Trib. Pescara, sentenza 06/06/2024, n. 317

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Pescara, sentenza 06/06/2024, n. 317
Giurisdizione : Trib. Pescara
Numero : 317
Data del deposito : 6 giugno 2024

Testo completo

Fascicolo n. 718/2021
REPUBBLICA ITALIANA
NEL NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI PESCARA, in funzione di Giudice del lavoro, in persona della dott.ssa
V B, all'esito dell'udienza del 6/06/2024 tenutasi in modalità cartolare ex art. 127 ter
c.p.c., ha pronunciato la seguente
SENTENZA con motivazione contestuale nel procedimento iscritto al 718/2021 R.G.L. vertente
TRA
(C.F. , rappresentata e difesa dall'Avv. Parte_1 C.F._1
LIBERATORE FABIO, giusta procura in atti;

PARTE RICORRENTE
CONTRO
(C.F. , rappresentata e difesa dall' Controparte_1 P.IVA_1
Avv. MARAESSE GIAMPAOLO JUNIOR, giusta procura in atti;

PARTE RESISTENTE
OGGETTO: lavoro supplementare e/o straordinario ed altri emolumenti.
CONCLUSIONI: come da note scritte autorizzate depositate dalle parti per l'udienza del
6/06/2024 da intendersi in questa sede integralmente richiamate.
MOTIVAZIONE
Con ricorso ex art. 414 c.p.c., ritualmente notificato unitamente a pedissequo decreto di fissazione udienza, conveniva dinanzi all'intestato Tribunale la Parte_1 [...] per ivi sentirla condannare al pagamento in suo favore dell'importo di € CP_1


22.109,69 a titolo di lavoro supplementare, straordinario diurno e notturno, indennità per ferie, festività e permessi non goduti;
conveniva, altresì, l' al fine di ottenere la regolarizzazione CP_2
della propria posizione contributiva e previdenziale relativamente alle somme dovute per le maggiori ore lavorate che sarebbero state accertate in corso di causa.
Rappresentava la : di essere stata assunta dalla società convenuta in data 8/07/2017 con Pt_1
contratto a tempo indeterminato a tempo parziale orizzontale per n. 20 ore settimanali con inquadramento nel Livello V del CCNL Pubblici Esercizi e la qualifica di cameriera (rapporto di lavoro cessato in data 7/02/2019 per dimissioni volontarie per essere poi assunta il giorno
[... successivo alle dipendenze della );
di essere stata distaccata presso altra società – Org_1
appunto – di titolarità della moglie del proprio titolare informalmente, ovvero di Org_2
fatto, dal mese di novembre 2017 e poi con formale provvedimento dal mese di gennaio 2019;
di aver lavorato sempre per un numero di ore notevolmente superiore a quello contrattualmente pattuito, senza godere del giorno di riposo settimanale né di ferie né di permessi, svolgendo, peraltro, numerosi compiti e mansioni che esulavano anche dalla qualifica di appartenenza;
che, pertanto, era suo diritto conseguire il pagamento del corrispettivo per il lavoro supplementare e straordinario diurno e notturno prestato da calcolarsi con le maggiorazioni previste dalla contrattazione collettiva di settore.
Si costituiva con rituale memoria difensiva la la quale contestava Controparte_1
integralmente gli avversi assunti instando per il rigetto del ricorso in quanto pretestuoso ed infondato avendo la offerto una ricostruzione dei fatti assolutamente non veritiera. Pt_1
Precisava parte resistente che, contrariamente a quanto dalla stessa ricorrente asserito, la
era stata sempre regolarmente retribuita per tutte le ore di lavoro svolto, adibita a Pt_1
mansioni assolutamente conformi al proprio livello di inquadramento, senz'altro adeguato alle non specialistiche competenze possedute.
Si costituiva, altresì, l' il quale si rimetteva alle determinazioni del giudice in ordine alla CP_2
richiesta regolarizzazione contributiva ove fosse stata accertata la fondatezza della pretesa dalla ricorrente vantata in via principale.
Ritualmente instaurato il contraddittorio tra tutte le parti, istruita la causa mediante l'escussione di numerosi testi oltre che per mezzo della corposa documentazione prodotta, all'udienza del
6/06/2024, tenuta in modalità cartolare ex art. 127 ter c.p.c., questo giudice – medio tempore subentrato nella titolarità del ruolo - pronunciava la presente sentenza con motivazione contestuale.
All'esito della lunga istruttoria espletata e dell'esame della documentazione versata in atti, ritiene il Tribunale che il ricorso non sia fondato e non possa essere accolto per le ragioni che qui di seguito si esporranno.
Come è noto, secondo consolidata e costante giurisprudenza di legittimità – cui si è uniformata la maggioritaria giurisprudenza di merito – il lavoratore che agisce rivendicando il pagamento per le ore di lavoro straordinario e/o supplementare prestate in costanza di rapporto è gravato da un rigoroso onere probatorio dovendo fornire, con allegazioni puntuali e specifiche, la prova da un punto di vista quantitativo delle ore lavorate in più rispetto all'orario ordinario previsto dal contratto individuale sottoscritto dalle parti. Dunque, il lavoratore deve indicare – e di conseguenza dimostrare - con esattezza e precisione l'orario di lavoro di fatto osservato non essendo consentita al giudice alcuna valutazione di natura equitativa, cui è possibile ricorrere soltanto per la successiva quantificazione del credito ove, però, sia già stato accertato l'an.
Al giudice dovrà essere, quindi, fornita non già genericamente la prova dell'an, di aver cioè svolto lavoro straordinario, ma anche la prova, sia pure in termini minimali, della esatta collocazione cronologica delle prestazioni lavorative eccedenti il normale orario di lavoro, ovvero del quando i limiti di orario di fatto siano stati superati. In sostanza, la retribuzione del lavoro 'straordinario' presuppone indefettibilmente la prova da parte del lavoratore di avere espletato l'orario normale di lavoro e, quindi, di avere proseguito l'attività lavorativa oltre il suddetto orario normale.
La Suprema Corte ha, infatti, reiteratamente affermato che "il lavoratore che chieda in via giudiziale il compenso per il lavoro straordinario ha l'onere di dimostrare di aver lavorato oltre
l'orario normale di lavoro, senza che l'assenza di tale prova possa essere supplita dalla valutazione equitativa del giudice, utilizzabile solo in riferimento alla quantificazione del compenso" (cfr. ex multis Cass. n. 8006/1998 e successive numerose conformi). Stesse considerazioni valgono per le somme pretese a titolo di ferie e permessi, atteso che
l'espletamento di attività lavorativa in eccedenza rispetto alla normale durata del periodo di effettivo lavoro annuale si pone come fatto costitutivo dell'indennità suddetta, il cui onere probatorio incombe sulla ricorrente (cfr. Cass. sez. lav., 22.12.2009, n. 26985;

7.7.2008 n.
18584;
Cass. sez. lav., 16.2.2007 n. 3619;
Cass. sez. lav., 21.8.2003, n. 12311;
Cass. sez. lav.,
3.6.2000, n. 7445;
Cass. sez. lav., 3.2.1999, n. 935).
Analogamente, in relazione alla richiesta di pagamento dell'indennità sostitutiva delle ferie, dei permessi e delle festività non godute, il lavoratore che agisca in giudizio ha l'onere di provare
l'avvenuta prestazione di attività lavorativa nei giorni ad esse destinati, atteso che l'espletamento
di attività lavorativa in eccedenza rispetto alla normale durata del periodo di effettivo lavoro annuale si pone come fatto costitutivo dell'indennità suddetta, risultando irrilevante la circostanza che il datore di lavoro abbia maggior facilità nel provare l'avvenuta fruizione delle ferie da parte del lavoratore (sul punto, si veda Cass. 8521/2015).
Infatti, l'indennita' sostitutiva si configura come emolumento di natura retributiva, essendo posta in relazione al lavoro prestato con violazione di norme a tutela del lavoratore e per il quale il lavoratore ha, in ogni caso, diritto alla retribuzione e, secondo i criteri generali, l'onere probatorio si ripartisce esclusivamente facendo riferimento alla posizione processuale, restando rispettivamente a carico di chi vuol far valere un diritto ovvero di chi ne contesti l'esistenza, la estinzione o la modifica (cfr. Cass. 26985/2009).
L'onere probatorio è, invece, maggiormente favorevole al lavoratore laddove questi agisca lamentando il mancato pagamento della retribuzione, della tredicesima e quattordicesima mensilità e del T.F.R.. In relazione a tali emolumenti, infatti, in applicazione degli ordinari principi di riparto degli oneri probatori, egli è tenuto a fornire soltanto la prova del titolo
(contratto di lavoro) fonte delle obbligazioni vantate, potendo limitarsi a semplicemente allegare
l'inadempimento del datore di lavoro, essendo onere di quest'ultimo fornire la prova di avere regolarmente adempiuto alle proprie obbligazioni (fatto estintivo).
Secondo le regole generali in punto di riparto degli oneri probatori, infatti, il creditore che agisce per l'adempimento o per la risoluzione o per il risarcimento del danno da inadempimento ha solo
l'onere di dimostrare l'esistenza del titolo (causali) - cioè l'esistenza del contratto stipulato con il debitore o del rapporto di lavoro - e di dedurre lo specifico fatto costitutivo della propria domanda, gravando poi sul debitore l'onere di dimostrare di aver già adempiuto o che il proprio inadempimento è di scarsa importanza (art. 1455 c.c.) o che il termine di adempimento già inutilmente decorso non aveva natura essenziale per il creditore (art. 1457 c.c.) o che
l'inadempimento o il ritardo sono stati determinati da impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore (art. 1218 c.c.).
Dunque, sono assoggettate a tale (vantaggioso) criterio di riparto dell'onere di deduzione e di prova le pretese relative alla retribuzione ordinaria, alla 13ø, alla 14ø, al TFR, a tutto ciò che il
CCNL di settore riconosce al lavoratore senza prevedere ulteriori specifiche condizioni, ivi inclusa l'indennità di mancato preavviso (laddove le dimissioni del lavoratore siano state cagionate proprio dall'inadempimento del datore di lavoro alla obbligazione retributiva).
Applicando tali consolidati principi al caso che occupa, il Tribunale non può non evidenziare che le rivendicazioni in questa sede fatte dalla non hanno trovato conferma alcuna nelle Pt_1
dichiarazioni rese dai testi escussi in giudizio. Ed infatti, sulla base degli elementi raccolti, non è possibile affermare che la ricorrente abbia di regola osservato un orario giornaliero superiore a quello contrattualmente previsto e che, in particolare, l'ordinario turno di lavoro si svolgesse dalle ore 17.30 alle ore 1 di notte.
Valga, sin da subito, osservare che irrilevante ai fini del decidere deve ritenersi la testimonianza resa da tale il quale ha dichiarato di aver lavorato con la presso la pizzeria Tes_1 Pt_1
a Villa Raspa nel periodo corrente dal febbraio 2019 fino all'incirca al mese di Org_1
maggio/giugno 2020. Detta testimonianza, infatti, concerne altro e diverso periodo rispetto a quello per cui è causa (luglio 2017 - 7/02/2019).
Gli altri testi escussi hanno per lo più confermato l'orario di lavoro della quale indicato Pt_1
in contratto precisando, altresì, che la stessa – come tutti gli altri dipendenti – avrebbe regolarmente fruito del giorno di riposo settimanale nonché goduto delle ferie.
Più nello specifico, il teste – il quale, comunque, ha lavorato con la Testimone_2 Pt_1 soltanto per un breve periodo nell'anno 2017 - a tal riguardo ha riferito che “abbiamo sempre avuto il giorno di riposo che poteva variare, in genere era il lunedì o il martedì, abbiamo sempre avuto anche le ferie”;
in merito all'orario di lavoro, lo stesso teste ha dichiarato di aver osservato lo stesso orario della ricorrente “all'incirca dalle 18/19 e fino alle 23 e che, in estate si doveva arrivare prima, in genere si iniziava alle 17.30”;
la genericità di tale affermazione – non avendo il teste circoscritto il periodo in modo specifico e puntuale né avendo precisato se l'inizio turno anticipato fosse richiesto tutti i giorni della settimana o, magari, soltanto nel week end – impedisce di poter ricostruire con esattezza l'orario di lavoro osservato in periodo estivo (tenuto poi conto che l'affermazione riguarderebbe soltanto l'estate del 2017). Né tantomeno tale dichiarazione – non confortata da altri e diversi elementi di prova - appare di per sé idonea a confermare l'orario di lavoro indicato dalla . Pt_1
Inidonea all'esatta quantificazione delle ore giornalmente lavorate dalla stessa ricorrente appare anche la testimonianza resa da tale il quale ha lavorato con la stessa dal mese di Testimone_3
settembre 2018 al mese di febbraio 2019 (per quanto qui di interesse). Questi ha, infatti, riferito che quando si recava a lavoro alle 17.30 la ricorrente era già lì e che quando lui staccava intorno alle ore 23.30 lei era ancora in sala, precisando, tuttavia, di non essere a conoscenza dell'orario in cui quest'ultima finiva il turno. Anche in questo caso, la genericità delle affermazioni rese impedisce di poter ricostruire l'orario di fatto osservato dalla non essendovi alcuna Pt_1 certezza circa l'orario di fine turno (che a questo punto poteva variare giornalmente in base
all'affluenza della clientela) e non è di alcun ausilio ai fini della ricostruzione dell'orario quotidianamente svolto.
Contrastanti con le affermazioni della ricorrente appaiono anche le dichiarazioni rese dal teste il quale ha affermato “Ho conosciuto la ricorrente nell'estate del 2017 in Testimone_4 quanto abbiamo lavorato insieme al di Montesilvano, (insegna ), lei CP_1 Org_1
come cameriera, io in cucina, ero aiutante cuoco. In quel periodo ha fatto un periodo di formazione per poi essere assegnata a nel novembre del 2017 quando è stato aperto il CP_3
ristorante a . Abbiamo lavorato sempre insieme a fino al 2020. La ricorrente CP_3 CP_3
lavorava tutti i giorni con un giorno di riposo a settimana variabile, dalle 19 alle 23. Quando si chiedeva di anticipare o di posticipare si recuperava poi l'orario o si usciva più tardi, a seconda dell'orario di ingresso in modo da garantire sempre lo stesso orario di lavoro. La pizzeria a
è aperta solo nel pomeriggio dalle 19 alle 23. La ricorrente, come tutti, ha sempre CP_3 usufruito del giorno di riposo e delle ferie”. Lo stesso teste ha, inoltre, precisato che “Io uscivo dalla pizzeria tutti i giorni alle 23,00, poteva capitare di restare a lavorare una mezz'ora in più il sabato sera ma poi questa mezz'ora si recuperava la domenica o veniva pagata”.
Non può, inoltre, non rilevarsi che le prove orali espletate hanno integralmente confutato quanto dalla affermato in punto di mansioni che la stessa era solita svolgere durante il turno di Pt_1
lavoro. Contrariamente a quanto dalla stessa ricorrente asserito, infatti, è emerso che i colloqui di lavoro venivano tenuti personalmente dal titolare della società o da sua moglie, tale CP_1
(si vedano dichiarazioni testi , e , i rapporti Persona_1 Tes_3 Tes_2 Tes_4
con i fornitori erano curati dallo stesso legale rappresentante, signor (vedi Testimone_5
dichiarazioni teste e , la chiusura della cassa era effettuata dalla cassiera, tale Tes_2 Tes_4
o dal cameriere di turno (che non necessariamente doveva essere la ricorrente). Per_2
Dunque, dovendo la svolgere in via esclusiva le mansioni proprie della qualifica di Pt_1
appartenenza (cameriera addetta alla sala), è chiaro che non vi erano ragioni per le quali la stessa dovesse recarsi sul luogo di lavoro in orario mattutino o molto tempo prima dell'inizio del proprio turno di lavoro che, pertanto, può ritenersi coincidente con quello contrattualmente indicato.
L'osservanza di un orario di lavoro notevolmente superiore a quello previsto da contratto non può ritenersi provata neppure dalla corposa documentazione prodotta dalla ricorrente consistente in scontrini, fatture ed elenchi di beni venduti, documentazione che avrebbe al più potuto confortare e rafforzare gli esiti dell'istruttoria nel caso fosse risultata favorevole alle tesi professate dalla . Pt_1
Premesso che – come correttamente osservato dalla difesa dell'odierna resistente - parte degli scontrini prodotti si riferisce al periodo successivo a quello durante il quale la ha Pt_1 prestato attività lavorativa alle dipendenze della preme rilevare che gli scontrini CP_1
redatti a mano sono privi di qualsivoglia valenza probatoria in quanto mancanti di data certa e, comunque, non riconducibili in alcun modo alla mano della ricorrente;
parimenti, di certo non può desumersi che la terminasse quotidianamente il proprio turno di lavoro all'orario Pt_1
riportato sullo scontrino (ove posteriore alle 23.00) posto che, non essendo stata raggiunta la prova che la stessa svolgesse un turno di lavoro di gran lunga superiore a quello previsto, lo scontrino singolarmente considerato non comprova la chiusura cassa ad opera della ricorrente
(non avendo, peraltro, i testi confermato che la ricorrente si occupasse, di regola, di tale incombenza). Non recando, infatti, lo scontrino il nome o un eventuale codice operatore – idoneo
a poterlo ricondurre ad una specifica persona – è chiaro che non vi sia alcuna certezza circa il fatto che lo scontrino sia stato battuto dalla né è possibile ricondurre l'eventuale Pt_1
chiusura cassa alla stessa.
Ad ogni buon conto, poi, dall'esame delle buste paga prodotte, emerge in modo chiaro che parte datoriale abbia regolarmente corrisposto alla odierna ricorrente il compenso per le ore di lavoro straordinario prestate unitamente alla maggiorazione oraria per il lavoro supplementare e per quello domenicale;
elemento questo che ulteriormente porta al rigetto delle pretese in questa sede avanzate.
Fermo ed impregiudicato tutto quanto sin qui argomentato, si osserva che le uniche dichiarazioni di conforto alle tesi professate dalla risultano essere quelle rilasciate dalla teste Pt_1
, collega di lavoro della , la quale, però, non può ritenersi particolarmente Testimone_6 Pt_1
attendibile posto che: tutti gli altri testi hanno riferito circostanze contrastanti con quelle dedotte da tale teste la quale avrebbe dichiarato, tra le altre, che gli ordini per la pizzeria li faceva il pizzaiolo ( ;
questi, però, escusso quale teste ha riferito “non ho mai fatto la Tes_3 Tes_3
spesa, a volte è capitato che ho comprato le salsicce alla macelleria di fronte, non ricordo quante volte” lasciando così intendere che la parte organizzativa del lavoro non era in alcun modo rimessa a lui. In secondo luogo, la ha dichiarato che “la ricorrente era la responsabile di Tes_6
sala, non era in cucina, si occupava della sala, prendeva gli ordini e faceva la cassa, inoltre si occupava degli ordini con i fornitori. Noi cominciavamo il pomeriggio alle 17,00, a volte la ricorrente arrivava prima se dovevano arrivare le merci e lavoravamo fino a mezzanotte- l'una del mattino, tutti i giorni della settimana, non vi erano giorni di riposo né abbiamo avuto giorni di ferie. Io finivo prima di lei alle 23,30-24,00 e la aspettavo per andare via insieme verso l'una del mattino;
la ricorrente si occupava anche della chiusura della cassa, a fine serata faceva la foto
degli scontrini e la mandava via whatsapp alla titolare”. Dunque, stando a quanto dalla teste riferito, emerge che lei e la ricorrente abbiano lavorato per oltre un anno e mezzo senza sosta, senza godere di alcun giorno di riposo, senza orario di lavoro fisso ovvero adeguandosi alle esigenze aziendali e che, inoltre, la ricorrente fosse una sorta di factotum della società, dipendente poliedrica e multifunzione. Tali affermazioni – oltre che contrastare con quelle rese dagli altri testi – appaiono anche poco credibili essendo impensabile che una persona possa lavorare per un lasso temporale così ampio con ritmi irrefrenabili e senza riposo alcuno. Ne consegue che quanto dichiarato dalla non può essere considerato rilevante ai fini del Tes_6
decidere.
A tal riguardo, chi scrive non può esimersi dal richiamare quell'oramai consolidata giurisprudenza di legittimità secondo la quale “L'apprezzamento del giudice di merito, nel porre
a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra, in effetti, altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 21187 del 2019;
Cass. n. 9275 del 2018;
Cass. n. 5939 del
2018;
Cass. n. 16056 del 2016;
Cass. n. 15927 del 2016). La valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull'attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono, in effetti, apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito" il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un'esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 42 del 2009;
Cass. n.
20802 del 2011). In particolare, tanto la valutazione delle deposizioni testimoniali, quanto il giudizio sull'attendibilità dei testi, sulla credibilità e sulla rilevanza probatoria delle loro affermazioni sono rimessi al libero convincimento del giudice del merito: in tema di procedimento civile, infatti, sono riservate al giudice del merito l'interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell'attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass. n. 21187 del 2019). In definitiva, tanto la valutazione delle deposizioni testimoniali, quanto il giudizio sull'attendibilità dei testi, sulla credibilità e sulla rilevanza probatoria delle loro affermazioni, sono rimessi al libero convincimento del giudice del merito, la cui valutazione, ove motivata
(come nel caso in esame) in modo non apparente né contraddittorio, non è censurabile in
cassazione (cfr. Cass. n. 9356 del 2017, secondo cui in materia di ricorso per cassazione, l'errore di valutazione in cui sia incorso il giudice di merito e che investe l'apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare, non è mai sindacabile in sede di legittimità;
Cass. n. 25166 del 2019, per cui il giudizio di attendibilità, sufficienza e congruenza delle testimonianze si colloca interamente nell'ambito della valutazione delle prove, estranea al giudizio di legittimità) (cfr. Cass. N. 4474/2022).
In applicazione di tali principi, il Tribunale ritiene che la valutazione globale ed unitaria delle prove raccolte e, in particolare, di quelle valutate come rilevanti ai fini del decidere, debba portare ad un giudizio di infondatezza del ricorso il quale non può che essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo in applicazione dei parametri previsti per le cause di valore compreso tra € 5.201,00 ed € 26.000 (tenuto conto del valore della domanda avanzata in giudizio dalla ). Pt_1
Con riguardo, invece, all' , anch'esso convenuto in giudizio, si dispone l'integrale CP_2
compensazione delle spese di lite non ravvisandosi una vera e propria soccombenza tenuto conto della stretta connessione e della consequenzialità tra accoglimento della domanda principale e accoglimento di quella avente ad oggetto la richiesta regolarizzazione contributiva.
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