Trib. Ancona, sentenza 08/01/2024, n. 20
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Testo completo
N. R.G. 339/2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE di ANCONA
SEZIONE LAVORO
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. A S ha pronunciato la seguente
SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 339/2023 promossa da:
rappresentato e difeso dall'avv. BOLDRINI FRANCESCO e Parte_1
dall'avv. BOLDRINI VALENTINA elett.te dom.to in Via Volturno, 5 60121 Ancona
ATTORE/I contro
rappresentata e difesa congiuntamente e Controparte_1
disgiuntamente dagli Avv.ti FNDO CARABBA TETTAMANTI, GIOVANNI
P E A M, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in Falconara Marittima (AN), Via Cavour n. 3.
RESISTENTE
Viste le conclusioni delle parti come da note di trattazione scritta depositate a seguito di provvedimento emesso ex art. 127 ter c.p.c.
MOTIVAZIONE
Il ricorrente, premesso di lavorare per la società resistente a far data dal 2002, con la qualifica di operaio livello 4c1 del e mansioni sempre afferenti al Organizzazione_1
“reparto mare”, afferma che, in conseguenza del rinnovo del Contratto Collettivo Aziendale
e a far data dall'aprile 2020, la ha unilateralmente Controparte_1
modificato la determinazione dei criteri di erogazione dell'indennità che in origine era denominata “panatica” e successivamente “ticket restaurant”.
Asserisce il ricorrente, infatti, che prima dell'aprile 2020 l'indennità in oggetto, oggi corrisposta esclusivamente per turni che includano l'orario di pranzo o di cena, veniva
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corrisposta sulla base del seguente calcolo: n. 30 unità + 1 unità per turni superiori alle 12 ore – 1 unità per giorno non lavorato.
Il ricorrente afferma, poi, che l'indennità in oggetto, variamente denominata nel corso del tempo, abbia costituito parte integrante della retribuzione sin dall'assunzione quale fonte negoziale, ormai consolidatasi in uso aziendale, anche con riferimento alla metodologia di calcolo.
Di talché, in via principale e previa dichiarazione di nullità dell'accordo sindacale del 29 gennaio 2020, il ricorrente chiede dichiararsi consolidato l'uso aziendale circa la sopra richiamata modalità di calcolo e quindi dichiararsi illegittimo il contegno datoriale unilateralmente assunto sulla diversa modalità di erogazione dei già Org_2
indennità di panatica, e per l'effetto condannare la società a corrispondere tutti i buoni pasto maturati e non corrisposti dal mese di marzo 2020 alla data del ricorso nella misura complessiva di € 3.334,10, come da conteggio ivi allegato.
Si costituiva regolarmente la chiedendo l'integrale rigetto Controparte_1
dell'avverso ricorso.
In particolare, la società resistente afferma che quella relativa al oggetto Org_2
di giudizio sia solo una delle clausole contenute nell'Accordo del 29 gennaio 2020, e che quest'ultimo, oltre ad essere stato votato ed approvato a maggioranza dagli operatori del reparto, sia stato oggetto di verifica a sei mesi dalla firma, senza che fosse ravvisato alcun problema o necessità di riavvio di una nuova negoziazione su quanto ivi pattuito.
Inoltre, rileva la resistente che per gli addetti al reparto mare, già dal 2009, con la perdita per questi ultimi del libretto di navigazione, l'indennità di panatica veniva sostituita dall'indennità di mancato pasto.
In ogni caso, asserisce che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, l'indennità di panatica o di mancato pasto non veniva corrisposta, oltre che per i giorni di ferie, anche per le giornate di assenza in genere e per le assenze determinate da malattia o infortunio se superiori a giorni 5.
Il ricorso deve ritenersi fondato.
Si premette che è pacifico che l'indennità c.d. di panatica per il personale della raffineria addetto al reparto “mare” (denominata nelle buste paga successive al 2009, come indennità di mancato pasto, attesa la perdita della natura di lavoratori marittimi) sia stata prevista unicamente dalla contrattazione integrativa aziendale e non dal contratto collettivo nazionale applicato al rapporto di lavoro del ricorrente, né dal contratto individuale.
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I contratti integrativi in parola, dunque, vanno considerati come fonte eteronoma del rapporto sicché appare non pertinente l'invocazione del principio dell'irriducibilità della retribuzione che trova la propria ragione nella disposizione di cui all'art. 2103 c.c. secondo cui anche in caso di mutamento di mansioni, il lavoratore ha il diritto di conservare il medesimo trattamento retributivo, così come previsto dal contratto individuale o dalla contrattazione collettiva.
Tale disposizione non vieta, invece, che il trattamento retributivo del lavoratore possa subire una modifica in peius in caso di modifica della contrattazione collettiva ad esso applicabile.
Secondo la consolidata giurisprudenza, infatti, (v. Cass. Sez. L, Sentenza n. 13960 del
19/06/2014) “nell'ipotesi di successione tra contratti collettivi, le modificazioni "in peius" per il lavoratore sono ammissibili con il solo limite dei diritti quesiti, dovendosi escludere che il lavoratore possa pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente, in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, ma operano dall'esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077 cod. civ.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo ed individuale”.
Coerentemente, si afferma, infatti, (v. Cass. Sez. L -, Sentenza n. 25919 del 15/12/2016) che i contratti collettivi di diritto comune, costituendo manifestazione dell'autonomia negoziale degli stipulanti, operano esclusivamente entro l'ambito temporale concordato dalle parti, atteso che l'opposto principio di ultrattività della vincolatività del contratto scaduto sino ad un nuovo regolamento collettivo, ponendosi come limite alla libera volontà delle organizzazioni sindacali, sarebbe in contrasto con la garanzia prevista dall'art. 39
Cost..
Deve, dunque, ritenersi che le parti contrattuali, nel rinnovare il contratto aziendale una volta scaduto quello precedente, legittimamente potessero prevedere una modifica anche in peius del trattamento economico dei dipendenti, in particolare, introducendo, al posto dell'indennità di panatica, il ticket restaurant, non avente, diversamente dall'altro, natura retributiva.
Quanto, poi, all'efficacia dell'accordo integrativo siglato in data 29 gennaio 2020, si ricorda che i contratti collettivi di secondo livello sono vincolanti “nei confronti di tutti i
pagina 3 di 8 lavoratori dell'azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti” Cass.
n. 12272/2013 richiamata in parte motiva da Cass. n. 26509/2020 che ribadisce il medesimo insegnamento), con la sola eccezione di quei lavoratori che aderiscano ad una differente associazione sindacale e ne abbiano condiviso l'esplicito dissenso (Cass. nn.
26509/2020, 12272/2013, 6044/2012, 10353/2004, 17674/2002, 5953/1999), circostanza che qui non viene in rilievo.
Ebbene, con tale contratto integrativo del gennaio 2020 le parti, come detto, hanno provveduto a diversamente qualificare l'indennità di panatica o di mancato pasto, mutando la dizione in quella di ticket restaurant. La disposizione non parla più di “compenso” correlato al fatto che l'azienda non avrebbe provveduto alla somministrazione del vitto, quanto, invece, di “ticket restaurant elettronico” di importo aggiornato ad euro 7,7 anziché
7,46 previste nel contratto del 2016 ma con la conservazione della modalità di corresponsione detta “giornaliere”.
Ebbene, il fatto che il contratto integrativo, pur nella pressoché immutata formulazione dell'articolo in questione, muti la provvidenza riconosciuta da indennità di panatica a quella di ticket restaurant non può che far propendere, secondo il criterio interpretativo letterale, per la volontà delle parti di mutare il titolo della corresponsione del compenso, da emolumento avente natura retributiva ad emolumento di natura assistenziale.
Secondo la giurisprudenza, infatti, i buoni pasto non hanno natura retributiva, non essendo elementi della retribuzione "normale", ma costituiscono una agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale (Cass. 21 luglio 2008, n. 20087;Cass. 8 agosto 2012, n. 14290;Cass. 14 luglio 2016, n. 14388), pertanto non rientranti nel trattamento retributivo in senso stretto (Cass. 19 maggio 2016, n.
10354;Cass. 18 settembre 2019, n. 23303).
Si deve, dunque, ribadire, alla luce del chiaro tenore letterale del contratto integrativo in esame, la piena legittimità dell'abolizione dell'indennità retributiva prima riconosciuta al
Cont personale marittimo dell la sua sostituzione con il diverso beneficio del buono pasto.
Né, d'altronde, tale sostituzione potrebbe concretare una violazione dell'art. 36 Cost. in quanto tale indennità non rientra nel “minimo costituzionale” tutelato dall'art. 36 Cost. e, comunque, il ricorrente non ha dato dimostrazione delle ragioni per le quali tale previsione renda la complessiva retribuzione percepita insufficiente e/o inadeguata rispetto ai principi posti dall'art. 36 Cost. (v. Cass. n. 8429/2001).
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Ciò posto, si rileva, tuttavia, che nel contratto integrativo de quo, nulla si stabilisce, ad eccezione dell'aggettivo “giornaliere”, in merito alle modalità di calcolo delle somme dovute a titolo di né dalla sola definizione può Org_2 Org_2
desumersi una particolare modalità di calcolo, atteso che anche il richiamo di parte convenuta al DM 122/2017 (non citato nel contratto integrativo) nulla ci dice in merito alle modalità di corresponsione del ticket, se non nel senso dell'esistenza di un collegamento causale con l'effettiva impossibilità di fruizione della mensa aziendale.
Di talché, si deve concludere che il contratto collettivo oggetto di giudizio non preveda alcuna regolamentazione della disciplina delle modalità di calcolo e di erogazione dei ticket restaurant.
Invero, negli accordi aziendali del 1988, 1990, 1992, 2000, 2004 e del 2009 venivano previste espressamente le modalità di calcolo dell'indennità che, come affermato dal ricorrente, si sostanziavano in una quota fissa giornaliera alla quale si aggiungeva un'altra quota della medesima entità per i giorni nei quali il lavoratore prestava il proprio servizio per 12 o più ore consecutive. Negli accordi aziendali del 2016 e del 2020, invece, la specificazione delle modalità di corresponsione manca e residua esclusivamente l'aggettivo
“giornaliere”.
Si deve rilevare, al proposito, che, come si evince dai prospetti paga prodotti in giudizio (e ammesso anche da parte datoriale), le modalità di calcolo sono rimaste concretamente invariate dal giorno dell'assunzione del ricorrente sino al marzo 2020, mantenendo dunque quelle utilizzate per la corresponsione dell'indennità di panatica persino a seguito della firma, avvenuta in data 29.01.2020, del nuovo ed attuale contratto collettivo di secondo livello, che prevede l'erogazione dei . Peraltro, si torna ad evidenziare Org_2
come la rinnovazione dell'istituto in esame, operata dal contratto collettivo aziendale sopra richiamato, si sia limitata ad una riqualificazione meramente terminologica rispetto all'omologa previsione presente nel contratto aziendale del 2016, non incidendo sulla fisionomia della previsione stessa, tanto che il tenore letterale rimaneva sostanzialmente inalterato. Era, perciò, lecito per i soggetti interessati aspettarsi che l'importo a tal proposito erogato fosse del tutto identico a quello erogato precedentemente secondo una metodologia di calcolo rimasta costante quale inequivocabile uso aziendale.
In sintesi, rilevata la legittimità dell'accordo collettivo di secondo livello e rilevato che quest'ultimo nulla prevede relativamente alle modalità di calcolo dell'emolumento oggetto di controversia, rilevato altresì che alcuna particolare modalità di calcolo può essere
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desunta dalla semplice denominazione , si deve concludere che il calcolo Org_2
del suddetto beneficio rimanesse regolato dalle modalità utilizzate dalla data di assunzione del ricorrente sino al marzo del 2020 e consolidatesi, perciò, in uso aziendale.
Di talché, la variazione di detta metodologia di calcolo operata unilateralmente dalla società resistente costituisce un'inammissibile modifica in peius dell'uso aziendale e comunque non conforme alla previsione contrattuale di secondo livello. Si ricorda, al proposito, che come rilevato da recente giurisprudenza richiamata dal ricorrente (Corte appello Roma sez.
III, 03/05/2021, n. 1355): “ai fini della sussistenza di un uso aziendale, è sufficiente una prassi generalizzata, reiterata nel tempo, che comporti un trattamento più favorevole per i lavoratori, senza che sia necessaria anche l'intenzione di regolare in conformità per il futuro determinati aspetti del rapporto di lavoro.”. Anche secondo la Suprema Corte (v.
Sez. L - , Sentenza n. 31204 del 02/11/2021) “Nell'ambito dei rapporti di lavoro, la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole ai dipendenti integra gli estremi dell'uso aziendale che, essendo diretto, quale fonte sociale, a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con la collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda, agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale”. Va, poi, aggiunto che l'uso aziendale, se non risulta una contraria volontà delle parti, si inserisce, ai sensi dell'art. 1340 cod. civ., non già nel contratto collettivo, bensì in quello individuale, integrandone il contenuto;
l'esclusione di tale uso può pertanto avvenire soltanto in base alla concorde volontà delle parti (Cass., sez. un., 3101/95;Cass. 1438/97;Cass. 9161/98;Cass. 10783/2000).
Ciò senza voler tralasciare di considerare che, per altro verso, in via interpretativa e facendo buon governo delle regole di cui agli artt. 1362 ss. c.c., il mantenimento del termine
“giornaliere”, del tutto immutato rispetto alle previsioni contrattuali precedenti, depone per la volontà delle parti di mantenere inalterata la connessione dell'erogazione della quale si discute a tutte le giornate mensili al netto delle assenze per malattia e ferie come, d'altra parte, conferma la stessa resistente, quantomeno per le retribuzioni erogate sino al marzo del 2020 (seppure unicamente per ragioni di tempi legati all'attivazione del servizio di ticket elettronico).
In conclusione, non desumendosi dal tenore letterale dell'accordo, la volontà delle parti di modificare le modalità di calcolo del numero dei buoni pasto riconosciuti al posto della previgente indennità di panatica, la formula corretta attraverso la quale provvedere al calcolo non può che essere quella che prevede la corresponsione mensile di un numero di
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ticket restaurant fissi pari ai giorni mensili, più uno per ogni turno superiore alle 12 ore e meno uno per ogni giornata effettivamente non lavorata per ferie permessi, malattia o riposi.
Una simile formula è del tutto coerente con la natura delle mansioni cui il ricorrente è adibito, le quali comportano una costante aleatorietà di durata che impedisce una preventiva programmazione dei pasti, costringendo dunque quest'ultimo a doversi comunque premunire del pranzo o della cena.
Quanto, poi, al fatto che il personale addetto alle strutture di mare possa, occasionalmente, anche essere adibito a mansioni di ufficio con conseguente possibilità di usufruire della mensa aziendale, tale fatto non appare di per sé assorbente, atteso che tali mansioni erano previste anche nell'accordo del 2016 senza che, a quanto pare, sia stata mai modificata la modalità giornaliera di calcolo dell'indennità di mancato pasto.
Tuttavia, parte convenuta ha addotto che, mentre in passato, anche nel caso di svolgimento di lavoro di ufficio, gli addetti al reparto mare non erano ammessi a fruire del servizio mensa, ora, invece, lo sono, senza che sul punto parte ricorrente abbia preso specifica posizione al fine di negare l'allegazione.
Se ciò, dunque, è vero, andranno conseguentemente detratte dal dovuto le giornate in cui il ricorrente risulti avere fruito del servizio mensa, essendo tale servizio alternativo all'erogazione del ticket.
Infine, deve rilevarsi che non risponde nemmeno al vero la deduzione di parte resistente circa l'assenza di obiezioni da parte delle OO.SS. in merito all'applicazione dell'accordo di cui trattasi. Infatti, è di tutta evidenza che, quantomeno la abbia contestato le CP_2
modalità di erogazione della indennità in questione con la missiva del 15 ottobre 2020 depositata da parte ricorrente.
Dunque, neppure dal comportamento delle parti successivo alla conclusione dell'accordo può desumersi alcun elemento decisivo al fine di suffragare l'interpretazione dell'accordo nel senso propugnato da parte resistente.
D'altronde, laddove l'intenzione fosse stata quella di mutare radicalmente non solo la natura del beneficio connesso all'impossibilità di fruire del vitto ma anche il calcolo delle modalità di corresponsione dell'importo previsto, tali diverse modalità sarebbero, senz'altro, state specificate nell'articolato in questione, senza lasciare l'aggettivo
“giornaliere” che è di inequivoco significato semantico.
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Di conseguenza, appare fondata la domanda del ricorrente volta ad ottenere il corretto calcolo del numero di ticket restaurant a lui dovuti per il periodo da marzo 2020 in poi, secondo quello che costituisce uso aziendale da ritenersi ancora vigente, in assenza di modifica consensuale.
In proposito, il conteggio allegato al ricorso appare correttamente predisposto secondo i criteri sopra considerati, sicché va emessa condanna per la somma equivalente ai ticket non corrisposti, come da domanda, fino a dicembre 2022 pari ad euro 3.334,10, somma dalla quale andranno detratte le giornate di eventuale fruizione del servizio mensa.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, tenendo conto del valore medio dello scaglione di riferimento in ragione della complessità della questione ma anche della serialità del contenzioso.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE di ANCONA
SEZIONE LAVORO
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. A S ha pronunciato la seguente
SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 339/2023 promossa da:
rappresentato e difeso dall'avv. BOLDRINI FRANCESCO e Parte_1
dall'avv. BOLDRINI VALENTINA elett.te dom.to in Via Volturno, 5 60121 Ancona
ATTORE/I contro
rappresentata e difesa congiuntamente e Controparte_1
disgiuntamente dagli Avv.ti FNDO CARABBA TETTAMANTI, GIOVANNI
P E A M, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in Falconara Marittima (AN), Via Cavour n. 3.
RESISTENTE
Viste le conclusioni delle parti come da note di trattazione scritta depositate a seguito di provvedimento emesso ex art. 127 ter c.p.c.
MOTIVAZIONE
Il ricorrente, premesso di lavorare per la società resistente a far data dal 2002, con la qualifica di operaio livello 4c1 del e mansioni sempre afferenti al Organizzazione_1
“reparto mare”, afferma che, in conseguenza del rinnovo del Contratto Collettivo Aziendale
e a far data dall'aprile 2020, la ha unilateralmente Controparte_1
modificato la determinazione dei criteri di erogazione dell'indennità che in origine era denominata “panatica” e successivamente “ticket restaurant”.
Asserisce il ricorrente, infatti, che prima dell'aprile 2020 l'indennità in oggetto, oggi corrisposta esclusivamente per turni che includano l'orario di pranzo o di cena, veniva
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corrisposta sulla base del seguente calcolo: n. 30 unità + 1 unità per turni superiori alle 12 ore – 1 unità per giorno non lavorato.
Il ricorrente afferma, poi, che l'indennità in oggetto, variamente denominata nel corso del tempo, abbia costituito parte integrante della retribuzione sin dall'assunzione quale fonte negoziale, ormai consolidatasi in uso aziendale, anche con riferimento alla metodologia di calcolo.
Di talché, in via principale e previa dichiarazione di nullità dell'accordo sindacale del 29 gennaio 2020, il ricorrente chiede dichiararsi consolidato l'uso aziendale circa la sopra richiamata modalità di calcolo e quindi dichiararsi illegittimo il contegno datoriale unilateralmente assunto sulla diversa modalità di erogazione dei già Org_2
indennità di panatica, e per l'effetto condannare la società a corrispondere tutti i buoni pasto maturati e non corrisposti dal mese di marzo 2020 alla data del ricorso nella misura complessiva di € 3.334,10, come da conteggio ivi allegato.
Si costituiva regolarmente la chiedendo l'integrale rigetto Controparte_1
dell'avverso ricorso.
In particolare, la società resistente afferma che quella relativa al oggetto Org_2
di giudizio sia solo una delle clausole contenute nell'Accordo del 29 gennaio 2020, e che quest'ultimo, oltre ad essere stato votato ed approvato a maggioranza dagli operatori del reparto, sia stato oggetto di verifica a sei mesi dalla firma, senza che fosse ravvisato alcun problema o necessità di riavvio di una nuova negoziazione su quanto ivi pattuito.
Inoltre, rileva la resistente che per gli addetti al reparto mare, già dal 2009, con la perdita per questi ultimi del libretto di navigazione, l'indennità di panatica veniva sostituita dall'indennità di mancato pasto.
In ogni caso, asserisce che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, l'indennità di panatica o di mancato pasto non veniva corrisposta, oltre che per i giorni di ferie, anche per le giornate di assenza in genere e per le assenze determinate da malattia o infortunio se superiori a giorni 5.
Il ricorso deve ritenersi fondato.
Si premette che è pacifico che l'indennità c.d. di panatica per il personale della raffineria addetto al reparto “mare” (denominata nelle buste paga successive al 2009, come indennità di mancato pasto, attesa la perdita della natura di lavoratori marittimi) sia stata prevista unicamente dalla contrattazione integrativa aziendale e non dal contratto collettivo nazionale applicato al rapporto di lavoro del ricorrente, né dal contratto individuale.
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I contratti integrativi in parola, dunque, vanno considerati come fonte eteronoma del rapporto sicché appare non pertinente l'invocazione del principio dell'irriducibilità della retribuzione che trova la propria ragione nella disposizione di cui all'art. 2103 c.c. secondo cui anche in caso di mutamento di mansioni, il lavoratore ha il diritto di conservare il medesimo trattamento retributivo, così come previsto dal contratto individuale o dalla contrattazione collettiva.
Tale disposizione non vieta, invece, che il trattamento retributivo del lavoratore possa subire una modifica in peius in caso di modifica della contrattazione collettiva ad esso applicabile.
Secondo la consolidata giurisprudenza, infatti, (v. Cass. Sez. L, Sentenza n. 13960 del
19/06/2014) “nell'ipotesi di successione tra contratti collettivi, le modificazioni "in peius" per il lavoratore sono ammissibili con il solo limite dei diritti quesiti, dovendosi escludere che il lavoratore possa pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva non più esistente, in quanto le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali, ma operano dall'esterno come fonte eteronoma di regolamento, concorrente con la fonte individuale, sicché le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole (art. 2077 cod. civ.), che riguarda il rapporto fra contratto collettivo ed individuale”.
Coerentemente, si afferma, infatti, (v. Cass. Sez. L -, Sentenza n. 25919 del 15/12/2016) che i contratti collettivi di diritto comune, costituendo manifestazione dell'autonomia negoziale degli stipulanti, operano esclusivamente entro l'ambito temporale concordato dalle parti, atteso che l'opposto principio di ultrattività della vincolatività del contratto scaduto sino ad un nuovo regolamento collettivo, ponendosi come limite alla libera volontà delle organizzazioni sindacali, sarebbe in contrasto con la garanzia prevista dall'art. 39
Cost..
Deve, dunque, ritenersi che le parti contrattuali, nel rinnovare il contratto aziendale una volta scaduto quello precedente, legittimamente potessero prevedere una modifica anche in peius del trattamento economico dei dipendenti, in particolare, introducendo, al posto dell'indennità di panatica, il ticket restaurant, non avente, diversamente dall'altro, natura retributiva.
Quanto, poi, all'efficacia dell'accordo integrativo siglato in data 29 gennaio 2020, si ricorda che i contratti collettivi di secondo livello sono vincolanti “nei confronti di tutti i
pagina 3 di 8 lavoratori dell'azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti” Cass.
n. 12272/2013 richiamata in parte motiva da Cass. n. 26509/2020 che ribadisce il medesimo insegnamento), con la sola eccezione di quei lavoratori che aderiscano ad una differente associazione sindacale e ne abbiano condiviso l'esplicito dissenso (Cass. nn.
26509/2020, 12272/2013, 6044/2012, 10353/2004, 17674/2002, 5953/1999), circostanza che qui non viene in rilievo.
Ebbene, con tale contratto integrativo del gennaio 2020 le parti, come detto, hanno provveduto a diversamente qualificare l'indennità di panatica o di mancato pasto, mutando la dizione in quella di ticket restaurant. La disposizione non parla più di “compenso” correlato al fatto che l'azienda non avrebbe provveduto alla somministrazione del vitto, quanto, invece, di “ticket restaurant elettronico” di importo aggiornato ad euro 7,7 anziché
7,46 previste nel contratto del 2016 ma con la conservazione della modalità di corresponsione detta “giornaliere”.
Ebbene, il fatto che il contratto integrativo, pur nella pressoché immutata formulazione dell'articolo in questione, muti la provvidenza riconosciuta da indennità di panatica a quella di ticket restaurant non può che far propendere, secondo il criterio interpretativo letterale, per la volontà delle parti di mutare il titolo della corresponsione del compenso, da emolumento avente natura retributiva ad emolumento di natura assistenziale.
Secondo la giurisprudenza, infatti, i buoni pasto non hanno natura retributiva, non essendo elementi della retribuzione "normale", ma costituiscono una agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale (Cass. 21 luglio 2008, n. 20087;Cass. 8 agosto 2012, n. 14290;Cass. 14 luglio 2016, n. 14388), pertanto non rientranti nel trattamento retributivo in senso stretto (Cass. 19 maggio 2016, n.
10354;Cass. 18 settembre 2019, n. 23303).
Si deve, dunque, ribadire, alla luce del chiaro tenore letterale del contratto integrativo in esame, la piena legittimità dell'abolizione dell'indennità retributiva prima riconosciuta al
Cont personale marittimo dell la sua sostituzione con il diverso beneficio del buono pasto.
Né, d'altronde, tale sostituzione potrebbe concretare una violazione dell'art. 36 Cost. in quanto tale indennità non rientra nel “minimo costituzionale” tutelato dall'art. 36 Cost. e, comunque, il ricorrente non ha dato dimostrazione delle ragioni per le quali tale previsione renda la complessiva retribuzione percepita insufficiente e/o inadeguata rispetto ai principi posti dall'art. 36 Cost. (v. Cass. n. 8429/2001).
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Ciò posto, si rileva, tuttavia, che nel contratto integrativo de quo, nulla si stabilisce, ad eccezione dell'aggettivo “giornaliere”, in merito alle modalità di calcolo delle somme dovute a titolo di né dalla sola definizione può Org_2 Org_2
desumersi una particolare modalità di calcolo, atteso che anche il richiamo di parte convenuta al DM 122/2017 (non citato nel contratto integrativo) nulla ci dice in merito alle modalità di corresponsione del ticket, se non nel senso dell'esistenza di un collegamento causale con l'effettiva impossibilità di fruizione della mensa aziendale.
Di talché, si deve concludere che il contratto collettivo oggetto di giudizio non preveda alcuna regolamentazione della disciplina delle modalità di calcolo e di erogazione dei ticket restaurant.
Invero, negli accordi aziendali del 1988, 1990, 1992, 2000, 2004 e del 2009 venivano previste espressamente le modalità di calcolo dell'indennità che, come affermato dal ricorrente, si sostanziavano in una quota fissa giornaliera alla quale si aggiungeva un'altra quota della medesima entità per i giorni nei quali il lavoratore prestava il proprio servizio per 12 o più ore consecutive. Negli accordi aziendali del 2016 e del 2020, invece, la specificazione delle modalità di corresponsione manca e residua esclusivamente l'aggettivo
“giornaliere”.
Si deve rilevare, al proposito, che, come si evince dai prospetti paga prodotti in giudizio (e ammesso anche da parte datoriale), le modalità di calcolo sono rimaste concretamente invariate dal giorno dell'assunzione del ricorrente sino al marzo 2020, mantenendo dunque quelle utilizzate per la corresponsione dell'indennità di panatica persino a seguito della firma, avvenuta in data 29.01.2020, del nuovo ed attuale contratto collettivo di secondo livello, che prevede l'erogazione dei . Peraltro, si torna ad evidenziare Org_2
come la rinnovazione dell'istituto in esame, operata dal contratto collettivo aziendale sopra richiamato, si sia limitata ad una riqualificazione meramente terminologica rispetto all'omologa previsione presente nel contratto aziendale del 2016, non incidendo sulla fisionomia della previsione stessa, tanto che il tenore letterale rimaneva sostanzialmente inalterato. Era, perciò, lecito per i soggetti interessati aspettarsi che l'importo a tal proposito erogato fosse del tutto identico a quello erogato precedentemente secondo una metodologia di calcolo rimasta costante quale inequivocabile uso aziendale.
In sintesi, rilevata la legittimità dell'accordo collettivo di secondo livello e rilevato che quest'ultimo nulla prevede relativamente alle modalità di calcolo dell'emolumento oggetto di controversia, rilevato altresì che alcuna particolare modalità di calcolo può essere
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desunta dalla semplice denominazione , si deve concludere che il calcolo Org_2
del suddetto beneficio rimanesse regolato dalle modalità utilizzate dalla data di assunzione del ricorrente sino al marzo del 2020 e consolidatesi, perciò, in uso aziendale.
Di talché, la variazione di detta metodologia di calcolo operata unilateralmente dalla società resistente costituisce un'inammissibile modifica in peius dell'uso aziendale e comunque non conforme alla previsione contrattuale di secondo livello. Si ricorda, al proposito, che come rilevato da recente giurisprudenza richiamata dal ricorrente (Corte appello Roma sez.
III, 03/05/2021, n. 1355): “ai fini della sussistenza di un uso aziendale, è sufficiente una prassi generalizzata, reiterata nel tempo, che comporti un trattamento più favorevole per i lavoratori, senza che sia necessaria anche l'intenzione di regolare in conformità per il futuro determinati aspetti del rapporto di lavoro.”. Anche secondo la Suprema Corte (v.
Sez. L - , Sentenza n. 31204 del 02/11/2021) “Nell'ambito dei rapporti di lavoro, la reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole ai dipendenti integra gli estremi dell'uso aziendale che, essendo diretto, quale fonte sociale, a conseguire un'uniforme disciplina dei rapporti con la collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda, agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale”. Va, poi, aggiunto che l'uso aziendale, se non risulta una contraria volontà delle parti, si inserisce, ai sensi dell'art. 1340 cod. civ., non già nel contratto collettivo, bensì in quello individuale, integrandone il contenuto;
l'esclusione di tale uso può pertanto avvenire soltanto in base alla concorde volontà delle parti (Cass., sez. un., 3101/95;Cass. 1438/97;Cass. 9161/98;Cass. 10783/2000).
Ciò senza voler tralasciare di considerare che, per altro verso, in via interpretativa e facendo buon governo delle regole di cui agli artt. 1362 ss. c.c., il mantenimento del termine
“giornaliere”, del tutto immutato rispetto alle previsioni contrattuali precedenti, depone per la volontà delle parti di mantenere inalterata la connessione dell'erogazione della quale si discute a tutte le giornate mensili al netto delle assenze per malattia e ferie come, d'altra parte, conferma la stessa resistente, quantomeno per le retribuzioni erogate sino al marzo del 2020 (seppure unicamente per ragioni di tempi legati all'attivazione del servizio di ticket elettronico).
In conclusione, non desumendosi dal tenore letterale dell'accordo, la volontà delle parti di modificare le modalità di calcolo del numero dei buoni pasto riconosciuti al posto della previgente indennità di panatica, la formula corretta attraverso la quale provvedere al calcolo non può che essere quella che prevede la corresponsione mensile di un numero di
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ticket restaurant fissi pari ai giorni mensili, più uno per ogni turno superiore alle 12 ore e meno uno per ogni giornata effettivamente non lavorata per ferie permessi, malattia o riposi.
Una simile formula è del tutto coerente con la natura delle mansioni cui il ricorrente è adibito, le quali comportano una costante aleatorietà di durata che impedisce una preventiva programmazione dei pasti, costringendo dunque quest'ultimo a doversi comunque premunire del pranzo o della cena.
Quanto, poi, al fatto che il personale addetto alle strutture di mare possa, occasionalmente, anche essere adibito a mansioni di ufficio con conseguente possibilità di usufruire della mensa aziendale, tale fatto non appare di per sé assorbente, atteso che tali mansioni erano previste anche nell'accordo del 2016 senza che, a quanto pare, sia stata mai modificata la modalità giornaliera di calcolo dell'indennità di mancato pasto.
Tuttavia, parte convenuta ha addotto che, mentre in passato, anche nel caso di svolgimento di lavoro di ufficio, gli addetti al reparto mare non erano ammessi a fruire del servizio mensa, ora, invece, lo sono, senza che sul punto parte ricorrente abbia preso specifica posizione al fine di negare l'allegazione.
Se ciò, dunque, è vero, andranno conseguentemente detratte dal dovuto le giornate in cui il ricorrente risulti avere fruito del servizio mensa, essendo tale servizio alternativo all'erogazione del ticket.
Infine, deve rilevarsi che non risponde nemmeno al vero la deduzione di parte resistente circa l'assenza di obiezioni da parte delle OO.SS. in merito all'applicazione dell'accordo di cui trattasi. Infatti, è di tutta evidenza che, quantomeno la abbia contestato le CP_2
modalità di erogazione della indennità in questione con la missiva del 15 ottobre 2020 depositata da parte ricorrente.
Dunque, neppure dal comportamento delle parti successivo alla conclusione dell'accordo può desumersi alcun elemento decisivo al fine di suffragare l'interpretazione dell'accordo nel senso propugnato da parte resistente.
D'altronde, laddove l'intenzione fosse stata quella di mutare radicalmente non solo la natura del beneficio connesso all'impossibilità di fruire del vitto ma anche il calcolo delle modalità di corresponsione dell'importo previsto, tali diverse modalità sarebbero, senz'altro, state specificate nell'articolato in questione, senza lasciare l'aggettivo
“giornaliere” che è di inequivoco significato semantico.
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Di conseguenza, appare fondata la domanda del ricorrente volta ad ottenere il corretto calcolo del numero di ticket restaurant a lui dovuti per il periodo da marzo 2020 in poi, secondo quello che costituisce uso aziendale da ritenersi ancora vigente, in assenza di modifica consensuale.
In proposito, il conteggio allegato al ricorso appare correttamente predisposto secondo i criteri sopra considerati, sicché va emessa condanna per la somma equivalente ai ticket non corrisposti, come da domanda, fino a dicembre 2022 pari ad euro 3.334,10, somma dalla quale andranno detratte le giornate di eventuale fruizione del servizio mensa.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, tenendo conto del valore medio dello scaglione di riferimento in ragione della complessità della questione ma anche della serialità del contenzioso.
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