Trib. Trento, sentenza 23/05/2024, n. 111
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Testo completo
N. R.G. 410/2022
REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE ORDINARIO DI TRENTO sezione lavoro
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella persona fisica del magistrato dott.
G F pronunzia la seguente
S E N T E N Z A
nella causa per controversia in materia di assistenza obbligatoria promossa con ricorso
depositato in data 21.9.2022
d a
Parte_1
rappresentato e difeso dall'avv. G D S pec e dall'avv. Email_1
M S con studio in Milano, via B. Marcello, 48,
ricorrente
c o n t r o
Controparte_1
in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dall'avv. prof. A M
pagina 1 di 64
pec Email_2
convenuta
CONCLUSIONI DI PARTE RICORRENTE
“Procedere, ove lo ritenga opportuno, a rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea in ordine ai superiori punti come sollevati al Capo E), e relative
richieste conclusive. Accertare e dichiarare il diritto del ricorrente a percepire la
retribuzione globale di fatto delle giornate lavorative ingiustamente non retribuite a far data dall'1.12.2021 sino alla data del 30.4.2022 dovute a causa e colpa della illegittima sospensione di fatto applicata dalla Società datoriale e, per l'effetto,
condannare la stessa a corrispondere detta retribuzione globale di fatto, nella misura
di Euro 10.896,37 (salvo errori e/o omissioni), in conseguenza dell'applicazione della
predetta normativa emergenziale illegittimamente imposta nei modi sopra descritti, come da prospetto analitico di cui sopra (cfr doc. n. 10) con l'adozione dei più
opportuni provvedimenti del caso e/o disapplicando/dichiarando inapplicabile la
suindicata normativa interna in contrasto con la superiore normativa unionale,
chiarendo quali siano i soggetti effettivamente deputati ai controlli del certificato verde
Covid ai sensi dell'art. 10, comma 3, del Regolamento UE n. 953/2021 e della nota ref.
Ares (2021) 5285082 del 26.8.2021, JUST.C3/AF/ks (2021)5917238 della Commissione
Europea, Direzione Generale Giustizia, Direzione C.3, Protezione dei dati (cfr Doc. n.
21), oltre alla somma, prudenzialmente indicata, in misura Euro 5.000,00 a titolo di
danni non patrimoniali, biologici, esistenziali e morali, in particolare riguardo alla
sofferenza e alla discriminazione subita, di cui si chiede la liquidazione, anche in via
equitativa, nella misura maggiore o minore ritenuta di giustizia, per la complessiva
somma di Euro 15.896,37. pagina 2 di 64 Con condanna del datore di lavoro resistente, in persona del legale rappresentante p.t.,
alle spese di lite ed al compenso professionale di cui si chiede la liquidazione ex DM n.
55/2014 e s.m.i.”
CONCLUSIONI DI PARTE CONVENUTA
“Ogni contraria eccezione e deduzione disattesa, rigettare il ricorso in quanto
inammissibile, nonché infondato in fatto ed in diritto.
Con vittoria di spese, diritti ed onorari”
MOTIVAZIONE
le domande proposte dal ricorrente
Il ricorrente – Parte_1
premesso che:
egli lavora alle dipendenze della società convenuta con Controparte_1
inquadramento nel livello professionale B - Tecnici specializzati – posizione retributiva 1 – figura professionale di macchinista – Area Organizzazione_1
contrattuale delle Attività Ferroviarie, addetto al Presidio di Trento “Sotto Area 1527
Rimessa Trento”;
egli, con pec del 22.10.2021 (doc. 4 fasc. ric.), comunicava alla società datrice – ai
sensi l'art. 9-septies co.6 D.L. 22.4.2021, n. 52 conv. in L. 17.6.2021, n. 87
(introdotto dall'art. 3 D.L. co. 1 21.9.2021, n. 127 conv. in L. 19.11.2021, n. 165) –
di non essere in possesso della certificazione verde COVID-19 ex art. 9 stesso D.L.
52/2021, richiesta dall'art. 9-septies co.1 stesso D.L. 52/2021 ai lavoratori del settore privato ai fini dell'accesso ai luoghi in cui le prestazioni vengono eseguite, e, quindi, secondo quanto previsto nell'ultimo periodo del comma 6 dell'art. 9-septies stesso pagina 3 di 64
D.L. 52/2021, non percepiva, in relazione al periodo dal 25.10 all'1.11.2021, né la
retribuzione, né altro compenso;
egli, con pec del 28.11.2021 (doc. 6 fasc. ric.) comunicava alla società datrice – ai
sensi l'art. 9-septies co.6 D.L. 52/2021 – di non essere in possesso della
certificazione verde COVID-19 ex art. 9 stesso D.L. 52/2021, richiesta dall'art. 9-
septies co.1 stesso D.L.52/2021 ai lavoratori del settore privato ai fini dell'accesso ai
luoghi in cui le prestazioni vengono eseguite, e quindi, secondo quanto previsto nell'ultimo periodo del comma 6 dell'art. 9-septies stesso D.L. 52/2021, non
percepiva – in relazione al periodo dall'1.12.2021 al 30.4.2022 (nel corso del quale
l'art. 9-septies co.1 stesso D.L. 52/2021 veniva modificato dall'art.5-septies co. 1, lett. a) nn. 1 e 2 D.L.24.12.2021, n. 221 conv. in L. 18.2.2022, n.11, nonché dall'art.
8 co.8, lett. e) D.L. 24.3.2022, n. 24 conv. in L. 19.5.2022, n. 52 a decorrere dal
25.3.2022 e dall'art. 6 co.8, lett. a) dello stesso D.L. 24/2022 a decorrere dal 1° aprile
2022) – né la retribuzione, né altro compenso;
in data 1.5.2022 egli rientrava in servizio –
propone:
domanda volta ad accertare, in suo favore, il diritto a percepire la retribuzione globale
di fatto relativa al periodo dall' 1.12.2021 al 30.4.2022, con conseguente condanna
della società convenuta al pagamento, in suo favore, della Controparte_1
somma di € 10.896,37, come da conteggio sub doc. 10 fasc. ric. (che. in realtà, prende in considerazione il diverso periodo dall'1.1. al 31.7.2022);
domanda di condanna dell'ente convenuto al pagamento, in suo favore, della somma di € 5.000,00, a titolo di “danni non patrimoniali, biologici, esistenziali e morali”.
pagina 4 di 64 le ragioni della decisione
Il ricorrente fonda le proprie domande: Parte_1
A) sul “contrasto tra normativa nazionale e regolamento UE n. 953/2021”;
B) sul “contrasto tra le disposizioni interne e la direttiva 54/2000. sospensione ingiustificata del dipendente, mancato rispetto della direttiva 54/2000 sulla tutela dei lavoratori da agenti biologici da parte del datore. violazione dell'art. 2087 cc ed applicazione dell'art. 44 tusl.”;
C) sulla “decisione giudiziale di uno Stato membro dell'Unione particolarmente rilevante in ordine al caso concreto in questione – regolamento UE 679/2016 articolo 36.4 GDPR. competenza immediata e diretta dei tribunali nazionali sul controllo di compatibilità della normativa interna con il regolamento UE 679/2016 GDPR”;
D) sulla “violazione articolo 9 regolamento 679/16 – non conformità della normativa a parere dell'autorità nazionale competente”.
Inoltre afferma l' “assoluta ascientificità' posta alla base dei decreti legge in questione, che si basano su dati erronei ed inutilizzabili, acquisiti in violazione delle linee guida dell
[...]
e del Organizzazione_2 Organizzazione_3
[...]
- - -
ad A)
Se nel titolo del motivo parte ricorrente richiama soltanto il Reg. (CE) 14/06/2021, n.
2021/953/UE (“REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO
su un quadro per il rilascio, la verifica e l'accettazione di certificati interoperabili di pagina 5 di 64 vaccinazione, di test e di guarigione in relazione alla COVID-19 (certificato COVID
digitale dell'UE) per agevolare la libera circolazione delle persone durante la pandemia di COVID-19”), nell'illustrazione del motivo afferma che l'ente convenuto avrebbe
violato anche il Reg. (CE) 27/04/2016, n. 2016/679/UE (“REGOLAMENTO DEL
PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO relativo alla protezione delle persone
fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di
tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)” e la Dir. 18/09/2000, n. 2000/54/CE (“Direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio relativa alla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da
un'esposizione ad agenti biologici durante il lavoro (settima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE)”).
a)
in ordine alla presunta violazione difformità del diritto nazionale applicabile rispetto al
Reg. (CE) 14/06/2021, n. 2021/953/UE
Il ricorrente richiama la nota ref. Ares (2021) 5285082 del 26.8.2021,
JUST.C3/AF/ks(2021)5917238, emessa dalla Commissione Europea, Direzione Generale
Giustizia, Direzione C.3, Protezione (doc. 21 fasc. ric.), secondo cui: “L'uso domestico
dei certificati COVID-19 per scopi diversi dall'agevolazione della libera circolazione all'interno dell'Unione europea non rientra nel campo di applicazione del regolamento… In tale contesto, gli Stati membri possono effettivamente utilizzare il
certificato digitale UE COVID per scopi nazionali, ma sono tenuti a fornire una base
giuridica nel diritto nazionale. Tale diritto nazionale deve essere conforme al diritto dell'Unione in materia di protezione dei dati e ai principi di effettività, necessità e
proporzionalità. Il assegna il compito di far rispettare la protezione dei dati alle Org_4
autorità nazionali di vigilanza e ai tribunali”. pagina 6 di 64 b)
in ordine alla presunta violazione difformità del diritto nazionale applicabile rispetto al
Reg. (CE) 27/04/2016, n. 2016/679/UE
Il ricorrente afferma che “non è dato sapere se i soggetti deputati ai controlli fossero stati formati in tale ambito, né la base legale e la finalità del trattamento dati, come espressamente stabilito dal citato Regolamento”;in proposito sostiene che “le certificazioni verdi COVID-19 non possono essere revocate e/o sospese senza la creazione e l'utilizzo di una black list di codici QR quindi senza l'utilizzo e la creazione di una banca dati”.
Inoltre – sul presupposto che “i dipendenti cosiddetti “vaccinati” …si infettano e infettano come chiunque” – afferma che:
l'utilizzo del cd. green pass “è risultato essere del tutto inutile ai fini della protezione della salute della collettività, circostanza già evidenziata dal Garante nazionale, con proprio parere del novembre 2021”;
“Nei fatti, la resistente, non sottoponendo a controlli periodici i dipendenti cosiddetti “vaccinati”, che si infettano e infettano come chiunque, non ha garantito la sicurezza di assenza del patogeno sul luogo di lavoro. Ragione per cui l'assenza del ricorrente deve ritenersi giustificata, ex art. 44 del D.Lgs. n. 81/2008. L'esenzione dai controlli della certificazione verde COVID-19 dei soggetti vaccinati, in costanza di validità della certificazione verde, determina la sostanziale elusione delle finalità di sanità pubblica complessivamente sottese al sistema del “green pass””;
“L'assenza di verifiche durante il periodo di validità del certificato non consente di rilevare
l'eventuale condizione sintomatica e/o di positività sopravvenuta in capo all'intestatario del certificato, in contrasto con il principio di esattezza cui deve informarsi il trattamento dei dati personali (art. 5, par.1, lett. d) Reg. Ue 2016/679)”;
pagina 7 di 64
“La preclusione della realizzazione delle esigenze sanitarie sottese al sistema del c.d. green pass, atteso che i “vaccinati”, non sottoposti a controlli periodici, possono contagiare e contagiarsi, rende quindi anche il trattamento dei relativi dati illegittimo, in quanto non proporzionato, perché non funzionale rispetto alle finalità perseguite e privo di una valida base legale”
a B)
Il ricorrente afferma la violazione, da parte dell'ente convenuto, della direttiva
18/09/2000, n. 2000/54/CE per le ragioni che seguono.
a)
Sul presupposto che non vi è prova della non contagiosità dei vaccinati, afferma che
l'ente convenuto “non ha garantito la sicurezza di immunità dal virus dei lavoratori vaccinati ponendo a gravissimo rischio la salute del ricorrente sottraendo i “vaccinati” dall'obbligo di svolgere una verifica ogni 48 ore della loro effettiva situazione di positività o meno, agevolando la diffusione consapevole e drammatica del virus Sars CoV-2 in violazione dell'art. 32 Cost., del principio di precauzione, di rango Europeo, che dispiega i suoi effetti direttamente sul diritto interno”;ha così violato l'art, 2087 cod.civ. in quanto “permettendo ai cosiddetti “vaccinati” di accedere sui luoghi di lavoro in assenza di controlli, non ha adottato nell'esercizio dell'impresa le misure “necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale” della ricorrente”.
Sempre sul presupposto che non vi è prova della non contagiosità dei vaccinati, il ricorrente lamenta un' “evidente discriminazione” ai propri danni, avendo il datore convenuto voluto imporgli “la sottoposizione a test ogni 48/72 ore per poi farlo stare a contatto con altri soggetti, potenzialmente infettivi ma non sottoposti ai medesimi controlli”.
Afferma che, assentandosi dal lavoro, ha esercitato il diritto ex art. 44 co.1 d.lgs.
9.4.2008, n. 81 (“Il lavoratore che, in caso di pericolo grave, immediato e che non può pagina 8 di 64 essere evitato, si allontana dal posto di lavoro o da una zona pericolosa, non può subire pregiudizio alcuno e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza dannosa”), “stante la sussistenza di un pericolo grave e immediato e, pertanto, deve ritenersi assente giustificato, nonché discriminato, con pieno diritto alla reintegrazione della retribuzione globale di fatto per tutte le giornate lavorative che gli sono state precluse e ingiustamente non retribuite”.
b)
Il ricorrente si duole che l'ente convenuto non abbia verificato la possibilità di una
diversa sua utilizzazione (cd. repechage), non implicante rischi di diffusione del contagio, ma ha adottato “immediatamente la sospensione dal lavoro dello stesso senza
alcun emolumento, soluzione che, in ogni caso, doveva essere l'extrema ratio e non certo la prima soluzione”.
a C)
Il ricorrente richiama un'ordinanza del 30.11.2021 con cui il tribunale prima istanza di
Namur “ha annullato le normative sull'uso in ambito nazionale del Certificato Covid a causa del mancato rispetto delle previsioni di cui all'art. 36, paragrafo 4, del Regolamento UE 679/2016”,
Per_ nonché la nota 5285082 del 28.4.2022, con cui la Commissione Europea ha ricordato che “compete ai Tribunali nazionali il controllo di compatibilità con il GDPR delle normative approvate dal legislatore nazionale”.
a D)
Sul presupposto che i soggetti vaccinati possono contrarre il virus Sars-CoV-2 e quindi lo possono trasmettere ad altri il virus Sars-CoV-2 – il ricorrente sostiene che “se viene meno o non può essere raggiunta la finalità sanitaria sottesa all'uso dei certificati a causa della pagina 9 di 64
contagiosità dei loro titolari… viene meno il presupposto del trattamento dei dati sanitari personali” e quindi “le norme nazionali hanno introdotto l'uso (obbligatorio) di uno strumento che non ha potuto garantire la finalità di sanità pubblica previste all'articolo 9 del GDPR”.
Ne desume che “i soggetti onerati dalla normativa nazionale di richiedere l'esibizione del certificato in ambito “domestico” non… avevano alcuna facoltà in tal senso, come
neppure quella di impedire a chi ne fosse sprovvisto di accedere presso strutture o usufruire di servizi” e correlativamente il suo rifiuto di esibire il cd green pass certificato
deve essere ritenuto legittimo.
- - -
Infine il ricorrente sostiene che:
“le convergenti definizioni di “caso” di Sars cov 2 e di covid 19 rilasciate dagli organismi Orga Co internazionali e siano del tutto incompatibili con quella rilasciata dall' ”;Org_3
vi è stata una “ascientifica ed inutilizzabile anomalia italiana nella raccolta dei dati diagnostici”;
l'ISS “numerando i dati diagnostici di “caso di COVID-19” in correlazione con il mero esito di un esame strumentale, non varca la soglia della minima scientificità richiesta dagli organismi sanitari internazionali”;Co
“I dati statistici dei “casi” di SARS-CoV-2 e di COVID-19, rilasciati dall' a conforto dell'asserita efficacia vaccinale sotto tutti i profili prospettati (minori ricoveri dei vaccinati negli ospedali, nelle terapie intensive, minori decessi, prevenzione dal rischio malattia covid 19) sono inutilizzabili, perché sprovvisti di qualsivoglia pregio medico-scientifico. Essi devono ritenersi dei veri e propri falsi assoluti in quanto sono la risultante, da un lato, del disallineamento dalle linee guida medico- scientifiche dettate dagli organismi internazionali, e, dall'altro, dell'utilizzo alterato degli strumenti della diagnostica PCR. Co Il falso scientifico diagnostico attuato dall' è stato riversato in tutti gli atti ufficiali delle autorità sanitarie…” pagina 10 di 64
afferma che “Siamo al cospetto di una circostanza manipolatoria ascientifica abnorme: l'ISS conteggia come “malati di COVID-19” quelli che sono i casi di persone meramente positive (“virus detected”, con le parole dell'OMS) ad un test del virus SARS-CoV-2…: quindi soggetti in relazione ai quali non ha ancora avuto luogo la verifica dell'effettivo contagio (“truly infected”, nella definizione di OMS) ma, soprattutto, dell'effettiva malattia (“COVID-19-confirmed” nella definizione dell'ECDC. I “positivi” al test PCR non sono, infatti, malati di covid 19, né per l'OMS, né per
l'ECDC, come sopra esposto. Essi possono definirsi malati se effettivamente lo diventano, vale a dire quando sia accertata la sussistenza di sintomi specifici e di ulteriori evidenze cliniche e strumentali che escludano la riconducibilità ad altre patologie: tutte verifiche dolosamente mai eseguite su alcuno dei soggetti definiti malati di COVID-19”.
“Oltre ad operare il falso materiale di definire come malate persone che non sono state Co correttamente diagnosticate come tali, l ha alterato dolosamente l'utilizzo del tampone al fine di modificare la realtà epidemiologica. Co E ancora, i test PCR e rapidi utilizzati dai laboratori autorizzati dall' non sono mai stati verificati Co e validati né da , né da alcuna autorità indipendente”.
- - -
§1)
In via preliminare è opportuno evidenziare che:
l'art. 9-septies co.1 D.L. 22.4.2021, n. 52 conv. in L. 17.6.2021, n. 87 (introdotto dall'art. 3 co.1 D.L. 21.9.2021, n. 127 conv. in L. 19.11.2021 n. 165 e successivamente modificato dall'art.5-septies, co. 1, lett. a) nn. 1 e 2 D.L.24.12.2021,
n. 221 conv. in L. 18.2.2022, n.11, nonché dall'art. 8 co.8, lett. e) D.L. 24.3.2022, n.
24 conv. in L. 19.5.2022, n. 52 a decorrere dal 25.3.2022 e dall'art. 6 co.8, lett. a)
dello stesso D.L. 24/2022 a decorrere dal 1° aprile 2022) prevedeva:
pagina 11 di 64
“
REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE ORDINARIO DI TRENTO sezione lavoro
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella persona fisica del magistrato dott.
G F pronunzia la seguente
S E N T E N Z A
nella causa per controversia in materia di assistenza obbligatoria promossa con ricorso
depositato in data 21.9.2022
d a
Parte_1
rappresentato e difeso dall'avv. G D S pec e dall'avv. Email_1
M S con studio in Milano, via B. Marcello, 48,
ricorrente
c o n t r o
Controparte_1
in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa dall'avv. prof. A M
pagina 1 di 64
pec Email_2
convenuta
CONCLUSIONI DI PARTE RICORRENTE
“Procedere, ove lo ritenga opportuno, a rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea in ordine ai superiori punti come sollevati al Capo E), e relative
richieste conclusive. Accertare e dichiarare il diritto del ricorrente a percepire la
retribuzione globale di fatto delle giornate lavorative ingiustamente non retribuite a far data dall'1.12.2021 sino alla data del 30.4.2022 dovute a causa e colpa della illegittima sospensione di fatto applicata dalla Società datoriale e, per l'effetto,
condannare la stessa a corrispondere detta retribuzione globale di fatto, nella misura
di Euro 10.896,37 (salvo errori e/o omissioni), in conseguenza dell'applicazione della
predetta normativa emergenziale illegittimamente imposta nei modi sopra descritti, come da prospetto analitico di cui sopra (cfr doc. n. 10) con l'adozione dei più
opportuni provvedimenti del caso e/o disapplicando/dichiarando inapplicabile la
suindicata normativa interna in contrasto con la superiore normativa unionale,
chiarendo quali siano i soggetti effettivamente deputati ai controlli del certificato verde
Covid ai sensi dell'art. 10, comma 3, del Regolamento UE n. 953/2021 e della nota ref.
Ares (2021) 5285082 del 26.8.2021, JUST.C3/AF/ks (2021)5917238 della Commissione
Europea, Direzione Generale Giustizia, Direzione C.3, Protezione dei dati (cfr Doc. n.
21), oltre alla somma, prudenzialmente indicata, in misura Euro 5.000,00 a titolo di
danni non patrimoniali, biologici, esistenziali e morali, in particolare riguardo alla
sofferenza e alla discriminazione subita, di cui si chiede la liquidazione, anche in via
equitativa, nella misura maggiore o minore ritenuta di giustizia, per la complessiva
somma di Euro 15.896,37. pagina 2 di 64 Con condanna del datore di lavoro resistente, in persona del legale rappresentante p.t.,
alle spese di lite ed al compenso professionale di cui si chiede la liquidazione ex DM n.
55/2014 e s.m.i.”
CONCLUSIONI DI PARTE CONVENUTA
“Ogni contraria eccezione e deduzione disattesa, rigettare il ricorso in quanto
inammissibile, nonché infondato in fatto ed in diritto.
Con vittoria di spese, diritti ed onorari”
MOTIVAZIONE
le domande proposte dal ricorrente
Il ricorrente – Parte_1
premesso che:
egli lavora alle dipendenze della società convenuta con Controparte_1
inquadramento nel livello professionale B - Tecnici specializzati – posizione retributiva 1 – figura professionale di macchinista – Area Organizzazione_1
contrattuale delle Attività Ferroviarie, addetto al Presidio di Trento “Sotto Area 1527
Rimessa Trento”;
egli, con pec del 22.10.2021 (doc. 4 fasc. ric.), comunicava alla società datrice – ai
sensi l'art. 9-septies co.6 D.L. 22.4.2021, n. 52 conv. in L. 17.6.2021, n. 87
(introdotto dall'art. 3 D.L. co. 1 21.9.2021, n. 127 conv. in L. 19.11.2021, n. 165) –
di non essere in possesso della certificazione verde COVID-19 ex art. 9 stesso D.L.
52/2021, richiesta dall'art. 9-septies co.1 stesso D.L. 52/2021 ai lavoratori del settore privato ai fini dell'accesso ai luoghi in cui le prestazioni vengono eseguite, e, quindi, secondo quanto previsto nell'ultimo periodo del comma 6 dell'art. 9-septies stesso pagina 3 di 64
D.L. 52/2021, non percepiva, in relazione al periodo dal 25.10 all'1.11.2021, né la
retribuzione, né altro compenso;
egli, con pec del 28.11.2021 (doc. 6 fasc. ric.) comunicava alla società datrice – ai
sensi l'art. 9-septies co.6 D.L. 52/2021 – di non essere in possesso della
certificazione verde COVID-19 ex art. 9 stesso D.L. 52/2021, richiesta dall'art. 9-
septies co.1 stesso D.L.52/2021 ai lavoratori del settore privato ai fini dell'accesso ai
luoghi in cui le prestazioni vengono eseguite, e quindi, secondo quanto previsto nell'ultimo periodo del comma 6 dell'art. 9-septies stesso D.L. 52/2021, non
percepiva – in relazione al periodo dall'1.12.2021 al 30.4.2022 (nel corso del quale
l'art. 9-septies co.1 stesso D.L. 52/2021 veniva modificato dall'art.5-septies co. 1, lett. a) nn. 1 e 2 D.L.24.12.2021, n. 221 conv. in L. 18.2.2022, n.11, nonché dall'art.
8 co.8, lett. e) D.L. 24.3.2022, n. 24 conv. in L. 19.5.2022, n. 52 a decorrere dal
25.3.2022 e dall'art. 6 co.8, lett. a) dello stesso D.L. 24/2022 a decorrere dal 1° aprile
2022) – né la retribuzione, né altro compenso;
in data 1.5.2022 egli rientrava in servizio –
propone:
domanda volta ad accertare, in suo favore, il diritto a percepire la retribuzione globale
di fatto relativa al periodo dall' 1.12.2021 al 30.4.2022, con conseguente condanna
della società convenuta al pagamento, in suo favore, della Controparte_1
somma di € 10.896,37, come da conteggio sub doc. 10 fasc. ric. (che. in realtà, prende in considerazione il diverso periodo dall'1.1. al 31.7.2022);
domanda di condanna dell'ente convenuto al pagamento, in suo favore, della somma di € 5.000,00, a titolo di “danni non patrimoniali, biologici, esistenziali e morali”.
pagina 4 di 64 le ragioni della decisione
Il ricorrente fonda le proprie domande: Parte_1
A) sul “contrasto tra normativa nazionale e regolamento UE n. 953/2021”;
B) sul “contrasto tra le disposizioni interne e la direttiva 54/2000. sospensione ingiustificata del dipendente, mancato rispetto della direttiva 54/2000 sulla tutela dei lavoratori da agenti biologici da parte del datore. violazione dell'art. 2087 cc ed applicazione dell'art. 44 tusl.”;
C) sulla “decisione giudiziale di uno Stato membro dell'Unione particolarmente rilevante in ordine al caso concreto in questione – regolamento UE 679/2016 articolo 36.4 GDPR. competenza immediata e diretta dei tribunali nazionali sul controllo di compatibilità della normativa interna con il regolamento UE 679/2016 GDPR”;
D) sulla “violazione articolo 9 regolamento 679/16 – non conformità della normativa a parere dell'autorità nazionale competente”.
Inoltre afferma l' “assoluta ascientificità' posta alla base dei decreti legge in questione, che si basano su dati erronei ed inutilizzabili, acquisiti in violazione delle linee guida dell
[...]
e del Organizzazione_2 Organizzazione_3
[...]
- - -
ad A)
Se nel titolo del motivo parte ricorrente richiama soltanto il Reg. (CE) 14/06/2021, n.
2021/953/UE (“REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO
su un quadro per il rilascio, la verifica e l'accettazione di certificati interoperabili di pagina 5 di 64 vaccinazione, di test e di guarigione in relazione alla COVID-19 (certificato COVID
digitale dell'UE) per agevolare la libera circolazione delle persone durante la pandemia di COVID-19”), nell'illustrazione del motivo afferma che l'ente convenuto avrebbe
violato anche il Reg. (CE) 27/04/2016, n. 2016/679/UE (“REGOLAMENTO DEL
PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO relativo alla protezione delle persone
fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di
tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)” e la Dir. 18/09/2000, n. 2000/54/CE (“Direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio relativa alla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da
un'esposizione ad agenti biologici durante il lavoro (settima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE)”).
a)
in ordine alla presunta violazione difformità del diritto nazionale applicabile rispetto al
Reg. (CE) 14/06/2021, n. 2021/953/UE
Il ricorrente richiama la nota ref. Ares (2021) 5285082 del 26.8.2021,
JUST.C3/AF/ks(2021)5917238, emessa dalla Commissione Europea, Direzione Generale
Giustizia, Direzione C.3, Protezione (doc. 21 fasc. ric.), secondo cui: “L'uso domestico
dei certificati COVID-19 per scopi diversi dall'agevolazione della libera circolazione all'interno dell'Unione europea non rientra nel campo di applicazione del regolamento… In tale contesto, gli Stati membri possono effettivamente utilizzare il
certificato digitale UE COVID per scopi nazionali, ma sono tenuti a fornire una base
giuridica nel diritto nazionale. Tale diritto nazionale deve essere conforme al diritto dell'Unione in materia di protezione dei dati e ai principi di effettività, necessità e
proporzionalità. Il assegna il compito di far rispettare la protezione dei dati alle Org_4
autorità nazionali di vigilanza e ai tribunali”. pagina 6 di 64 b)
in ordine alla presunta violazione difformità del diritto nazionale applicabile rispetto al
Reg. (CE) 27/04/2016, n. 2016/679/UE
Il ricorrente afferma che “non è dato sapere se i soggetti deputati ai controlli fossero stati formati in tale ambito, né la base legale e la finalità del trattamento dati, come espressamente stabilito dal citato Regolamento”;in proposito sostiene che “le certificazioni verdi COVID-19 non possono essere revocate e/o sospese senza la creazione e l'utilizzo di una black list di codici QR quindi senza l'utilizzo e la creazione di una banca dati”.
Inoltre – sul presupposto che “i dipendenti cosiddetti “vaccinati” …si infettano e infettano come chiunque” – afferma che:
l'utilizzo del cd. green pass “è risultato essere del tutto inutile ai fini della protezione della salute della collettività, circostanza già evidenziata dal Garante nazionale, con proprio parere del novembre 2021”;
“Nei fatti, la resistente, non sottoponendo a controlli periodici i dipendenti cosiddetti “vaccinati”, che si infettano e infettano come chiunque, non ha garantito la sicurezza di assenza del patogeno sul luogo di lavoro. Ragione per cui l'assenza del ricorrente deve ritenersi giustificata, ex art. 44 del D.Lgs. n. 81/2008. L'esenzione dai controlli della certificazione verde COVID-19 dei soggetti vaccinati, in costanza di validità della certificazione verde, determina la sostanziale elusione delle finalità di sanità pubblica complessivamente sottese al sistema del “green pass””;
“L'assenza di verifiche durante il periodo di validità del certificato non consente di rilevare
l'eventuale condizione sintomatica e/o di positività sopravvenuta in capo all'intestatario del certificato, in contrasto con il principio di esattezza cui deve informarsi il trattamento dei dati personali (art. 5, par.1, lett. d) Reg. Ue 2016/679)”;
pagina 7 di 64
“La preclusione della realizzazione delle esigenze sanitarie sottese al sistema del c.d. green pass, atteso che i “vaccinati”, non sottoposti a controlli periodici, possono contagiare e contagiarsi, rende quindi anche il trattamento dei relativi dati illegittimo, in quanto non proporzionato, perché non funzionale rispetto alle finalità perseguite e privo di una valida base legale”
a B)
Il ricorrente afferma la violazione, da parte dell'ente convenuto, della direttiva
18/09/2000, n. 2000/54/CE per le ragioni che seguono.
a)
Sul presupposto che non vi è prova della non contagiosità dei vaccinati, afferma che
l'ente convenuto “non ha garantito la sicurezza di immunità dal virus dei lavoratori vaccinati ponendo a gravissimo rischio la salute del ricorrente sottraendo i “vaccinati” dall'obbligo di svolgere una verifica ogni 48 ore della loro effettiva situazione di positività o meno, agevolando la diffusione consapevole e drammatica del virus Sars CoV-2 in violazione dell'art. 32 Cost., del principio di precauzione, di rango Europeo, che dispiega i suoi effetti direttamente sul diritto interno”;ha così violato l'art, 2087 cod.civ. in quanto “permettendo ai cosiddetti “vaccinati” di accedere sui luoghi di lavoro in assenza di controlli, non ha adottato nell'esercizio dell'impresa le misure “necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale” della ricorrente”.
Sempre sul presupposto che non vi è prova della non contagiosità dei vaccinati, il ricorrente lamenta un' “evidente discriminazione” ai propri danni, avendo il datore convenuto voluto imporgli “la sottoposizione a test ogni 48/72 ore per poi farlo stare a contatto con altri soggetti, potenzialmente infettivi ma non sottoposti ai medesimi controlli”.
Afferma che, assentandosi dal lavoro, ha esercitato il diritto ex art. 44 co.1 d.lgs.
9.4.2008, n. 81 (“Il lavoratore che, in caso di pericolo grave, immediato e che non può pagina 8 di 64 essere evitato, si allontana dal posto di lavoro o da una zona pericolosa, non può subire pregiudizio alcuno e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza dannosa”), “stante la sussistenza di un pericolo grave e immediato e, pertanto, deve ritenersi assente giustificato, nonché discriminato, con pieno diritto alla reintegrazione della retribuzione globale di fatto per tutte le giornate lavorative che gli sono state precluse e ingiustamente non retribuite”.
b)
Il ricorrente si duole che l'ente convenuto non abbia verificato la possibilità di una
diversa sua utilizzazione (cd. repechage), non implicante rischi di diffusione del contagio, ma ha adottato “immediatamente la sospensione dal lavoro dello stesso senza
alcun emolumento, soluzione che, in ogni caso, doveva essere l'extrema ratio e non certo la prima soluzione”.
a C)
Il ricorrente richiama un'ordinanza del 30.11.2021 con cui il tribunale prima istanza di
Namur “ha annullato le normative sull'uso in ambito nazionale del Certificato Covid a causa del mancato rispetto delle previsioni di cui all'art. 36, paragrafo 4, del Regolamento UE 679/2016”,
Per_ nonché la nota 5285082 del 28.4.2022, con cui la Commissione Europea ha ricordato che “compete ai Tribunali nazionali il controllo di compatibilità con il GDPR delle normative approvate dal legislatore nazionale”.
a D)
Sul presupposto che i soggetti vaccinati possono contrarre il virus Sars-CoV-2 e quindi lo possono trasmettere ad altri il virus Sars-CoV-2 – il ricorrente sostiene che “se viene meno o non può essere raggiunta la finalità sanitaria sottesa all'uso dei certificati a causa della pagina 9 di 64
contagiosità dei loro titolari… viene meno il presupposto del trattamento dei dati sanitari personali” e quindi “le norme nazionali hanno introdotto l'uso (obbligatorio) di uno strumento che non ha potuto garantire la finalità di sanità pubblica previste all'articolo 9 del GDPR”.
Ne desume che “i soggetti onerati dalla normativa nazionale di richiedere l'esibizione del certificato in ambito “domestico” non… avevano alcuna facoltà in tal senso, come
neppure quella di impedire a chi ne fosse sprovvisto di accedere presso strutture o usufruire di servizi” e correlativamente il suo rifiuto di esibire il cd green pass certificato
deve essere ritenuto legittimo.
- - -
Infine il ricorrente sostiene che:
“le convergenti definizioni di “caso” di Sars cov 2 e di covid 19 rilasciate dagli organismi Orga Co internazionali e siano del tutto incompatibili con quella rilasciata dall' ”;Org_3
vi è stata una “ascientifica ed inutilizzabile anomalia italiana nella raccolta dei dati diagnostici”;
l'ISS “numerando i dati diagnostici di “caso di COVID-19” in correlazione con il mero esito di un esame strumentale, non varca la soglia della minima scientificità richiesta dagli organismi sanitari internazionali”;Co
“I dati statistici dei “casi” di SARS-CoV-2 e di COVID-19, rilasciati dall' a conforto dell'asserita efficacia vaccinale sotto tutti i profili prospettati (minori ricoveri dei vaccinati negli ospedali, nelle terapie intensive, minori decessi, prevenzione dal rischio malattia covid 19) sono inutilizzabili, perché sprovvisti di qualsivoglia pregio medico-scientifico. Essi devono ritenersi dei veri e propri falsi assoluti in quanto sono la risultante, da un lato, del disallineamento dalle linee guida medico- scientifiche dettate dagli organismi internazionali, e, dall'altro, dell'utilizzo alterato degli strumenti della diagnostica PCR. Co Il falso scientifico diagnostico attuato dall' è stato riversato in tutti gli atti ufficiali delle autorità sanitarie…” pagina 10 di 64
afferma che “Siamo al cospetto di una circostanza manipolatoria ascientifica abnorme: l'ISS conteggia come “malati di COVID-19” quelli che sono i casi di persone meramente positive (“virus detected”, con le parole dell'OMS) ad un test del virus SARS-CoV-2…: quindi soggetti in relazione ai quali non ha ancora avuto luogo la verifica dell'effettivo contagio (“truly infected”, nella definizione di OMS) ma, soprattutto, dell'effettiva malattia (“COVID-19-confirmed” nella definizione dell'ECDC. I “positivi” al test PCR non sono, infatti, malati di covid 19, né per l'OMS, né per
l'ECDC, come sopra esposto. Essi possono definirsi malati se effettivamente lo diventano, vale a dire quando sia accertata la sussistenza di sintomi specifici e di ulteriori evidenze cliniche e strumentali che escludano la riconducibilità ad altre patologie: tutte verifiche dolosamente mai eseguite su alcuno dei soggetti definiti malati di COVID-19”.
“Oltre ad operare il falso materiale di definire come malate persone che non sono state Co correttamente diagnosticate come tali, l ha alterato dolosamente l'utilizzo del tampone al fine di modificare la realtà epidemiologica. Co E ancora, i test PCR e rapidi utilizzati dai laboratori autorizzati dall' non sono mai stati verificati Co e validati né da , né da alcuna autorità indipendente”.
- - -
§1)
In via preliminare è opportuno evidenziare che:
l'art. 9-septies co.1 D.L. 22.4.2021, n. 52 conv. in L. 17.6.2021, n. 87 (introdotto dall'art. 3 co.1 D.L. 21.9.2021, n. 127 conv. in L. 19.11.2021 n. 165 e successivamente modificato dall'art.5-septies, co. 1, lett. a) nn. 1 e 2 D.L.24.12.2021,
n. 221 conv. in L. 18.2.2022, n.11, nonché dall'art. 8 co.8, lett. e) D.L. 24.3.2022, n.
24 conv. in L. 19.5.2022, n. 52 a decorrere dal 25.3.2022 e dall'art. 6 co.8, lett. a)
dello stesso D.L. 24/2022 a decorrere dal 1° aprile 2022) prevedeva:
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“
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