Cass. pen., SS.UU., sentenza 31/01/2023, n. 04145
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Testo completo
to la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da TO FA, nato a [...] il [...] avverso la sentenza del 12/03/2021 della Corte di appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal componente Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato generale Pasquale Fimiani, che ha concluso chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata essendo i reati estinti per prescrizione, con la revoca della disposta confisca;
udito il difensore, avv. Mossetti Fabrizio, in difesa di TO FA, il quale, associandosi alle conclusioni del P.G., ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e la revoca della confisca.
RITENUTO IN FATTO
1. FA TO ricorre per l'annullamento della sentenza emessa in data 12 marzo 2021 con la quale la Corte di appello di Torino ha confermato la pronuncia resa dal Tribunale che aveva dichiarato la penale responsabilità del ricorrente in ordine al reato di cui agli artt. 81 cod. pen. e 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 condannandolo alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione, disponendo la confisca di beni mobili, immobili e denaro nella sua disponibilità fino alla concorrenza dell'importo di euro 174.467,12. All'imputato si contestava di aver, quale titolare dell'omonima ditta individuale, al fine di evadere le imposte sui redditi e l'Iva, indicato: - nella dichiarazione modello Unico Persone Fisiche relativa all'anno d'imposta 2009, presentata il 20 settembre 2010, elementi passivi fittizi pari a euro 112.800,00 avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti e con evasione di Iva pari a euro 22.560,00 (capo 1);
- nella dichiarazione modello Unico Persone Fisiche, relativa all'anno d'imposta 2010, presentata in data 8 settembre 2011, elementi passivi fittizi pari a euro 186.500,00, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti e con evasione di Iva pari a euro 37.300,00 (capo 2).
2. Avverso l'impugnata sentenza, il ricorrente, a mezzo del proprio difensore di fiducia, avv. Fabrizio Mossetti, solleva quattro motivi di ricorso che vengono, di seguito, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale nonché la mancanza, la contraddittorietà, la manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo della sentenza impugnata (art. 606, comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen.), in relazione agli artt. 157 ss. cod. pen. e 2 d.lgs. n. 74 del 2000, avuto riguardo alla mancata pronuncia della sentenza di non doversi procedere ex art. 129 cod. proc. pen. per intervenuta prescrizione. Premette di aver presentato conclusioni scritte ai sensi dell'art. 23, secondo comma, d.l. 9 novembre 2020, n. 149 e lamenta che la Corte d'appello avrebbe omesso di prenderle in considerazione. Con esse, la difesa dell'imputato aveva chiesto l'accoglimento dei motivi di gravame e, in via subordinata, aveva chiesto, eccependo la prescrizione, la pronuncia della sentenza di non doversi procedere ex art. 529 cod. proc. pen. per intervenuta prescrizione dei reati. Sostiene che le conclusioni, relative all'eccezione di prescrizione, contenevano analitiche argomentazioni con riguardo sia al tempus commissi delicti e sia al tempo necessario a prescrivere, con osservazioni anche in ordine alla successione delle leggi penali applicabili nel tempo. Al cospetto di ciò, la sentenza impugnata non aveva, in alcun modo, affrontato il tema della prescrizione, incorrendo nei vizi di violazione di legge e di motivazione denunciati. Osserva che i reati contestati erano stati travolti dalla prescrizione maturata circa due anni prima della pronuncia della sentenza di secondo grado e persino prima dell'emissione del decreto di citazione a giudizio per l'appello. Precisa che il quadro normativo sostanziale, ai fini del tempo necessario a prescrivere, rendeva inapplicabile, nel caso di specie, il comma 1-bis dell'art. 17 d.lgs. n. 74 del 2000, che aveva previsto l'innalzamento di 1/3 dei termini di prescrizione, in quanto l'aumento de quo era stato introdotto con la legge n. 148 del 14 settembre 2011 di conversione del d.l. 13 agosto 2011 n. 138 e i reati erano stati commessi prima del 17 settembre 2011, data di entrata in vigore del predetto comma 1-bis dell'art. 17 d.lgs. n. 74 del 2000. Rileva pertanto che, nel caso in esame, i termini di prescrizione dei reati erano quelli in origine disposti dalla norma di riferimento (art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 ratione temporis vigente) ovvero di sei anni, quale termine di prescrizione breve;
con gli atti interruttivi, il termine massimo di prescrizione era pari a sette anni e sei mesi, con la conseguenza che, quanto al capo 1) della rubrica, la prescrizione era maturata il 20 marzo 2018 e, quanto al capo 2) della rubrica, la prescrizione era maturata in data 8 marzo 2019. Conclude affermando che la Corte d'appello avrebbe dovuto dichiarare la prescrizione dei reati.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente eccepisce la nullità delle disposizioni relative alla confisca per equivalente, sul rilievo che illegittimamente sarebbe stata applicata la confisca di valore nei suoi confronti e tanto per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, perché la confisca era stata disposta a norma dell'art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, come modificato dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 e tale disposizione era entrata in vigore in epoca successiva alla data di commissione dei reati. In secondo luogo, perché, trattandosi di confisca per equivalente, la misura, potendo essere disposta solo con la sentenza di condanna o con quella di applicazione della pena su richiesta delle parti, era destinata alla caducazione per effetto della sentenza di non doversi procedere ex art. 529 cod. proc. pen per intervenuta prescrizione dei reati.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la violazione di legge, con riferimento agli artt. 43, 47 e 48 cod. pen. e 2 d.lgs. n. 74 del 2000, nonché vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen.), con specifico riferimento alla configurabilità dell'elemento soggettivo del reato. Deduce che illegittimamente è stato ritenuto sussistente nei suoi confronti il dolo necessario per l'integrazione della fattispecie incriminatrice contestata, dovendo i fatti di causa essere inquadrati nella disposizione che disciplina l'errore di fatto indotto dalla altrui condotta, atteso che la norma incriminatrice richiede il dolo specifico. Osserva, in primo luogo, che la sentenza impugnata ha omesso di confrontarsi con i rilievi prospettati nell'atto di appello e con i quali erano stati puntualmente portati all'attenzione della Corte di merito i numerosi elementi di fatto e di diritto dai quali doveva dedursi l'assenza dell'elemento soggettivo (posto che il ricorrente era un mero lavoratore subordinato per conto della cognata, la quale totalmente gestiva l'impresa cui si riferivano le dichiarazioni mendaci). In secondo luogo, sottolinea che l'affermazione, in forza della quale la cognata non avrebbe avuto alcun interesse ai redditi ed alle imposte pagate dal ricorrente, è risultata del tutto apodittica e apparente per la sua forma retorica, in quanto l'istituzione di una ditta in capo ad un altro soggetto poteva rispondere alle esigenze di frazionamento del fatturato, di abbattimento del carico fiscale e di deviazione della responsabilità penale e fiscale su terzi.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge, con riferimento agli artt. 133 e 62-bis cod. pen., nonché vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen.), quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sul rilievo che erroneamente la Corte d'appello avrebbe valorizzato elementi come la pluralità dei fatti, l'entità delle somme evase ed il contegno processuale dell'imputato (comportamento, peraltro, pienamente collaborativo), senza considerare l'assenza di precedenti penali e la distanza dei fatti dall'accertamento giudiziale.
3. Con ordinanza n. 15229 del 16 marzo 2022 la Terza Sezione Penale ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, prospettando l'esistenza di un contrasto di giurisprudenza. Ha innanzitutto ritenuto fondate le censure enunciate nel primo motivo di ricorso, alla luce delle quali la Corte d'appello avrebbe dovuto pronunciare sentenza di estinzione dei reati per prescrizione. Ritenute, invece, manifestamente infondate e/o non consentite le censure esposte nel terzo motivo di ricorso e quelle enunciate nella prima parte del secondo motivo di gravame, laddove queste ultime contestavano la legittimità della confisca disposta sulla base di una disposizione di legge (ossia l'art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000, come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2015) entrata in vigore in \Sci`.-% epoca successiva alla data di commissione del reato, la Sezione rimettente ha preso in esame le censure proposte nella seconda parte del secondo motivo di ricorso, secondo le quali l'applicazione della confisca per equivalente sarebbe illegittima per effetto della pronuncia di sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione dei reati. A questo proposito, la Sezione rimettente ha osservato che la soluzione del quesito posto con queste ultime censure dipende dal perimetro temporale di applicazione attribuibile all'art. 578-bis cod. proc. pen., introdotto dall'art. 6, comma 4, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, nel testo vigente per effetto della riforma recata dall'art. 1, comma 4, lettera f), legge 9 gennaio 2019, n. 3, risultando perciò necessario stabilire se la disposizione di cui all'art. 578 -bis cod. proc. pen. sia applicabile anche alle confische ordinate per reati commessi anteriormente alla sua entrata in vigore. A tale proposito ha segnalato l'esistenza, in seno alla giurisprudenza di legittimità, di un contrasto. In particolare, la Sezione rimettente ha annotato la presenza di due diversi indirizzi giurisprudenziali,