Cass. civ., sentenza 13/10/2006, n. 22010

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Massime1

Il ricorrente che nel giudizio di legittimita' deduca l'omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per mancata o erronea valutazione di alcune risultanze probatorie ha l'onere, in virtu' del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (art. 366 del codice di procedura civile), di specificare, trascrivendole integralmente, le prove non valutate o mal valutate, nonche' di indicare le ragioni del carattere decisivo delle stesse atteso che il mancato esame di una (o piu') risultanze processuali puo' dar luogo al vizio di omessa o insufficiente motivazione unicamente se quelle risultanze processuali non valutate o mal valutate siano tali da invalidare l'efficacia probatoria delle altre sulle quali il convincimento si e' formato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base. *Massima redatta dal Servizio di documentazione Economica e Tributaria.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sentenza 13/10/2006, n. 22010
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 22010
Data del deposito : 13 ottobre 2006
Fonte ufficiale :

Testo completo

 Svolgimento del processo

1. Con ricorso notificato il 27 febbraio 2004 all'Ufficio di
Montebelluna dell'Agenzia delle Entrate ed il 5 marzo 2004 al Ministero
dell'economia e delle finanze ed all'Agenzia delle Entrate (depositato il 16
marzo 2004), la S.a.s. "A." di B.B. & C. (in liquidazione) - premesso che,
in base a due processi verbali di constatazione (PVC) redatti dalla Guardia
di finanza di Treviso 1) il 16 ottobre 1998 (contenente i risultati della
verifica compiuta agli effetti delle imposte dirette ed indirette per gli
anni dal 1993 al 1996) e 2) il 23 novembre 1999 ("ad integrazione del
primo"), l'ufficio Iva di quel capoluogo aveva emesso un unico avviso di
rettifica per l'anno 1996 comportante "accertamento imponibile e tributo Iva
a seguito di rettifica della dichiarazione annuale" nonche' "contestazione
per la emissione di fatture inesistenti e recupero di imposta per
complessive lire 457.220.000" - in forza di sei motivi chiedeva, con ogni
"consequenziale provvedimento" (e con "condanna alle spese, competenze ed
onorari, di tutti i gradi del giudizio"), di cassare la sentenza n. 81/04/02
depositata il 23 gennaio 2003 dalla Commissione tributaria regionale del
Veneto la quale aveva accolto il gravame proposto dall'Amministrazione
finanziaria dello Stato contro la decisione (n. 167/04/00) con cui la
Commissione tributaria provinciale di Treviso aveva recepito il ricorso da
essa avanzato avverso detto avviso.
Nel controricorso notificato il 15 aprile 2004 (depositato il 27 aprile
2004), il Ministero e l'Agenzia intimati chiedevano di ritenere
"l'inammissibilita' e, comunque, l'infondatezza di tutti gli avversi motivi
di ricorso", con "ogni consequenziale statuizione anche in ordine alle
spese".

2. Con ricorso notificato all'"Amministrazione delle finanze dello
Stato" il 24 novembre 2004 (depositato il 14 dicembre 2004) la contribuente
chiedeva di "disporre l'annullamento" del provvedimento n. 34376/04, datato
17 settembre 2004, dell'Ufficio di Montebelluna dell'Agenzia delle Entrate,
di "diniego della definizione della lite pendente" ex lege n. 289 del 2002,
notificato il 25 settembre 2004, e, "in conseguenza dell'accoglimento della
richiesta di definizione di lite fiscale", di "dichiarare estinto il
giudizio principale".
Nel controricorso notificato il 30 dicembre 2004 (depositato il 17
gennaio 2005) il Ministero intimato chiedeva di "rigettare il ricorso, con
ogni consequenziale statuizione anche in ordine alle spese".
Il 10 febbraio 2006 la societa' depositava memorie illustrative in
relazione a questo secondo ricorso.
Motivi della decisione

1. Preliminarmente, ai sensi dell'art. 274 del codice di procedura
civile
, va disposta la riunione, per connessione, del ricorso proposto
avverso il diniego di definizione della presente lite fiscale all'anteriore
ricorso per la cassazione della sentenza resa inter partes dalla Commissione
tributaria regionale.

2. In via pregiudiziale, poi, per l'idoneita' del suo eventuale
fondamento a determinare l'estinzione del presente processo, deve essere
esaminato il ricorso proposto avverso il rifiuto di definizione detto.
A. Nell'atto di diniego impugnato si legge che "la definizione della
lite fiscale pendente... non e' valida" perche' "la societa' ha inteso
definire la lite versando... l'importo di euro 23.614,00, pari al 10 per
cento del valore della lite (euro 236.134,00)" mentre "alla data di
presentazione della domanda di definizione (20 maggio 2003) la Commissione
tributaria regionale di Venezia aveva gia' depositato (23 gennaio 2003) la
sentenza n. 81/04/02, con la quale, in riforma della precedente decisione
della Commissione tributaria provinciale, confermava la fondatezza
dell'avviso di accertamento oggetto di causa" per cui "ai sensi dell'art.
16, comma 1, lettera b), della L. n. 289/2002
e della circolare n. 12/E del
2003 dell'Agenzia delle Entrate, paragrafi 11.6.3 e 11.6.14, la lite doveva
essere definita mediante il pagamento del 50 per cento delle maggiori
imposte accertate".
B. La contribuente contesta il provvedimento e ne chiede l'annullamento
assumendo che "alla data dell'entrata in vigore della L. n. 289/2002, ossia
il 27 dicembre 2002, si e' cristallizzato il diritto di chiedere definizione
di lite pendente sul valore ... di euro 54.166,00 accertato dalla
Commissione tributaria provinciale di Treviso" mentre la Commissione
tributaria regionale ha "reso la sua sentenza ben 31 giorni dopo che si era
cristallizzata l'entrata in vigore della legge".
C. Nel proprio controricorso il Ministero eccepisce innanzi tutto
l'inammissibilita' (senza possibilita' di ipotizzare "l'applicazione
dell'art. 291 del codice di procedura civile" essendo esso Ministero "bensi'
parte del procedimento della cui estinzione si tratta (dunque destinata a
subirne gli effetti), ma non legittimo contraddittore sulla questione della
spettanza del condono") dell'avversa impugnazione perche' proposto "nei soli
confronti dell'Amministrazione finanziaria dello Stato", quindi solo di esso
Ministero, "amministrazione... del tutto estranea all'adozione del
provvedimento impugnato, reso dall'Agenzia delle Entrate", e, nel merito,
"ribadito che trattasi dell'estinzione della sola controversia relativa
all'anno 1994", deduce l'infondatezza del ricorso ai sensi del n. 1) del
comma 1 dell'art. 16 della L. n. 289 del 2002 assumendo:
che "il tenore della norma e' chiarissimo nel senso di considerare
utile... la sentenza resa anteriormente alla presentazione dell'istanza di
definizione" e che "la cristallizzazione invocata da controparte riguarda
... i procedimenti nei quali, alla data del 1 gennaio 2003, la causa non era
stata ancora introitata in decisione" atteso che "per garantire tale
esigenza... la norma ha previsto la sospensione dei giudizi in corso e la
nullita' delle sentenze eventualmente rese durante il periodo legale di
sospensione" mentre "la sospensione non puo' ... ritenersi ricomprendere
anche l'attivita' di deposito delle motivazioni di sentenze pronunciate in
epoca antecedente (nel... caso... in data 8 novembre 2002)".
D. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perche' proposto
soltanto contro il Ministero, il quale e' privo di qualsivoglia
legittimazione passiva (sia sostanziale che processuale) in ordine
all'oggetto dello stesso, costituito dal provvedimento di diniego impugnato
emesso da un ufficio locale dell'Agenzia delle Entrate, la quale e' una
persona giuridica pubblica diversa dal Ministero.
D.

1. Vanamente la contribuente invoca, nelle memorie all'uopo
depositate, la giurisprudenza di questa Corte ("ex pluribus, Cass, Sez.
trib., 1 ottobre 2004, n. 19698
") secondo la quale il trasferimento alle
Agenzie fiscali dei "rapporti inerenti alle entrate tributare" operato dagli
artt. 57 e 62 del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 a decorrere dal 1 gennaio
2001 "determina una successione a titolo particolare nel diritto controverso
ex art. 111 del codice di procedura civile e non una successione nel
processo ex art. 110 del codice di procedura civile (vd. Cass., SS.UU., 29
aprile 2003, n. 6633 ...)" perche' siffatto principio riguarda
esclusivamente "il processo in precedenza instaurato nei confronti del
Ministero delle finanze" mentre tutto l'iter amministrativo teso alla
definizione delle liti fiscali regolato dall'art. 16 della L. 27 dicembre
2002, n. 289
e' stato svolto dalle gia' operanti Agenzie fiscali per cui
circa tale rapporto definitorio non puo' ritenersi verificata nessuna
sostituzione soggettiva di dette Agenzie al Ministero perche' questo non
aveva nessun potere sull'iter detto e non ha svolto nessuna attivita' in
esso: l'idoneita' del provvedimento di diniego a divenire definitivo in
mancanza di sua tempestiva impugnazione evidenzia la totale autonomia di
tale provvedimento rispetto a quello impositivo oggetto della lite fiscale
che si intende definire e, quindi, l'estraneita' del Ministero anche alla
fase di impugnazione del provvedimento di diniego.
D.

2. La mancata proposizione del ricorso in esame nei confronti
dell'Agenzia, unico ente legittimato, rende irrilevante la questione della
capacita' processuale dell'ufficio periferico dello stesso nel processo di
cassazione e, quindi, frustraneo il riferimento (operato dalla contribuente
nelle gia' richiamate memorie) al principio (ancora "ex pluribus, Cass.,
Sez. trib., 1 ottobre 2004, n. 19698
") per il quale "gli uffici
territoriali" del Ministero ("eccezionalmente abilitati a stare in giudizio
dinanzi alle Commissioni tributarie, ai sensi degli artt. 10 e 11 del D.Lgs.
n. 546/1992
") "erano privi di soggettivita' giuridica e pertanto non
legittimati a stare in giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione".
In proposito vale solo riferire che il principio enunciato da detta
decisione ("il presupposto di quella giurisprudenza ricorre anche per gli
uffici periferici delle Agenzie fiscali, imponendo, con riferimento al
problema in esame, la medesima conclusione"):
1) era contrario all'altro affermato da questa stessa Sezione
(sentenza n. 16122 depositata il 15 novembre 2002), secondo cui
successivamente ai 1 gennaio 2001 (data di inizio dell'operativita' delle
Agenzie fiscali, in forza dell'art. 1 del D.M. 28 dicembre 2000), a) il
ricorso per cassazione avverso le sentenze della Commissione tributaria
regionale va a1) proposto dal contribuente nei confronti delle Agenzie
medesime e a2) notificato al rappresentante dell'Agenzia in Roma, cioe' nel
luogo in cui risiede il giudice davanti al quale si procede (art. 144, comma
2, del codice di procedura civile
), con conseguente nullita' della
notificazione effettuata presso gli uffici periferici e b) la notifica del
ricorso alla Agenzia presso un suo ufficio, legittimato a stare in giudizio
nei gradi di merito non comporta la inesistenza del ricorso ma solo una
nullita', sanata con la presentazione del controricorso da parte della
stessa Agenzia in persona del suo direttore, e 2) non e' stato condiviso
dalle Sezioni Unite di questa Corte, investite del contrasto, le quali con
le decisioni n. 3116 e n. 3118 depositate il 14 febbraio 2006, hanno
affermato:
a) che "nei processi introdotti successivamente al 1 gennaio 2001
la legittimazione appartiene soltanto all'Agenzia" (la quale "puo'
semplicemente avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato") mentre
"ai procedimenti introdotti anteriormente alla data predetta... si deve...
fare riferimento ai principi enunciati dalle Sezioni Unite nelle sentenze 29
aprile 2003, n. 6633 e 5 maggio 2003, n. 6774", con la precisazione
(contenuta in fine al punto 4.3 della sentenza n. 3116/2006) che "la
proposizione dell'appello esclusivamente da parte dell'Agenzia, senza
esplicita menzione dell'ufficio finanziario periferico che era parte
originaria, ha comportato la conseguente estromissione di quest'ultimo", e
b) che "il ricorso per cassazione puo' essere proposto anche nei confronti
dell'ufficio periferico dell'Agenzia (che e' subentrata all'ufficio
periferico del Ministero... e ne esercita, in via esclusiva, i poteri,
curando il relativo contenzioso) e, ovviamente, ad esso notificato".
E. La reiezione dell'impugnazione relativa al diniego di definizione
della lite fiscale impone l'esame del ricorso per cassazione proposto dalla
contribuente avverso la decisione gravata.

3. In questa la Commissione tributaria regionale, innanzi tutto, espone:
1) che "avverso la motivazione dell'avviso" la contribuente, in primo
grado, aveva dedotto:
- "A/1) violazione dell'art. 34 del D.P.R. n. 633/1972" perche' la
sua azienda agricola "osservava appieno i precetti dell'art. 34 del D.P.R.
n. 633/1972 come integrato dall'art. 2135 del codice civile, in quanto i
prodotti ottenuti impegnavano almeno la meta' del terreno come previsto in
punto dall'art. 29 del D.P.R. n. 917/1986";
- "A/2) difetto di motivazione" in quanto mancava "il rinvio a
qualsivoglia processo logico-giuridico volto a esplicitare il maggior onere
d'imposta accertato", mediando "l'avviso di accertamento ... i vizi dei
processi verbali di constatazione in quanto il vino prodotto con le uve
acquistate e' pari all'11 per cento del prodotto totale";
- "A/3) violazione dell'art. 2697 del codice ciivle e dell'art. 115
del codice di procedura civile
difetto di logica", non essendo ad essa
"applicabile l'art. 36 del D.P.R. n. 633/1972" perche': aveva "manipolato
uva per 15.462,10 q.li dei quali 13.612 riguardano uva raccolta e 1.850,10
uva acquistata";
"l'imponibile e'(ra) stato ottenuto con un'inversione
dell'ordine logico delle presunzioni che dovevano riguardare il quantitativo
di uva acquistata anziche' raccolta";
i due verbali erano "contraddittori" e
provavano che essa aveva acquistato uva "per non piu' dell'11 per cento del
prodotto totale";
"i dati circa i fornitori di uva riportati nel processo
verbale" non corrispondevano "a realta'";
- "A/4) violazione dell'art. 34 del D.P.R. n. 633/1972 e dell'art.
1322 del codice civile
per rilevanza dei ventinove contratti prodotti",
essendo "irrilevante la mancanza di data certa, data la verosimiglianza di
rapporti atipici fra proprietari di fondi" ed essendo "possibile" che la
certezza della data risultasse da "elementi diversi dall'atto pubblico quale
e' la dichiarazione vitivinicola anno 1996";
- "A/5) violazione dell'art. 191 del codice di procedura civile e
dell'art. 220 delle disposizioni di coordinamento del codice di procedura
penale" in quanto "gli accertamenti sulla circostanza che l'uva utilizzata
dai fondi di cui ai ventinove contratti (fosse) stata acquistata anziche'
raccolta non (potevano) essere utilizzati perche' avvenuti nell'esercizio di
funzioni di P.G. e in assenza delle relative garanzie";
- "B/1) violazione del diritto di difesa" perche' "l'imposta di
lire 42.424.000 che l'ufficio intende recuperare e' calcolata
sull'imponibile di lire 265.151.000 corrispondente alle vendite effettuate"
ad essa mentre "nell'atto di accertamento non si fa mai riferimento al
processo verbale 16 ottobre 1998, n. 563, il cui punto 2 contiene tale
assunto";
- "B/2) difetto di logica e di motivazione" essendo "la
contestazione... frutto di un procedimento presuntivo privo del rigore che
la legge impone";
- "C/1) difetto di motivazione e violazione dell'art. 34 del D.P.R.
n. 633/1972", presupponendo "la contestazione dell'omessa regolarizzazione
di acquisti passivi" che l'uva fosse stata "acquistata anziche' raccolta";
- "D/1) regolarita' della documentazione", non avendo essa "violato
la legge in quanto i dati contabili erano memorizzati ancorche' non
stampati";
- "E/1) violazione dell'art. 34 del D.P.R. n. 633/1972" in quanto
"l'imposta non e' stata evasa e non e' quindi dovuta";
2) che la Commissione provinciale, "nell'accogliere il ricorso
proposto dalla... contribuente", aveva assunto che "gli acquisti di uva non
sarebbero in grado di mutare il regime agevolato cui sono soggette a fini
Iva le vendite di vino, considerato che il prodotto era stato ottenuto dalla
manipolazione e dalla trasformazione di materia prima imputabile ad almeno
meta' del terreno giusta l'art. 29 del Tuir" e quindi ritenuta
"l'inesistenza di elementi per disconoscere che la contribuente rientrasse
nel regime agevolato e riconosciuta l'applicabilita' alla specie dell'art.
29 del Tuir";
3) che l'ufficio, "nel contestare l'assunto", aveva affermato che "la
disposizione deve ritenersi inapplicabile al regime Iva ai prodotti
agricoli, perche' derogata dalla lex specialis dell'art. 34 del D.P.R. n.
633/1972, il cui rinvio alla nozione di imprenditore agricolo ex art. 2135
del codice civile
renderebbe invalicabile la demarcazione fra attivita'
produttiva ed attivita' commerciale, soggetta, quest'ultima al normale
regime impositivo sul valore aggiunto";
4) che lo stesso ufficio aveva "altresi'" contestato che "le
quantita' di uva acquistate e i terreni in proprieta' esclusiva della
contribuenti (fossero) tali da integrare i presupposti del regime agevolato
per i prodotti agricoli".
In base a tali premesse, il giudice tributario di appello ha accolto
l'impugnazione dell'ufficio.
A. La Commissione tributaria regionale ha, in primo luogo, osservato che
"la definizione di attivita' agricola contenuta nell'art. 29 del testo unico
delle imposte sui redditi di cui al D.P.R. n. 917/1986 come quella diretta
alla manipolazione, trasformazione e alienazione di prodotti agricoli e
zootecnici, ancorche' non svolte sul terreno, che rientrino nell'esercizio
normale dell'agricoltura ... e che abbiano per oggetto prodotti ottenuti per
almeno la meta' dal terreno" e' "funzionale" "alla determinazione del
reddito in capo al titolare dell'impresa agricola secondo criteri obiettivi
di normalita' e nel rispetto dei limiti della potenzialita' del fondo" ed ha
"valenza" al fine di "stabilire se il soggetto possa definirsi 'imprenditore
agricolo a titolo principale' ai fini dell'iscrizione negli elenchi
nominativi dei coltivatori diretti presso l'Inps (ex Scau), ma non certo per
discriminare l'assoggettamento dell'attivita' allo speciale regime previsto
per i produttori agricoli dall'art. 34 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633",
come "prova non solo il diverso oggetto delle norme, in cui la prima si
riferisce alla determinazione del reddito dell'imprenditore e la seconda al
regime cui assoggettare gli scambi di beni, ma anche la stessa definizione
di attivita' agricola, in via autonoma nel caso dell'art. 29 del D.P.R. n.
917/1986 e con rinvio all'art. 2135 del codice civile nel caso dell'art. 34
del D.P.R. n. 633/1972" atteso che "a fronte della definizione di
imprenditore agricolo in senso stretto nel soggetto che esercita in via
esclusiva la coltivazione del fondo, la silvicoltura, l'allevamento del
bestiame, la norma civilistica presume connessa a quelle agricole
l'attivita' dell'imprenditore se diretta alla trasformazione o
all'alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell'esercizio
normale dell'agricoltura" mentre "non integrano... i presupposti di cui ai
commi 1 e 2 dell'art. 2135 del codice civile, le attivita' esercitate con
una organizzazione di beni, di capitale e di lavoro afferenti l'attivita'
agricola, ma proprie in concreto di quella industriale perche' frutto di
autonoma organizzazione (distinta da quella agraria) sebbene in stretta
interdipendenza con la coltivazione della terra o l'allevamento...".
Lo stesso giudice, quindi, assumendo essere il criterio seguito dal
legislatore "non... solo quantitativo come nell'ipotesi dell'art. 29 del
D.P.R. n. 917/1986, ma anche qualitativo, dipendente cioe' dall'effettiva
organizzazione dei fattori produttivi dell'impresa", ha ritenuto "non...
dubbio che nella specie tale organizzazione sia da assimilare all'azienda
commerciale e non a quella agricola, come ha concluso l'Amministrazione,
sulla scorta del secondo dei verbali di constatazione redatti dagli
accertatori" in quanto l'assunto contenuto nel "processo verbale di
constatazione 16 ottobre 1998" - nel quale, datosi atto che l'azienda
agricola "ha acquistato da produttori terzi considerevoli quantitativi di
uva, avvalendosi cosi' non soltanto di prodotti ottenuti dai propri terreni"
e che "non e' possibile stabilire con certezza il quantitativo di uva
prodotto in proprio e quello acquistato a causa della mancanza di
documentazione contabile originale", era scritto che, avendo "per l'anno
1996, la fatturazione degli acquisti... evidenziato che l'intera produzione
di hl. 11.958,64 di vino era stata ottenuta con uve proprie quanto ad hl.
10.563.56 e quanto ad hl.

1.395.08 da uve acquistate", "tale ultimo
quantitativo, pari a circa l'11 per cento, decisamente inferiore alla meta'
del totale e' stato ricavato dai verbalizzanti sull'assunto che nella voce
'uve proprie' rientrassero anche le materie prime prodotte da fondi lavorati
dalla societa', indipendentemente dalla proprieta' di essi" - e' "venuto
meno una volta imputato larga parte del raccolto alla coltivazione di
terreni di proprieta' di terzi, come risultato dal successivo verbale" dal
quale emergeva che "per l'anno 1996... il totale di uve raccolte pari a q.li
13.612, e' stato ottenuto da terreni appartenenti alla societa' per Ha 4.20
ed a coltivatori terzi per Ha 85.62".
Il giudice a quo, poi, ha posto in rilievo
che "a siffatti quantitativi i verbalizzanti sono risalti a seguito
degli accertamenti bancari operati nei conformi della societa' verificata,
che hanno permesso di constatare una notevole quantita' di pagamenti nei
confronti di terzi agricoltori per forniture di uve" negandosi che "i vini
fossero derivati da una 'produzione associata' fra azienda agricola e
proprietari dei terreni all'azienda stessa imputabile a titolo di proprieta'
o altro diritto di godimento che ne consentisse l'uso" ed essendosi
"supposta la loro provenienza da vere e proprie cessioni di uva da parte dei
produttori agricoli" atteso che "dalla documentazione bancaria larga parte
della produzione di uva era da ascrivere a terreni non di proprieta'
dell'azienda, ma coltivati da terzi e successivamente venduti all'azienda
medesima, i verbalizzanti hanno pertanto trattato a fini Iva tutta la
produzione come attivita' commerciale, senza piu' applicare alcuna
agevolazione" e che "l'assunto e' del tutto sostenibile sulla scorta della
costante giurisprudenza che non considera agricola l'impresa che abbia ad
oggetto la attivita' non rientrante nelle attivita' agricole di cui all'art.
2135, comma 1, del codice civile
(coltivazione del fondo, silvicoltura,
allevamento del bestiame) ne' connessa a queste stesse ex art. 2135,
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