Cass. pen., sez. III, sentenza 01/02/2022, n. 03575

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 01/02/2022, n. 03575
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 03575
Data del deposito : 1 febbraio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Commisso Federica, nata a Milano il 09-01-1971, curatrice fallimentare del consorzio Progresso, avverso l'ordinanza del 06-07-2021 del Tribunale della libertà di Napoli;
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi trattati ai sensi dell'art. 23, comma 8, del D.L. n. 137 del 2020 a seguito si richiesta di discussione orale;
udita la relazione del Consigliere V D N;
Udita la requisitoria del Procuratore Generale, V M, che ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata;
Udite le conclusioni dell'avv. A P che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN IFATTO

1. Federica Commisso, nella qualità di curatrice fallimentare del Consorzio Progresso Logistico a r.I., ricorre per la cassazione dell'ordinanza del 6 luglio 2021 con la quale il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice dell'appello cautelare, ha rigettato l'impugnazione proposta avverso il provvedimento di diniego della revoca del sequestro dei beni del fallimento emesso in data 26 maggio 2021 dal Gip del Tribunale di Napoli.

2. Il ricorso è affidato ad un unico, complesso, motivo con il quale la ricorrente denuncia la violazione di legge, con riferimento all'art. 12-bis d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 e agli artt. 42 e 52 legge fallimentare, nonché il vizio di motivazione. Osserva come la più recente giurisprudenza di legittimità sia orientata nel senso che, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, il sequestro preventivo dei beni della società finalizzato alla confisca diretta del profitto non può più essere eseguito, mentre può essere eseguito solo quello finalizzato alla confisca per equivalente, sui beni dell'indagato. Ricorda come lo stesso principio sia stato affermato recentemente anche dalle Sezioni Unite (n. 45936 del 26 settembre 2019), le quali, nella parte motiva, nel riconoscere la legittimazione del curatore ad impugnare i provvedimenti in materia cautelare reale anche quando il vincolo penale sia stato disposto prima della dichiarazione di fallimento, hanno dato per acquisita l'esclusione della possibilità di eseguire il sequestro su beni appartenenti alla massa fallimentare e quindi in una situazione cronologica di posteriorità rispetto alla dichiarazione di fallimento, in quanto sui beni che si trovano in siffatta condizione si è ormai costituito un potere di fatto della curatela e del Tribunale fallimentare. Pertanto, ammettere la possibilità del sequestro, ai fini della successiva confisca, sui beni della procedura fallimentare, comporterebbe la violazione non solo dell'art. 42 L.F., ma anche del principio cardine della par condicio creditorum, ex l'art. 52 L.F., e della graduazione dei crediti alla luce del codice civile. Ricorda come, nel caso in esame, l'erario si sia già insinuato al passivo del Fallimento per oltre 27 milioni di euro (in relazione anche, ma non solo, all'IVA dovuta per indebite compensazioni) e come, in data 6 novembre 2020, sia stata depositata un'ulteriore domanda tardiva dall' Agenzia delle Entrate che chiede di essere ammessa al passivo per euro 40.553.731,57 in via privilegiata ed euro 1.749,82 in via chirografaria. Correttamente l'Erario aveva presentato domanda di ammissione al passivo perché questa era la procedura da seguire nel caso in esame.Osserva inoltre la ricorrente che l'affermazione secondo la quale, come si desume dal testo del provvedimento impugnato, la confisca del profitto del reato a favore dello Stato (pari all'IVA indebitamente compensata, e per la quale l'erario risulti già ammesso al passivo) debba avere sempre la precedenza su tutti i creditori, comporterebbe un'inversione dell'ordine dei privilegi, attribuendo all'erario, a danno dei dipendenti, un privilegio che non è in alcun modo previsto dalla legge. Il Tribunale di Napoli avrebbe poi erroneamente ritenuto che la confisca non opera solo nell'ipotesi in cui l'erario abbia già proceduto al recupero delle somme non versate dal contribuente ovvero per la parte che il contribuente si sia impegnato a versare all'erario anche in presenza del sequestro, senza considerare che, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, la natura dei debiti del fallito debbono essere esaminati e quindi accertati alla luce dei principi informatori della legge fallimentare e nel rispetto delle norme del codice civile sulla graduazione dei crediti, trattandosi di principi validi per tutti i creditori, Stato/Erario compreso. Dopo aver richiamato orientamenti giurisprudenziali a sostegno del motivo di ricorso, la ricorrente aggiunge che, nella propria istanza ex art. 322-bis cod. proc. pen., la difesa aveva anche evidenziato che, nel caso in esame, l'attivo del fallimento fosse costituito esclusivamente dalla somma liquida di curo 655.000,00 circa, depositata sul conto corrente della procedura;
la difesa aveva, quindi, evidenziato (e documentato) che tale somma derivava dal recupero, da parte del curatore (e quindi dopo la dichiarazione di fallimento e per iniziativa del curatore stesso), di crediti reali vantati dalla società fallita (per euro 660.000,00, nei confronti di Gruppo Exsecutive Società Consortile a r.I., e, per euro 6.087,58, nei confronti di Adler System Service s.r.I.). Anche per questo motivo, pertanto, la difesa, nella propria istanza ex art. 322-bis cod. proc. pen., affermava che detta somma non poteva essere posta sotto sequestro, non potendosi definire profitto diretto del reato riconducibile alla società fallita. Il Tribunale di Napoli, sul punto, avrebbe omesso di motivare. Osserva la ricorrente che la peculiare natura dell'attivo fallimentare sarebbe pertanto di ostacolo all'applicabilità dell'art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000 che individua quale limite all'operatività della confisca l'appartenenza dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato a terzi. Sarebbe, infatti, proprio la suddetta previsione normativa che impone di considerare la disponibilità dei beni appresi dalla procedura fallimentare antecedentemente al sequestro come assorbente, trattandosi di un soggetto terzo, rispetto all'elemento della titolarità formale del diritto di proprietà in capo all'indagato/condannato, contestualmente privato del potere di fatto sui medesimi beni, con la conseguenza che i beni in concreto sequestrati, ovverosia le somme in giacenza sui conti correnti intestati alla curatela, non costituiscono profitto diretto dei reati in contestazione. Il Tribunale del Riesame di Napoli, invece, nel caso specifico, ha ritenuto di dover sacrificare i crediti privilegiati dei lavoratori, stimando prevalente, sull'interesse dei creditori, l'esigenza di inibire l'utilizzazione di un bene oggettivamente e intrinsecamente pericoloso, in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato. Nondimeno, obietta la ricorrente che il richiamo al concetto di bene oggettivamente e intrinsecamente pericoloso non sarebbe corretto, così come non sarebbero attinenti i riferimenti alle misure di prevenzione e al codice antimafia. In buona sostanza, nel caso in esame, è stata sequestrata una somma depositata sul conto corrente della procedura fallimentare;
somma realizzata dal curatore e quindi rientrante nella piena disponibilità della procedura fallimentare senza alcun tipo di rapporto o relazione con la pregressa attività della società dichiarata fallita e con i reati commessi dal suo rappresentante legale.

3. Il Procuratore generale ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'impugnata ordinanza sul rilievo che, pur in presenza di un diverso indirizzo, si sarebbe recentemente consolidato l'orientamento giurisprudenziale di legittimità in forza del quale, in tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all'art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, non può essere adottato sui beni già assoggettati alla procedura fallimentare, in quanto la dichiarazione di fallimento importa il venir meno del potere di disporre del proprio patrimonio in capo al fallito, attribuendo al curatore il compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento. Del resto, è stato osservato, il vincolo apposto sui beni del fallito a seguito della apertura della procedura concorsuale, oltre a "spossessare" la società fallita dai beni che costituiscono la garanzia patrimoniale del ceto creditorio, conferisce al curatore, che insieme al Tribunale e al giudice delegato ne è l'organo, il potere di gestione ditale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento e garantire la par condicio dei creditori, i quali, in virtù dell'ammissione al passivo, sono portatori di diritti alla conservazione dell'attivo, nella prospettiva della migliore soddisfazione dei loro crediti, che trovano così riconoscimento e tutela, pur convivendo fino alla vendita fallimentare con quelli di proprietà del fallito e con il vincolo concorsuale, con la conseguenza che - siccome il sequestro preventivo in via diretta nei confronti del Consorzio Progresso Logistico a r.l. venne disposto in data 30 aprile 2021) allorquando quest'ultima era già stata dichiarata fallita in data 01 agosto 2019 - i beni della stessa erano ormai passati nella disponibilità della curatela, diventando insuscettibili di ablazione, e dunque anche di sequestro ad essa finalizzato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
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