CGARS, sez. I, sentenza 2023-09-06, n. 202300558
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Pubblicato il 06/09/2023
N. 00558/2023REG.PROV.COLL.
N. 00133/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
Sezione giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 133 del 2023, proposto da
Comune di Messina, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocato A G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
G.B. Pubblicità Snc di B F e G A, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocato S M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Seconda) n. 02093/2022, resa tra le parti, resa tra le parti, con cui era accolto il ricorso proposto per l'annullamento: - della nota prot. n. 518 del 19 gennaio 2009 con la quale il Comune di Messina ha richiesto il pagamento del canone di occupazione di spazi e aree pubbliche per l’importo complessivo di 135.432,01 euro;
- del regolamento comunale per il rilascio delle concessioni e per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, approvato con deliberazione consiliare n. 39/c del 2 agosto 2002;
- di ogni altro atto e/o provvedimento antecedente o successivo comunque presupposto connesso e/o consequenziale;
e per la correzione
dell’ordinanza cautelare n. 57 del 2 marzo 2023, pronunciata da questa Sezione sul ricorso in appello n. 133 del 2023;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di G.B. Pubblicità Snc di B F e G A;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 luglio 2023 il Cons. Solveig Cogliani e uditi per le parti gli Avvocati come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
I – Il presente contenzioso riguarda l’avviso di accertamento n. 518 del 19 gennaio 2009 afferente a canoni COSAP per gli anni 2004 – 2009 secondo il regolamento COSAP n. 17/C del 31 marzo 2001 come modificato dalla delibera n. 39/C del 2 agosto 2002.
Infatti, a seguito di un precedente provvedimento del 2005 e di un contenzioso instaurato in sede tributaria, con la nota n. 518 del 19 gennaio 2009, l’Amministrazione pretendeva dalla Società appellata nuovamente il pagamento del COSAP per gli anni 2004-2009.
Tale richiesta era impugnata dall’interessata, unitamente al relativo regolamento, con il rilievo che la nota risultava priva di sottoscrizione e non conteneva alcuno dei citati allegati, né l’indicazione dell’elenco degli impianti pubblicitari e delle vie in cui sarebbero ubicati.
Con la sentenza di primo grado oggetto di appello, il T.A.R. – ritenuta la giurisdizione – accoglieva il ricorso per illegittimità derivata dell’atto applicativo in ragione dell’illegittimità del criterio di determinazione basato sul metro lineare presupposto, di cui al regolamento comunale al tempo vigente, già ritenuto illegittimo in parte qua per irragionevolezza da questo Consiglio, con la sentenza n. 541/2014.
Avverso la predetta sentenza propone appello il Comune di Messina, richiamando un diverso successivo orientamento giurisprudenziale e deducendo, in particolare, il danno per le casse comunali e l’incertezza che si verrebbe a determinare.
Il Comune appellante evidenzia che per disposizione di legge (art. 63 d.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446), la scelta tra metodo riferito al metro lineare e al metro quadrato spetterebbe alla discrezionalità dell’Amministrazione e che la tariffa base sarebbe stata mantenuta senza aumenti sino al 2011, nonostante il regolamento impugnato prevedesse la possibilità dell’adeguamento annuale ISTAT, e riguarderebbe impianti della appellata di ml. 1,70 e 1,80 per i quali, stante la loro dimensione, non poteva essere applicata alcuna esenzione e la carenza di titolo abilitante.
In particolare, deduce i seguenti motivi di appello:
violazione e/o erronea applicazione dell’articolo 74 c.p.a. in relazione ai precedenti giurisprudenziali dichiarati conformi alla decisione adottata;errata e/o insussistente motivazione in merito alle pregresse statuizioni del medesimo T.A.R. e di questo C.g.a.r.s.;
insufficiente e/o omessa motivazione della sentenza impugnata, difetto e/o insussistenza della motivazione in relazione alla dichiarata irragionevolezza del criterio del metro lineare adottato dal Comune di Messina all’art. 4 nella deliberazione del Consiglio comunale n. 17/C del 31 Marzo 2001 (Regolamento COSAP) e ss.mm.ii di cui alla Deliberazione n. 39/C del 2 agosto 2002;la definizione del criterio sarebbe consentita in forza della disposizione di cui all’art. 63 titolato - Canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche - del d.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446, come modificato dall’art. 10 della l. 1 agosto 2002 n. 166.
Il secondo comma del medesimo articolo di legge precisa che i regolamenti riguardanti il COSAP sono informati ai seguenti criteri: “ (omissis) c) indicazione analitica della tariffa determinata sulla base della classificazione di cui alla lett. b), dell’entità dell'occupazione, espressa in metri quadrati o lineari, del valore economico della disponibilità dell'area nonché del sacrificio imposto alla collettività, con previsione di coefficienti moltiplicatori per specifiche attività esercitate dai titolari delle concessioni anche in relazione alle modalità dell'occupazione ”.
Nel caso che occupa la tariffa base era stabilita dall’impugnato regolamento in 0,20 euro al metro quadrato o lineare al giorno, e mantenuto dal Comune senza aumenti sino al 2011, riguardando gli impianti della GB di ml. 1,70 e 1,80 per i quali, stante la loro dimensione. non poteva essere applicata alcuna esenzione. Nella specie, poi, precisa che la GB non sarebbe munita di titolo abilitante, sicché non sussisterebbe la dedotta discriminazione tra l’applicazione del metro quadrato rispetto al metro lineare in quanto il COSAP non viene applicato alle strutture di più ridotte dimensioni (sotto il metro quadrato e/o sotto il metro lineare) per l’espressa disposizione normativa sulla ex TOSAP (art. 42 comma 4 d.lgs. n. 507/1993 titolato occupazioni permanenti e temporanee, come recepita dall’impugnato regolamento che all’art. 20).
Deduce anche, conseguentemente, l’erroneità della condanna alle spese.
Si è costituita la Società appellata per resistere, lamentando che dopo molti anni l’Amministrazione aveva reiterato il provvedimento precedentemente annullato, senza tuttavia procedere a verifiche in contraddittorio e eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità, in quanto l’atto gravato sarebbe basato su un regolamento non più in vigore;infatti, il regolamento, approvato con deliberazione consiliare n. 17/c del 31 marzo 2001 e successivamente modificato con delibera consiliare n. 39/c del 2 agosto 2002 - era stato annullato dalla stessa Amministrazione comunale (oltre ad essere stato reiteratamente censurato in sede giurisdizionale), facendo seguito la nuova deliberazione consiliare n.97/c del 29 dicembre 2011 (anch’esso censurata in sede giurisdizionale;sul punto invoca la sentenza di questo C.g.a.r.s. n. 595/2018) e la successiva modifica, di cui alla delibera consiliare n.26/c dell’11 aprile 2017, senza che tuttavia l’Amministrazione abbia provveduto ad annullare gli atti conseguenti.
Con istanza del 2 marzo 2023, la Società appellata formulava domanda di correzione di errore materiale dell’ordinanza n. 57/2023 di reiezione della richiesta cautelare del Comune appellante e di condanna del medesimo Comune al pagamento delle spese legali della predetta a favore della società appellata, nella parte in cui non ha disposto la distrazione delle spese in favore del procuratore antistatario, come da richiesta formulata nella memoria di costituzione del 21 febbraio 2023 e non sono stati inclusi nella condanna gli accessori di legge.
Con memoria per l’udienza di discussione, l’appellante contro deduce circa l’opposto difetto di interesse, essendo stato caducato il provvedimento presupposto, sostenendo la non irretroattività dell’annullamento;ribadisce poi l’eccezione di inammissibilità per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alle censure riproposte dalla originaria ricorrente aventi ad oggetto l’avviso di accertamento e la liquidazione delle somme ingiunte.
Nel merito afferma la preminenza della sopravvenuta giurisprudenza e la mancata statuizione del giudice di primo grado circa la legittimità o meno del coefficiente moltiplicatore in
associazione al criterio del metro lineare.
All’udienza del 19 luglio 2023, la causa era trattenuta in decisione.
II – Preliminarmente, ritiene questo Collegio di aderire al consolidato orientamento più volte espresso dalla Sezione circa la sussistenza della giurisdizione in materia, affermando sulla scorta della sentenza della Corte costituzionale 14 marzo 2008 n. 64 che il pagamento del canone COSAP non costituisce un tributo o una prestazione patrimoniale imposta, bensì un onere che va a controbilanciare il vantaggio che si trae dall’utilizzazione del suolo pubblico.
Nella specie, come in altre esaminate da questo Consiglio e di seguito menzionate, l’eccezione è infondata in quanto l’oggetto principale dell’impugnazione è costituito dalla legittimità della norma regolamentare (nella parte in cui provvede rideterminare il canone per la concessione del suolo pubblico) e non dagli avvisi di accertamento, che ne costituiscono una vera applicazione.
III – Nel merito l’appello è infondato.
IV – Per quanto riguarda i profili di permanenza dell’interesse alla decisione, deve evidenziarsi che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con le due sentenze nn. 4 e 5 del 2019, ha chiarito per regola la sentenza amministrativa, e in particolare quella di annullamento, ha effetti limitati alle parti del giudizio, mentre solo eccezionalmente produce effetti a favore dei terzi controinteressati che non hanno impugnato il provvedimento amministrativo. Tuttavia, ritiene, che produca effetti ultra partes , per quanto qui interessa, proprio l’annullamento di un regolamento.
Infatti, in questo caso l’efficacia erga omnes trova un fondamento normativo nell’art. 14, comma 3, d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, che, presupponendo tale efficacia, prevede che il decreto decisorio di un ricorso straordinario che pronunci l’annullamento di un atto normativo debba essere pubblicato nelle stesse forme dell’atto annullato.
Pertanto, per un verso il fondamento regolamentare da cui è mossa l’amministrazione non risulta più vigente, peraltro verso l’atto applicativo trova la propria ragione nella norma di cui è stata accertata l’illegittimità.
IV – Osserva il Collegio che – in disparte isolati orientamenti – rileva, ai fini della decisione la circostanza che, con sentenza n. 541/2014, questo Consiglio confermava la sentenza n. 1963/2013, del T.A.R. Catania, che così statuiva: “ il Collegio ritiene illegittimo il criterio fissato dall'art. 4 comma 4, del regolamento, comunale per il rilascio delle concessioni per l'applicazione del canone di occupazione spazi ed aree pubbliche, approvato con deliberazione del Cons. com. n. 17/C/2001 ”.
In tale sentenza il Consiglio ha evidenziato che seppure “ Per un verso infatti non v’è dubbio che l’ente locale nel predisporre il regolamento in questione gode di ampia discrezionalità che naturalmente dovrà esercitare, oltre che nel rispetto dei principi prima affermati, anche delle indicazioni provenienti dal citato articolo 63 e, in particolare, dei criteri indicati al comma 2, ove, tra l’altro, alla lettera c) è data la possibilità all’ente di scegliere tra metri quadrati e metri lineari pur in osservanza di altri parametri (“indicazione analitica della tariffa determinata sulla base della classificazione di cui alla lett. b), dell'entità dell'occupazione, espressa in metri quadrati o lineari, del valore economico della disponibilità dell'area nonché del sacrificio imposto alla collettività, con previsione di coefficienti moltiplicatori per specifiche attività esercitate dai titolari delle concessioni anche in relazione alle modalità dell'occupazione”) ”, “ Per altro verso, nel caso specifico il Collegio ritiene corretta la dichiarazione di illegittimità in parte qua del regolamento perché effettivamente la scelta del metro lineare abbinata ad un coefficiente uguale a quello previsto per altre tipologie di occupazione presenta profili di sicura irragionevolezza ”.
Ancora - come documentato da parte appellata – il Tribunale di Messina, con sentenza n.1608/2018 del 26 luglio 2018, recepiva il predetto orientamento, annullando l’ordinanza ingiunzione al pagamento del 2014.
Di seguito, con sentenza n. 595/2018, questo Consiglio ha confermato l’illegittimità del criterio seguito dall’Amministrazione in assenza di una preventiva classificazione delle strade e degli spazi pubblici comunali.
V – Ne discende che non può essere condivisa la tesi di parte appellante circa la confrontabilità delle opposte tesi, in presenza di un pronunciamento caducatorio della norma regolamentare.
VI – Quanto all’ulteriore motivo di appello e alle precisazioni svolte in memoria, per completezza, va detto che la giurisprudenza ha avuto modo di precisare l’illogicità del criterio di cui si discute, in assenza di un’adeguata istruttoria.
VII – Ne discende che l’appello deve essere respinto e, per l’effetto, rimane correttamente motivata la condanna alle spese effettuata in primo grado in ragione della soccombenza dell’Amministrazione, e sono improcedibili i motivi del ricorso di primo grado assorbiti dal Tar e tempestivamente riproposti dall’appellata con memoria del 21 febbraio .
VIII – Per quanto concerne le spese del presente grado di giudizio, l’appellante è condannato al pagamento delle spese del presente grado, come statuito in dispositivo.
IX – Da ultimo con riferimento alla domanda di correzione dell’errore materiale nell’ordinanza cautelare pronunziata dalla Sezione, come riportato in fatto, l’istanza deve essere accolta, costituendo ormai orientamento consolidato la possibilità di intervenire tramite tale strumento in caso di mancata liquidazione in favore dell'avvocato antistatario della parte vittoriosa (come evidenziato dalla difesa di parte appellata;cfr. Cass. n. 18518/2013) il che implica, a fortiori, la possibilità di provvedervi in seno alla sentenza che definisce il giudizio.
Quanto alle spese accessorie dovute per legge, esse – ove previste dall’ordinamento – spettano a prescindere di un’espressa previsione;nulla osta, dunque, alla esplicitazione richiesta.