Cass. civ., sez. V trib., sentenza 03/05/2019, n. 11637

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 03/05/2019, n. 11637
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 11637
Data del deposito : 3 maggio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Svolgimento del processo

che:

L'odierno contenzioso trae origine dall'istanza presentata da P.G., ex dirigente E. S.P.A., il 7 aprile 2004 con la quale chiedeva il rimborso della ritenuta versata a titolo di imposta per l'importo di Euro 73.167,70.

P.G., in quanto dirigente E. S.P.A., godeva di una polizza sulla vita e di invalidità permanente valevole per i dirigenti di aziende industriali, ex art. 12 c.c.n.l. 16 maggio 1985;
successivamente, con effetto dal 1^ gennaio 1986, tale beneficio era stato convertito in un trattamento di previdenza integrativa aziendale, c.d. P.I.A., ed il contribuente aderiva alla P.I.A., organismo istituito in base all'accordo del 16 aprile 1986 fra E. S.P.A. e la Federazione Nazionale Dirigenti Aziende industriali (FNDAI), in data anteriore al 28 aprile 1993. Il rapporto di lavoro del P. con E. S.P.A. veniva risolto in data 31 gennaio 1994 e sulla somma complessiva corrispostagli dal datore di lavoro a titolo di indennità di fine rapporto era effettuata una ritenuta con aliquota pari al 27,80%. Successivamente P., avendo i requisiti per ottenere la liquidazione della posizione P.I.A. nei confronti dell'E. S.P.A., chiedeva a questa società la liquidazione della rendita di sua spettanza relativa alla pensione integrativa aziendale per un ammontare pari ad Euro 489.246,85, così come determinato dall'accordo E./FNDAI C. 26 luglio 2000 e sulla parte imponibile dell'importo indicato era operata una ritenuta a titolo di imposta IRPEF di Euro 132.945,22 con applicazione della stessa aliquota del 27,80% applicata in sede di liquidazione dell'indennità di fine rapporto. Il contribuente, sulla base della normativa applicabile ed essendo un soggetto iscritto ai fondi pensionistici prima del 28 aprile 1993, riteneva invece che, sulla somma liquidata dovesse essere applicata l'aliquota del 12,50% ed un importo di Euro 59.777,52 (478.220,22x12,50), con conseguente diritto al rimborso della maggior imposta versata pari ad Euro 73.167,70 (132.945,22-59.777,52).

Contro il silenzio rifiuto formatosi sull'istanza di rimborso, il contribuente proponeva ricorso alla CTP di Varese, che con sentenza 80/04/07 accoglieva il ricorso ordinando il rimborso della somma relativa alla differenza fra l'aliquota applicata del 27,80% e quella del 12,50%, oltre interessi dalla data dell'istanza.

Avverso tale sentenza l'Agenzia delle Entrate proponeva appello alla CTR della Lombardia che, con sentenza 53/26/08, confermava le statuizioni della sentenza di primo grado.

L'Agenzia delle Entrate proponeva allora ricorso per cassazione, accolto in parte con ordinanza n. 29205 del 28/12/2011, aderendo alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 13642/2011 e rinviando la causa ad altra sezione della CTR della Lombardia perchè riesaminasse la fattispecie alla luce dei principi enunciati.

Il contribuente provvedeva alla riassunzione della causa davanti all'indicata CTR e rideterminava la propria richiesta di rimborso pari ad Euro 61.441,74 e l'Ufficio resisteva sostenendo che erano ammesse al rimborso le ritenute applicate in misura superiore alla tassazione pari al 12,50% solo se riferite a somme che, sulla base di specifica certificazione, fossero imputabili al "rendimento netto" della gestione sul mercato del capitale accantonato.

La CTR, con la sentenza 275/2014, prendendo atto dei principi enunciati nella sentenza S.U. n. 13642/2011 e del concetto di rendimento inteso come rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato, riconosceva nel dispositivo: "il rimborso al contribuente, per quanto riguarda la quota capitale, con tassazione separata TUIR ex art. 16, comma 1, lett. "a". Per quanto riguarda il rendimento finanziario si applica la tassazione al 12,50% fino al 31/12/2000;
e pertanto, in tali limiti va riconosciuto il rimborso. Spese compensate." L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione deducendo due motivi.

Il contribuente resiste con controricorso e memoria.

Motivi della decisione

che:

Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia delle Entrate, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell'art. 384 c.p.c., in quanto l'ordinanza di questa Corte n. 29205/11, cassando la precedente sentenza della CTR della Lombardia, aveva enunciato un principio di diritto al quale i giudici del rinvio avrebbero dovuto attenersi procedendo a "nuovo esame della fattispecie concreta".

In base a tale principio, in sede di rinvio la CTR avrebbe dovuto verificare se vi fosse stato e quale fosse stato l'impiego da parte del Fondo sul mercato del capitale accantonato e quale e quanto fosse stato il rendimento "netto" conseguito in relazione a tale impiego, dovendosi applicare solo a tale rendimento la tassazione al 12,50%. La CTR investita del rinvio, pur riconoscendo al contribuente il diritto al rimborso nei termini riportati nel dispositivo, non ha in alcun modo accertato nè l'impiego nè il rendimento operato dal Fondo sul mercato, sottraendosi quindi all'indagine richiesta da questa Corte.

Con il secondo motivo di ricorso l'Agenzia delle Entrate lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), art. 42, art. 17, comma 2 e art. 16, comma 1, nel testo applicabile ratione temporis, della L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6, del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, art. 13, comma 9, e del D.L. 31 dicembre 1990, n. 669, art. 1, comma 5, convertito nella L. 28 febbraio 1997, n. 30. Ad avviso della ricorrente, nel caso specifico, trattandosi di un Fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, la CTR doveva verificare se e in quale misura la prestazione erogata costituisse rendimento netto da investimento per effetto della gestione sul mercato del capitale accantonato da parte del Fondo. Infatti, ai sensi della L. n. 482 del 1985, art. 6, solo alle somme corrispondenti a un rendimento netto da investimento del capitale effettuato da F. poteva applicarsi la tassazione nella misura del 12,50% mentre le somme liquidate non derivanti da un investimento del capitale dovevano essere tassate separatamente in modo analogo al TFR. I due motivi possono avere una trattazione unitaria per la stretta connessione esistente tra gli stessi e risultano fondati alla luce delle considerazione che seguono.

Nella motivazione della sentenza della CTR impugnata si fa esplicito riferimento alla sentenza di questa Corte SS.UU. del 22 giugno 2011, n. 13642;
sul principio di diritto statuito da tale sentenza occorre peraltro ritornare, anche alla luce sia della successiva evoluzione giurisprudenziale sia di quanto espresso in particolare dalla sentenza 26 aprile 2017 n. 10285 della sezione tributaria di questa Corte.

Occorre in primo luogo ricordare che a decorrere dal 1^ gennaio 1986 (in base al comma 4 dell'art. 12 del CCNL del 16 maggio 1985, recepito dall'E.) venne prevista a favore dei dirigenti E. la stipula di un'assicurazione sulla vita con la previsione contrattuale dell'erogazione di una prestazione al momento del collocamento a riposo.

Successivamente, sempre nel 1986, a seguito di apposita richiesta delle rappresentanze sindacali dei dirigenti, tale previsione venne modificata con l'accordo tra l'E. e la Federazione nazionale dirigenti di aziende industriali (Fndai), in virtù del quale venne sostituito il trattamento assicurativo di cui sopra con un rapporto di previdenza pensionistica integrativa (c.d. P.I.A., ovvero Previdenza Integrativa Aziendale) con prestazioni da erogare in forma di trattamento periodico, con efficacia retroattiva al 1^ gennaio 1986, e da ciò sì può desumere che la disposizione originaria che prevedeva la stipula di polizze vita di fatto non venne mai applicata.

Tale forma di previdenza venne però dismessa con accordo sindacale del 23 gennaio 1998 e, i fondi accumulati trasferiti a F., Fondo di Previdenza integrativa esterno, chiamato a gestire una forma di previdenza complementare a capitalizzazione individuale.

Essa dava diritto, ai dirigenti E. che vi avevano aderito e che ne facevano richiesta al momento della cessazione del rapporto di lavoro, alla liquidazione dell'intero capitale accumulato in luogo della rendita vitalizia.

Quanto al regime fiscale di tale prestazione, alla tesi dei contribuenti secondo cui il capitale richiesto, in quanto originato da un contratto assicurativo, doveva essere assoggettato alla ritenuta a titolo di imposta nella misura del 12,5% ai sensi della L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6 (e ciò, quantomeno, sulla differenza tra l'ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2 per cento per ogni anno successivo al decimo se il capitale è corrisposto dopo almeno dieci anni dalla conclusione del contratto, ai sensi del TUIR, art. 42, comma 4), si contrapponeva quella dell'Amministrazione finanziaria, secondo cui, invece, l'erogazione in oggetto non può considerarsi come reddito di capitale in dipendenza di un contratto assicurativo sulla vita, ma come reddito di lavoro dipendente, soggetto quindi a tassazione separata ai sensi del TUIR, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17.

Intervenendo dunque sul tema, anche per dirimere il contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità, la citata sentenza SS.UU. n. 13642 ha evidenziato l'esistenza di un fondamentale discrimine temporale, che distingue la situazione dei soggetti che fossero già iscritti a forme pensionistiche complementari prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124 e quella dei soggetti che si siano iscritti a forme analoghe in epoca successiva all'entrata in vigore del predetto provvedimento legislativo (il quale all'art. 13, comma 9, assoggetta le prestazioni in forma di capitale "comunque" a tassazione separata): discrimine discendente dalla norma interpretativa di cui al D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 1, comma 5 (convertito, con modificazioni, dalla L. 28 febbraio 1997, n. 30), in base al quale la disposizione contenuta nel D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, art. 13, comma 9, e quella contenuta nel TUIR, art. 42, comma 4, ultimo periodo, introdotta dalla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 11, comma 3, devono intendersi riferite esclusivamente ai destinatari iscritti alle forme pensionistiche complementari successivamente alla data di entrata in vigore del citato D.Lgs. n. 124 del 1993.

La sentenza SS.UU. n. 13642 ha posto in rilievo, al punto 5.3 della motivazione, che "a questa situazione "binaria", che distingue tra "vecchi iscritti" e "nuovi iscritti" a forme pensionistiche complementari, pose fine il D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, art. 12, comma 1 (come modificato dal D.Lgs. 12 aprile 2001, n. 168, art. 9, comma 1, lett. a), a norma del quale "per i soggetti che risultano iscritti a forme pensionistiche complementari alla data da cui ha effetto il presente decreto, le disposizioni introdotte dall'art. 10 (relativamente al "trattamento tributario delle prestazioni pensionistiche erogate ai sensi del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124") si applicano alle prestazioni riferibili agli importi maturati a decorrere dal 1^ gennaio 2001. Per i medesimi soggetti, relativamente alle prestazioni maturate fino a tale data, continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti anteriormente". Da qui un primo dato certo rappresentato dal fatto che sono soggetti a tassazione separata ai sensi del TUIR, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17, senza alcuna distinzione circa la loro interna composizione, sia i capitali (tutti) maturati dai soggetti iscritti a forme pensionistiche complementari dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, sia i capitali maturati successivamente al 1gennaio 2001 dai soggetti iscritti a forme pensionistiche complementari anteriormente all'entrata in vigore di quest'ultimo provvedimento. Con riferimento invece ai capitali maturati anteriormente alla predetta data dai soggetti iscritti a forme pensionistiche complementari prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, per i quali si applicano "le disposizioni vigenti anteriormente", la stessa sentenza ha evidenziato (punto 6.1 motivazione) che "il trattamento tributario delle prestazioni erogate non è, e non può essere, indipendente dalla composizione strutturale delle prestazioni stesse, che, nel caso concreto, trattandosi di un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono composte da una "sorte capitale", costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore), e da un "rendimento netto", imputabile alla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato". "Sicchè" - ha soggiunto la Corte - "possono essere tassate in modo analogo al t.f.r. esclusivamente le somme liquidate a titolo di capitale, mentre alle somme corrispondenti al rendimento di polizza (nella fattispecie PIA), si applica la tassazione nella misura del 12,50 per cento ai sensi della L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6".

Le considerazioni esposte sono state quindi condensate nel conclusivo principio di diritto che, come noto, afferma: "in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, ad un Fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario:

a) per gli importi maturati fino a 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al TUIR, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17, solo per quanto riguarda la "sorte capitale" corrispondente all'attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6;

b) per gli importi maturati a decorrere dal 1^ gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al TUIR, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17".

Tale principio non è risultato, di fatto, interamente risolutivo delle controversie pendenti, essendo emerse tra le parti in lite contrapposte interpretazioni circa il concetto di "rendimento netto", cui applicare la detta ritenuta del 12,5%.

Si è infatti prospettata, da parte dei contribuenti, la tesi secondo cui, con riferimento almeno alla parte del capitale corrisposto riferibile agli accantonamenti in PIA (anteriori dunque al 1998), il criterio impositivo previsto dalla L. n. 482 del 1985, art. 6, andrebbe comunque applicato alla differenza tra detto capitale e il complessivo ammontare dei premi, essendo stati questi ultimi versati in funzione di un programma avente origine assicurativa e in coerenza, pertanto, con quanto previsto dalla citata disposizione che riferisce tale criterio, espressamente, ai "capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita, esclusi quelli corrisposti a seguito di decesso dell'assicurato".

Sostiene invece l'Amministrazione Finanziaria che, avendo avuto il piano (P.I.A.) natura e scopo previdenziali e avendo esso operato attraverso l'accantonamento, secondo tecniche attuariali, di somme in assoluta prevalenza versate dall'ente datore di lavoro, idonee a costituire riserva matematica sufficiente a coprire sin da subito le prestazioni da erogarsi (a loro volta commisurate su base retributiva, e non contributiva), queste ultime, a fini fiscali, in nulla si differenziavano dal TFR e andavano pertanto soggette, quale retribuzione differita, a tassazione separata ai sensi del TUIR, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17.

Sul punto la successiva giurisprudenza di questa Corte si è già attestata, con numerosissimi arresti, di gran lunga prevalenti su quelli di segno diverso, su una lettura del principio affermato dalle Sezioni Unite secondo la quale il predetto più favorevole criterio impositivo può trovare applicazione limitatamente alle somme rivenienti dall'effettivo investimento, da parte del fondo, sul mercato finanziario, del capitale accantonato e che ne costituiscono il rendimento (v. Cass., 26/4/2017 n. 10285;
ex aliis Cass. 29/12/2011, n. 29583;
Cass. 12/01/2012, n. 280;
Cass. 04/04/2012, n. 5376;
Cass. 25/05/2012, n. 8320;
27/03/2013, nn. 7724-7728;
Cass. 22/05/2013, nn. 12491-12496;
Cass. 02/10/2013, n. 22492;
Cass. 09/10/2013, n. 22950;
Cass. 12/02/2014, n. 3132;
Cass. 12/02/2014, n. 3136;
Cass. 19/03/2014, n. 6380;
Cass. 09/04/2014, n. 8310;
Cass. 04/02/2015, n. 1977;
Cass. 22/05/2015, n. 10604;
Cass. 13/01/2017, n. 720;
Cass. 2/4/2018 n. 4943;
Cass. 19/6/2018 n. 16116;
Cass. 24/7/2018 n. 19621;
Cass. 30/10/2018 n. 27585). Questo orientamento, del tutto prevalente, merita sostanziale condivisione.

Giova al riguardo anzitutto rilevare che l'applicazione del più favorevole meccanismo impositivo L. n. 482 del 1985 ex art. 6 si giustifica in ragione della "equiparazione" tra i capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e (quelli corrisposti in dipendenza di contratti) di capitalizzazione posta dal TUIR, art. 41 (ora 44), comma 1, lett. g-quater) e art. 42 (ora 45), comma 4.

Non già, dunque, per effetto di una diretta riconduzione della fattispecie alla previsione di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6, (invero espressamente riferita solo ai capitali corrisposti da "imprese di assicurazione" in dipendenza di "contratti di assicurazione sulla vita, esclusi quelli corrisposti a seguito di decesso dell'assicurato"), ma solo in via di applicazione analogica di tale disposizione ai capitali corrisposti in dipendenza di contratti di capitalizzazione, analogia a sua volta giustificata dalla comune considerazione delle due fattispecie nel TUIR, quali ipotesi omogenee di redditi di capitale.

Non si è mai dubitato, dunque, che la ragione della eventuale assoggettabilità a detto meccanismo dei capitali corrisposti, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, ai dirigenti E. aderenti al descritto fondo di previdenza integrativa, non vada ricercata - neppure con riferimento a quelli riferibili agli accantonamenti operati in regime di PIA prima del 1998 - in una non predicabile natura assicurativa della prestazione, nè tanto meno del soggetto erogante, quanto piuttosto nella possibilità di ravvisare in quelle prestazioni redditi di capitale derivanti da contratti di capitalizzazione (e nei limiti in cui tale possibilità sussista). Che non si tratti di (redditi derivanti da) contratti di assicurazione sulla vita lo si desume del resto dal contenuto degli accordi succedutisi nel tempo tra E. e organizzazioni sindacali di categoria;
d'altro canto, il fondo di previdenza integrativa denominato PIA era destinato a garantire, sin da subito, una prestazione previdenziale complementare pari al 70% della differenza intercorrente tra la retribuzione individuale e il valore annuo massimo della pensione erogabile dal sistema previdenziale obbligatorio, e ciò attraverso la necessaria adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico-attuariali di capitalizzazione "tipici delle imprese assicurative".

Contrariamente all'assunto di chi individua proprio in tale meccanismo il "minimo comune denominatore" che consentirebbe di considerare i rendimenti in questione di natura assicurativa, è evidente però che si tratta piuttosto di un mero criterio matematico funzionale alla quantificazione delle risorse necessarie per garantire la copertura richiesta dalle prestazioni concordate, come tale neutro e privo di significato ai fini della qualificazione di queste ultime, che resta legata ad altri elementi, quali la causa del contratto e la provenienza delle risorse medesime.

Solo se e in quanto, dunque, nei capitali corrisposti possano identificarsi "redditi di capitale derivanti da contratti di capitalizzazione" può giustificarsi l'applicazione del meccanismo impositivo di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6, dovendosi al riguardo pertanto escludere la possibilità di distinguere tra PIA e F. - ossia tra rendimenti degli accantonamenti operati prima del 1998 nel fondo denominato Pia e rendimenti riferibili invece alla gestione F. del periodo successivo - e considerare i primi comunque assoggettabili al detto meccanismo in ragione di una presunta, ma come detto insussistente, natura assicurativa delle prestazioni.

Questa distinta considerazione non si può ricavare dal ripetuto arresto delle Sezioni unite, il quale invero descrive il fondo de quo in termini chiari e univoci, e senza alcuna distinzione rispetto alle diverse configurazioni succedutesi nel tempo, quale "fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente" le cui prestazioni sono composte "da una "sorte capitale", costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore), e da un "rendimento netto", imputabile alla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato".

Data tale premessa non si può dubitare - anche per la congiunzione "sicchè" che lega i due periodi da nesso logico di consequenzialità - che il successivo riferimento testuale al "rendimento di polizza (nella fattispecie Pia)" abbia solo un valore descrittivo/esemplificativo della parte dei capitali corrisposti eventualmente tassabile nella misura del 12,5 per cento ai sensi della L. n. 482 del 1985, art. 6, fermo restando il requisito poco prima indicato perchè un tale rendimento possa effettivamente identificarsi, rappresentato dall'essere lo stesso discendente dalla "gestione sul mercato del capitale accantonato".

Resta dunque confermato, anche alla luce della precedente analisi, che sono tassabili con l'aliquota del 12,5% ai sensi della L. n. 482 del 1985, art. 6, i capitali maturati anteriormente al 1^ gennaio 2001 dai soggetti iscritti al fondo di previdenza integrativa di che trattasi (PIA, poi F.) prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, limitatamente a quella parte di essi costituita dal rendimento netto, derivante dalla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato.

Se da un lato, per quanto detto, tale requisito andrà ricercato anche per i capitali maturati e gli accantonamenti effettuati anteriormente alla trasformazione del fondo da P.I.A. a F., dall'altro, però, non v'è ragione di circoscrivere tale requisito ai soli, eventuali, investimenti nel mercato finanziario, secondo indicazione contenuta nella Risoluzione 26 novembre 2012, n. 102/E, dell'Agenzia delle Entrate e avallata da diverse sentenze successive alla pronuncia delle Sezioni unite (v. ex aliis Cass. nn. 7724-7728, 12491- 12496, 22950 del 2013;
nn. 3136, 6380 e 8310 del 2014), che parla soltanto di "gestione sul mercato", senza alcuna aggettivazione.

Il requisito dell'essere il rendimento imputabile alla "gestione sul mercato" del capitale accantonato identifica la ragione stessa della più favorevole tassazione di tale reddito, rappresentata dall'essere questo il risultato dagli investimenti effettuati dall'ente di gestione della somma versata, investimenti che, se certamente saranno per lo più indirizzati verso i vari prodotti del mercato finanziario (strumenti finanziari, valori mobiliari, etc.), nulla esclude possano esserlo anche verso altri tipi di mercato (es. mercato immobiliare).

E' però certo da escludere che tale requisito possa considerarsi soddisfatto dall'essere il rendimento ottenuto corrispondente alla redditività ottenuta sul mercato dell'intero patrimonio dell'E. (rapporto tra il margine operativo lordo e il capitale investito).

Tale coerenza (del rendimento ottenuto dal capitale accantonato con quello ottenuto dal patrimonio dell'E.) costituisce, infatti, comunque un dato estrinseco e non causale, nel senso che il primo non può comunque considerarsi frutto dell'investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato, come richiesto perchè abbia a configurarsi il reddito da capitale della specie richiesta, essendo al contrario esso stesso dipeso da un predeterminato calcolo di matematica attuariale.

In conclusione, va richiamato il principio di diritto enunciato da questa Corte nella sentenza 26/4/2017 n. 10285: "in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all'entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17 (nel testo vigente ratione temporis);
b) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, invece, la prestazione è assoggettata a detto regime di tassazione separata solo per quanto riguarda la sorte capitale, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore e corrispondente all'attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6, alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento. Sono tali le somme derivanti dall'effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato - non necessariamente finanziario - e non anche quelle calcolate attraverso l'adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico-attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate".

Per quanto interessa ai fini della decisione del presente ricorso, devono essere poi menzionate alcune precisazioni fatte da questa Corte che rendono chiaro ed ineludibile il significato della sintetica formula adottata nell'ordinanza di rinvio, Cass. 29205/2011, "per un nuovo esame della fattispecie concreta".

In particolare, Cass. 30 luglio 2014 n. 17365 ha ripreso i vari profili nei quali si è articolato il ragionamento delle Sezioni Unite osservando, per quanto qui rileva, che la quantificazione del rendimento netto imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato, "deve essere compiuta dal giudice di merito, sulla base di una congruente analisi giuridica della fattispecie concreta, che operi l'accertamento della natura e quantità del rendimento che sarebbe stato erogato a favore del contribuente, verificando se vi sia stato (e quale sia stato) l'impiego da parte del Fondo sul mercato del capitale accantonato e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego";
risulta pertanto necessario, da parte del giudice del merito, svolgere un esame degli investimenti effettuati dal Fondo sul mercato finanziario (alla stregua delle norme contrattuali via via applicabili) e delle plusvalenze con essi realizzati, così da accertare "se in concreto sussistesse un rendimento imputabile alla gestione sul mercato, da parte del Fondo, del capitale accantonato (ossia, in termini più espliciti, se la differenza tra le somme erogate al beneficiario e l'ammontare dei contributi versati da lui e dal datore di lavoro derivasse in tutto o in parte dalla gestione di tali contributi sul mercato finanziario)". Sempre sul problema della natura ed individuazione della quota di rendimento tassabile, per i "vecchi iscritti", al 12,50% (sulla differenza tra ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo), Cass., 12 febbraio 2014, n. 3130 ha esplicitato - nello stesso senso - la necessità dell'accertamento di merito sulla sussistenza ed entità del rendimento (effettivo investimento sul mercato del capitale degli accantonamenti imputabili ai contributi versati al Fondo dal datore di lavoro e dal lavoratore;
risultati dell'investimento;
modalità dell'assegnazione delle eventuali plusvalenze così ottenute alle singole posizioni individuali). Posto che è sulla scorta di tale indagine che il giudice di merito "quantificherà la parte della somma complessivamente erogata al contribuente che corrisponda al rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato finanziario del capitale accantonato mediante la contribuzione del lavoratore e del datore di lavoro e, quindi, calcolerà l'imposta dovuta dal contribuente (e, conseguentemente, l'ammontare del suo effettivo credito restitutorio) applicando solo a tale parte l'aliquota del 12,5%, (come sopra decrementata) secondo la disciplina dettata dalla L. n. 482 del 1985, art. 6, fermo restando, per il residuo, il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 1".

Non può quindi dirsi pienamente rispettato il principio di diritto espresso dalle SS.UU. e dalle sentenze di questa Corte via via richiamate, qualora non sia stato dal giudice di merito compiuto un "accertamento approfondito ed analitico sulla natura e quantità del rendimento che sarebbe stato liquidato a favore del contribuente, verificando se vi sia stato (e quale sia stato) l'impiego sul mercato del capitale accantonato e quale (e quanto) sia stato il rendimento conseguito in relazione a tale impiego".

Appare chiaro che tale accertamento, espressamente richiesto dall'ordinanza di rinvio pur nella sintetica formula adottata, non è stato compiuto con la sentenza impugnata, che si è limitata ad un astratto richiamo ai principi già emergenti dalla decisione di questa Corte senza in alcun modo addentrarsi nell'"esame della fattispecie concreta".

Alla luce delle considerazioni esposte, i due motivi di ricorso risultano fondati ed il ricorso va accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata con nuovo rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.

Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio.

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