Trib. Ancona, sentenza 26/06/2024, n. 287
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Testo completo
TRIBUNALE DI ANCONA REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Ancona, sez. Lavoro, in persona del Giudice dott. Tania De Antoniis, all'esito dello scambio di note scritte ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c. con termine per note sino al 16.5.2024;
richiamato il contenuto narrativo degli atti di causa;
viste le deduzioni, eccezioni, istanze e conclusioni formulate dalle parti ed esaurita la discussione con scambio di note scritte depositate in data 7.5.2024, 15.5.2024;
ha pronunciato e pubblicato la seguente
SENTENZA nella causa n. 876/2023 R.G. Lav.,
TRA
Parte_1 Parte_2
[...] Parte_3 Parte_4
[...] Parte_5 etti, giusta procura in calce all'atto introduttivo, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Ancona via Magenta n. 5;
RICORRENTE
Controparte_1 CP_2
IN PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE PRO TEMPORE rappresentata e difesa dall'avv. Pessi, dall'avv. Massara e dall'avv. Fabozzi, giusta procura in calce alla memoria di costituzione e risposta, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. D'Alessio in Ancona via Giannelli n. 36;
RESISTENTE
OGGETTO: retribuzione.
PAROLE CHIAVE: TEMPO LAVORO – TIMBRATURA DEL BADGE O ACCENSIONE DEL COMPUTER
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. I ricorrenti, addetti a mansioni di Customer Operations per i numeri verdi 187, 191 e 199, lamentano l'illegittimità dell'accordo collettivo aziendale del 27.3.2013, con il quale si
1
stabiliva che l'orario di lavoro venisse rilevato non dalla timbratura del badge all'ingresso del luogo di lavoro, ma dal momento dell'accensione del personal computer, con cui le ricorrenti svolgevano la propria attività lavorativa;
evidenziano, a tale fine, il contrasto di tale disposizione con l'art. 1 comma 2 lett. A) D. Lgs. 66/2003, l'art. 45 CCNL, l'art. 36 Cost., l'art. 2103 c.c., sostenendo che sin dall'ingresso nel posto di lavoro i dipendenti fossero soggetti al potere direttivo e disciplinare dell'imprenditore. La resistente sostiene, al contrario, la legittimità della disposizione contrattuale, asserendo che, invero, il periodo che intercorre tra la timbratura con il tesserino e l'accesso alla postazione di lavoro sia sottratto al potere disciplinare e direttivo del datore di lavoro e non vada, pertanto, computato nel tempo lavoro. Afferma che la timbratura ai tornelli era finalizzata unicamente a garantire la sicurezza all'interno della proprietà aziendale e che soltanto nel momento in cui il lavoratore aveva raggiunto la postazione era possibile svolgere l'attività lavorativa, potendo il dipendente prima di tale momento attardarsi per prendere un caffè coi colleghi o per altre ragioni. Sotto altro profilo rileva che le clausole dell'accordo sindacale erano inscindibili, sicché non ne era possibile una declaratoria di nullità parziale, tanto più che le controparti avevano manifestato acquiescenza all'accordo per oltre dieci anni fruendo dei benefici in esso previsti;
che l'accoglimento del ricorso contrasta con l'impossibilità di scindere l'efficacia soggettiva del contratto aziendale;
che a nulla rileva la mancata iscrizione alle OOSS stipulanti;
che l'azione proposta si scontra con il principio del conglobamento;
che l'accordo deve ritenersi valido avendo tutti i requisiti per essere qualificato come accordo di prossimità di cui all'art. 8 DL 138/2011, non essendo a tale fine indispensabile una espressa qualificazione. Ritiene, infine, che i ricorrenti non abbiano fornito prova sufficiente dell'esercizio del potere direttivo del datore di lavoro prima dell'accesso alla postazione lavorativa e che anche la determinazione del quantum della pretesa sia del tutto approssimativa e priva di riscontro. Eccepisce infine la prescrizione quinquennale dei crediti vantati. La causa, non necessitando di istruttoria, veniva discussa all'esito del tentativo di conciliazione giudiziale con scambio di note scritte ai sensi dell'art. 429 c.p.c. e 127 ter c.p.c.
2. PRESCRIZIONE DEI CREDITI VANTATI. In via preliminare, il resistente eccepisce la prescrizione dei crediti vantati, sostenendone il decorso durante lo svolgimento del rapporto di lavoro. L'eccezione è infondata, dovendo aderirsi, anche per la funzione nomofilattica svolta dalla Suprema Corte, ai principi sanciti con la pronuncia n. 26246/2022, secondo la quale il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della l. n. 92 del 2012 e del d.lgs n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della l. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del
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combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro. Nel caso di specie, essendo ancora tutti i ricorrenti alle dipendenze del convenuto, nessun termine di prescrizione può ritenersi decorso.
3. INSCINDIBILITÀ DELLA CLAUSOLE DEL CONTRATTO COLLETTIVO AZIENDALE DEL 27.3.2013. Sul punto si osserva che, come già dedotto in precedente di questo stesso Tribunale (Tribunale di Ancona, n. 185/2018 del 6.6.2018) confermato dalla locale Corte di Appello (Corte di Appello n. 226/2019 del 25.7.2019), “la giurisprudenza formatasi in tema di inscindibilità delle clausole al fine dell'estensione della nullità di una clausola all'intero accordo contrattuale ha costantemente rimarcato che l'inscindibilità è un elemento di fatto, che va allegato e provato dalla parte interessata (in questo caso la convenuta), che è, dunque, soggetta ai limiti decadenziali propri del rito del lavoro in tema di allegazioni e prove (Cass. 2314/2016)”. Al riguardo la Corte di Appello aveva rimarcato che non è sufficiente che l'accordo collettivo del 27.3.2013 affermi che esso “costituisce un corpo unico ed inscindibile con gli accordi sottoscritti in pari data”, in quanto il nesso di inscindibilità ha valore sostanziale e non meramente formale, che va rigorosamente allegato e provato. D'altro canto, la Corte di Appello ha aggiunto che invero la nullità della clausola impugnata per contrarietà a norma imperativa ne comporta la sostituzione automatica in base al combinato disposto dell'art. 1419 comma 2 c.c. e 1339 c.c. senza nuocere dunque alla validità dell'intero contratto. Sul punto la Suprema Corte evidenzia che la regola posta dall'art. 1419 c.c. è che la nullità parziale del contratto o di una sua clausola, in linea generale, non importa la nullità dell'intero contratto allorché o le parti avrebbero concluso il contratto pur nella consapevolezza della nullità o sussiste una norma di legge che sostituisce eventuali clausole nulle con altre (Cass. 27732/2005). In fattispecie analoga alla presente, benché riguardante un diverso gruppo di lavoratori, la Cassazione ha rigettato la medesima censura di parte datoriale sulla inscindibilità delle clausole dell'accordo, affermando che “la sostituzione automatica delle clausole, infatti, opera in un duplice senso: ristabilisce un determinato equilibrio contrattuale secondo una precisa scelta del legislatore che si impone alle parti private in modo inderogabile ed assicura la conservazione del contratto, impedendo al giudice la valutazione (altrimenti possibile) di essenzialità di quella clausola per il consenso di uno o di entrambi i contraenti” (Cass. 16769/2024, nonché con riguardo ad altri operatori Cass. 17096/2024). Controparte_3
Ne deriva l' l'eccezione in esame.
4. ACQUIESCENZA AL CONTRATTO COLLETTIVO. Sotto altro profilo la convenuta ritiene che la mancanza di esplicito dissenso abbia determinato l'affidamento della controparte nell'abbandono della relativa pretesa, rilevando dunque nell'interpretare la volontà contrattuale delle parti coinvolte. Orbene, si osserva che nel caso di specie non è in discussione l'interpretazione della volontà delle parti contenuta nell'accordo contrattuale sicché non può darsi rilievo sotto tale profilo al comportamento acquiescente
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dei lavoratori. Peraltro, l'inerzia nell'esercizio di un diritto può rilevare nei limiti in cui determina l'estinzione del diritto per prescrizione, da escludersi nel caso di specie per le ragioni sopra esposte, non potendo ravvisarsi un comportamento incompatibile con la volontà di esercitare il diritto nel solo fatto che questo non è stato azionato in costanza di rapporto di lavoro, trovando giustificazione un simile comportamento nella situazione psicologica di soggezione del lavoratore che può essere indotto a non esercitare il proprio diritto per timore del licenziamento (Corte Cost. 63/1966). Si aggiunga solo
Il Tribunale di Ancona, sez. Lavoro, in persona del Giudice dott. Tania De Antoniis, all'esito dello scambio di note scritte ai sensi dell'art. 127 ter c.p.c. con termine per note sino al 16.5.2024;
richiamato il contenuto narrativo degli atti di causa;
viste le deduzioni, eccezioni, istanze e conclusioni formulate dalle parti ed esaurita la discussione con scambio di note scritte depositate in data 7.5.2024, 15.5.2024;
ha pronunciato e pubblicato la seguente
SENTENZA nella causa n. 876/2023 R.G. Lav.,
TRA
Parte_1 Parte_2
[...] Parte_3 Parte_4
[...] Parte_5 etti, giusta procura in calce all'atto introduttivo, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Ancona via Magenta n. 5;
RICORRENTE
Controparte_1 CP_2
IN PERSONA DEL LEGALE RAPPRESENTANTE PRO TEMPORE rappresentata e difesa dall'avv. Pessi, dall'avv. Massara e dall'avv. Fabozzi, giusta procura in calce alla memoria di costituzione e risposta, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. D'Alessio in Ancona via Giannelli n. 36;
RESISTENTE
OGGETTO: retribuzione.
PAROLE CHIAVE: TEMPO LAVORO – TIMBRATURA DEL BADGE O ACCENSIONE DEL COMPUTER
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. I ricorrenti, addetti a mansioni di Customer Operations per i numeri verdi 187, 191 e 199, lamentano l'illegittimità dell'accordo collettivo aziendale del 27.3.2013, con il quale si
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stabiliva che l'orario di lavoro venisse rilevato non dalla timbratura del badge all'ingresso del luogo di lavoro, ma dal momento dell'accensione del personal computer, con cui le ricorrenti svolgevano la propria attività lavorativa;
evidenziano, a tale fine, il contrasto di tale disposizione con l'art. 1 comma 2 lett. A) D. Lgs. 66/2003, l'art. 45 CCNL, l'art. 36 Cost., l'art. 2103 c.c., sostenendo che sin dall'ingresso nel posto di lavoro i dipendenti fossero soggetti al potere direttivo e disciplinare dell'imprenditore. La resistente sostiene, al contrario, la legittimità della disposizione contrattuale, asserendo che, invero, il periodo che intercorre tra la timbratura con il tesserino e l'accesso alla postazione di lavoro sia sottratto al potere disciplinare e direttivo del datore di lavoro e non vada, pertanto, computato nel tempo lavoro. Afferma che la timbratura ai tornelli era finalizzata unicamente a garantire la sicurezza all'interno della proprietà aziendale e che soltanto nel momento in cui il lavoratore aveva raggiunto la postazione era possibile svolgere l'attività lavorativa, potendo il dipendente prima di tale momento attardarsi per prendere un caffè coi colleghi o per altre ragioni. Sotto altro profilo rileva che le clausole dell'accordo sindacale erano inscindibili, sicché non ne era possibile una declaratoria di nullità parziale, tanto più che le controparti avevano manifestato acquiescenza all'accordo per oltre dieci anni fruendo dei benefici in esso previsti;
che l'accoglimento del ricorso contrasta con l'impossibilità di scindere l'efficacia soggettiva del contratto aziendale;
che a nulla rileva la mancata iscrizione alle OOSS stipulanti;
che l'azione proposta si scontra con il principio del conglobamento;
che l'accordo deve ritenersi valido avendo tutti i requisiti per essere qualificato come accordo di prossimità di cui all'art. 8 DL 138/2011, non essendo a tale fine indispensabile una espressa qualificazione. Ritiene, infine, che i ricorrenti non abbiano fornito prova sufficiente dell'esercizio del potere direttivo del datore di lavoro prima dell'accesso alla postazione lavorativa e che anche la determinazione del quantum della pretesa sia del tutto approssimativa e priva di riscontro. Eccepisce infine la prescrizione quinquennale dei crediti vantati. La causa, non necessitando di istruttoria, veniva discussa all'esito del tentativo di conciliazione giudiziale con scambio di note scritte ai sensi dell'art. 429 c.p.c. e 127 ter c.p.c.
2. PRESCRIZIONE DEI CREDITI VANTATI. In via preliminare, il resistente eccepisce la prescrizione dei crediti vantati, sostenendone il decorso durante lo svolgimento del rapporto di lavoro. L'eccezione è infondata, dovendo aderirsi, anche per la funzione nomofilattica svolta dalla Suprema Corte, ai principi sanciti con la pronuncia n. 26246/2022, secondo la quale il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della l. n. 92 del 2012 e del d.lgs n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della l. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del
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combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro. Nel caso di specie, essendo ancora tutti i ricorrenti alle dipendenze del convenuto, nessun termine di prescrizione può ritenersi decorso.
3. INSCINDIBILITÀ DELLA CLAUSOLE DEL CONTRATTO COLLETTIVO AZIENDALE DEL 27.3.2013. Sul punto si osserva che, come già dedotto in precedente di questo stesso Tribunale (Tribunale di Ancona, n. 185/2018 del 6.6.2018) confermato dalla locale Corte di Appello (Corte di Appello n. 226/2019 del 25.7.2019), “la giurisprudenza formatasi in tema di inscindibilità delle clausole al fine dell'estensione della nullità di una clausola all'intero accordo contrattuale ha costantemente rimarcato che l'inscindibilità è un elemento di fatto, che va allegato e provato dalla parte interessata (in questo caso la convenuta), che è, dunque, soggetta ai limiti decadenziali propri del rito del lavoro in tema di allegazioni e prove (Cass. 2314/2016)”. Al riguardo la Corte di Appello aveva rimarcato che non è sufficiente che l'accordo collettivo del 27.3.2013 affermi che esso “costituisce un corpo unico ed inscindibile con gli accordi sottoscritti in pari data”, in quanto il nesso di inscindibilità ha valore sostanziale e non meramente formale, che va rigorosamente allegato e provato. D'altro canto, la Corte di Appello ha aggiunto che invero la nullità della clausola impugnata per contrarietà a norma imperativa ne comporta la sostituzione automatica in base al combinato disposto dell'art. 1419 comma 2 c.c. e 1339 c.c. senza nuocere dunque alla validità dell'intero contratto. Sul punto la Suprema Corte evidenzia che la regola posta dall'art. 1419 c.c. è che la nullità parziale del contratto o di una sua clausola, in linea generale, non importa la nullità dell'intero contratto allorché o le parti avrebbero concluso il contratto pur nella consapevolezza della nullità o sussiste una norma di legge che sostituisce eventuali clausole nulle con altre (Cass. 27732/2005). In fattispecie analoga alla presente, benché riguardante un diverso gruppo di lavoratori, la Cassazione ha rigettato la medesima censura di parte datoriale sulla inscindibilità delle clausole dell'accordo, affermando che “la sostituzione automatica delle clausole, infatti, opera in un duplice senso: ristabilisce un determinato equilibrio contrattuale secondo una precisa scelta del legislatore che si impone alle parti private in modo inderogabile ed assicura la conservazione del contratto, impedendo al giudice la valutazione (altrimenti possibile) di essenzialità di quella clausola per il consenso di uno o di entrambi i contraenti” (Cass. 16769/2024, nonché con riguardo ad altri operatori Cass. 17096/2024). Controparte_3
Ne deriva l' l'eccezione in esame.
4. ACQUIESCENZA AL CONTRATTO COLLETTIVO. Sotto altro profilo la convenuta ritiene che la mancanza di esplicito dissenso abbia determinato l'affidamento della controparte nell'abbandono della relativa pretesa, rilevando dunque nell'interpretare la volontà contrattuale delle parti coinvolte. Orbene, si osserva che nel caso di specie non è in discussione l'interpretazione della volontà delle parti contenuta nell'accordo contrattuale sicché non può darsi rilievo sotto tale profilo al comportamento acquiescente
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dei lavoratori. Peraltro, l'inerzia nell'esercizio di un diritto può rilevare nei limiti in cui determina l'estinzione del diritto per prescrizione, da escludersi nel caso di specie per le ragioni sopra esposte, non potendo ravvisarsi un comportamento incompatibile con la volontà di esercitare il diritto nel solo fatto che questo non è stato azionato in costanza di rapporto di lavoro, trovando giustificazione un simile comportamento nella situazione psicologica di soggezione del lavoratore che può essere indotto a non esercitare il proprio diritto per timore del licenziamento (Corte Cost. 63/1966). Si aggiunga solo
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