Trib. Savona, sentenza 19/06/2024, n. 498
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Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE CIVILE DI SAVONA
Composto dai Sigg.ri Magistrati:
Dott. A PTA Presidente
Dott.ssa E P Giudice Rel.
Dott.ssa D M G ha pronunciato la seguente
SENTENZA nel procedimento iscritto al n. 810 del Ruolo Generale dell'anno 2024 vertente
TRA
(C.F. ), nata a Ceva il 7.4.1996, rappresentata e difesa dall'Avv. Parte_1 C.F._1
I G ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Genova, Viale Sauli 5/28, giusto mandato in atti
ATTORE
E
PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI SAVONA
CONVENUTA
OGGETTO: mutamento di sesso
CONCLUSIONI: come in atti
RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con ricorso depositato in data 11.4.2024, ha dedotto di essere una persona con disforia di Parte_1
genere (DIG) / varianza di genere acclarata da specialisti dai quali è stata seguita nel percorso di transizione
e segnatamente nel percorso ormonale, prima, presso il Centro AIED Genova e, poi, presso l'Ospedale San
Martino di Genova nonché nel percorso psicoterapeutico.
Ha spiegato che, per l'effetto dell'accertata incongruenza di genere, non secondaria a disturbi psicopatologici, è identificata con il genere maschile ed è conosciuta con il nome di . Per_1
Tanto dedotto, parte attrice ha chiesto al Tribunale di Savona di “1) Autorizzare la Sig.ra a Parte_1
effettuare ogni trattamento di carattere medico chirurgico che dovesse ritenere necessario all'adeguamento dei suoi caratteri e organi sessuali, primari e secondari, da femminili a maschili nel rispetto del suo benessere psicofisico ai sensi dell'art. 31, commi 4 e 5 , del d. lgs. 1 settembre 2011, n. 150, e contestualmente autorizzare la Sig.ra a procedere ai medesimi trattamenti medico/chirurgici;Parte_2
2) contestualmente, stante lo stato di mascolinizzazione raggiunto dall'istante e il suo agire da anni in ogni contesto sociale come uomo, ordinare all'Ufficiale di stato civile del Comune di residenza e/o a quello del
Comune dove è stato compilato, la rettificazione anagrafica del sesso da femminile a maschile e il mutamento del nome da a , nell'atto di nascita e in tutti gli atti e documenti da esso derivanti”. Pt_1 Per_1
A sostegno delle proprie domande, la ricorrente ha depositato:
- relazione del 3.4.2024 a firma dello psicologo Dott. ove si dà atto: “l'esito della valutazione Persona_2
evidenza che il soggetto presenta un'Incongruenza di Genere, non secondaria a disturbi psicopatologici. la persona infatti appare evidentemente identificata con il genere maschile e questo non appare legato a un presunto vantaggio culturale e sociale o una concomitante di intersessualità o disturbo di personalità: il paziente presente un disturbo di identità di genere (F 64.0). La decisione di richiedere una transizione di genere risulta correlata al processo evolutivo del soggetto, che fin dall'infanzia ha percepito il suo genere incongruo e si è sentito appartenente al genere maschile. In tutti gli incontri avvenuti con me si è mostrato lucido, consapevole, maturo, libero e determinato nell'affermare la sua identità di genere e il bisogno di intraprendere la transizione. Si ritiene quindi che la richiesta di transizione sia necessaria e improrogabile per il raggiungimento di una condizione di salute psicofisica”;
- relazione del 19.1.2024 a firma dell'endocrinologo Prof.ssa dalla quale si evince che l'attrice CP_1
ha già intrapreso la terapia ormonale di riassegnazione di genere con “modifiche della funzione gonadica e dei caratteri sessuali, in parte anche irreversibili”.
Per la Procura della Repubblica nessuno si è costituito né è comparso.
Il Giudice all'udienza del 14.6.2024, ritenuta la causa matura per la decisione, ha autorizzato le parti a precisare le proprie conclusioni e, quindi, ha rimesso la causa al Collegio per la decisione.
Ritiene il Collegio che il ricorso vada accolto.
L'art. 1 della legge 14.04.1982 n. 164, stabilisce che “la rettificazione si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali”, mentre il menzionato art. 31 D. Lgs.
01.09.2011 n. 150 recita, al 4° comma, “quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico‐chirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato”.
Ora, come noto, il sesso anagrafico viene attribuito al momento della nascita in base a un esame morfologico
degli organi genitali. Tale accertamento avviene ai sensi degli art. 28 e seg. D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396
(Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile), ove viene stabilito che l'atto di nascita riporta “il sesso del bambino”, facendo così coincidere il sesso anagrafico col sesso
“biologico”.
Tuttavia, se per la maggior parte degli individui tale attribuzione rispecchia fedelmente tutte le componenti sessuali, possono verificarsi ipotesi nelle quali questa coincidenza non sussiste o cessa ed in questi casi, in cui la componente psicologica si discosta dal dato biologico, l'attribuzione di sesso si atteggia a pura finzione, essendovi una dissociazione tra il sesso e il genere. In questi casi si parla di transessualismo;infatti, secondo la dottrina medico legale, transessuale è il soggetto che, presentando i caratteri genotipici di un determinato genere sente in modo profondo di appartenere all'altro genere, del quale ha assunto l'aspetto esteriore ed adottato i comportamenti e nel quale, pertanto, vuole essere riconosciuto.
Il legislatore non ha disciplinato tutti gli aspetti del transessualismo, ma solo i profili attinenti alla rettificazione dell'attribuzione di sesso, trascurando tutti gli altri. Anzi sembra che la legge non guardi immediatamente alla realtà del transessualismo, ma si preoccupi della mancata corrispondenza tra il sesso attribuito ad una persona con l'atto di nascita e quello che, a causa di “intervenute modificazioni” possa essere stato riscontrato in una fase successiva.
In proposito, appare significativo che l'adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico‐chirurgico va autorizzato dal Tribunale quando “lo ritenga necessario”, sicché il legislatore ha rimesso esclusivamente al Giudice tale valutazione, trascurando di specificare i presupposti e di esaminare le peculiarità della situazione del transessuale, anche se il controllo da parte del giudice sulla necessità del trattamento non può certamente risolversi in una valutazione circa l'opportunità o la convenienza in sé dell'intervento, ma va effettuato in ragione della necessità dell'intervento ai fini dell'adeguamento dei caratteri sessuali.
È stata, invero, la Corte costituzionale con l'ordinanza del 24 maggio 1985, n. 161, ad effettuare una lettura
“personalistica” della legge n. 164 del 1982, definendola come espressione di “una civiltà giuridica in evoluzione, sempre più attenta ai valori, di libertà e dignità”, strumento per la “ricomposizione dell'equilibrio tra soma e psiche” del transessuale.
Orbene, il conflitto tra vissuto personale e sociale ed identità esteriore non sempre necessariamente sfocia nella scelta di sottoporsi ad un intervento chirurgico di adeguamento.
Emerge, nondimeno, chiaramente, dalla lettera della legge, che il diritto alla rettificazione dell'attribuzione di sesso è riconosciuto nei limiti dell'“intervenuta modificazione dei caratteri sessuali”, requisito che la giurisprudenza maggioritaria ha interpretato come necessità dell'intervento di riassegnazione chirurgica
del sesso, sebbene dalla lettera della legge non si ricavi immediatamente quali debbano essere i caratteri sessuali da modificare, potendosi ritenere sufficiente anche una modifica dei caratteri sessuali secondari
(che a partire dalla pubertà consentono di distinguere i maschi dalle femmine, come la distribuzione delle masse muscolari e della forza, dell'adipe, dei peli, della laringe e della voce, del seno), per la quale è normalmente sufficiente effettuare delle cure ormonali, e non anche una modifica dei caratteri sessuali primari (ossia gli organi genitali e riproduttivi), che richiede, invece, una operazione chirurgica particolarmente invasiva.
Occorre, allora, verificare se l'interpretazione tradizionale risponda ad una qualche esigenza prevalente rispetto a quella sottesa alla diversa interpretazione, maggiormente coerente con la realtà attuale del transessualismo, per la quale la rettificazione di sesso prescinde dall'esecuzione di un intervento chirurgico demolitivo ricostruttivo.
Si deve premettere che, tra i diritti che formano il patrimonio irretrattabile della persona umana, l'art. 2 della Costituzione riconosce e garantisce anche il diritto all'identità personale, quale espressione della dignità del soggetto e del suo diritto ad essere riconosciuto nell'ambito sociale di riferimento per quello che si è (Corte Cost. 03.02.1994 n. 13).
La Corte Costituzionale ha, poi, specificato che nel concetto di identità personale deve farsi rientrare anche il concetto di identità sessuale, ricostruibile non solo sulla base della natura degli organi riproduttivi esterni, bensì anche sulla base di elementi di ordine psicologico e sociale (Corte Cost. 24.05.1985 n. 161).
D'altronde, se è vero che l'identità di genere sotto il profilo relazionale può essere considerata un aspetto costitutivo dell'identità personale, la sua esplicazione risulterebbe ingiustificatamente compressa ove la modificazione chirurgica dei caratteri sessuali divenisse presupposto indefettibile della rettificazione degli atti anagrafici, considerato che la modificazione chirurgica potrebbe anche essere foriera di un danno alla salute fisica o psicologica del soggetto, costituzionalmente tutelata ai sensi dell'art. 32 Cost.
In ogni caso, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15138/2015 ha sciolto ogni residuo dubbio stabilendo che “Alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata, e conforme alla giurisprudenza della
CEDU, dell'art. 1 della l. n. 164 del 1982, nonché del successivo art. 3 della medesima legge, attualmente confluito nell'art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011, per ottenere la rettificazione del sesso nei registri dello stato civile deve ritenersi non obbligatorio l'intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari. Invero, l'acquisizione di una nuova identità di genere può essere il frutto di un processo individuale che non ne postula la necessità, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell'approdo finale sia oggetto, ove necessario, di accertamento tecnico in sede giudiziale”.
Ed ancora la Corte Costituzionale con la sentenza n. 221/15 ha così stabilito: “Il ricorso alla modificazione chirurgica dei caratteri sessuali risulta, quindi, autorizzabile in funzione di garanzia del diritto alla salute, ossia laddove lo stesso sia volto a consentire alla persona di raggiungere uno stabile equilibrio psicofisico, in particolare in quei casi nei quali la divergenza tra il sesso anatomico e la psicosessualità sia tale da determinare un atteggiamento conflittuale e di rifiuto della propria morfologia anatomica. La prevalenza della tutela della salute dell'individuo sulla corrispondenza fra sesso anatomico e sesso anagrafico, porta a ritenere il trattamento chirurgico non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione – come prospettato dal rimettente −, ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico”.
La Corte europea diritti dell'uomo sez. I, 11/10/2018, n. 55216 ha poi statuito che “sussiste una violazione dell'art. 8 CEDU sul diritto al rispetto della vita privata e familiare da parte di uno Stato contraente che non preveda la possibilità di ottenere la modifica del nome di un individuo iscritto nel registro dello stato civile come persona di sesso maschile, ma la cui identità sessuale è oramai pacificamente di genere femminile, seppure ancora nell'attesa di un'operazione chirurgica di transizione sessuale”.
Di recente, nella giurisprudenza di merito, Trib. Milano sez. I, 27/02/2020, n. 1888 ha ribadito “per ottenere la rettificazione del sesso nei registri dello stato civile deve ritenersi non obbligatorio l'intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari. Invero, l'acquisizione di una nuova identità di genere può essere il frutto di un processo individuale che non ne postula la necessità, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell'approdo finale sia oggetto, ove necessario, di accertamento tecnico in sede giudiziale” (così pure Trib. Monza sez. IV, 04/02/2020, n. 254;Trib. Bari sez.
I, 07/02/2019, n. 585 che ha osservato come “tra i diritti personalissimi che costituiscono il patrimonio ineluttabile della persona umana, e che la Repubblica italiana, per solenne dichiarazione contenuta nell'art,
2 della Carta, riconosce e garantisce, è senz'altro da annoverare anche il diritto all'identità personale, quale espressione della dignità del soggetto e del suo intangibile diritto ad essere riconosciuto nell'ambito sociale di riferimento per quello che il soggetto medesimo "sente" di essere (cd. autopercezione). Nel concetto di identità personale deve farsi rientrare anche quello di identità sessuale, con l'ulteriore precisazione che tale ultimo concetto va ricostruito, non solo sulla base della natura degli organi riproduttivi esterni, bensì anche sulla base di elementi di ordine psicologico e sociale. Ebbene, a prescindere dalla disputa dogmatica se la dignità umana sia un diritto, oppure, un valore, è indubitabile che la tutela della dignità implichi, necessariamente, il rispetto dell'insieme dei valori di cui l'individuo è portatore, in modo tale da permettere all'individuo di vivere i predetti valori con la massima libertà. D'altronde, se è vero che l'identità di genere, sotto il profilo relazionale, può essere considerata un aspetto costitutivo dell'identità personale, la sua esplicazione risulterebbe ingiustificatamente compressa, ove la modificazione chirurgica dei caratteri sessuali primari divenisse presupposto indefettibile della rettificazione degli atti anagrafici;tale ingiusta compressione si configurerebbe, soprattutto, al cospetto del rischio concreto che l'imposta modificazione chirurgica venga a risolversi in un danno alla salute fisica o psicologica del soggetto, costituzionalmente tutelata ai sensi dell'art, 32 della Carta. Non vi sono, infatti, interessi superiori da tutelare, che possano giustificare l'imposizione all'istante del predetto trattamento chirurgico;tali interessi superiori non possono essere ravvisati né nella certezza delle relazioni giuridiche, che, comunque, sarebbe salvaguardata dalle risultanze anagrafiche, né nella necessaria diversità sessuale delle relazioni familiari”;Trib. Vercelli,
27/12/2018, n. 561;Corte appello Torino sez. famiglia, 28/03/2018, n. 569;Trib. Pavia sez. II, 16/01/2018;
Trib. Roma sez. I, 04/08/2017, n. 15902).
Nella fattispecie, in realtà parte ricorrente chiede sia l'autorizzazione a sottoporsi ai necessari interventi chirurgici sia la rettificazione degli atti anagrafici.
Emerge, infatti, dalla documentazione medica che l'attrice ha già in parte intrapreso il percorso per la transizione di genere mediante l'avvio del trattamento ormonale e ha intenzione di sottoporsi ad ogni trattamento di carattere medico chirurgico necessario all'adeguamento dei suoi caratteri e organi sessuali, poiché la transizione è necessaria e improrogabile per il raggiungimento di una condizione di salute psicofisica.
Alla luce delle considerazioni che precedono, in accoglimento della domanda attorea va dunque disposta la rettifica di attribuzione di sesso della Sig.ra (nata a Ceva (CN) il 7.4.1996) nei registri dello Parte_1
stato civile da femminile a maschile, con l'assunzione da parte della ricorrente del nome “ ”, Per_1
ordinandosi all'ufficiale di stato civile di sostituire l'indicazione di “sesso femminile” con quella di “sesso maschile” nei documenti riconducibili a parte attrice.
Sotto tale ultimo profilo va osservato che l'art. 31 d.lgs. 150/11 (come già l'art. 2, quinto comma, l. 164/82) ricollega la rettifica dell'atto di nascita alla sentenza che accoglie la domanda. Si tratta infatti di una rettifica sui generis diversa da quella, prevista dall'art. 95 ss. D.p.r.
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