Cass. pen., sez. V trib., sentenza 11/05/2023, n. 20045

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. V trib., sentenza 11/05/2023, n. 20045
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 20045
Data del deposito : 11 maggio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: MOCCIA ANTONIO nato a AFRAGOLA il 13/06/1964 avverso l'ordinanza del 10/11/2022 del GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI DEL TRIBUNALE DI NAPOLIvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere E M M;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale G D L, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
uditi i difensori, avv. G L e avv. S S, che hanno concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso, in subordine rimessione della questione alle Sezioni Unite.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l'ordinanza impugnata il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, pronunciandosi quale giudizio di rinvio, ha applicato nei confronti di M A, la misura della custodia cautelare in carcere in ordine al reato di cui all'art. 416-bis cod. pen. per avere fatto parte, in posizione apicale, del clan camorristico dei "M", nel periodo dal 2011 fino al 2019. n Il giudice di rinvio — investito dala prima sezione della Corte di cassazione (sentenza n. 39826 del 17/07/2022) del compito di colpare il vuoto motivazionale circa l'operatività o meno della preclusione derivante dal principio del ne bis in idem — ha escluso la violazione del principio in parola e applicato la misura cautelare.

2. Avverso il provvedimento l'indagato, tramite i difensori, propone ricorso immediato per cassazione, ex art. 311, comma 2, cod. proc. pen., articolando due motivi.

2.1. Con il primo motivo denuncia, in relazione all'art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l'inosservanza degli artt. 623, 627 e 649 cod. proc. pen., "per avere il giudice di rinvio eluso l'ambito del devoluto imposto dalla sentenza di annullamento della Corte Suprema". Sostiene il ricorrente: - che il giudice per le indagini preliminari avrebbe violato il compito assegnatogli, laddove afferma, in maniera esplicita, di non condividere gli indirizzi dottrinari e giurisprudenziali sul principio di irretrattabilità dell'azione penale che impedisce al Pubblico ministero, una volta esercitata l'azione penale con la contestazione del reato associativo in forma "aperta", di intervenire sull'imputazione in modo da sottrarre al processo la cognizione di un tratto temporale di condotta contestata;
- che difetterebbe la motivazione sul fatto che il pubblico ministero aveva formulato l'istanza cautelare in data 21 ottobre 2020, nonostante M, in quel momento, fosse sottoposto a processo per il medesimo reato;
- che l'ordinanza soffrirebbe di "motivazione manifestamente illogica e inconciliabile con prove certe testimonianti l'esatto contrario";
- che il giudice di rinvio non avrebbe dato applicazione al principio di diritto espresso dalla sentenza rescindente secondo cui la temporizzazione successivamente circoscritta dal pubblico ministero non ha effetti giuridici siccome non recepita in una sentenza irrevocabile;
- che l'ordinanza impugnata si sarebbe assestata su tesi già giudicate errate e illegittime, mentre è pacifico, in giurisprudenza, che la cessazione della permanenza coincide con la pronuncia della sentenza di primo grado;
che, quindi, sarebbe omesso l'accertamento in merito a: cessazione della permanenza nei due procedimenti "duplicati";
assorbimento dell'intero periodo temporale oggetto dell'ordinanza cautelare in quello dei due processi pendenti dinanzi alla Corte di appello e al Tribunale di Napoli, nei confronti di M A per la medesima 9 A condotta (ruolo apicale nello stesso sodalizio criminoso) con riferimento, rispettivamente, al periodo dal 1998 "con condotta perdurante" (e quindi sino alla sentenza di primo grado pronunciata il 9 ottobre 2013) e al periodo "dal 2004 con condotta perdurante" (e quindi sino alla attualità, non essendo ancora stata pronunciata la sentenza di primo grado).

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., la violazione del principio del ne bis in idem in relazione agli artt. 24, 111, 112 e 117 della Costituzione, nonché 6 e 13 Cedu e 4 del VII protocollo addizionale della Cedu. L'ordinanza impugnata avrebbe disatteso i principi di diritto già consacrati in tre sentenze della Corte di cassazione: Sez. 2, n. 28644 del 26 aprile 2012;
Sez. 6, n. 1753 del 14 dicembre 2012, dep. 2013;
Sez. 1, n. 39826 del 15 luglio 2022. La strumentalizzazione del potere del P.M. di modificare l'imputazione - attraverso la contrazione del tempus commissi delicti, finalizzata a consentire "la triplicazione"dell'azione penale nei confronti dello stesso soggetto per il medesimo addebito associativo - è resa evidente dalla circostanza che già nel processo dinanzi al Tribunale di Napoli la pubblica accusa aveva offerto "elementi di prova dichiarativa riferibili a fatti successivi al 2010 (S S ha riferito di condotte poste in essere sino al 2015, P M di condotte fino al 2019).

3. Si è proceduto a discussione orale su richiesta dei difensori.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è, nel complesso, infondato, pur presentando profili di inammissibilità.

2. Il ricorso diretto per cassazione ex art. 311 comma 2, cod. proc. pen. è consentito solo per violazione di legge, pertanto sono inammissibili tutte quelle censure che, seppure formalmente enunciate in tali limiti, si risolvono nella denuncia di vizi motivazionali (cfr. Sez. 1 n. 36330 del 01/06/2022, Crea, Rv. 283625). Inoltre sono inammissibili, per manifesta infondatezza, le doglianze che denunciano "totale omessa motivazione", dato che l'ordinanza impugnata presenta un apparato argomentativo vasto e articolato che non può certo dirsi inesistente o meramente apparente. Nel resto il ricorso è infondato.

3. La corretta impostazione della decisione impone di chiarire gli aspetti fattuali della vicenda in rassegna e di fornire un esatto inquadramento degli istituti giuridici in rilievo.

3.1. La violazione del ne bis in idem viene invocata dalla difesa in relazione a due procedimenti penali tuttora pendenti.

3.1.1. Il primo procedimento. Con decreto del 17 ottobre 2006 M A è stato rinviato a giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli per rispondere del reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., quale partecipe, in posizione apicale, del clan "M""a decorrere dal 1998, condotta perdurante". All'udienza del 10 gennaio 2012, in prossimità della decisione, il pubblico ministero è intervenuto sul capo di imputazione, specificando il periodo temporale oggetto di contestazione: "dal 1998 fino al marzo 2002". Il Tribunale ha recepito tale indicazione, sussumendola nella previsione dell'art. 516 cod. proc. pen.;
quindi, con sentenza del 9 ottobre 2013, ha assolto l'imputato dal delitto associativo protrattosi sino al marzo 2002. È tuttora pendente il giudizio di secondo grado dinanzi alla Corte di appello di Napoli, investita anche del gravame dei difensori dell'imputato che hanno lamentato l'illegittima ritrattazione dell'azione penale.

3.1.2. Il secondo procedimento. Con decreto del 25 giugno 2012 M A veniva rinviato a giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli quale partecipe in posizione di vertice del clan M "a partire dal 2004 con condotta perdurante". All'udienza del 8 febbraio 2017 il Pubblico ministero ha indicato nell'anno 2010 la cessazione della permanenza. Il giudizio è tuttora pendente in primo grado. I difensori contestano l'illegittimità della ritrattazione dell'azione penale. La misura cautelare disposta in data 23 aprile 2011 per i fatti interessati da questo secondo procedimento è stata definitivamente annullata il 27 agosto 2012 dal Tribunale del riesame, in ragione dell'accertata violazione del principio del ne bis in idem (in rapporto al primo processo). La decisione finale del Tribunale del riesame ha valorizzato il dato che al momento della emissione della ordinanza cautelare (23 aprile 2011) M si trovava sottoposto a processo dinanzi al Tribunale di Napoli per il medesimo fatto ("dal 1998 condotta perdurante"), posto che, in quel momento, non era ancora stata effettuata la delimitazione temporale della contestazione intervenuta soltanto il successivo 10 gennaio 2012. La pronuncia del Tribunale del riesame ha ricevuto l'avallo della Corte di cassazione che, nel rigettare il ricorso del pubblico ministero, ha precisato come la sussistenza della preclusione in rassegna vada valutata «al momento di proposizione della domanda» e che «nessuna idoneità a far rivivere tale potere [quello di chiedere la misura cautelare] può attribuirsi alla postuma modificazione dei termini del suo esercizio secondo una scelta insindacabile dell'organo titolare» (Sez. 6 n. 1753 del 14/12/2012, dep. 2013, M).

3.2. Il presente procedimento.

3.2.1. Con ordinanza del 9 aprile 2022 M A è stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere per il reato di cui all'art. 416-bis cod. pen., quale componente, in posizione apicale, del clan M "con decorrenza dal 2011" e "condotta perdurante fino al 2019". Con sentenza n. 39826 del 17/07/2022 la prima sezione della Corte di cassazione — investita del ricorso per saltum proposto dall'indagato ex art. 311. Comma 2, cod. proc. pen. — ha annullato quell'originario provvedimento cautelare, ravvisando una violazione di legge nella omessa motivazione sulla questione preliminare della esistenza o meno di una preclusione derivante dal principio del ne bis in idem.

3.2.2. La sentenza rescindente è così motivata: - «[...] Nell'ordinanza impugnata non si profila preso in espressa e adeguata considerazione il punto pregiudiziale della sussistenza o meno della preclusione dovuta alla pendenza, per lo stesso reato associativo, di altri due precedenti processi: il delitto, come si è visto, è stato contestato ad Antonio M in ambedue i processi indicati in forma aperta, con temporizzazione successivamente circoscritta dal Pubblico ministero e con effetti giuridici che non possono ritenersi allo stato cristallizzati, siccome non - ancora - recepiti da una sentenza irrevocabile, avendo la difesa documentato che è sub iudice la statuizione di assoluzione, ma con restrizione dell'arco temporale valutato, emessa dal Tribunale di Napoli nel primo processo e che è ancora pendente in primo grado il secondo processo». - «La radicale carenza di motivazione sul rilevato snodo integra la violazione di legge denunciata dal ricorrente, poiché il provvedimento risulta privo del supporto giustificativo su di un punto, come si è visto, potenzialmente decisivo». È stato disposto il rinvio al giudice di merito proprio alla luce del vizio rilevato che, evidentemente, implicava, nell'intenzione della prima sezione, anche verifiche fattuali, altrimenti la Corte di cassazione avrebbe deciso essa stessa, immediatamente, la questione processuale. Occorre precisare, sin d'ora, che, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente: - la decisione rescindente si incentra sulla nullità della prima ordinanza per assenza di motivazione (violazione dell'art. 125 comma 3, cod. proc. pen.), senza stabilire principi di diritto;
in particolare va qualificato come mero obiter dictum, non vincolante perché incidentalmente accennato senza alcuno sviluppo argomentativo, il riferimento a «effetti giuridici che non possono ritenersi allo stato cristallizzati siccome non - ancora - recepiti da una sentenza irrevocabile,»;
- il giudice del rinvio non era vincolato né condizionato da eventuali valutazioni fattuali o considerazioni incidentali espresse nella sentenza rescindente: il compito assegnato era quello di colmare il totale vuoto motivazionale circa la sussistenza (o meno) di una preclusione.
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