Trib. Catania, decreto 13/02/2025

TRIB Catania
Decreto
13 febbraio 2025
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TRIB Catania
Decreto
13 febbraio 2025

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Catania, decreto 13/02/2025
Giurisdizione : Trib. Catania
Numero :
Data del deposito : 13 febbraio 2025

Testo completo

N. R.G. 14204/2020

TRIBUNALE DI CATANIA
Sezione Immigrazione
Il Tribunale di Catania composto dai magistrati
Luca Perilli Presidente
Rosario Maria Annibale Cupri Giudice rel.-est.
Stefania Muratore Giudice riunito in camera di consiglio
OSSERVA
I. Con ricorso depositato il 05.12.2020 ai sensi dell'art. 35 D.lgs. n. 25/2008, GH
DE nato a [...] - India) il 18.04.1997, ha impugnato il provvedimento della Commissione Territoriale di Siracusa per il Riconoscimento della
Protezione Internazionale, notificato in data 13.11.2020, chiedendo di accertare il proprio diritto al riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951; in subordine, della protezione sussidiaria ai sensi dell'art. 14 e s.s. del D.lgs. n.
251/2007; in ulteriore subordine, della protezione speciale ai sensi dell'art. 19 comma 1
e 1.1 del D. Lgs. n. 286/98.
La Commissione Territoriale non si è costituita in giudizio nonostante la regolarità della notifica ad opera della cancelleria.
La causa è stata trattenuta in riserva dal giudice designato per la trattazione al fine di riferire in camera di consiglio.
II. In sede di audizione innanzi alla Commissione Territoriale, il ricorrente ha dichiarato di appartenere al gruppo etnico Sikh e di professare la religione Sikh;
di aver divorziato e di non avere figli;
di essere andato a scuola per sette o otto anni;
di aver lavorato nel paese di origine come agricoltore;
di aver mantenuto i contatti con l'anziana madre che continua a vivere nel villaggio di origine.
In ordine alle ragioni dell'espatrio, ha dichiarato di aver lasciato il proprio Paese la prima volta nel 2002 a causa dei problemi dei sikh con gli indù e i musulmani, ma di non aver avuto problemi personali come appartenente all'etnia dei Sikh ( “ Io non ho avuto problemi ma avevo paura perché i sikh venivano uccisi.[…]” cfr. verbale audizione pag.
6); di essere arrivato in Italia nel 2002 e di essere rimasto fino al 2007, senza presentare
domanda di protezione internazionale;
di essere ritornato in India nel 2007 ove è rimasto fino al 2016 lavorando come agricoltore;
di essere stato arrestato in India dopo sei mesi dal rientro per aver aggredito un ragazzo con il quale aveva litigato e di essere stato prosciolto dal giudice;
di aver deciso nel 2016 di lasciare nuovamente il paese di origine non sapendo cosa fare.
Sul percorso migratorio, ha dichiarato di essere partito dall'India nel 2016 e di aver attraversato la Turchia, la Grecia, l'Albania, il Montenegro, la Bosnia Erzegovina, la
Croazia e la Slovenia prima di arrivare in Italia, ove è giunto la seconda volta il
10.10.2018.
Il ricorrente non ha allegato alcun timore in caso di rientro nel paese di origine.
La Commissione Territoriale ha rigettato la domanda di protezione internazionale ritenendo non credibili le dichiarazioni sulle ragioni che hanno indotto il ricorrente a lasciare la prima volta il paese di origine in quanto prive di coerenza interna ed esterna, ha ritenuto, altresì, non idonee a fondare un bisogno di protezione internazionale, le ragioni che hanno indotto il ricorrente a lasciare l'India la seconda volta, pertanto, ha ritenuto le circostanze esposte non idonee a supportare sufficientemente ed a giustificare un timore di persecuzione ai sensi dell'art. 1A della Convenzione di Ginevra del 1951; altresì, ha ritenuto non sussistenti circostanze tali da integrare le ipotesi di protezione sussidiaria di cui alle lett. a), b) e c) del D. Lgs. 251/2007; non ha, da ultimo, riscontrato nel caso di specie neppure i presupposti per la concessione della protezione speciale di cui all'art. 19 comma 1 e 1.1 del d.lgs. n. 286/98.
III. Ciò premesso, si osserva in diritto che l'art. 2, lett. e) del D.lgs. n. 251/2007 definisce
“rifugiato” il “cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza
e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese, oppure apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, ferme le cause di esclusione di cui all'articolo 10”.
L'art. 7 specifica che gli “atti di persecuzione” devono essere sufficientemente gravi, per la loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali e possono, in via esemplificativa, essere costituiti da atti di violenza fisica e psichica (anche sessuale), provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia o giudiziari discriminatori per la loro natura o per le modalità di applicazione;
azioni
giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie;
rifiuto dei mezzi di tutela giuridica;
azioni giudiziarie in conseguenza di rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto quando questo possa comportare la commissione di crimini;
atti specificamente diretti contro un genere sessuale o contro l'infanzia.
Alla luce della superiore normativa si ricava che requisito essenziale per il riconoscimento dello “status” di rifugiato è il fondato timore di persecuzione “personale e diretta” nel
Paese d'origine del richiedente, a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell'appartenenza a un gruppo sociale ovvero per le opinioni politiche professate.
Relativamente alla richiesta di protezione sussidiaria, il dato normativo di riferimento prevede che “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” è il “cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese” (lett. g dell'art. 2, D.lgs. n. 251/2007), sempre che non ricorra una delle ragioni di esclusione della protezione sussidiaria previste dall'art. 16. A norma dell'art. 14 del medesimo decreto legislativo “Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, sono considerati danni gravi: a) la condanna a morte o all'esecuzione della pena di morte;
b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine;
c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

In punto di onere della prova, il Collegio osserva che come chiarito dalla Suprema Corte, il racconto del richiedente asilo è, allo stesso tempo, allegazione dei fatti rilevanti e prova degli stessi (Cass., n. 29056/2019).
L'art. 3 comma 5 del D. Lgs. 251/2007, prevede che qualora taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, essi sono considerati veritieri se l'autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell'eventuale mancanza di altri elementi significativi;
c) le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si
dispone;
d) il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto un giustificato motivo per ritardarla;

e) dai riscontri effettuati il richiedente è, in generale, attendibile.
Con riferimento al citato art. 3, la Suprema Corte ha affermato che tale norma costituisce
“unitamente al d.lgs. n. 25 del 2008, art. 8, relativo al dovere di cooperazione istruttoria incombente sul giudice in ordine all'accertamento delle condizioni aggiornate del Paese
d'origine del richiedente asilo, il cardine del sistema di attenuazione dell'onere della prova, posto a base dell'esame e dell'accertamento giudiziale delle domande di protezione internazionale. ( tra le molte vedi cassazione 10/4/2015 n. 7333 secondo cui:
Le circostanze e i fatti allegati dal cittadino straniero, qualora non siano suffragati da prova, possono essere ritenuti credibili se superano una valutazione di affidabilità fondata sui sopradescritti criteri legali, tutti incentrati sulla verifica della buona fede soggettiva nella proposizione della domanda, valutabile alla luce della sua tempestività, della completezza delle informazioni disponibili, dall'assenza di strumentalità e dalla tendenziale plausibilità logica delle dichiarazioni, e ciò non solo dal punto di vista della coerenza intrinseca ma anche sotto il profilo della corrispondenza della situazione descritta con le condizioni oggettive del Paese” (vedi Cass. 10/04/2015 n. 7333).
Tanto premesso in diritto, ritiene il Collegio di condividere il provvedimento di diniego della Commissione territoriale nella parte in cui ha ritenuto non credibili le dichiarazioni sulle ragioni di natura religiosa che hanno indotto il ricorrente a lasciare la prima volta
(2002) il Paese di origine, non avendo il predetto allegato di aver subito atti di persecuzioni o danno grave a causa della propria fede religiosa. In ogni caso, il timore di essere ucciso in quanto appartenente all'etnia Sikh, viene smentito dalla circostanza che il ricorrente dopo aver lasciato l'India nel 2002 vi ha fatto rientro nel 2007 rimanendoci fino al 2016 senza aver subito alcuna forma di persecuzione o danno grave legata all'etnia e alla fede religiosa.
Non risultano invece idonee a fondare un bisogno di protezione
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