Cass. pen., sez. VI, sentenza 23/01/2018, n. 03046
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Testo completo
la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da 1. IM IO, nato a [...] il [...] 2. ON CH, nato a [...] il [...] avverso la sentenza del 13/01/2017 della Corte di appello di Bari visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona dell'Avvocato generale Francesco Mauro Iacoviello , che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
uditi i difensori, avv. Nicola Libero Zingrillo e Raul Donato Pellegrini, che hanno concluso chiedendo l'accoglimento del reato e, per ON, in subordine, la prescrizione del reato.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza, in epigrafe indicata, la Corte di appello di Bari ha confermato la sentenza che aveva condannato IO IM e CH ON per il reato di cui all'art. 323 cod. pen.Agli imputati era stato contestato di aver, in concorso tra loro e previo accordo, - l'IM, in qualità di presidente del consiglio di amministrazione di una società partecipata interamente dal Comune di Foggia alla quale era affidato lo svolgimento di un pubblico servizio (raccolta e smaltimento rifiuti), e il ON, quale dirigente della medesima società, assunto a tempo determinato - trasformato, in violazione di legge, il rapporto di lavoro esistente con quest'ultimo in rapporto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza dal primo giugno 2009, procurando al ON un ingiusto vantaggio economico. Secondo l'ipotesi accusatoria, erano stati violati l'art. 18, comma 1, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112 (convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 193), il quale dettava le regole per le procedure di reclutamento del personale da parte delle società in mano pubblica di gestione dei servizi pubblici locali, e l'art. 12 del regolamento, approvato il primo aprile 2009 dalla stessa società per le assunzioni: l'art. 18 cit. aveva imposto alle suddette società di adottare a far data dal 20 ottobre 2008 propri criteri per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi dell'art. 35, comma 3, d.lgs. n. 165 del 2001;
il regolamento adottato dalla società in questione aveva stabilito, a sua volta, l'accesso alla qualifica dirigenziale mediante concorso pubblico.
1.1. Secondo il primo Giudice, alla data dell'assunzione del ON (22 maggio 2009), la legge ora citata non prevedeva alcun obbligo di selezione concorsuale alle società a totale partecipazione pubblica che gestivano servizi pubblici locali, limitandosi (art. 23-bis) a demandare a regolamenti governativi da adottare entro il 31 dicembre 2009 il compito di fissare le procedura ad evidenza pubblica per il reclutamento del personale (regolamento effettivamente poi adottato dal Governo il 7 settembre 2010 n. 168, pubblicato il 12 ottobre successivo). Piuttosto doveva essere applicato al caso in esame l'art. 12 del regolamento adottato dalla s.p.a., che, con contenuto precettivo, stabiliva che l'accesso alla qualifica dirigenziale dovesse avvenire per concorso pubblico per esami e titoli, nella specie pretermesso per l'assunzione da parte del ON della qualifica a tempo indeterminato, che era stata invece attuata con la mera conversione del precedente rapporto a termine. Il Tribunale, al riguardo, aveva rilevato che il regolamento adottato dalla società, se pur non aveva i requisiti previsti dalla legge n. 400 del 1988 e quindi inidoneo ad integrare il dettato dell'art. 323 cod. pen., poteva tuttavia senz'altro definirsi "norma interposta" tra l'attività regolamentata (l'assunzione dei dirigente) e la legge sul pubblico impiego espressamente menzionata nella sua premessa (secondo art. 35 del D.Igs. n. 165 del 2001, «l'assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro: a) tramite procedure [...] volte all'accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l'accesso dall'esterno»).
1.2. Nel rigettare gli appelli degli imputati, la Corte di appello fissava i seguenti punti: - la mancata effettuazione della procedura concorsuale aveva comportato nel caso in esame la violazione dell'art. 18, comma 1, d.l. cit., che imponeva alle "società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica" di adottare con propri provvedimenti criteri e modalità per il reclutamento del personale e il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi indicati dall'art. 35, comma 3 del D.Igs. n. 165 del 2001;
- la società in questione aveva la veste prevista dall'art. 18, comma 1, cit.;
- dovevano ritenersi irrilevanti le vicende abrogative e modificative che avevano interessato negli anni successivi l'art. 18 cit. sia perché la vigente normativa aveva mantenuto per la società in questione i medesimi obblighi (il d.lgs. n. 175 del 2016, che aveva abrogato il comma 1 dell'art. 18 cit., aveva tuttavia introdotto all'art. 19, comma 2, una normativa analoga, se pur con formula più ampia, stabilendo che tutte le società a controllo pubblico siano tenute a fissare «con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all'articolo 35, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. In caso di mancata adozione dei suddetti provvedimenti, trova diretta applicazione il suddetto articolo 35, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001») sia perché, in ogni caso, non veniva in applicazione, in ordine alle sorti della suddetta normativa, l'art. 2, secondo comma, cod. pen.;
- la tesi difensiva, secondo cui la società in questione doveva considerarsi quale società "in house", secondo i principi fissati dalle Sezioni Unite civili (ovvero una società, dal cui quadro statutario, emerga che sia stata costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi e rispetto alla quale solamente i medesimi enti siano soci - ove essa esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e sia assoggettate a forme di controllo della gestione analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici, Sez. U civ., n. 26936 del 02/12/2013, Rv. 628673), con conseguente applicazione dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008 cit. (oggetto prima nel 2001 di un referendum abrogativo e poi, riproposta la normativa con il d.l. n. 138 del 2011, della declaratoria di illegittimità costituzionale nel 2012) non avrebbe comunque giovato agli imputati, dovendo comunque anche tali società rispettare l'obbligo nel reclutamento del personale della pubblica evidenza previsto per gli enti pubblici dagli artt. 35 e 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;- ancorché dovesse ritenersi che la norma regolamentare richiamata dal primo giudice non fosse idonea ad integrare il parametro di cui all'art. 323 cod. pen. (sia perché carente dei requisiti della fonte normativa di natura regolamentare, sia perché non avente i caratteri di norma interposta), la condotta posta in essere dagli imputati veniva ad integrare l'azione tipica di cui all'art. 323 cod. pen., perché comunque posta in violazione dei principi di cui all'art. 35, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2011;
- in ogni caso, anche