Trib. Messina, sentenza 22/05/2024, n. 1011

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Messina, sentenza 22/05/2024, n. 1011
Giurisdizione : Trib. Messina
Numero : 1011
Data del deposito : 22 maggio 2024

Testo completo


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI MESSINA
– Sezione Lavoro – in persona del giudice unico Valeria Totaro ha pronunciato in esito al deposito di note scritte la seguente
SENTENZA nella causa iscritta al n. 4510/2016 r.g. e vertente
tra
(c.f. ), elettivamente domiciliato a Messina presso lo studio Parte_1 C.F._1 dell'avv. Oreste Puglisi che lo rappresenta e difende per procura in atti,
ricorrente
e
(p. iva ), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente Controparte_1 P.IVA_1
domiciliato a Venetico presso lo studio dell'avv. Tiziana Alesci, che lo rappresenta e difende per
procura in atti, resistente
e nei confronti di
(c.f. ) con sede in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, CP_2 P.IVA_2
chiamato in causa
oggetto: mansioni superiori – pubblico impiego privatizzato.
FATTO E DIRITTO
1.- Con ricorso depositato il 20 settembre 2016 adiva questo giudice del lavoro Parte_1
e, premesso di essere dipendente a tempo pieno e indeterminato del inquadrato Controparte_1
nella cat. C del C.C.N.L. per il personale del comparto delle regioni e delle autonomie locali, deduceva
di essere stato adibito dal 1 luglio 2006 al 25 novembre 2014 alle mansioni di Responsabile dell'Area
Servizi Bilancio e Programmazione e di avere espletato tutti gli adempimenti connessi alla
programmazione, gestione e rendicontazione finanziaria e di bilancio per come previsto dagli artt. 153
ss. del T.U.EE.LL. nonché quelli connessi alla funzione dirigenziale elencati all'art. 107 del medesimo
decreto;
che dal 1 luglio 2006 al 31 dicembre 2008 tali mansioni superiori gli erano state conferite con
specifiche determinazioni sindacali (n. 366 del 30 giugno 2006, n. 4 dell'11 gennaio 2007 e n. 31 del
28 gennaio 2008), mentre in seguito aveva continuato a ricoprire il ruolo, in via di proroga di fatto (fino all'adozione della determinazione sindacale n. 28 del 25 novembre 2014). Chiedeva, pertanto,
l'accertamento dello svolgimento, in modo continuativo e prevalente, nel suddetto periodo, di mansioni superiori ascrivibili alla cat. D e la condanna dell'ente al pagamento della complessiva somma di
40.483,54 euro, oltre accessori, a titolo di differenze stipendiali tra le categorie C1 e D3 fino al 7 maggio
2013 e C1 - D1 fino al 25 novembre 2014, o quanto meno di 16.294,52 euro, pari alla differenza tra le
categorie C1-D1 per tutto il periodo;
al conguaglio dell'indennità di posizione (periodo luglio 2006-
novembre 2014) pari a 38.821,87 euro e dell'indennità di risultato (luglio 2006-dicembre 2011) pari a
6.362,75 euro, nonché della retribuzione di risultato almeno per la percentuale minima del 10% sull'indennità di posizione per i periodi successivi al 1 gennaio 2012 pari a 3.380,21 euro, alla liquidazione delle indennità di risultato non corrisposte da luglio 2006 a novembre 2014 e, in subordine,
per il periodo successivo al 1 gennaio 2012, al risarcimento, anche in via equitativa, di tutti i danni
subiti per effetto dell'inosservanza dell'obbligo della valutazione annuale, quantificati nel 10% dell'ammontare della retribuzione di posizione percepita nel medesimo periodo, oltre alla regolarizzazione della posizione previdenziale e assicurativa.
Nella resistenza dell'Amministrazione convenuta, veniva ordinata l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell' ;
quindi, sostituita l'udienza del 14 maggio 2024 dal deposito CP_2
telematico di note scritte ex art. 127 ter c.p.c., la causa viene decisa con adozione fuori udienza della
sentenza.
2.- Occorre preliminarmente rilevare che parte ricorrente ha omesso di provvedere all'integrazione del contraddittorio nei confronti dell' mediante la notifica presso la sede legale CP_2
nel termine perentorio che era stato assegnato da questo ufficio - richiamando il recente orientamento
della Cassazione secondo cui in tema di omissioni contributive, nel giudizio promosso dal lavoratore
per la condanna del datore di lavoro al versamento dei contributi, sussiste un litisconsorzio necessario
con l' , sicché, alla mancata evocazione in giudizio dell'ente non consegue Controparte_3
l'inammissibilità della domanda, bensì la nullità del giudizio, rilevabile in ogni stato e grado del
processo, salvo il limite del giudicato, con necessità di rimessione al giudice di primo grado ai fini
dell'integrazione del contraddittori (v. Cass. n. 8956/2020).
Pertanto, ai sensi dell'art. 307, comma 3, c.p.c. deve essere dichiarata l'estinzione del giudizio
limitatamente a tale domanda di condanna (da non confondere con quella di accertamento del diritto
alla regolarizzazione contributiva: cfr. da ultimo Cass. n. 11730/2024).
2.1.- Ancora occorre chiarire che nelle controversie di lavoro il termine di dieci giorni assegnato
al ricorrente per la notificazione al convenuto del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza, ai
sensi dell'art. 415, comma quarto, c.p.c., non è perentorio, ma ordinatorio, con la conseguenza che la
sua inosservanza non produce alcuna decadenza né implica la vulnerazione della costituzione del
rapporto processuale a condizione che risulti garantito il termine per la costituzione in giudizio non
inferiore ai trenta giorni, come stabilito dal quinto comma della stessa norma (ovvero a quaranta giorni
nell'ipotesi prevista dal successivo sesto comma) (v. ex multis Cass. 26039/2005;
in senso conforme v.
più di recente Cass. n. 24034/2020).
Nel caso di specie l'Amministrazione resistente si è costituita dieci giorni prima dell'udienza,
articolando compiutamente le sue difese e sanando quindi ogni irregolarità. Dunque, le eccezioni di
inammissibilità della domanda e di improcedibilità del giudizio - sia per inosservanza del termine di
dieci giorni dalla pronuncia del decreto, che per omessa notifica del suddetto decreto unitamente al
ricorso - vanno respinte per raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c.
3.- Nel merito si ricorda che, analogamente a quanto previsto per il rapporto di lavoro privato dall'art. 2103 c.c. (nel testo anteriore alle modifiche disposte dal d.lgs. n. 81/2015), anche nell'impiego pubblico contrattualizzato vige il principio, sancito dall'art. 52, comma 1, D.lgs. n. 165/2001, secondo
cui il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni
equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento.
In particolare, il menzionato art. 52 dispone che “Per obiettive esigenze di servizio il prestatore
di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore: a) nel caso
di vacanza di posto in organico. per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state
avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti come previsto al comma 4;
b) nel caso di

sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell'assenza per ferie, per la durata dell'assenza.

3. Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l'attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo,

quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni.

4. Nei casi di cui al comma 2, per il

periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica
superiore. … 5. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l'assegnazione del lavoratore a
mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore”.
Tale disposizione esclude, dunque, che dallo svolgimento di mansioni superiori possa scaturire
un diritto del lavoratore pubblico all'automatica attribuzione di un diverso inquadramento contrattuale
(v. Cass. n. 24266/2016). Ne deriva, invece, un diritto patrimoniale dello stesso, non condizionato alla
sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione o alle previsioni dei contratti collettivi, ma
solo al fatto che tali mansioni superiori siano state svolte sotto il profilo quantitativo e qualitativo nella
loro pienezza, con i poteri e le responsabilità correlate a detta attività (v. Cass. n. 18808/2013);
la
giurisprudenza di legittimità ha poi precisato che tale diritto trova unico limite nei casi in cui
l'espletamento delle mansioni superiori sia avvenuto all'insaputa o contro la volontà dell'ente, ovvero
quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o ancora in ogni ipotesi in
cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali, generali, o con principi
basilari pubblicistici dell'ordinamento (v. Cass. n. 14808/2020).
In ogni caso, le Sezioni Unite della S.C., con la sentenza n. 25837/2007, nel ritenere applicabile all'impiego pubblico, senza limitazioni temporali, il principio della retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 Cost., hanno anche chiarito che l'applicazione dello stesso non deve
necessariamente tradursi in un rigido automatismo di spettanza al pubblico dipendente del trattamento
economico esattamente corrispondente alle mansioni superiori, ben potendo risultare diversamente
osservato il precetto costituzionale anche mediante la corresponsione di un compenso aggiuntivo
rispetto alla qualifica di appartenenza (così da ultimo Cass. n. 11009/2022).
Ciò posto, il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell'inquadramento di
un lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti nell'accertamento in fatto delle
attività lavorative in concreto svolte, nell'individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto
collettivo di categoria e nel raffronto tra il risultato della prima indagine e i testi della normativa
contrattuale individuati nella seconda (v. di recente Cass. n. 12039/2020 e n. 818/2020)
Ne deriva che il lavoratore che richieda l'inquadramento in una qualifica superiore ha l'onere di
allegare e di provare gli elementi posti a base della domanda e, in particolare, di indicare i profili
caratterizzanti le
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