Corte d'Appello Lecce, sentenza 03/01/2025, n. 690
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Testo completo
Appello sentenza Tribunale di Lecce n. 2004 del 29.08.2022 Oggetto: risarcimento del danno per infortunio sul lavoro (art. 2087 c.c.)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI LECCE
Sezione Lavoro
Riunita in Camera di Consiglio e composta dai Magistrati:
Dott. Gennaro Lombardi Presidente
Dott.ssa Maria Grazia Corbascio Consigliere
Dott.ssa Luisa Santo Consigliere relatore ha pronunciato la presente
S E N T E N Z A nella causa civile in materia di lavoro, in grado di appello, tra
INPS, rappresentato e difeso dagli avv.ti Ilaria De Leonardis, Marcella Mattia e Raffaele Tedone
Appellante
e
RI IU, rappresentato e difeso dall'avv. Maria Antonietta Palmieri
Appellato
FATTO
Con ricorso depositato il 2.10.2018 ZZ IU -premesso di: aver prestato attività lavorativa alle dipendenze dell'INPS fino al 31.01.2015, inquadrato in categoria C2;
aver subito un infortunio sul lavoro in data 15.11.2010, allorquando, durante l'attività lavorativa, era caduto a terra dalla sedia che si era rotta all'improvviso, battendo la testa contro la scrivania e l'armadio;
aver ottenuto, in conseguenza del predetto infortunio, con determinazione INPS n. 27 del 5 febbraio 2013, il riconoscimento della causa di servizio per la infermità “trauma cranio-cervicale con vertigini associata cervicalgia e sindrome ansioso depressiva”, ascritta alla categoria VIII della Tabella A DPR n. 834/81;
aver impugnato giudizialmente tale determinazione ottenendo, con sentenza n. 3296/2017 del
Tribunale di Lecce, il riconoscimento dell'ascrivibilità della patologia alla categoria VII della medesima tabella;
aver ottenuto, da parte dell'INAIL, il riconoscimento dell'infortunio, con una percentuale di inabilità permanente commisurata al 2% e con liquidazione dell'indennità per inabilità 1
temporanea pari a € 2.680,00;
non aver potuto riprendere l'attività lavorativa a causa dell'infortunio da gennaio 2011 al 1 febbraio 2015, con conseguente perdita della retribuzione- deduceva che le patologie da cui era affetto erano da attribuirsi a colpa dell'Istituto datore di lavoro, che non aveva adottato, come invece prescritto dall'art. 2087 c.c., tutte le misure idonee a tutelare la integrità psico- fisica del lavoratore, Chiedeva, pertanto, la condanna dell'INPS al pagamento della somma di €
5.490,00 per danno differenziale, nonché al pagamento della somma di € 38.000,00 a titolo di risarcimento per la retribuzione non percepita da gennaio 2011 a gennaio 2015, oltre accessori.
L'INPS rimaneva contumace nel primo grado di giudizio.
Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale -acquisita la prova, a mezzo di testimoni, che la sedia fornita in dotazione al ricorrente non era in buono stato di manutenzione e che di tanto era stato informato l'ufficio addetto alla gestione degli arredi- accertava la violazione, da parte dell'INPS, delle norme in materia di sicurezza del lavoro. Quindi, dava atto della valutazione del danno permanente effettuata dall'INAIL in misura del 2% e dava atto, anche, che, a seguito del riconoscimento della causa di servizio, il ricorrente aveva ottenuto, a titolo di equo indennizzo, la somma di € 1.968,09 (in conseguenza della sentenza della Corte di Appello di Lecce n. 496/2021, che -riformando sul punto la sentenza n. n. 3296/2017 del Tribunale- aveva ritenuta corretta la iniziale valutazione effettuata in via amministrativa, circa la ascirivibilità della patologia nella categoria VIII della Tabella A).
Pertanto -richiamato il principio di diritto secondo cui non sono cumulabili le somme dovute dallo stesso debitore a titolo di risarcimento del danno e di indennizzo, ove sia unico l'evento causativo di entrambi (Cons. di Stato n. 1/2018)- quantificava il risarcimento del danno biologico in € 2.418,00 (€
2.015,00 oltre a un aumento del 20% per personalizzazione del danno) e, detratta la somma di €
1.968,09 percepita a titolo di equo indennizzo, riteneva dovuta dall'INPS la residua somma di €
432,00. Non riconosceva, invece, alcunché a titolo di danno biologico temporaneo differenziale, in quanto nel ricorso era stata chiesta solo la condanna dell'INPS al risarcimento del danno differenziale per invalidità permanente (e solo nelle note depositate il 16.12.2020, tardivamente, si era fatto riferimento al danno biologico temporaneo). Respingeva pure la domanda di condanna dell'INPS al risarcimento del danno per perdita della retribuzione, ritenendola generica in mancanza di specificazioni in merito all'indennità di malattia percepita durante il periodo di assenza, e ritenendo inverosimile che una invalidità permanente del 2% avesse potuto impedire al ricorrente di lavorare per il lungo lasso di tempo dedotto in ricorso. Condannava, quindi, l'INPS al pagamento della complessiva somma di € 432,00, oltre interessi legali, e al pagamento della metà delle spese di giudizio, liquidata in € 430,00, oltre accessori.
2
Avverso tale decisione ha proposto appello l'INPS, censurandola per i seguenti motivi: 1) nullità della sentenza a causa della nullità della notifica