Cass. pen., sez. V, sentenza 24/05/2023, n. 22648
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: S M nato a TORINO il 31/03/1973 avverso la sentenza del 14/04/2022 della CORTE APPELLO di TORINOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere V S;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCA CERONI che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 14/04/2022 la Corte di appello di Torino, ridotta la durata delle pene accessorie fallimentari, ha nel resto confermato la sentenza del Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Torino che, assolta la coimputata da tutti i reati ascritti ed assolto M S dall'imputazione di bancarotta per distrazione con riferimento ad un sollevatore telescopico, riqualificata nei suoi confronti l'imputazione di bancarotta fraudolenta documentale in quella di bancarotta semplice, lo ha condannato alla pena di giustizia, oltre che per quest'ultimo reato, per il delitto di bancarotta per distrazione con riferimento al saldo di cassa ed alla somma di euro 9.760 provento della vendita di un autocarro di proprietà della società BO.DE.00 s.r.I., dichiarata fallita il 28 settembre 2016. Di tale società l'imputato era stato dapprima socio (dal 30 gennaio 2009 al 21 febbraio 2011, come si evince dalla sentenza di primo grado) e poi amministratore dal 25 novembre 2014 al 20 aprile 2016 e di nuovo dal 15 giugno 2016 alla data del fallimento.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, articolando i seguenti motivi, qui enunciati nei limiti previsti dall'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce vizio di motivazione (motivi nn. 1 e 4), travisamento della prova (motivo n. 2) e violazione di legge (motivi nn. 3 e 5) con riferimento alla ritenuta responsabilità per bancarotta distrattiva. La Corte di appello sarebbe incorsa in manifesta illogicità laddove ha ritenuto che le condotte distrattive ascritte all'imputato siano state compiute allorché la società era già decotta, laddove invece l'unico debito risalente era quello nei confronti dell'Erario, mentre gli altri debiti avevano appena iniziato a maturare: ciò facendo, avrebbe travisato la relazione del curatore fallimentare. La Corte sarebbe incorsa in violazione di legge rispetto ai due episodi di bancarotta per distrazione contestati. Quanto alla mancanza del saldo di cassa, già il primo giudice aveva evidenziato come il saldo della cui mancanza di discuteva fosse in realtà di poco superiore alla somma irrisoria di 2000 euro, rispetto alla quale il ricorrente aveva chiesto alla Corte di appello di valutare se si potesse configurare realmente distrazione. I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, hanno omesso di confrontarsi con tale doglianza perché hanno ritenuto che in realtà tale saldo andasse incrementato della somma di euro 12.074,76, corrispondenti ad un finanziamento concesso dallo stesso ricorrente alla società e che, secondo la relazione del curatore, sarebbero stati dallo stesso prelevati.La Corte di appello avrebbe frettolosamente concluso per la natura distrattiva dell'operazione perché, quando la società si trova in stato di dissesto (condizione che nel caso di specie il ricorrente comunque contesta e che non sarebbe stata congruamente motivata), la restituzione di un finanziamento ad un socio creditore non può integrare mera violazione della par condicio creditorum. A tale ricostruzione il ricorrente oppone gli approdi di Sez. 5, n. 8431 del 01/02/2019, V, secondo la quale la conclusione fatta propria dalla Corte di appello varrebbe solo per i versamenti in conto capitale - destinati ad essere restituiti solo nel momento dello scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale utile - mentre il rimborso di un finanziamento al socio creditore integrerebbe bancarotta preferenziale. Analoghe considerazioni sono svolte dal ricorrente con riguardo alla somma non reperita nelle casse sociali ed incassata dalla vendita dell'autocarro di proprietà della società, venduto pochi giorni prima della dichiarazione di fallimento: risulta che un importo sostanzialmente identico (9770 euro, a fronte dei 9760 incassati dalla vendita) sia stato versato a mezzo bonifico, da parte dell'imputato, un anno prima del fallimento. Dunque, di tale somma l'imputato era creditore: secondo la prospettazione del ricorrente, sarebbe stata effettuata un'operazione di sale and lease back, vantaggiosa per la società;
in ogni caso, la Corte di appello avrebbe frettolosamente liquidato la questione affermando, alla luce del medesimo principio applicato rispetto al saldo di cassa, che l'importo del quale l'imputato era certamente creditore verso la società non potesse essere da lui prelevato, se non commettendo bancarotta per distrazione. L'errore di diritto sarebbe analogo al precedente.
2.2. Deduce poi vizio di motivazione e travisamento della prova, con riferimento all'imputazione di bancarotta documentale. La Corte non si sarebbe confrontata con la denuncia di furto in atti, nonché con le dichiarazioni del curatore e del consulente, da cui dovrebbe trarsi la prova del furto delle scritture contabili.
3. Il ricorso è stato trattato, senza intervento delle parti, nelle forme di cui all'art. 23, comma 8, legge n. 176 del 2020 e successive modifiche. Il Procuratore generale ha concluso per iscritto chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi inerenti la bancarotta documentale sono manifestamente infondati e dunque inammissibili.E' anzitutto inammissibilmente dedotto il vizio di travisamento della prova. Il vizio di contraddittorietà processuale (da tenere distinto rispetto a quello di contraddittorietà logica, riconducibile, eventualmente, al vizio di illogicità manifesta) non ricomprende invece il travisamento del fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (per tutte v. Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217, Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099);
il giudice di legittimità non può reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma solo verificare se detti elementi sussistano (cfr. tra le altre Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215). Il vizio invocato vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice del dato probatorio nei termini di una "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos, Rv. 283370). Rilettura, invece, implicata inevitabilmente da ricorsi che, offrendo al giudice di legittimità, frammenti
sentita la relazione svolta dal Consigliere V S;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCA CERONI che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 14/04/2022 la Corte di appello di Torino, ridotta la durata delle pene accessorie fallimentari, ha nel resto confermato la sentenza del Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di Torino che, assolta la coimputata da tutti i reati ascritti ed assolto M S dall'imputazione di bancarotta per distrazione con riferimento ad un sollevatore telescopico, riqualificata nei suoi confronti l'imputazione di bancarotta fraudolenta documentale in quella di bancarotta semplice, lo ha condannato alla pena di giustizia, oltre che per quest'ultimo reato, per il delitto di bancarotta per distrazione con riferimento al saldo di cassa ed alla somma di euro 9.760 provento della vendita di un autocarro di proprietà della società BO.DE.00 s.r.I., dichiarata fallita il 28 settembre 2016. Di tale società l'imputato era stato dapprima socio (dal 30 gennaio 2009 al 21 febbraio 2011, come si evince dalla sentenza di primo grado) e poi amministratore dal 25 novembre 2014 al 20 aprile 2016 e di nuovo dal 15 giugno 2016 alla data del fallimento.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, articolando i seguenti motivi, qui enunciati nei limiti previsti dall'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce vizio di motivazione (motivi nn. 1 e 4), travisamento della prova (motivo n. 2) e violazione di legge (motivi nn. 3 e 5) con riferimento alla ritenuta responsabilità per bancarotta distrattiva. La Corte di appello sarebbe incorsa in manifesta illogicità laddove ha ritenuto che le condotte distrattive ascritte all'imputato siano state compiute allorché la società era già decotta, laddove invece l'unico debito risalente era quello nei confronti dell'Erario, mentre gli altri debiti avevano appena iniziato a maturare: ciò facendo, avrebbe travisato la relazione del curatore fallimentare. La Corte sarebbe incorsa in violazione di legge rispetto ai due episodi di bancarotta per distrazione contestati. Quanto alla mancanza del saldo di cassa, già il primo giudice aveva evidenziato come il saldo della cui mancanza di discuteva fosse in realtà di poco superiore alla somma irrisoria di 2000 euro, rispetto alla quale il ricorrente aveva chiesto alla Corte di appello di valutare se si potesse configurare realmente distrazione. I giudici di merito, sia in primo che in secondo grado, hanno omesso di confrontarsi con tale doglianza perché hanno ritenuto che in realtà tale saldo andasse incrementato della somma di euro 12.074,76, corrispondenti ad un finanziamento concesso dallo stesso ricorrente alla società e che, secondo la relazione del curatore, sarebbero stati dallo stesso prelevati.La Corte di appello avrebbe frettolosamente concluso per la natura distrattiva dell'operazione perché, quando la società si trova in stato di dissesto (condizione che nel caso di specie il ricorrente comunque contesta e che non sarebbe stata congruamente motivata), la restituzione di un finanziamento ad un socio creditore non può integrare mera violazione della par condicio creditorum. A tale ricostruzione il ricorrente oppone gli approdi di Sez. 5, n. 8431 del 01/02/2019, V, secondo la quale la conclusione fatta propria dalla Corte di appello varrebbe solo per i versamenti in conto capitale - destinati ad essere restituiti solo nel momento dello scioglimento della società e nei limiti dell'eventuale utile - mentre il rimborso di un finanziamento al socio creditore integrerebbe bancarotta preferenziale. Analoghe considerazioni sono svolte dal ricorrente con riguardo alla somma non reperita nelle casse sociali ed incassata dalla vendita dell'autocarro di proprietà della società, venduto pochi giorni prima della dichiarazione di fallimento: risulta che un importo sostanzialmente identico (9770 euro, a fronte dei 9760 incassati dalla vendita) sia stato versato a mezzo bonifico, da parte dell'imputato, un anno prima del fallimento. Dunque, di tale somma l'imputato era creditore: secondo la prospettazione del ricorrente, sarebbe stata effettuata un'operazione di sale and lease back, vantaggiosa per la società;
in ogni caso, la Corte di appello avrebbe frettolosamente liquidato la questione affermando, alla luce del medesimo principio applicato rispetto al saldo di cassa, che l'importo del quale l'imputato era certamente creditore verso la società non potesse essere da lui prelevato, se non commettendo bancarotta per distrazione. L'errore di diritto sarebbe analogo al precedente.
2.2. Deduce poi vizio di motivazione e travisamento della prova, con riferimento all'imputazione di bancarotta documentale. La Corte non si sarebbe confrontata con la denuncia di furto in atti, nonché con le dichiarazioni del curatore e del consulente, da cui dovrebbe trarsi la prova del furto delle scritture contabili.
3. Il ricorso è stato trattato, senza intervento delle parti, nelle forme di cui all'art. 23, comma 8, legge n. 176 del 2020 e successive modifiche. Il Procuratore generale ha concluso per iscritto chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi inerenti la bancarotta documentale sono manifestamente infondati e dunque inammissibili.E' anzitutto inammissibilmente dedotto il vizio di travisamento della prova. Il vizio di contraddittorietà processuale (da tenere distinto rispetto a quello di contraddittorietà logica, riconducibile, eventualmente, al vizio di illogicità manifesta) non ricomprende invece il travisamento del fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (per tutte v. Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217, Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099);
il giudice di legittimità non può reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma solo verificare se detti elementi sussistano (cfr. tra le altre Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215). Il vizio invocato vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice del dato probatorio nei termini di una "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Dos Santos, Rv. 283370). Rilettura, invece, implicata inevitabilmente da ricorsi che, offrendo al giudice di legittimità, frammenti
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