precisato, infine, che le delibere del piano di crisi difettano del necessario requisito della temporaneità dello stato di crisi che, infatti, per come emerge dalla stessa narrativa della parte convenuta e delle datrici di lavoro e dal tenore stesso delle delibere assembleari CP_5 prodotte nei fascicoli delle parti resistenti si protrae indistintamente dalla costituzione di ciascuna cooperativa e viene rinnovato di anno in anno comportando un illegittimo trattamento economico deteriore dei soci lavoratori rispetto ai minimi tabellari (Cassazione civile sez. lav.,
08/02/2021, n.2967).
Per tutto quanto argomentato, le trattenute operate dalla datrice di lavoro sono illegittime.
II. La decadenza semestrale e l'adesione a Controparte_6
La clausola di decadenza, ove legittima, si applica solo al compenso per lavoro straordinario
e trasferta e solo per il personale viaggiante, quindi non certo al ricorrente che operava in magazzino.
Sul punto la Suprema Corte in una controversia avente come parte Organizzazione_2
(Cassazione civile sez. lav., 22/10/2021, (ud. 01/12/2020, dep. 22/10/2021), n.29627) così ha statuito “.