Trib. Messina, sentenza 12/08/2024, n. 1930

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Messina, sentenza 12/08/2024, n. 1930
Giurisdizione : Trib. Messina
Numero : 1930
Data del deposito : 12 agosto 2024

Testo completo

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI MESSINA
SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI
IMMIGRAZIONE, PROTEZIONE INTERNAZIONALE E
LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI DELL'UNIONE
EUROPEA
Composto dai sig.ri
dott. C B Presidente
dott.ssa V C Giudice
dott.ssa F P Giudice Onorario est.
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nel procedimento iscritto al N. 2035 del Registro Generale 2023
TRA
nato il 01.01.1989 a Tandekunda (Gambia), (C.F. Parte_1
), ed elettivamente domiciliato in Rometta C.F._1
(ME), CAP. 98043 - Via Luigi Pirandello nr. 02 presso lo studio dell'Avv. C G, che lo rappresenta e difende come da procura in atti;

RICORRENTE
E
- Questura di Messina C.F. , in Controparte_1 P.IVA_1
persona del pro tempore rappresentato e difeso ex lege CP_2


dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato sita in Messina C.F.
presso i cui uffici in Via dei Mille is. 221, è ope C.F._2
legis domiciliato;

RESISTENTE
Oggetto: opposizione ex art. 19-ter D.Lgs. n. 150/2011
IN FATTO E IN DIRITTO
Con ricorso ex art. 281 decies c.p.c. e 19 ter D. Lgs. 150 del
2011, depositato il 19.06.2023, impugnava il decreto del Parte_1
Questore della Provincia di Messina, Cat. A/12 n. 23/2023, emesso in data 13.03.2023 e notificato in data 20.04.2023, con il quale era stata rigettata l'istanza, presentata in data 03.08.22, intesa ad ottenere il rilascio del permesso di soggiorno per “protezione speciale” ex art. 19 comma 1 e 1.2 T.U.I. In particolare, il Questore competente aveva ritenuto di dover procedere al rigetto della suddetta istanza per effetto del parere contrario al mantenimento del predetto permesso di soggiorno formulato dalla Commissione Territoriale di Catania in data
30.01.2023, la quale aveva sostenuto, sic et simpliciter, che “…. Dalla documentazione prodotta emerge che, sulla base degli elementi forniti dallo stesso non è possibile evincere che un eventuale allontanamento dell'istante dal territorio italiano contrasti significativamente con il rispetto della sua vita privata e familiare e violi il disposto dell'art. 8
CEDU… L'istante non ha presentato alcuna documentazione che attesti il dichiarato buon livello di conoscenza e comprensione della lingua italiana, né tantomeno, documentazione relativa all'attività lavorativa svolta. Inoltre, dalla documentazione medica prodotta, non sono emerse significative patologie”. Orbene, nel caso di specie, la
Commissione Territoriale, valutata l'istanza presentata dal ricorrente, rilevava che la documentazione allegata non permetteva di fondare con ragionevole probabilità che un eventuale allontanamento dell'istante potesse contrastare in modo significativo con il rispetto
della sua vita privata e familiare, in quanto egli ometteva di dimostrare in sede amministrativa elementi tali da fondare un positivo giudizio circa il suo radicamento nel tessuto economico – sociale della comunità di riferimento. Rilevava parte ricorrente che, viceversa, sussistevano tutti i requisiti per ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno per “protezione speciale”;
di conseguenza, chiedeva, preliminarmente, la sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, e, nel merito, l'annullamento dello stesso affinchè gli fosse concesso il riconoscimento del diritto alla suddetta protezione. L'odierno deducente evidenziava segnatamente come, appena arrivato in Italia, a causa delle proprie condizioni di salute e di fragilità emotiva fortemente compromesse dalle violente e numerose torture subite in Libia, la propria attività lavorativa, di cui non era stato possibile fornire prova se non a partire dal mese di ottobre del
2022, si fosse limitata a qualche piccola collaborazione domestica ed agricola a lui richiesta o offerta da alcune delle persone che egli aveva incontrato durante la sua permanenza a Messina e a Barcellona P.G.
(ME);
come successivamente, nell'ottobre del 2022 e, precisamente il
25.10.2022, il ricorrente fosse stato assunto con contratto a tempo determinato presso la Società agricola denominata “EREDI DI
MACCA GIOVANNI DI MACCA EMANUELE &
c. SS”, con sede in Vittoria;
come, pur di lavorare e integrarsi in modo regolare nell'ambiente lavorativo, si fosse reso disponibile a viaggiare settimanalmente da Messina a Vittoria. Aggiungeva pertanto come la
Commissione Territoriale non avesse erroneamente considerato dirimente la documentazione allegata nel modello integrativo all'istanza di protezione speciale, rigettando in toto la domanda senza in alcun modo considerare l'integrazione documentale prodotta con totale mancanza di audizione personale, tutti elementi questi che avrebbero dimostrato la sussistenza delle condizioni per la permanenza del ricorrente in Italia ed il suo stato di integrazione.
Nelle more, con decreto del 21.09.23, veniva disposta la sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato in considerazione delle allegazioni attestanti l'integrazione sociale del ricorrente, da tempo presente sul territorio.
Con comparsa di costituzione e risposta si costitutiva
l'Amministrazione resistente chiedendo, previo rigetto dell'istanza cautelare, di respingere il ricorso in quanto ritenuto infondato.
In data 01.03.24 il Giudice designato per la trattazione della causa disponeva discussione orale davanti al Collegio per l'udienza del 30.05.24. Alla medesima udienza il procuratore legale insisteva in quanto già esposto, chiedendo la decisione, e la controparte si riportava ai propri atti di causa. A questo punto il Giudice delegato prendeva la causa in riserva rimettendo gli atti al Collegio per la decisione.
Ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato e che la domanda meriti accoglimento per le ragioni di seguito esposte.
Occorre preliminarmente premettere che la protezione complementare, invocata nella specie dal ricorrente, è il risultato della riforma introdotta con D.L. 21 ottobre 2020, n. 130 convertito con la legge n. 173 del 18.12.2020, che, pur avendo mantenuto la dicitura
«protezione speciale» introdotta con D.L. 04.10.2018 n. 231, ha allargato le ipotesi in cui il relativo permesso può essere rilasciato e ha espressamente consentito la conversione del suddetto permesso di soggiorno in permesso di lavoro.
Come è noto, il D.L. 4 ottobre 2018, n. 113 (cd. “decreto sicurezza”), con l'intento di ridurre la discrezionalità nel riconoscimento della protezione umanitaria, aveva sostanzialmente abrogato la protezione umanitaria come categoria generale e aperta
(sopprimendo il comma 6 dell'art. 5 d.lgs. n. 286 del 1998, che prevedeva il rilascio di un permesso di soggiorno in caso di “seri motivi” di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o
internazionali dello Stato italiano) e aveva sostituito il permesso “per motivi umanitari” con ipotesi specifiche e tipiche di permessi speciali, solo in parte riconducibili al già previsto permesso di soggiorno per ragioni umanitarie;
aveva, quindi, previsto, all'art. 32 D.Lgs. n. 25 del
2008, la trasmissione degli atti dalla Commissione Territoriale al
Questore, in caso di rigetto delle forme maggiori di protezione internazionale, ai fini del rilascio di un permesso di “protezione speciale” in presenza di rischi di persecuzione per motivi di discriminazione (rinvio all'art. 19 comma 1 D. Lgs. 286/1998), di tortura o di gravi violazioni dei diritti umani nel paese di origine
(rinvio all'art. 19 comma 1.1 D. Lgs. 286/1998) salvo che potesse disporsi l'allontanamento verso uno Stato che provvede ad accordare una protezione analoga. La protezione speciale era stata quindi configurata dal legislatore come norma di chiusura, in ideale contraltare all'apertura del catalogo dei seri motivi già contemplati dal
D. Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.
Orbene, il legislatore, con il D.L. n. 130 del 2020 convertito con la legge n. 173 del 18.12.2020, ha ripristinato nell'art. 5 comma 6 D.
Lgs. 286/1998 il richiamo agli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato (ma non anche il riferimento ai seri motivi di carattere umanitario);
ha ampliato le ipotesi di divieto di respingimento di cui all'art. 19 comma 1.1 D. Lgs. 286/1998 prevedendo il caso in cui lo straniero rischi di essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti
e quello in cui vi siano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU);
ha leggermente modificato i presupposti che vietano l'espulsione dello straniero per ragioni di salute già previsti nell'art. 19 comma 2 lett. d bis D. Lgs.
286/1998 (in luogo di “condizioni di salute di particolare gravità” ora si parla di “gravi condizioni psico fisiche o derivanti da gravi patologie”) prevedendo che anche in tal caso la Commissione
Territoriale in caso di rigetto della domanda di protezione internazionale trasmetta gli atti al Questore (art. 32 comma 3.1 D.
Lgs. 25 del 2008);
infine, il legislatore, pur mantenendo la dicitura
“protezione speciale”, ha previsto che il suddetto permesso di soggiorno abbia durata biennale (e non più annuale) e che sia convertibile. La giurisprudenza di legittimità, subito dopo la suddetta novella normativa (Cass. civ. 29.03.2021 n. 8713) ha sottolineato che il riferimento contenuto nella legge al “rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano” delinea una "nuova protezione speciale" che si presenta, prima facie, caratterizzata da un compasso di ampiezza almeno corrispondente a quello della protezione umanitaria previgente all'entrata in vigore del D. L. n. 113 del 2018, convertito con modificazioni nella Legge n. 132 del 2018, nell'interpretazione che di detta forma di protezione era stata fornita dal consolidato orientamento della Suprema Corte, che già aveva sottolineato che le situazioni di “vulnerabilità” che potevano dar luogo
a tale forma di protezione non si esauriscono in quelle indicate nell'art.
2, comma 1, lett. h-bis), del D. Lgs. n. 25 del 2008 (minori non accompagnati;
disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, vittime della tratta di esseri umani, persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali;
persone per le quali è accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, vittime di mutilazioni genitali), ma costituiscono un catalogo aperto, in quanto l'indagine diretta alla verifica della sussistenza dei presupposti di vulnerabilità richiesti ai fini del rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari va condotta svolgendo “... una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio” (Cass. Sez.
1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018;
Cass. Sez. U, Sentenza n. 29459
del 13/11/2019;
Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17130 del 14/08/2020;

Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 1104 del 20/01/2020).
In particolare, l'attuale protezione complementare va riconosciuta quando lo straniero possa essere oggetto di “persecuzione per motivi di razza, di sesso, di orientamento sessuale, di identità di genere, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione” ovvero quando lo straniero “rischi di essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti”. Si tratta di ipotesi in cui non può disporsi l'espulsione o il respingimento in quanto riconducibili a quelle per le quali di regola va concesso lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria, ma nella fattispecie concreta non è possibile riconoscere la protezione internazionale per la presenza di fatti impeditivi quali una causa di revoca o una causa ostativa.
La protezione complementare va, poi, riconosciuta quando il divieto di non refoulement derivi dal “rispetto degli obblighi costituzionali ed internazionali”. L'adesione a specifiche convenzioni
a tutela dei diritti umani, quali quella sulla tortura, sulla disabilità, sulle violenze di genere, integrata dalla griglia dei diritti inviolabili della Costituzione consente di effettuare una catalogazione che rende
l'applicazione del divieto concretamente determinata. Gli interessi protetti non possono, però, restare ingabbiati in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali (Cass. Sez. 1,
Sentenza n. 24160/2020;
n. 13079/2019;
Ordinanza n. 8571/2020), in quanto l'orizzontalità dei diritti umani fondamentali promuove
l'evoluzione della norma a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l'attuazione e ciò a prescindere dall'esistenza di un rischio per il richiedente asilo di essere esposto
alla violazione dei diritti umani contemplati dalle convenzioni internazionali o dalla Costituzione anche nel paese di rientro.
L'ultima ipotesi prevista dal legislatore è quella contemplata dall'art. 19 comma 1.1 parte seconda che stabilisce che non sono ammessi il respingimento o l'espulsione di una persona verso uno
Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale comporti “una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, a meno che esso sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale, di ordine e sicurezza pubblica nonché di protezione della salute nel rispetto della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951, resa esecutiva dalla legge 24, resa esecutiva dalla legge 24 luglio 1954, n. 722, e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Ai fini della valutazione del rischio di violazione di cui al periodo precedente, si tiene conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell'esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d'origine”. Per questa tipologia di protezione complementare la casistica giurisprudenziale è molto ampia nella giurisprudenza di legittimità che si è formata dopo la sentenza n. 4455 del 2018 con riferimento alla “protezione umanitaria” e la principale novità della nuova forma di protezione è che, in base al dettato normativo, non sembra più necessaria la valutazione comparativa indicata dalle Sezioni Unite con riferimento alla protezione umanitaria nella sentenza n. 29459/2019, neppure nella forma della proporzionalità inversa stabilita nella recente sentenza delle S.U. n. 24413 del 2021, dal momento che
l'esame dei legami familiari culturali o sociali con il Paese di origine costituisce elemento di valutazione del grado di radicamento allegato, non ulteriore requisito della complessiva fattispecie che dovrebbe condurre al riconoscimento della protezione complementare. Sotto
questo profilo il nuovo regime appare, pertanto, diverso da quello previgente, in relazione al quale doveva, invece, essere assolto un onere allegativo anche relativo alle condizioni soggettive ed oggettive nel Paese di origine, ancorché correlato alla ragione di radicamento.
Riprendendo argomenti svolti dalla giurisprudenza sovranazionale, la Suprema Corte ha chiarito che, indipendentemente dall'esistenza o meno di una "vita familiare", l'espulsione di uno straniero stabilmente insediato può tradursi in una violazione del suo diritto al rispetto della sua vita privata. Ha altresì precisato che la protezione offerta dall'articolo 8 CEDU concerne l'intera rete di relazioni che il richiedente si è costruito in Italia;
relazioni familiari, ma anche affettive e sociali (si pensi alle esperienze di carattere associativo che il richiedente abbia coltivato) e, naturalmente, relazioni lavorative e, più genericamente, economiche (si pensi ai rapporti di locazione immobiliare), le quali pure concorrono a comporre la "vita privata" di una persona, rendendola irripetibile, nella molteplicità dei suoi aspetti, «sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità». In definitiva, attraverso il riferimento al rispetto della sua vita privata il legislatore ha inteso tutelare l'integrazione sociale desumibile da indici socialmente rilevanti quali la titolarità di un rapporto di lavoro (pur se
a tempo determinato, costituendo, in questo momento storico, tale forma di rapporto quella più diffusa di accesso al mercato del lavoro), la titolarità di un rapporto locatizio, la presenza di figli che frequentino asili o scuole, la partecipazione ad attività associative radicate nel territorio di insediamento. Va, comunque, sottolineato che
l'integrazione sociale non costituisce una condicio sine qua non della protezione speciale, bensì uno dei possibili fatti costitutivi del diritto a tale protezione.
In ogni caso, l'accertamento del diritto alla protezione complementare postula sempre, proprio per l'atipicità dei relativi fatti
costitutivi, l'esigenza di procedere a valutazioni soggettive ed individuali, da svolgere caso per caso.
Orbene, nel caso de quo, nella valutazione del percorso di inserimento sociale avviato dal ricorrente occorre, in primo luogo, considerare come lo stesso, dopo aver abbandonato il proprio paese, sin dal suo arrivo in Italia, abbia sempre lavorato dimostrando di avere raggiunto un elevato grado di integrazione nel tessuto socio- economico italiano che merita di essere certamente valorizzato ed apprezzato anche in raffronto con la situazione vissuta nel paese di origine. Ciò posto, dalla documentazione versata in atti, si evince come il richiedente abbia svolto dapprima attività lavorativa, con contratto a tempo determinato dal 25.10.22 al 31.07.23, come bracciante agricolo presso la società agricola “EREDI DI MACCA
GIOVANNI DI MACCA EMANUELE &
c. SS”, con sede in
Vittoria, c.da Pozzo Ribaudo, e da ultimo come addetto ai servizi di pulizia, a far data dal 18.03.24 con contratto a tempo determinato con scadenza il 30.04.24, successivamente prorogato al 30.06.24. a far data dal 01.06.23. Si aggiunga che, secondo quanto ritenuto dalla
Suprema Corte (Sez. 6 - 1, n. 12649 del 12.5.2021), ai fini del riconoscimento della protezione speciale, la circostanza che il richiedente abbia dedotto, tra l'altro, di avere subito violenze nel paese di transito, deve essere considerata unitamente al parametro dell'inserimento sociale e lavorativo nel nostro paese, poiché si tratta di fatto potenzialmente idoneo ad incidere sulla sua condizione di vulnerabilità, tanto da essere ostativa al rientro del richiedente nel suo paese di provenienza.
Alla luce di quanto sopra esposto ed in ottemperanza al principio di diritto enucleato dalla Suprema Corte, va quindi riconosciuto al ricorrente il diritto al riconoscimento della suddetta protezione, considerando in particolare le violenze subite in Libia, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte
grado di traumaticità, a incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona. Tali violenze possono assumere rilevanza centrale nella valutazione del grado di vulnerabilità della persona atteso che il giudizio comparativo che occorre svolgere tra la condizione personale
e le conseguenze di un eventuale rimpatrio non può prescindere dalla considerazione della persona, dei suoi diritti fondamentali e della sua dignità di essere umano.
Deve, quindi, acclararsi, alla luce di quanto premesso,
l'esistenza dei presupposti del divieto di respingimento ai sensi del novellato art. 19 del D. Lgs 286/98, poiché esistono fondati motivi di ritenere che l'allontanamento dal territorio nazionale comporterebbe una violazione al rispetto della propria vita privata e sociale e gravi ed insormontabili difficoltà nel tentativo di ricostruirsi una vita, con conseguente compromissione dei suoi diritti e della sua dignità personale.
Per tali motivi, acclarato il carattere contra ius del provvedimento impugnato, quest'ultimo va pertanto annullato e deve disporsi la trasmissione degli atti al Questore per il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale.
Stante la delicatezza della materia, l'esistenza comunque di orientamenti contrastanti e la mutevolezza della situazione di fatto, si ritiene di dovere compensare tra le parti le spese legali.
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