Cass. pen., sez. I, sentenza 13/07/2018, n. 32279

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 13/07/2018, n. 32279
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 32279
Data del deposito : 13 luglio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: F G J nato a DUWEILER ( GERMANIA) il 09/01/1969 avverso il provvedimento del 06/10/2017 del GIUD. SORVEGLIANZA di NOVARAudita la relazione svolta dal Consigliere FILIPPO CASA;
lette/sente le conclusioni del PG SE) n e LIA: C- L4A L CA-02 tO tzt u. CA.

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RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto reso in data 6.9.2017, il Magistrato di Sorveglianza di Novara dichiarava inammissibile, ai sensi dell'art. 666, comma 2, cod. proc. pen., il reclamo proposto da F G J avverso la sanzione disciplinare dell'esclusione dalle attività in comune per cinque giorni, inflittagli dal Consiglio di Disciplina in data 18.4.2017. In fatto, si contestava al detenuto di aver protestato mediante battitura, coinvolgendo altri detenuti, poiché gli era stato negato il passaggio di generi alimentari ai compagni del gruppo di socialità. Osservava il Magistrato di Novara che dall'esame della documentazione allegata non erano emerse irregolarità formali né con riguardo alle condizioni di esercizio del potere disciplinare, né con riguardo alla costituzione e alla competenza dell'organo disciplinare, né con riguardo alla contestazione degli addebiti e alla facoltà di discolpa ex art. 81, comma 2, Reg. Es., come modificato dal D.P.R. n. 230/2000. Non ravvisando, quindi, nella specie, alcuna "inosservanza da parte dell'amministrazione di disposizioni previste dalla legge e dal relativo regolamento", il Giudicante dichiarava inammissibile il reclamo perché manifestamente infondato per vizi formali e vizi di merito. Pur non ignorando l'insegnamento della Suprema Corte, secondo cui il decreto di inammissibilità per manifesta infondatezza può essere emesso de plano, ai sensi dell'art. 666, comma 2, c.p.p., soltanto quando essa sia riscontrabile per difetto delle condizioni di legge e, cioè, per vizio di legittimità e non per ragioni di merito, il Magistrato di Sorveglianza riteneva di doverlo disattendere. Osservava, al riguardo, che, dal punto di vista letterale, l'art. 666, comma 2, c.p.p., parlava genericamente di manifesta infondatezza "per difetto delle condizioni di legge" e che dette condizioni, a loro volta, ben potevano distinguersi in "condizioni di ammissibilità" (requisiti formali e processuali necessari per procedere all'esame del merito) e "condizioni di merito" (requisiti necessari per l'accoglimento della domanda), come affermato da Cass. civ., Sez. lavoro, n. 3012 del 16.4.1988. Inoltre, poiché la ratio dell'art. 666, comma 2, c.p.p. era sicuramente espressione del principio di economia processuale, a sua volta costituente una delle estrinsecazioni del valore costituzionale della ragionevole durata del processo, il richiamato orientamento della Corte di legittimità non appariva "costituzionalmente adeguato". Pertanto, per non esporsi a censure di incostituzionalità per violazione degli artt. 3 e 111 Cost., l'art. 666, comma 2, c.p.p. doveva essere interpretato nel senso che il decreto di inammissibilità ivi previsto andrebbe pronunciato quando: a) la richiesta si presenti infondata per difetto delle condizioni di ammissibilità o di merito stabilite dalla legge;
b) la manifesta infondatezza va considerata tale quando non implichi valutazioni discrezionali o approfondimenti istruttori.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l'interessato, per il tramite del difensore di fiducia, sulla base dei seguenti motivi.

2.1. Violazione ed erronea applicazione dell'art. 35-bis O.P. e 666, comma 2, c.p.p., in relazione agli artt. 24, 27 e 111 Cost.. Il Magistrato di Sorveglianza riteneva di poter confutare l'orientamento consolidato della Cassazione in ordine ai casi in cui è possibile dichiarare l'inammissibilità de plano di un reclamo, richiamando un giurisprudenza alquanto risalente e relativa, giocoforza, a questioni del tutto diverse rispetto a quelle concernenti il ricorrente. Inoltre, a fondamento della decisione, il Magistrato adduceva ragioni di economia processuale. Tali argomenti non erano condivisibili. In primo luogo, il provvedimento impugnato trascurava la rilevanza, nel caso del FOCOSO, di valori primari quali la libertà personale, il trattamento dei detenuti, la funzione rieducativa della pena, nonché il principio del contraddittorio delle parti;
tutti principi fondamentali che non potevano essere ignorati e, conseguentemente, violati, per essere gli stessi relegati in secondo piano rispetto a motivazioni puramente economiche e di durata del processo. Inoltre, il Magistrato non aveva mostrato di comprendere appieno il contenuto del reclamo, posto che il ricorrente non aveva inteso contestare la procedura disciplinare, ma la qualificazione del suo comportamento alla stregua di una promozione di disordini o sommosse.
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