Cass. pen., sez. III, sentenza 28/10/2022, n. 40868

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 28/10/2022, n. 40868
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 40868
Data del deposito : 28 ottobre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da GROUPAMA ASSICURAZIONI S.p.A. avverso l'ordinanza del 1°/3/2022 del Tribunale del riesame di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere E M;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale T E, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni del difensore della ricorrente, Avv. M B, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso lette le memorie presentate

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 1 /3/2022, il Tribunale del riesame di Napoli rigettava l'istanza proposta ai sensi dell'art. 324 cod. proc. pen. da Groupama Assicurazioni S.p.A. (di seguito, Groupama), in persona del legale rappresentante pro tempore, così confermando il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale il 18/1/2022, con riguardo ai delitti di: a) associazione per delinquere finalizzata alle truffe ed al falso (e relativi reati fine di cui al capo 2);
b) emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74);
c) tentata indebita compensazione di crediti inesistenti (artt. 56, 10-quater, d. Igs. n. 74 del 2000), tutti commessi - in ipotesi accusatoria - con riferimento al cd. Superbonus edilizio 110%, di cui al d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla I. 17 luglio 2020, n. 77, e successive modificazioni.

2. Propone ricorso per cassazione la Groupama S.p.a., quale terzo interessato, deducendo l'inosservanza e l'erronea applicazione della legge penale e di norme extrapenali.

2.1. Il primo motivo - il cui oggetto concerne l'esistenza, la natura e l'utilizzabilità del credito d'imposta di cui è titolare la ricorrente - ricostruisce la normativa a fondamento del richiamato Superbonus, evidenziando, all'esito, che - contrariamente a quanto si legge nell'ordinanza - lo stesso credito sorgerebbe soltanto nel momento in cui il beneficiario (ovvero colui che ha sostenuto le spese per gli interventi di cui all'art. 121, d.l. citato) esercita l'opzione per la cd. cessione (termine che si assume improprio), in luogo della detrazione diretta (o dell'ulteriore opzione per il cd. sconto in fattura);
prima di tale momento, non esisterebbe alcun credito in capo al beneficiario, ma soltanto il diritto alla detrazione fiscale, ben diverso dall'altro sotto vari profili, a cominciare dalla sua incedibilità. Il credito in capo al cessionario sorgerebbe, dunque, a titolo originario, non derivativo, cosicché qualunque vizio dovesse riguardare il diritto alla detrazione - compresa la radicale assenza dei presupposti, come si contesta nel caso di specie - non potrebbe trasmettersi al credito costituito. La correttezza di questa conclusione emergerebbe evidente dal testo dell'art. 121 del d.l. n. 34 del 2020, in forza del quale - nel caso di insussistenza dei requisiti per accedere all'agevolazione fiscale - gli effetti pregiudizievoli sorgerebbero esclusivamente in capo al beneficiario del Superbonus, ossia a colui che ha sostenuto le spese per gli interventi, al quale sarebbe imposto il versamento di quanto portato in detrazione;
il cessionario (come la ricorrente), per contro, risponderebbe soltanto per l'eventuale utilizzo del credito d'imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito ricevuto, oppure nell'ipotesi di concorso nella violazione compiuta dal beneficiario, da accertare secondo gli ordinari criteri penalistici. Soltanto in questi casi - estranei alla vicenda in esame - al cessionario sarebbe dunque precluso validamente disporre del credito, altrimenti di certo suscettibile di esser portato in compensazione o ulteriormente ceduto. La stessa conclusione, ancora, troverebbe conferma negli altri atti - interpretativi e normativi - riconducibili all'autorità di governo ed all'Agenzia delle Entrate, che il ricorso diffusamente richiama, dai quali risulterebbe, per un verso, che il credito "deriverebbe" dall'esercizio di opzione del beneficiario/cedente, e, per altro verso, che l'eventuale accertamento della mancanza dei presupposti per accedere al Superbonus non comporterebbe - in capo al cessionario - la perdita del diritto di utilizzare il credito acquistato, se non nelle limitate ipotesi appena richiamate. In nessun caso, dunque, il credito potrebbe esser ritenuto prodotto o profitto del reato, se non addirittura corpo del reato, come invece si legge nell'ordinanza. Ulteriore conferma, infine, risulterebbe dall'art. 3, comma 1, d.l. 25 febbraio 2022, n. 13, che prorogherebbe i termini di utilizzo dei crediti di imposta nel caso in cui gli stessi siano oggetto di sequestro disposto dall'Autorità giudiziaria, una volta cessati gli effetti del provvedimento. Ancora, si evidenzia che nessuno dei successivi interventi normativi sul testo, volti a ridurre il rischio di frodi, avrebbe previsto la perdita del diritto di credito in capo al cessionario, come invece affermato dal Tribunale. D'altronde, se la finalità ultima dell'incentivo fiscale in questione fosse quella di immettere nuova liquidità sul mercato, come sostiene la ricorrente, emergerebbe allora evidente la necessità di tutelare gli operatori economici protagonisti della circolazione di queste risorse;
e proprio per rispondere a tale esigenza, dunque, la responsabilità del cessionario dovrebbe essere contenuta nei limitati termini di cui sopra, come peraltro espressamente indicato in tutte le fonti normative che il ricorso richiama (insieme ad un'ordinanza del Tribunale di Treviso), e delle quali il Tribunale non avrebbe tenuto conto.

2.2. Con il secondo motivo di impugnazione, poi, si contestano l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 240 cod. pen. e 321 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 10-quater e 12-bis d. Igs. n. 74 del 2000. Contrariamente a quanto sostenuto nell'ordinanza, la ricorrente dovrebbe essere ritenuta (non solo persona offesa, ma anche) terzo di buona fede, avendo agito utilizzando tutti i dovuti criteri di diligenza;
il mancato esperimento di controlli sostanziali, contestato dal Tribunale, non potrebbe infatti essere riconosciuto, in quanto soltanto l'Agenzia delle Entrate sarebbe titolare di un tale compito e, dunque, munita dei relativi poteri di accertamento, di certo "inaccessibili ai comuni cessionari." La stessa Groupama, peraltro, avrebbe comunque adottato elevati standard di diligenza professionale, come ampiamente documentato al Tribunale e richiamato nel motivo. Con la terza censura, infine, si lamenta la surrettizia applicazione di un sequestro per equivalente ai danni di un soggetto terzo ed estraneo al reato, dato che la ricorrente avrebbe visto vincolata una somma di denaro che in nessun modo potrebbe essere ricondotta con certezza ai crediti qui in esame, facendo ormai parte di un insieme indistinto costituito dalla totalità dei crediti acquistati.D'altronde, l'assegnazione di un codice identificativo a ciascun credito comunicato all'Agenzia delle Entrate sarebbe stata introdotta solo successivamente, cosicché nulla confermerebbe che l'ingente somma sequestrata alla ricorrente abbia ad oggetto proprio i crediti sorti nella vicenda di cui al procedimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso risulta infondato alla luce delle considerazioni che seguono.

2. Deve essere preliminarmente osservato come la ricorrente non contesta la configurabilità dei reati ipotizzati in capo agli attuali indagati, rispetto ai quali (in particolare il capo di imputazione riguardante la truffa aggravata), peraltro, è la stessa prospettazione accusatoria a qualificare la veste della parte ricorrente Groupama quale persona offesa dal reato. Il tema, inedito nella giurisprudenza di legittimità, riguarda invece la sequestrabilità dei crediti di imposta ceduti, nella specie del valore di oltre 7 milioni e mezzo di euro, in capo al terzo estraneo al reato, quale cessionario di tali crediti, in seconda battuta, rispetto alla società che ha acquistato il credito di imposta dal cedente consorzio Sgai con sede in Napoli.

3. Tanto premesso, il Collegio ritiene necessario, in primo luogo, operare una rigorosa delimitazione dell'ambito di intervento di questa decisione, e dunque delle questioni da esaminare, per come direttamente ricavati dalla natura del sequestro disposto a carico di Groupama, poi confermato dal Tribunale del riesame.

3.1. In particolare, la lettura del provvedimento genetico in atti, sostenuta sul punto dallo stesso ricorso in oggetto (pag. 3), consente di accertare che il G.i.p. del Tribunale di Napoli, in data 18/1/2022, aveva emesso un decreto di sequestro preventivo ai sensi dell'art. 321, comma 1, cod. proc. pen.;
un sequestro, dunque, motivato dal pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente ad un reato potesse aggravare o protrarre le conseguenze di esso, ovvero agevolare la commissione di altri reati.

3.2. Da questa oggettiva premessa (e rimarcando che nessuna questione è posta in punto di fumus dei delitti contestati agli indagati), deriva allora la constatazione che alcune delle questioni trattate tanto nell'ordinanza impugnata quanto nel ricorso, anche con ampie considerazioni, esulano del tutto dalla concreta reiudicanda, afferendo a profili che sono propri non del sequestro impeditivo, come quello in esame, ma di quello anticipatorio di cui all'art. 321, comma 2, cod. proc. pen., relativo alle cose di cui è consentita la confisca ed estraneo al decreto emesso dal G.i.p. di Napoli.

4. Tali profili - che la Corte, dunque, non tratterà, unitamente a quelli attraverso cui si è preteso di rinvenire nel provvedimento impugnato vizi motivazionali di contraddittorietà o di illogicità, in quanto gli stessi esulano dall'ambito cognitivo di questa Corte per espressa previsione dell'art. 325, cod. proc. pen. (v. per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710 - 01) - concernono innanzitutto la qualifica soggettiva del terzo colpito dal sequestro (come la ricorrente Groupama) e, in particolare, l'esame della sua eventuale buona fede (secondo motivo), con riferimento alla diligenza spiegata nell'istruire le pratiche relative ai crediti oggetto di cessione. Al riguardo, infatti, occorre ribadire - con la giurisprudenza consolidata - che il sequestro preventivo non finalizzato alla confisca implica l'esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore, cosicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all'illecito ed in buona fede, se la loro libera disponibilità sia idonea a costituire un pericolo nei termini di cui all'art. 321, comma 1, cod. proc. pen., sopra richiamato (tra le altre, Sez. 3, n 57595 del 25/10/2018, Cervino, Rv. 274691;
Sez. 3, n. 40480 del 27/10/2010, Orlando, Rv. 248741).
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