Trib. Nocera Inferiore, sentenza 18/01/2024, n. 62

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Nocera Inferiore, sentenza 18/01/2024, n. 62
Giurisdizione : Trib. Nocera Inferiore
Numero : 62
Data del deposito : 18 gennaio 2024

Testo completo

r.g. 447/21
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE
SEZIONE LAVORO

Il Giudice del lavoro, dott. Angelo De Angelis, all'udienza del 18.01.2024, all'esito della Camera di Consiglio, ha pronunciato con motivi contestuali la seguente
SENTENZA

nella causa civile iscritta al N. 447/2021 R.G. Sezione Lavoro, avente ad oggetto: “rapporto di lavoro subordinato privato: retribuzione” e vertente
TRA
) - avv. PELELLA Parte_1 C.F._1
ANTONIETTA ( );
C.F._2
RICORRENTE

E
( ) - avv. PAOLILLO Controparte_1 C.F._3
LUCIO ( );
avv. BUONGIORNO VALERIO C.F._4
( ;
C.F._5
RESISTENTE
RAGIONI DELLA DECISIONE
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Con ricorso depositato in data 09.02.2021, la parte ricorrente di cui in epigrafe deduceva di essere stato socio, assieme al convenuto, della dal 05.08.2015 al Controparte_2
27.08.2018, avendo, in realtà, effettuato attività di lavoro subordinato di addetto alla vendita di cui al III livello del ccnl del settore Commercio.
Rilevava di aver osservato un orario di lavoro di 48 ore settimanali articolate dal lunedì al sabato, dalle 4,00 alle 10,30 e talvolta anche sino alle 12,00, ricevendo, per tale attività, un compenso settimanale pari a €
350,00, senza mai percepire gli utili né la busta paga o, tantomeno, al momento della cessione della sua quota societaria, l'indennità di cessazione del rapporto e le provvigioni, nonostante il suo lavoro avesse sviluppato gli affari e procurato nuova clientela. Pertanto, illustrati i motivi in diritto, chiedeva al giudice del lavoro adito di accertare la natura subordinata del rapporto e, per l'effetto, condannare la controparte al pagamento in suo favore della somma di € 57.823,00 oltre a € 6.137,00 per tfr;
in subordine, chiedeva all'accertamento della natura para-subordinata del rapporto e la condanna del resistente al pagamento di € 23.800,00, oltre a € 39.896,63 a titolo di utili non versati.
Instauratosi il contraddittorio, la parte resistente si costituiva in giudizio concludendo come in atti.
Ritiene il decidente che vanno necessariamente effettuate alcune considerazioni preliminari.
In primo luogo, va ricordato il principio, sempre affermato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui il giudice di merito, nell'indagine diretta all'individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, sì come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia in relazione alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell'effettivo suo contenuto sostanziale. In particolare, il giudice non può prescindere dal considerare che anche un'istanza non espressa può ritenersi
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implicitamente formulata se in rapporto di connessione con il petitum e la causa petendi (cfr., tra le tante Cass. n. 3012/10 e Cass. n. 27713/23).
Pertanto, ritiene il decidente che la pretesa attorea, seppure enunciata in termini non sempre lineari nel corpo del ricorso, vada interpretata come richiesta di accertamento della natura subordinata del rapporto intercorso col solo convenuto (e non anche verso la società), ad onta della qualificazione meramente formale di contratto di società di persone;
in subordine, le rivendicazioni attoree andrebbero sussunte in un rapporto di agenzia para-subordinata, avendo richiesto il lavoratore diritti connessi a questa tipologia di contratto. In nessun caso, invece, in questa sede possono essere scrutinati i diritti connessi alla natura societaria del rapporto, sia in quanto esulano dalle richieste principali e subordinate (che mirano, invece, all'accertamento della fittizietà di tale contratto) e sia in quanto le stesse sono di competenza funzionale del giudice civile ordinario
e non del giudice del lavoro, che ha la competenza solo sui rapporti ex art.
409 c.p.c.
.
Tale qualificazione della prospettazione attorea rende, di conseguenza, superabili le eccezioni del resistente in merito alla improcedibilità e inammissibilità della domanda del lavoratore per intervenuta rinuncia ai suoi diritti contenuta nel preliminare di cessione della quota sociale, per la mancata attivazione del procedimento arbitrale e per difetto di legittimazione passiva.
Invero, nel primo caso, la richiesta di accertamento della subordinazione fa sì che trovi applicazione di disposto di cui all'art. 2113
c.c.
, secondo cui le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi non sono valide, ma la relativa impugnazione deve essere proposta a pena di decadenza entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima.
Atteso che la ratio dell'art. 2113 c.c. consiste nella tutela del lavoratore quale parte più debole del rapporto (cfr. Cass. n. 2734/04), la giurisprudenza, condivisa pienamente da questo giudicante, ha inteso interpretare in senso restrittivo tale dettato normativo. Si è soliti pertanto
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distinguere le transazioni dalle cd. quietanze a saldo che si sostanziano in dichiarazioni del lavoratore che dà atto di aver ricevuto una determinata somma a totale soddisfacimento di ogni sua spettanza e di non aver null'altro a pretendere dal proprio datore di lavoro e che costituiscono di norma mere dichiarazioni di scienza o di opinione, salvo che risulti accertato, sulla base dell'interpretazione del documento o per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili aliunde, che esse siano state rilasciate con la consapevolezza di diritti determinati o obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi (cfr. Cass. n. 5930/98;
Cass. n. 9407/01;
Cass. n. 15371/03). Ne consegue che le mere dichiarazioni di rinuncia a maggiori somme riferite, in termini generici, ad una serie di titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato ed alla conclusione del relativo rapporto hanno natura neutra e sono assimilabili alle clausole di stile e non sono sufficienti ex se a comprovare l'effettiva sussistenza della volontà dispositiva dell'interessato. In altri termini, a parere del giudicante,
l'accordo transattivo stragiudiziale - in assenza di altri elementi - può validamente spiegare i suoi effetti ex art. 2113 c.c. solo se al suo interno contiene in maniera dettagliata gli importi delle singole voci retributive su cui le parti vogliono focalizzare la loro intesa e i parametri fattuali e contabili sulla base dei quali gli importi sono stati determinati, di guisa che solo se ogni parte (e specie il prestatore, che è contraente debole nella fattispecie) conosce bene ciò che rinunzia può validamente ed efficacemente manifestare la propria volontà di rinunziare. I superiori principi sono pienamente sovrapponibili al caso di specie, atteso che nel contenuto dell'atto sottoscritto il 06.07.2018 sono indicate delle voci creditorie in via oltremodo generica e indeterminata, senza alcuna specificazione degli esatti importi verso i quali l'intento di rinunciare e transigere da parte del lavoratore si doveva manifestare per far scattare gli effetti di cui alla mentovata disposizione normativa. Peraltro, nell'atto non si effettua alcun riferimento a eventuali crediti di natura retributiva.
La rivendicazione della natura subordinata del rapporto esclude, altresì, l'efficacia della clausola arbitrale, non potendo trovare applicazione il disposto di cui all'art. 412 ter del codice di rito.
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Infine, il convenuto è legittimato
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