Cass. civ., sez. U, sentenza 12/11/2004, n. 21498

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La notifica della cartella esattoriale, nel periodo che precede il primo gennaio 1999, andava effettuata entro il termine di decadenza di cui all'art. 17 DPR n. 602 del 1973. Detto termine, ancorchY riguardante l'esecutivita' dei ruoli, deve intendersi riferito anche alla notifica della cartella esattoriale, non potendosi ritenere che il privato rimanga assoggettato sine die al potere impositivo dell'amministrazione finanziaria. *Massima redatta dal Servizio di documentazione Economica e Tributaria.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. U, sentenza 12/11/2004, n. 21498
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 21498
Data del deposito : 12 novembre 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

 Svolgimento del processo
1.- P.P. ricorse avverso la cartella di pagamento notificatagli il 5
aprile 1995, per complessive lire 5.731.000, a titolo di Irpef ed Ilor
relative al 1988, deducendo la decadenza dell'Amministrazione finanziaria,
per non avere proceduto alla liquidazione delle imposte pretese "entro il 31
dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione" della
dichiarazione, ai sensi dell'art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 - nella
versione vigente ratione temporis -, termine che assumeva stabilito appunto
a pena di decadenza;
e, comunque, per non avere proceduto alla iscrizione
nei ruoli ed alla notifica "entro il 31 dicembre del quinto anno successivo
a quello in cui e' presentata la dichiarazione", a mente dell'art. 17, comma
1, D.P.R. n. 602/1973, in relazione all'art. 43, comma 1, D.P.R. n.
600/1973. La Commissione tributaria di I grado di Firenze respinse il
ricorso, e, con la decisione indicata in epigrafe, la Commissione tributaria
regionale della Toscana ha accolto il gravame del contribuente. Mentre ha
ritenuto rispettato il termine per l'iscrizione a ruolo, con riguardo al
richiamato art. 17, ha, in ordine a quello ex art. 36-bis, testualmente
osservato:
al di la' della questione circa la perentorieta' ed ordinatorieta' del
termine, di cui all'art. 36-bis, D.P.R. n. 600/1973, lo stesso e' comunque
scaduto.
"Ove il cennato termine avesse natura sostanziale sulla base delle
considerazioni svolte dalla Corte di Cassazione (Sez. I 29 luglio 1997, n.
7088) al medesimo occorrerebbe attribuire natura decadenziale.
"L'art. 28, L. n. 449/1997, definita norma interpretativa, ha pero'
affermato l'ordinarieta' del termine.
"Non va, pero', negletta la considerazione circa il sostanziale
carattere innovativo piuttosto che interpretativo della disposizione or ora
richiamata in quanto collegata con precedenti norme di cui stabilisce la
portata, con la conseguenza della sua inapplicabilita' ai rapporti pregressi.
"La disposizione ora citata dispiega pero' i propri effetti in relazione
al termine dell'accertamento non certo al suo contenuto.
"Ammessa, quindi, la non perentorieta' del termine, nei cinque anni si
sarebbe dovuto, comunque, notificare apposito avviso.
"Atteso che il ruolo puo' essere anch'esso di per se' impugnato, questo
potrebbe anche assumere la funzione dell'avviso a condizione di averne pero'
le peculiarita' sia per quanto attiene alla perentorieta' del termine, sia
per quel che riguarda una adeguata motivazione al provvedimento, carente
nella fattispecie concreta.
"Nell'ipotesi in cui si attribuisca al termine di cui all'art. 36-bis
natura processuale, lo stesso potrebbe essere prorogato dal giudice pero'
prima della scadenza ai sensi dell'art. 154 del codice di procedura civile".
1.1. - Per la cassazione ha proposto ricorso l'Amministrazione
finanziaria, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli artt.
36-bis, 43, D.P.R. n. 600/1973, art. 17, D.P.R. n. 602/1973 e art. 28 della
L. n. 449/1997, con connesso vizio di motivazione. Ha rilevato che il
termine dell'art. 36-bis citato ha natura meramente ordinatoria, tanto da
non precludere il potere di rettifica - entro il termine decadenziale di cui
al successivo art. 43 -, come appare confermato gia' da Cass., Sez. I, n.
11235/1998, laddove la scadenza fissata nell'art. 17, D.P.R. n. 602/1973
attiene alla sola formazione del ruolo, e non puo' essere riferita - come ha
ritenuto il giudice del merito - alla notifica di "un apposito avviso" al
contribuente.
1.2. - Resistendo - con controricorso illustrato da memorie -, il P. ha
invece osservato che la qualificazione del termine come ordinatorio non e'
accompagnata, nel citato art. 28, L. n. 449/1997, da una disposizione
relativa a termini - comunque scaduti, e produttivi di decadenza -, anche se
di natura ordinatoria (Cass. n. 8976/1992;
in senso analogo, Cass. nn.
3340/1997, 12640/1992;
651/1991;
1633/1985), dovendosi altresi' considerare
l'impossibilita' di prorogare un termine ordinatorio gia' scaduto (art. 154
del codice di procedura civile). Dal rilievo, poi, che nel controllo
"cartolare" la liquidazione avviene mediante iscrizione a ruolo, salvo
l'esercizio del potere di rettifica, deriverebbe inevitabilmente che non e'
dato ipotizzare un termine di scadenza posteriore a quello fissato per
l'accertamento, con la conseguenza che, in applicazione del principio
affermato da Corte Costituzionale n. 229/1999, entro il termine fissato
dall'art. 17, D.P.R. n. 602/1973, non e' sufficiente l'iscrizione a ruolo
(con relativa consegna al concessionario), ma e' richiesta la stessa
notifica della cartella esattoriale.
1.3.- La Sezione tributaria, con ordinanza n. 2728 del 21 febbraio 2003,
ha sollecitato l'intervento delle Sezioni unite, segnalando il contrasto di
recente manifestatosi nella giurisprudenza della stessa sezione semplice in
ordine alla natura del termine in questione ed agli effetti della norma
interpretativa frattanto intervenuta. Difatti, alla enunciazione
cristallizzata, secondo cui "in tema di accertamento delle imposte sui
redditi, in virtu' del disposto dell'art. 28, L. n. 449/1997 - applicabile
anche ai giudizi in corso, trattandosi di norma interpretativa e, come tale,
avente effetto retroattivo - l'art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 deve
essere inteso nel senso che il termine ivi previsto per la rettifica della
dichiarazioni, avendo carattere ordinatorio, non e' stabilito a pena di
decadenza" (Cass. nn. 11235/1998;
7058, 9841 e 12995/1999;
10134/2000;
3413
e 7213/2001;
2526, 7283 e n. 9881/2002), si e' contrapposto il principio
enunciato da Cass. 17507/2002.
Secondo quest'ultima, "non ha efficacia retroattiva l'art. 28 della L.
n. 449/1997 - secondo il quale il comma 1 dell'art. 36-bis del D.P.R. n.
600/1973, nel testo da applicare fino alla data stabilita nell'art. 16,
D.Lgs. n. 241/1997, deve essere interpretato nel senso che il termine in
esso indicato, avendo carattere ordinatorio, non e' stabilito a pena di
decadenza - atteso che la norma non ha (nonostante qualunque contraria
interpretazione) natura interpretativa, e non sussiste alcun elemento per
poter attribuire, nella specie, in deroga al principio di cui all'art. 11
delle preleggi, efficacia retroattiva ad una norma innovativa: deve,
pertanto, ritenersi, in primo luogo, che il cit. art. 28, L. n. 449/1997
abbia trasformato in ordinatori soltanto i termini ancora pendenti alla data
della sua entrata in vigore e non gia' quelli scaduti, e, in secondo luogo,
che la trasformazione del termine da perentorio in ordinatorio (e non
meramente acceleratorio) comporti l'applicazione in via analogica della
disciplina dettata dall'art. 154 del codice di procedura civile, con
l'ulteriore conseguenza - anche in considerazione delle particolari garanzie
costituzionali che assistono la posizione del soggetto passivo d'imposta -
che dall'anzidetta trasformazione non deriva la proroga automatica del
termine, bensi' solo la sua prorogabilita', prima della scadenza e per una
durata non superiore al termine originario, con atto del giudice o della
Pubblica Amministrazione".
1.4.- Per dirimere l'indicato contrasto, la causa perviene all'esame
delle Sezioni Unite.
Motivi della decisione
Il ricorso dev'essere disatteso.
La riforma delle imposte sui redditi del 1973 non conosceva ne' il
versamento diretto del contribuente ne' la liquidazione dell'imposta
attraverso il controllo (cd. cartolare) degli uffici sulla dichiarazione.
Le imposte venivano riscosse mediante ruolo, nel quale andavano iscritte "in
tempo utile perche' l'ultima o unica rata scada entro dodici mesi dalla fine
dell'anno o dell'esercizio cui la dichiarazione si riferisce" (art. 17 del
D.P.R. n. 602/1973, nella formulazione originaria).
3.1.- La L. n. 576/1975 introdusse il versamento diretto dell'Irpef
dovuta in base alla dichiarazione (art. 17) e stabili' che l'iscrizione nei
ruoli dell'imposta dichiarata e non versata dovesse seguire, a pena di
decadenza, entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di
presentazione della dichiarazione (art. 16).
3.2.- Il D.P.R. n. 920/1976 introdusse, nel D.P.R. n. 600/1973, l'art.
36-bis, riguardante la "liquidazione delle imposte dovute in base alle
dichiarazioni", da eseguirsi "sulla scorta dei dati e degli elementi
direttamente desumibili dalle dichiarazioni stesse e dai relativi allegati"
(art. 2). Contestualmente, modifico' (art. 3) il citato art. 17 del D.P.R.
n. 602/1973, disponendo che le imposte liquidate in base alla dichiarazione,
comprese quelle riscuotibili mediante versamento diretto e non versate,
andassero iscritte nei ruoli formati e consegnati all'intendente di finanza
entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione della
dichiarazione.
3.3.- Il D.P.R. n. 506/1979 ha introdotto la disciplina che in questa
sede interessa. L'art. 1 ha integrato l'art. 36-bis citato, stabilendo che
la liquidazione delle imposte seguisse "entro il 31 dicembre dell'anno
successivo a quello di presentazione" della dichiarazione Correlativamente,
l'art. 2 ha nuovamente modificato l'art. 17, del D.P.R. n. 602/1973,
elevando notevolmente il termine, previsto a pena di decadenza, per
l'iscrizione a ruolo delle imposte liquidate in base alle dichiarazioni, ed
equiparandolo a quello - del 31 dicembre del quinto anno successivo a quello
di presentazione della dichiarazione - stabilito dall'art. 43, D.P.R. n.
600/1973 (nel testo all'epoca vigente) per la notifica degli avvisi di
accertamento.
3.4.- Non e' inopportuno ricordare - prima ancora che per dovere di
completezza, ai fini di un inquadramento storico-sistematico coerente - gli
ulteriori sviluppi del quadro normativo. L'art. 13, D.Lgs. n. 241/1997 ha
apportato innovazioni profonde al sistema, con la sostituzione degli artt.
36-bis e 36-ter, D.P.R. n. 600/1973: la liquidazione dell'imposta dovuta
sulla base della dichiarazione (controllo cd. cartolare) va effettuata
"entro l'inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative
all'anno successivo";
quella conseguente al controllo formale propriamente
detto va eseguita "entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello
di presentazione della dichiarazione". Mentre entrambe le fasi sono state
scisse da quella della riscossione mediante iscrizione a ruolo, si' e'
ampliato il contraddittorio, con obbligo per l'amministrazione di comunicare
al contribuente o al sostituto d'imposta, rispettivamente: a) l'esito della
liquidazione, "per evitare la reiterazione di errori e per consentire la
regolarizzazione degli aspetti formali" anche attraverso la comunicazione di
"dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione"
(art. 36-bis, comma 3, ulteriormente modificato, sotto l'ultimo profilo,
dall'art. 1, comma 1, lettera a del D.Lgs. n. 32/2001);
b) l'esito del
controllo formale, "per consentire anche la segnalazione di eventuali dati
ed elementi non considerati o valutati erroneamente" (art. 36-ter, comma 4,
ulteriormente modificato come sopra dall'art. 1, lettera b, del citato
decreto).
D'altro canto, anche l'art. 17, D.P.R. n. 602/1973 e' stato sostituito
dall'art. 6, D.Lgs. n. 46/1999, onde la iscrizione ruolo seguira', a pena di
decadenza: a) entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di
presentazione della dichiarazione, per le somme dovute ai sensi dell'art.
36-bis, D.P.R. n. 600/1973;
b) entro il 31 dicembre del terzo anno
successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme
dovute ai sensi dell'art. 36-ter;
c) entro il 31 dicembre dell'anno
successivo a quello in cui l'accertamento e' divenuto definitivo, per le
somme dovute in base agli accertamenti d'ufficio, a loro volta da
notificare, a decorrere dal l gennaio 1999, sempre a pena di decadenza,
entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui e' stata
presentata la dichiarazione, ai sensi dell'art. 43 dello stesso decreto
(come modificato dall'art. 15, comma 1, lettera a) del D.Lgs. n. 241/1997,
salve le successive proroghe, non tutte legate ai piu' recenti provvedimenti
di condono: es., art. 9, L. n. 448/1998).
4.- Il contrasto giurisprudenziale sottoposto all'esame delle Sezioni
Unite attiene al regime introdotto dal citato D.P.R. n. 506/1979, con
liquidazione delle imposte in base alla dichiarazione da effettuarsi "entro
il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione" (art. 36-bis,
nella versione vigente ratione temporis), ed iscrizione a ruolo
corrispondente da eseguirsi, "a pena di decadenza, entro il termine di cui
al primo corona dell'art. 43", vale a dire (sempre secondo la disciplina
vigente all'epoca) "fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello
in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata".
4.1.- Cass., Sez. I, n. 7088/1997 - seguita da Cass., Sez. I, n.
12442/1997 - ha ritenuto il primo termine stabilito a pena di decadenza per
sua stessa natura, in quanto inteso a garantire sia lo svolgersi delle
attivita' di controllo secondo i principi del buon andamento e della
imparzialita' dell'amministrazione, sia gli interessi dei contribuenti;
ed
ha rilevato come esso riguardasse - in assenza di un formale ed autonomo
atto di liquidazione dell'imposta - la stessa iscrizione a ruolo, laddove il
secondo termine (quello del comma 1 dell'art. 17 del D.P.R. n. 602/1973)
andasse limitato alla "riscossione delle imposte nell'ammontare risultante
dalla dichiarazione del contribuente, senza che la stessa sia in alcun modo
rettificata".
4.2.- In tale contesto e' intervenuta la norma interpretativa dell'art.
28, comma 1, della L. n. 449/1997, secondo cui "il comma 1 dell'art. 36-bis,
D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nel testo da applicare sino alla data
stabilita dall'art. 16, D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, deve essere
interpretato nel senso che il termine in esso indicato, avendo carattere
ordinatorio, non e' stabilito a pena di decadenza".
La disposizione e' stata investita da molteplici sospetti di
illegittimita', dichiarati tutti infondati da Corte Costituzionale n.
229/1999, che, premesso lo scarso rilievo della verifica sulla natura
effettivamente interpretativa ovvero innovativa con efficacia retroattiva
della norma censurata, ha ritenuto un'efficacia siffatta giustificata -
sotto il profilo della ragionevolezza, in relazione al principio di
affidamento -, in presenza di un obiettivo dubbio ermeneutico sulla natura
del termine in questione, manifestatosi nella giurisprudenza di merito e
nella dottrina, negando portata dirimente alle "uniche due pronunce della
Corte di cassazione intervenute a breve distanza di tempo l'una dall'altra".
Ha altresi' escluso la fondatezza degli altri dubbi formulati, con riguardo
a diversi parametri (artt. 101, 24, 113, 53, 97 della Costituzione) sia con
la sentenza indicata sia con la successiva ordinanza n. 117/2000.
Particolare rilievo merita la puntualizzazione del giudice delle leggi
allorquando, nell'escludere il contrasto con l'art. 97 della Costituzione,
ha osservato, in generale, come il principio di buon andamento ed
imparzialita' della Pubblica Amministrazione non comporti necessariamente
che tutti i termini ad essa imposti per il compimento delle proprie
attivita' debbano avere carattere perentorio, ed ha chiarito, d'altronde,
che la qualificazione del termine dell'art. 36-bis siccome ordinatorio "non
lascia priva di termine decadenziale l'attivita' di controllo 'formale'
delle dichiarazioni, trovando comunque applicazione l'art. 17, del D.P.R. 29
settembre 1973, n. 602".
4.3.- La giurisprudenza di legittimita', da Cass. n. 11235/1998 fino a
Cass. n. 9881/2002 (indicate, con le decisioni intermedie, sub 1.3),
uniformandosi ai ricordati criteri, ha sempre ribadito, sia pure con
sfumature diverse, l'efficacia retroattiva della definizione quale
ordinatorio del termine previsto, per la liquidazione dell'imposta,
dall'art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973, come interpretato dall'art. 28,
comma 1, della L. n. 449/1997.
L'uniformita' e' stata meditatamente interrotta dalla citata Cass., Sez.
V, n. 17507/2002, attraverso il principio di diritto gia' riprodotto nella
parte espositiva che precede. La sentenza ha rimarcato in particolare che:
- la disposizione del citato art. 28, attesa la portata innovativa - con
riferimento all'interpretazione prospettata dalla giurisprudenza di
legittimita' -, ben difficilmente puo', in deroga all'art. 11 delle
preleggi, "far rivivere rapporti tributari estinti ormai da anni", onde va
intesa nel senso restrittivo di "trasformare in ordinatori i termini ancora
in corso e nati come perentori";
- la trasformazione di un termine in ordinatorio non vale a renderlo
irrilevante, tanto piu' in un ordinamento "di diritto", che non puo'
lasciare il cittadino "soggetto sine die al potere dell'Amministrazione";
la
tecnica analogica impone il rinvio all'art. 154 del codice di procedura
civile, secondo cui "la scadenza del termine ordinatorio non privi il suo
titolare della legittimazione ad esercitarlo, a condizione che esso sia
preventivamente prorogato";
- anche in materia fiscale sara' possibile individuare il soggetto
legittimato ad accordare la proroga, "nell'esercizio dei poteri di vigilanza
oggi previsti dall'art. 5, D.Lgs. n. 112/1999";
- la trasformazione del termine in ordinatorio puo' solo comportarne,
dunque, la prorogabilita' per un periodo di tempo non superiore
all'originario termine;
- la soluzione offerta dalla Corte Costituzionale, limitandosi a
sottolineare il termine finale inderogabile per l'iscrizione a ruolo, a
mente dell'art. 17 del D.P.R. n. 602/1973, non affronta il problema
riguardante la rilevanza giuridica dei termini ordinatori.
4.4.- La giurisprudenza di questa Corte, successiva all'ordinanza di
rimessione alle Sezioni unite, ha ribadito peraltro l'orientamento gia'
richiamato (Cass., Sez. V, n. 11988 e n. 14164/2003). Si e' sottolineata la
"natura genuinamente interpretativa" del ripetuto art. 28, L. n. 449/1997,
inteso a chiarire la portata della volonta' precettiva;
si e', sotto aspetti
diversi, negata la possibilita' di applicazione analogica dell'art. 154 del
codice di procedura civile, richiamando il precetto per cui il termine in
discussione e' stabilito "non" a pena di decadenza, cosi' confermando
l'indirizzo formatosi dopo l'intervento interpretativo e relegando la
qualifica di ordinatorio del termine, originariamente stabilito, al rango di
"meramente acceleratorio", previsto dalla legge a fini di organizzazione
interna dell'Amministrazione finanziaria.
5.- Ritiene il collegio di non doversi discostare datale uniforme
impostazione, interrotta solo dalla ripetuta Cass. n. 17507/2002.
5.1.- La Corte Costituzionale ha gia' avvertito del carattere non
decisivo della verifica circa la natura, interpretativa ovvero innovativa
con portata retroattiva, della disposizione dell'art. 28, concentrando il
proprio esame, concluso nel senso della legittimita' della norma, sulla
ragionevolezza della retroattivita' - in materia non penale e, quindi, non
in violazione dell'art. 25 della Costituzione - e sull'assenza di contrasto
con altri valori costituzionalmente protetti. A volere, nondimeno, precisare
- in relazione alla premessa maggiore di Cass. n. 17507/2002 - quella
natura, deve confermarsi che essa risulta proprio di interpretazione
autentica, con connaturale portata retroattiva. Costituiscono infatti
principi affermati - nella giurisprudenza sia costituzionale sia di
legittimita' - che, indipendentemente dalla qualificazione espressa della
legge, la norma interpretativa puo' prescindere da un contrasto ermeneutico
in atto nella giurisprudenza, rivelandosi giustificata sol che la scelta
imposta dalla legge - anche solo per evitare interpretazioni
giurisprudenziali divergenti dalla linea politica del legislatore - rientri
tra le possibili varianti di senso del testo originario (cfr., per tutte,
Corte Cost. n. 413/1988, n. 163/1991;
n. 402/1993, n. 15 e n. 311/1995, n.
525/2000;
Cass., Sez. I, n. 5822/1981, Sez. lav., n. 5552/1985, n.
7182/1986, n. 3702/ 1992, Sez. V, n. 9895/2003).
Il carattere interpretativo autentico di una legge dipende, dunque,
esclusivamente dal suo contenuto, caratterizzato dalla enunciazione di un
apprezzamento interpretativo del significato di un precetto antecedente, cui
la norma si ricollega nella formula e nella ratio, e da un momento
precettivo, col quale il legislatore impone questa interpretazione,
escludendone ogni altra (Cass. n. 9895/2003 citata, secondo i criteri gia'
espressi da Corte Cost. n. 155/1990, n. 454/1992, 39 e nn. 424/1994,
94/1995). L'operazione, con riguardo alla portata retroattiva della legge
interpretativa, andra' contenuta nei limiti imposti dai principi
costituzionali e di civilta' giuridica (Corte Costituzionale n. 525/2000
cit.), che, in relazione all'art. 28, L. n. 449/1997, il giudice delle leggi
(Corte Cost., sent. n. 229/1999 e ord. n. 117/2000 citate) ha
definitivamente ritenuto osservati.
5.2.- Da cio' discende che non e' dato ipotizzare una "trasformazione"
del termine (per giunta, non ancora decorso) da perentorio in ordinatorio,
attesa la valenza precettiva ab origine della disposizione interpretativa.
E, cosi', non v'e' ragione di ricorso analogico alla disciplina dettata
dall'art. 154 del codice di procedura civile Ricorso esplicitamente negato
dalla citata Cass. n. 11988/2003, col sottolineare la eterogeneita' delle
situazioni normative poste a raffronto;
e gia' escluso da Cass. n.
7058/1999, pure citata, col rilevare, da un lato, come l'art. 154 del codice
di procedura civile non si riveli applicabile a tutti gli atti processuali
(cosi', non si applica agli atti del giudice o dei suoi ausiliari) e,
dall'altro, che esso "non e' necessariamente estensibile a settori che non
abbiano diretta attinenza con la materia del contenzioso".
La conclusione e' che "anche in materia tributaria la decadenza deve
essere (ed e') espressamente prevista (v. artt. n. 43, D.P.R. n. 600/1973,
art. 17, D.P.R. n. 602/1973, art. 57, D.P.R. 633/1972, artt. 76 e 77, D.P.R.
131/1986), sicche', in mancanza di un'esplicita previsione, il termine
fissato dalla legge per il compimento di un atto ha efficacia meramente
esortativa (cioe' costituisce un invito a non indugiare) e l'atto puo'
essere compiuto dall'interessato fino a quando cio' non gli venga precluso
dalla sopravvenuta prescrizione del relativo diritto (v., nella specie, art.
43, D.P.R. n. 600/1973)" (Cass. n. 7058/1999 cit., in motivazione).
Peraltro, non essendo concepibile che "il cittadino resti soggetto sine
die al potere dell'Amministrazione", va individuato il termine -
necessariamente di decadenza, in funzione di tutela del contribuente - entro
cui circoscrivere l'azione accertatrice dell'Amministrazione finanziaria.
Una soluzione soddisfacente puo' essere - ad avviso del collegio -
raggiunta solo coordinando il rilievo di Corte Costituzionale n. 229/1999
citata, secondo cui, pur dopo l'intervento interpretativo, l'attivita' di
controllo 'formale' e' rimasta comunque soggetta al termine di decadenza
fissato nell'art. 17, D.P.R. n. 602/1973 (v. n.
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