Trib. Trieste, sentenza 11/05/2024, n. 467
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Testo completo
R.G. 183/2023
Repubblica Italiana
In nome del popolo italiano
Tribunale Ordinario di Trieste
SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE,
PROTEZIONE INTERNAZIONALE E LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI DELL'UNIONE
EUROPEA riunito in Camera di Consiglio nella seguente composizione: dott.ssa C Grida Presidente dott. F A Giudice dott. F P Giudice Relatore nella causa ex art. 19 ter del d.lvo 150/2011 promossa da
, con l'Avv. GIOVANNI IACONO;Parte_1
nei confronti di
, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e Controparte_1
difeso ex lege dall'Avvocatura dello Stato di Trieste, C.F. presso cui è P.IVA_1
per legge domiciliato in Piazza Dalmazia, n. 3;avente ad oggetto: ricorso avverso il provvedimento di diniego del permesso di soggiorno per protezione speciale ex art. 19, c. 1.2. del D.lvo 286/1998;pronuncia la seguente
SENTENZA
Con ricorso tempestivamente depositato in data 11/01/2023 e contestuale istanza di sospensiva, ha impugnato il provvedimento, notificato Parte_1
al ricorrente in data 12 .12.2022 con il quale gli è stato negato il permesso di soggiorno per protezione speciale ex art. 19, c. 1.2. del D.lvo 286/1998.
A fondamento della domanda il ricorrente ha rappresentato di essere in Italia da diversi anni;di svolgere attività lavorativa nel settore dell'indotto presso la
con sede a Monfalcone e in altri stabilimenti del gruppo;di aver Org_1
previamente presentato domanda di protezione internazionale, la quale, seppur corredata di documentazione sufficiente ad accertare l'integrazione, è stata rigettata;di essere ospitato presso un connazionale a Monfalcone (GO).
Evidenziando, quindi, di essere ormai ben integrato sul territorio, Pt_1
ha insistito per il riconoscimento della protezione speciale, ai sensi dell'art.
[...]
19 co. 1 e 1.1. del d.lgs. 286/1998.
Il si è costituito in giudizio, chiedendo il rigetto del Controparte_1
ricorso.
Accolta l'istanza di sospensiva, con decreto dd. 3 marzo 2023, all'udienza del
14 febbraio 2024, il ricorrente, sentito personalmente, ha dichiarato quanto segue:
“Da quanto tempo è in Italia?”
“otto anni”
“Dove vive?”
“A Monfalcone, Via Marziale 2, a casa di un amico”
“Lei lavora adesso?”
“A Monfalcone, presso Con contratto a tempo determinato Org_2
prorogato a giugno 2024”
“Lei ha rapporti con i familiari in Bangladesh?”
“Si, oltre alla mia famiglia di origine, ho anche moglie e figli”
“In Italia ha parenti o amici?”
“Ho solo amici, non parenti.”
“Fa qualcosa con i suoi amici nel tempo libero?”
“Non ho tempo libero, dopo il lavoro frequento la scuola di italiano”
Il Tribunale, concesso termine di 20 giorni al ricorrente, per il deposito di documentazione aggiornata, e di ulteriori 10 giorni all'Avvocatura dello Stato per il deposito di memorie di replica, ha quindi riservato la decisione.
Tanto premesso, nel merito, il ricorso è da ritenersi fondato e merita di essere accolto.
Preliminarmente si deve dare atto che la c.d. protezione speciale, così come oggi prevista, è stata introdotta dal D.L. n. 130/2020, convertito con modifiche nella legge 18 dicembre 2020, n. 173, che, per quanto qui di rilievo, nel confermare la scelta della “tipizzazione” rispetto alla fattispecie di protezione complementare a catalogo
aperto, ha modificato il testo dell'art. 5 comma 6 del Testo Unico Immigrazione, ripristinando il principio del rispetto degli obblighi costituzionali e internazionali originariamente espresso e poi eliminato dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modifiche nella legge 1 dicembre 2018, n. 132.
Più in generale, la novella legislativa:
- ha previsto la convertibilità in permessi di soggiorno per motivi di lavoro di vari titoli di permesso, tra i quali il permesso di soggiorno per protezione speciale rilasciato a seguito di decisione della ai sensi dell'art. 32, Organizzazione_3
comma 3, D. Lgs. 25/2008;
- ha modificato l'art. 19 D. Lgs. 286/1998 estendendo espressamente l'ambito di applicazione del divieto di espulsione ai casi in cui il cittadino straniero rischi di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti;
- ha previsto il divieto di espulsione dello straniero e correlativamente il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale (di durata biennale e non più annuale) anche nell'ipotesi in cui l'allontanamento dal territorio nazionale possa comportare la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare della persona, salvo ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica, con espressa indicazione degli indici da considerare.
Non deve, invece, trovare applicazione la successiva riforma dell'art. 19 del D.Lgs.
286/1998 ad opera del D.L. 20/2023 conv. in L. 50/2023, dato che, ai sensi dell'art. 7 del testo normativo, la novella non si applica alle domande presentate prima della sua entrata in vigore, come nel caso di specie.
Appare quindi opportuno premettere alcune considerazioni di carattere generale relative ai presupposti per il riconoscimento della protezione in casi speciali di cui all'art. 19, comma 1.1, D.Lgs. 286/1998, come modificato dal D.L. 130/2020.
In particolare, la norma prevede il divieto di refoulement laddove “esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o qualora ricorrano gli obblighi di cui all'art. 5, comma 6”, ovvero degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano, o laddove “esistano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare”, riconosciuti anche dall'art. 8 Cedu,
“a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica, nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva dalla legge 24 luglio 1954, n.
722, e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea”.
Il legislatore ha poi specificato i criteri sulla base dei quali valutare il rischio di violazione dei diritti di cui all'art. 8 Cedu, prevedendo che, a tal fine, debba tenersi conto:
a) della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato;
b) del suo effettivo inserimento sociale in Italia;
c) della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale;
d) dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine.
Nel caso di specie, il richiedente, in Italia dal 2015, allorquando aveva 23 anni, ha lavorato con continuità nel settore metalmeccanico, da ultimo con contratto a tempo determinato dal 04/07/2023, prorogato fino a giugno 2024, così conseguendo dei redditi che sono senz'altro idonei ad assicurarne l'autosostentamento e una vita più che dignitosa (cfr. busta paga in atti del mese di gennaio 2024 dalla quale risulta un compenso pari ad euro 1.592,00).
Egli è ospitato da un suo connazionale, in un appartamento concesso in locazione a quest'ultimo.
Inoltre, il ricorrente ha frequentato un corso di lingua italiana A1 e, solamente a causa di impegni lavorativi, non ha potuto frequentare il livello successivo (come dimostrato dagli attestati depositati).
Alla luce di quanto esposto, sussistono fondati motivi per ritenere che
l'allontanamento dal territorio nazionale del ricorrente comporti una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata, in considerazione dell'inserimento sociale nel nostro Paese, nonché della durata della permanenza sul territorio nazionale.
Quanto alle spese, in considerazione del fatto che l'integrazione del ricorrente è stata comprovata da documentazione depositata anche successivamente all'instaurazione del giudizio, sussistono giustificati motivi per disporne la compensazione.