Cass. civ., sez. III, ordinanza 09/04/2019, n. 09799

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L'esercizio del diritto di critica nei confronti di un magistrato (consistito, nella specie, nell'averlo additato in un esposto disciplinare come autore di atti viziati da parzialità nella gestione di un procedimento di separazione) può ritenersi lecito quando sia guidato dalla ragionevole convinzione soggettiva che i fatti corrispondano a verità, mentre non è configurabile se supera il limite della continenza non essendo suffragato da fatti obiettivamente riscontrabili e controbilanciato dal requisito della verità putativa. A questo fine, pertanto, il giudizio di liceità sull'esplicazione del diritto di critica richiesto al giudice civile ai fini della decisione sulla domanda di risarcimento deve estendersi in concreto alla verifica del carattere non veritiero o meno, anche solo in termini di verità putativa, dei fatti attribuiti. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, nel ritenere fondata l'azione di responsabilità civile per diffamazione proposta dalla parte civile, ha rilevato la natura illecita dell'esercizio del diritto di critica nel contenuto di un esposto, redatto dalla parte e condiviso dal suo legale, sulla base degli elementi riscontrati in fatto e nella piena disponibilità delle parti prima della redazione dell'esposto, dai quali ben poteva evincersi che il giudice si era pronunciato su ogni richiesta e si era posto in posizione di neutralità ed equidistanza nel valutare gli interessi dei due coniugi).

Premesso che, nell'accertamento della sussistenza di determinati fatti, il giudice civile valuta liberamente le prove raccolte in sede penale, in modo del tutto svincolato dal parallelo processo penale, l'utilizzabilità o meno delle dichiarazioni rese da una coimputata ai sensi dell'art. 192 c.p.p. è questione che riguarda esclusivamente le regole che presiedono alla formazione della prova nell'ambito del processo penale, non assumendo alcun rilievo nel giudizio civile, teso a verificare la fondatezza degli addebiti mossi ai fini della decisione sulla domanda di risarcimento civile.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, ordinanza 09/04/2019, n. 09799
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 9799
Data del deposito : 9 aprile 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

o o t n v i e t a m r a g s e r t e n v i l o a t u o t b i a r g t i n l ORIGINALE b o b c o l e e t d 9 799--2019 n e e r r o r i o r c e i t Oggetto l LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE R u Responsabilità TERZA SEZIONE CIVILE civile per Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: reato di diffamazione Dott. ULIANA ARMANO Presidente dichiarato prescritto Dott. FRANCO DE STEFANO Consigliere R.G. N. 18627/2016 Dott. STEFANO OLIVIERI Consigliere Cron.9799 - Consigliere Dott. MARIO CIGNA Rep.☺.

1. Dott. FRANCESCA FIECCONI Rel. Consigliere Ud. 27/11/2018 ha pronunciato la seguente CC ORDINANZA sul ricorso 18627-2016 proposto da: SE RI AR, elettivamente domiciliato in ROMA, VICOLO ORBITELLI 311 presso 10 studio dell'avvocato VINCENZO ZENO ZENCCVICH, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale а margine del ricorso;
ricorrente-

contro

SC OS, DE BE DE AU E WA 2018 LA;
2759 - intimate Nonché da: DE BE DE AU Ε WA LA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell'avvocato LUIGI MANZI, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato LORENZO PICOTTI giusta procura speciale in calce al controricorso e ricorso incidentale;
ricorrente incidentale avverso la sentenza n. 628/2016 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 29/01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/11/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;
2 RG 18627/2016 Rilevato che :

1. Con ricorso notificato il 22 luglio 2016 MA IA RA impugna per cassazione la sentenza della Corte d'appello di Roma, sezione civile, numero 628-2016, pubblicata il 29 gennaio 2016 che si è pronunciata nei suoi confronti e nei confronti del suo legale AB De RO De AU e Schwanenefeld, condannandole solidalmente a risarcimento conseguente allo illecito di diffamazione di cui all'articolo 531 codice penale in relazione al quale, nel giudizio penale, a fronte della dichiarazione di prescrizione del reato, la Corte di cassazione ha rinviato il procedimento alla Corte d'appello civile ex articolo 622 codice procedura penale per la prosecuzione del giudizio relativo alla responsabilità inerente alle conseguenze civili subite dalla parte lesa, 1 costituitasi parte civile. Il ricorso contiene quattro motivi. Con ricorso incidentale notificato il 9 luglio 2016 il legale della ricorrente, coinvolto nel procedimento penale, propone ricorso incidentale autonomo affidato a otto motivi.

2. La vicenda trae origine da un procedimento penale per diffamazione avviato nei confronti delle due ricorrenti su denuncia di OS CU che, quale magistrato cui era stata assegnata la controversia di separazione personale dei coniugi coinvolgente la ricorrente, nel 1998 era stata destinataria di un esposto, sottoscritto dalla legale della ricorrente (diversa da quella che aveva patrocinato la causa di separazione) , inviato al CSM per fatti disciplinari correlati alla gestione del procedimento di separazione, ove tra i motivi di maggiore contesa vi era l'affidamento della casa familiare provvisoriamente assegnata al coniuge non affidatario del figlio minore con provvedimento interinale del presidente che non era stato modificato dal giudice designato per la trattazione della controversia. L'esposto della ricorrente era stato successivamente archiviato dal CSM, e pertanto il magistrato destinatario dell'esposto aveva denunciato sia la ricorrente che il legale che lo aveva redatto per diffamazione, costituendosi parte civile nel giudizio penale. Il giudizio si era concluso in primo grado innanzi al tribunale di Roma che riteneva la ricorrente colpevole del reato e la condannava risarcimento dei 3 danni alla parte civile da liquidarsi in separata sede;
nei riguardi della legale firmataria dell'esposto veniva pronunciata sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto, sull'assunto che non vi fosse prova che la legale avesse svolto attività di consulenza nella fase di redazione dell'esposto. Avviato il giudizio di impugnazione dalla Procura Generale, dalla parte civile e dalla ricorrente RA, la Corte d'appello di Roma, con sentenza del 5 giugno 2007, accoglieva l'appello di quest'ultima e la assolveva perché il fatto non costituisce reato, mantenendo ferma la sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto nei confronti della procuratrice legale.

3. Impugnata dal PG e dalla parte civile la sentenza assolutoria della Corte d'appello, la Corte di cassazione, sezione penale, con sentenza numero 39.220-2008 del 20/10/2008, annullava la decisione della Corte d'appello ritenendo che non sussistessero le condizioni per la piena assoluzione delle due imputate, e a tali ristretti questi fini dichiarava prescritto il reato di diffamazione nei confronti di entrambi gli imputati;
annullava quindi la sentenza quanto agli effetti civili, rinviando la questione relativa al risarcimento danni al giudice civile competente in grado di appello ex art. 622 cod. proc. penale.

4. La Corte d'appello adita, nella pronuncia qui impugnata, sulla scorta di quanto già ritenuto dalla Corte di cassazione, assumeva che 1) il magistrato non avesse omesso di provvedere ma aveva espresso il suo giudizio su ogni domanda, e che pertanto l'addebito di omissione di atti del proprio ufficio non fosse supportato da puntuali riferimenti ad atti o fatti processuali specifici;
2) l'atteggiamento di asserita parzialità del giudice nella differenziata considerazione delle missive ricevute dalle parti al di fuori del contraddittorio fosse giustificato dal fatto che la ricorrente, nelle missive inviate al magistrato, aveva espresso un contenuto di critica all'operato del magistrato, definito essere "indifferente all'esproprio di natura affettiva, professionale ed economica", non ravvisabile invece in quelle inviate dalla controparte;
3) che non poteva ritenersi sussistente la cosiddetta "ragionevole verità putativa", quale esimente per il comportamento illecito di diffamazione, poiché entrambe le parti - parte denunciante e suo difensore erano nella possibilità di - 4 accedere agli atti processuali e di conoscere il tenore delle decisioni assunte nel corso del procedimento;
4) che il carattere gratuito delle informazioni racchiuse nell'esposto non poteva quindi giustificarsi in ragione di un interesse pubblico;
5) che, quanto all'eccezione di novum della legale, la Corte d'appello riteneva che la Corte di cassazione, accogliendo l'impugnazione della parte civile, avesse ritenuto ammissibile la domanda risarcitoria proposta dalla parte civile posta sugli elementi fattuali indicati dall'impugnante (l'avere redatto l'esposto in senso sostanziale). Nel merito, riteneva che la legale fosse responsabile in quanto dagli atti del procedimento penale ( dichiarazioni della coimputata e lettera scambiata con il precedente difensore) risultava che avesse condiviso con la sua assistita il contenuto dell'esposto inviato al CSM.

Considerato che :

1. Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia ex art. 360 n. 3 cod. proc.civ., violazione degli articoli 622 627 codice procedura penale nonché degli articoli 392 seguenti cod. proc. civ.;
ugualmente, con il primo motivo di ricorso incidentale autonomo la ricorrente incidentale, legale della ricorrente, denuncia la medesima violazione di norme sotto il profilo dell'articolo 360 numero 4 cod. proc. civ., qualificandola come violazione di norme processuali. In entrambi i motivi si assume che la Corte d'appello, in sede di giudizio di rinvio ex art. 622 cod. proc. civ. non abbia adeguatamente considerato I l'ampio margine di discrezionalità assegnato dal dictum della Corte di cassazione, espresso nell' ambito dell'annullamento della sentenza per vizio di motivazione, in ciò richiamando cassazione civile numero 12102-2014 in tema di rinvio restitutorio. Entrambe deducono che la Corte d'appello abbia fondato invece la propria decisione Su un "inesistente giudicato" in relazione all'elemento oggettivo e soggettivo dell'illecito, in particolare ritenendo accertato il requisito della cosiddetta "carenza di continenza" della critica svolta dai due imputati all'operato del magistrato che, invece, avrebbe dovuto essere vagliata nel merito dalla Corte d'appello in sede di rinvio. I motivi dei due ricorrenti vanno trattati congiuntamente in quanto 1.1. concernono la medesima questione giuridica.

1.2. I motivi sono infondati. 5 1.3. In caso di cassazione con rinvio per vizio di motivazione (da solo o cumulato con il vizio di violazione di legge), il giudice del rinvio non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo, in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, con il solo limite del divieto di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento impugnato ritenuti illogici ed eliminando, a seconda dei casi, le contraddizioni ed i difetti argomentativi riscontrati (Sez. 3, Sentenza n. 16660 del 06/07/2017;
Cass Sez. 3, Sentenza n. 6552 del 05/04/2016;
Sez. L, Sentenza n. 12102 del 9/05/2014). La Corte d'appello ha motivato, pag. 9 della sentenza, sul merito della questione riportandosi ai principi espressi in linea di principio dalla Corte di Cassazione, senza incorrere nelle violazioni processuali denunciate, ed esaminando funditus la vicenda in questione sulla base degli elementi di prova, raccolti nel giudizio penale, portati alla sua valutazione.

1.4. L'enunciato della Corte di cassazione penale elenca le ragioni per cui la denuncia contenuta nell'esposto presentato nei confronti del magistrato ha assunto una portata illecita sia per quanto riguarda l'attribuzione di gravi condotte omissive al giudice nell'espletamento del suo ufficio, sia per quanto riguarda la censura di assenza di imparzialità nella condotta giudiziaria assunta riguardo alle parti, ove le critiche non sono corrispondenti a una c.d. verità putativa. La Corte di cassazione ha ritenuto che la Corte d'appello penale, muovendo dalla fallace attribuzione, alle

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