CGARS, sez. I, sentenza 2022-03-08, n. 202200294
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Pubblicato il 08/03/2022
N. 00294/2022REG.PROV.COLL.
N. 00127/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
Sezione giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 127 del 2019, proposto da
-OMISSIS-in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro-tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato A S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo Messina, rispettivamente delle persone dei Ministri e del Prefetto pro-tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Palermo, via Villareale 6;
-OMISSIS- nella qualità di soggetto responsabile del Patto Agroalimentare Tindari Nebrodi, Europrogetti &Finanza S.p.A. in liquidazione, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione staccata di Catania (Sezione Quarta) n. 1439/2018, resa tra le parti, concernente revoca contributo a fondo perduto - informativa interdittiva antimafia;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico, del Ministero dell'Interno e della Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Messina;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 febbraio 2022 il Cons. Raffaele Prosperi e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con provvedimento n. -OMISSIS- adottato dal Ministero dello Sviluppo Economico il 24 novembre 2015 era stata disposta a carico della società beneficiaria -OMISSIS- la revoca del contributo economico già concessole in via provvisoria;tale decisione si fondava sull’esistenza di un’informativa antimafia interdittiva emessa dalla Prefettura di Messina il 1 luglio 2008, successiva alla erogazione del contributo, nella quale si rilevava che uno dei due soci dell’interessata, -OMISSIS-, era stato tratto in arresto in esecuzione di una misura cautelare disposta dal GIP del Tribunale di Messina per i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti.
Da tale vicenda, la Prefettura aveva dedotto la sussistenza di “elementi comprovanti possibili tentativi di infiltrazione mafiosa o, comunque, di permeabilità all’influenza della criminalità organizzata”.
Il provvedimento ministeriale di ritiro del contributo, nonché la sottostante informativa prefettizia dell’1 luglio 2008, sono stati impugnati dalla Società dinanzi al T.a.r. di Catania con le seguenti censure:
1.Violazione dell’art. 4 del d. lgs. 490 del 1994 e degli artt. 84 e 91 del d. lgs. 159 del 2011, nonché dell’art. 3 della l. 241 del 1990.
2.Violazione degli artt. 2, 3 e 6 della l. 241del 1990 per l’eccessivo lasso di tempo lasciato decorrere tra il ricevimento dell’informativa e l’adozione del provvedimento di revoca del contributo.
3.Violazione dell’art. 120 del d. lgs. 159 del 2011 e dell’art. 9 del d. lgs. 218 del 2012. L’abrogazione dell’istituto delle informative atipiche avrebbe dovuto far venir meno l’efficacia anche di quella emessa nel 2008 dal Prefetto di Messina;
4.Difetto di istruttoria e di motivazione con riguardo al ritiro del contributo concesso.
5.Mancata esternazione delle ragioni di interesse pubblico sottostanti la scelta del Ministero, vista la realizzazione di investimento.
6.Omessa valutazione delle osservazioni fornite dalla società nel corso del confronto infraprocedimentale.
Si costituivano in giudizio per resistere sia il Ministero dell’Interno - Prefettura di Messina, sia il Ministero per lo sviluppo economico.
Di seguito alla celebrazione del processo penale a carico del menzionato socio - conclusosi in primo grado con sentenza di condanna del Tribunale di Patti n. -OMISSIS-per il solo reato di traffico di sostanze stupefacenti in concorso, e con l’assoluzione dal reato associativo - la società ricorrente presentava il 15 Aprile 2015 istanza alla Prefettura di Messina per chiedere la revisione dell’informazione antimafia, richiamando le conclusioni cui è pervenuto il giudice penale ed evidenziando che il proprio socio non è mai stato imputato del reato di cui all’articolo 416 bis c.p.
Avverso il silenzio seguito, la società ricorrente proponeva la prima impugnativa per motivi aggiunti, al fine di far dichiarare l’illegittimità della inerzia mantenuta dalla Prefettura di Messina nel procedimento avviato a domanda, avente ad oggetto la revisione dell’informazione antimafia.
Nelle more, il 10 novembre 2016, la Prefettura di Messina rinnovava l’informazione antimafia nei confronti della ricorrente, da una parte, prendendo atto delle risultanze emerse nella sentenza penale citata, dall’altra parte evidenziando come nel procedimento penale in cui era imputato il -OMISSIS- era coinvolto anche -OMISSIS-, successivamente arrestato in altra operazione per i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione e spaccio di stupefacenti. Ulteriormente, la Prefettura rilevava anche che il -OMISSIS- nel periodo 2000/2016 aveva frequentato persone controindicate per reati contro il patrimonio, in materia di armi, e sostanze stupefacenti, indicando espressamente i nomi.
Da tale quadro, l’autorità procedente aveva tratto elementi per ritenere altamente plausibile il rischio di infiltrazioni mafiose e di condizionamento criminale nell’attività di impresa, ed aveva adottato quindi la nuova informativa interdittiva datata 10 novembre 2016.
A seguito di tale nuovo pronunciamento della Prefettura la società ricorrente proponeva un secondo ricorso per motivi aggiunti, allo scopo di chiedere l’annullamento della seconda informazione interdittiva. Nelle more, il T.a.r. adottava la sentenza n. -OMISSIS-con cui dichiarava cessata la materia del contendere nel primo ricorso per motivi aggiunti, concernente l’inerzia della Prefettura in ordine alla revisione dell’informativa antimafia.
Nei secondi motivi aggiunti la società ricorrente deduceva che la condanna del -OMISSIS- riguardava un reato diverso da quelli contemplati nell’articolo 84, co. 4, lett a), del d. lgs. 159 del 2011, e dunque non poteva fondare di per sé alcuna prognosi di rischio di infiltrazione mafiosa;le frequentazioni di alcuni soggetti controindicati erano generiche sul numero e sulle circostanze di fatto e non potevano assumere rilevanza ai fini perseguiti dall’autorità.
L’Avvocatura dello Stato eccepiva con memoria difensiva il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo adìto, richiamando la nota giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato - sentenze n. 17/2013 e 6/2014 - formatasi in materia di revoca di contributi pubblici disposta per inadempienza del beneficiario.
La Prefettura si pronunciava poi sul fatto della cessione all’interno del complesso familiare delle quote di -OMISSIS- e adottava il 27 settembre 2017 una nuova informativa interdittiva, prot. -OMISSIS-, sostenendo che permanevano i rischi di infiltrazione della criminalità nell’impresa, visto il coinvolgimento di fatto del precedente socio nell’attività gestionale.
Il nuovo provvedimento è stato impugnato dalla società col terzo ricorso per motivi aggiunti notificato il 24 novembre 2017, con il quale si deduceva:
1.Violazione dell’art. 91 del d. lgs. 159 del 2011 nonché eccesso di potere per travisamento dei fatti.
2.Illegittimità derivata dai vizi già dedotti con le precedenti impugnative con riguardo alla temuta infiltrazione della criminalità nella gestione dell’impresa indicata nell’informativa interdittiva del 10 novembre 2016.
Il 19 febbraio 2018 la società F.lli -OMISSIS- veniva posta in liquidazione e si costituiva in giudizio per mezzo del liquidatore con il deposito di una memoria difensiva.
Con la sentenza 9 luglio 2018 n. 1439 il T.a.r. dichiarava dapprima l’infondatezza dell’eccezione di difetto di giurisdizione.
Il provvedimento ministeriale impugnato non consisteva in un atto di revoca di un contributo già concesso in via definitiva, quanto nel provvedimento di completamento del procedimento avviato con la domanda di concessione, andando a sostituire l’atto di erogazione delle somme emesso a titolo dichiaratamente provvisorio: quindi non un provvedimento di secondo grado che modificava una precedente determinazione della P.A., quanto l’atto finale del procedimento della domanda di concessione del contributo, nel quale era stata contemplata a titolo meramente provvisorio l’erogazione anticipata di una somma. Tanto è che l’informativa prefettizia del 2008, impugnata col ricorso introduttivo, era stata emessa in riscontro ad una istanza del -OMISSIS-del 13 Marzo 2008, ossia del soggetto responsabile della gestione dei fondi pubblici, con la quale si chiedeva la cd. “informazione antimafia” ai fini della concessione definitiva dell’agevolazione finanziaria e dallo stesso decreto ministeriale impugnato, nella parte in cui menzionava la precedente erogazione come anticipazione disposta a titolo provvisorio.
La giurisdizione era dunque radicata in capo al giudice amministrativo, quale giudice degli interessi legittimi.
Nel merito il ricorso introduttivo doveva ritenersi parzialmente improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, nella parte in cui era diretto ad impugnare l’originaria informativa antimafia della Prefettura di Messina emessa nel 2008, giacché tale provvedimento era stato rinnovato dalla medesima Prefettura con l’interdittiva emessa il 10 novembre 2016, e successivamente con l’ulteriore informativa aggiornata nel 2017, atto ultimo che costituiva ora il nuovo pronunciamento dell’autorità prefettizia sui rischi di infiltrazione ravvisabili in capo alla società ricorrente.
Il ricorso era invece infondato nella parte in cui denunciava l’asserita illegittimità del decreto del Mi.S.E., deducendo che il provvedimento applicativo fosse un’interdittiva “atipica” e comunque non istruita ed aggiornata rispetto alla situazione attuale.
Sotto un primo profilo, era erronea la qualificazione di informativa “atipica” attribuita dalla ricorrente al provvedimento prefettizio del luglio 2008. Infatti, se effettivamente esisteva all’epoca la distinzione tra informazioni “tipiche” ed “atipiche”, e che la base normativa del relativo potere era allora rappresentata dall’art. 4 del d. lgs. 490 del 1994 e dall’art. 10 del d.P.R. 252 del 1998, nel caso di specie si era in presenza di una informazione “tipica”, inquadrabile nell’ambito dell’art. 10, co. 2, del d.P.R. 252 cit., ossia di un provvedimento che segnalava l’esistenza di possibili tentativi di infiltrazione, e che produceva effetti immediatamente vincolanti per la P.A. che l’aveva richiesto.
Ai fini dell’applicazione del comma 2 – ossia, per verificare la sussistenza di una possibile infiltrazione - il successivo comma 7 dell’art. 10 in esame distingueva diverse tipologie di accertamenti svolti dal Prefetto al fine di valutare il rischio di infiltrazione e la giurisprudenza formatasi in relazione a tale disposizione precisava che il tratto distintivo fra l’informativa interdittiva c.d. “tipica”, prevista dalle lett. a) e b), e quella c.d. “atipica”, di cui alla lett. c), art. 10, comma 7, d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 consisteva nella piena tipizzazione dei presupposti e delle condizioni per le ipotesi di cui alle lettere a) e b), al contrario, nelle ipotesi di cui alla lettera c) la Prefettura doveva fornire puntuali e motivate indicazioni in ordine agli accertamenti in concreto disposti al fine di stabilire la sussistenza di concreti elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa idonei a condizionare le scelte dell’impresa.
Nel caso in esame, il Prefetto aveva segnalato l’esistenza di alcune pendenze penali inquadrabili nella lettera a) del citato comma 7 e ne conseguiva che si era in presenza di una informativa “tipica” ad effetti strettamente vincolanti, e non – come postulato in ricorso – di quella “atipica”, con la conseguente infondatezza delle censure nn. 1, 3, 4 e 5 mosse col ricorso introduttivo, poiché queste presupponevano un’interdittiva “atipica”.
La seconda e la sesta censura sollevate col ricorso introduttivo del giudizio erano da ritenersi ormai improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse, dal momento che la Prefettura di Messina aveva rinnovato – a domanda della ricorrente – l’istruttoria sulla situazione giudiziaria del socio della società ricorrente, ed aveva concluso per la permanenza del rischio di contaminazione da parte della criminalità organizzata, anche alla luce delle nuove ed aggiornate risultanze.
Sul primo ricorso per motivi aggiunti – proposto contro il silenzio serbato dall’amministrazione sull’istanza di revisione dell’informazione antimafia – la Sezione si era già pronunciata con la sentenza n. -OMISSIS-, che ha dichiarato cessata la materia del contendere a seguito dell’adozione di una nuova interdittiva antimafia emessa dall’U.T.G./Prefettura di Messina del 10 novembre 2016, poi impugnata con il secondo ricorso per motivi aggiunti.
Analoga statuizione di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse processuale era formulata, per le ragioni già illustrate nella parte iniziale del punto I - con riguardo al secondo ricorso per motivi aggiunti.
Il provvedimento interdittivo emesso dal Prefetto di Messina, impugnato col terzo ricorso per motivi aggiunti, derivava dalle circostanze poste a base dell’informativa antimafia emessa dallo stesso Ufficio nel 2008, e rigettava l’ultima domanda di aggiornamento e revisione dell’esito dell’informativa presentata dalla società ricorrente. La Prefettura aveva ritenuto ininfluenti ai fini della modifica dell’informativa le circostanze evidenziate dalla società, ribadendo l’esistenza di rischi di infiltrazione mafiosa e di condizionamento criminale nella gestione dell’impresa, giusta l’art. 91, co. 5, del d. lgs. 159 del 2011 sulle competenze prefettizie anche in relazione ai soggetti determinanti in qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi dell'impresa: tale norma legittimava l’accertamento operato dalla Prefettura di Messina in relazione alla posizione di un socio della s.n.c. ricorrente, e la valutazione compiuta circa la possibilità che tale soggetto – colpito da una condanna penale (ancora non definitiva), e incline alla frequentazione con soggetti controindicati - potesse incidere sulla gestione dell’impresa.
In secondo luogo è dirimente il richiamo contenuto nel provvedimento prefettizio all’art. 91, co. 6, del cd. codice antimafia, sulla possibilità per il prefetto di desumere tentativi di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l'attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose, ritenendo quindi corretto presupposto per l’adozione di una informativa antimafia anche i provvedimenti giudiziari per reati strumentali all’attività di organizzazioni criminali, allorquando risulti che l’attività di impresa possa agevolare le suddette attività criminose, ovvero esserne condizionata.
Questi presupposti ricorrevano nel caso in esame, vista la condanna di uno dei due soci della società ricorrente per reato di spaccio di stupefacenti, reato strumentale rispetto all’associazione criminale contemplata nella sentenza stessa, nonché l’estromissione solo “formale” di tale soggetto dalla compagine sociale, alla quale era conseguita la sua permanenza nella concreta gestione dell’impresa.
Più in dettaglio, va rilevato che la sentenza del Tribunale di Patti già richiamata consentiva di comprendere come fosse stata individuata una associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti di cui facevano parte -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS- e-OMISSIS-, ossia quei soggetti che secondo la Prefettura di Messina aveva intessuto frequenti contatti col socio della odierna ricorrente -OMISSIS-, anche posteriormente ai fatti di cui si è occupato il giudice penale e del quale era stata provata la responsabilità penale degli stessi reati - art. 73 del D.P.R. 309/1990 - in concorso e nell’arco di tempo degli anni 2000 – 2016, quindi anche successivi alla condanna penale richiamata, le forze di polizia avevano avuto modo di accertare le frequentazioni di quest’ultimo con i tre soggetti prima indicati.
Il giudizio espresso dalla Prefettura appariva immune dai vizi denunciati, sia perché basato su circostanze di fatto attestate da sentenza del giudice penale e da accertamenti delle forze dell’ordine;sia perché il ragionamento di tipo deduttivo che dagli elementi di fatto aveva portato l’autorità a pronosticare un rischio di infiltrazione appariva logico, coerente e condivisibile, alla stregua del sindacato ab externo che il giudice amministrativo può esercitare in questa materia peculiare.
Il giudice di primo grado verificava poi se gli elementi di fatto che erano stati legittimamente ritenuti sufficienti a supportare una informazione interdittiva fossero venuti meno a seguito della dismissione della quota societaria detenuta da -OMISSIS- ovvero se questa fosse stata solo una manovra formale elusiva, concludendo in questo ultimo senso: l’art. 84, co. 4, lett. f), del citato d. lgs. 159 del 2011 consentiva di trarre argomenti a sostegno del rischio di infiltrazione anche dalla cessione delle quote societarie, effettuate da conviventi stabilmente con i soggetti destinatari dei provvedimenti di cui alle lettere a) e b), con modalità che, per i tempi in cui sono state realizzate, il loro valore economico, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l'intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia.
Ma, in aggiunta al valore indiziante di tale manovra, il giudice di primo grado riteneva che nel caso di specie la cessione era avvenuta in modo “formale” o fittizio, in quanto il -OMISSIS- risultava essere rimasto ancora pienamente inserito in via di fatto nella governance della società, come riportato dalle dichiarazioni rese alla Guardia di finanza dai due dipendenti che affermano di aver ricevuto le retribuzioni proprio dal soggetto che, apparentemente, aveva reciso ogni legame con la società e ciò in data successiva alla dismissione della qualità di socio.
In conclusione l’impugnativa era da respingere.
Con appello al Consiglio di giustizia amministrativa notificato il 6 febbraio 2019 la Società F.lli -OMISSIS- impugnava la sentenza in questione e svolgeva le seguenti considerazioni.
In primo luogo si criticava il capo di sentenza in cui si riteneva l’infondatezza delle censure nn. 1, 3, 4 e 5 mosse con il ricorso introduttivo, in quanto dette censure presupponevano la natura atipica dell’informativa antimafia del 10 novembre 2016: il contributo in questione di €. 460.163,10 ai sensi della l. 662 del 1996 era stato rilasciato dando atto dell’inesistenza di cause interdittive di natura antimafia e la relazione finale della Banca incaricata, vista la realizzazione complessiva dell’investimento aveva proposto al Ministero di concedere in via definitiva il contributo e ciò nel luglio del 2005, mentre la prima interdittiva antimafia era intervenuta del 2008 a distanza di anni dal completamento del programma di investimenti – 2004, quindi con la totale inerzia della P.A. a pronunciarsi su quanto dovuto in tempi credibili: la sentenza di primo grado aveva sostanzialmente omesso di pronunciarsi e di accogliere quanto sostenuto, in considerazione della sostanziale revoca non sorretta da alcuna ragione di pubblico interesse.
In secondo luogo la più recente informativa, emessa il 27 settembre 2017, non tiene in alcun conto così come la sentenza di primo grado, il fatto che il soggetto estromesso dalla compagine societaria era stato anche assolto dal reato associativo e la condanna riportata per altro reato commesso non poteva essere collegata alle frequentazioni citate genericamente ed accadute nell’arco di 16 anni in un piccolo paese con due appartenenti all’associazione per delinquere, tanto da giustificare misure che andava a colpire fatti estremamente risalenti. Se il tipo di provvedimento è del tutto discrezionale, ciò non toglie che vadano indicate le ragioni logico-giuridiche per giustificare l’asserito condizionamento criminale, ad esempio se la frequentazione sia o meno occasionale oppure vi siano tracce in detta vicinanza di un coinvolgimento con la criminalità organizzata.
In terzo luogo non poteva desumersi la persistenza dell’attività societaria nel -OMISSIS- solo dalle due dichiarazioni rilasciate alla Guardia di Finanza, dichiarazioni in parte smentite e che non potevano essere contrastate da fatti simili.
La Società F.lli -OMISSIS- concludeva per l’accoglimento dell’appello con vittoria di spese.
Il Ministero dell’Interno ed il Ministero per lo Sviluppo Economico si sono costituiti in giudizio.
All’udienza del 2 febbraio 2022 la causa è passata in decisione.
Oggetto dell’appello sono le due interdittive antimafia che hanno interessato la S.n.c. F.lli -OMISSIS- ora in liquidazione e la mancata concessione alternativamente revoca di un contributo rilasciato dal Ministero dello sviluppo economico in favore dell’ampliamento di un salumificio gestito dall’appellante, provvedimento conseguente alle interdittive ora indicate e ciò ad investimento ormai completato con il parere della Banca concessionaria all’attribuzione definitiva del contributo medesimo.
In primo luogo si deve rilevare che l’attribuzione definitiva del beneficio è stata vincolata dalla menzionata dalle interdittive antimafia e ciò è impedito al Ministero dello sviluppo economico la concessione definitiva del finanziamento, finanziamento che va osservato sarebbe stato probabilmente attribuito in costanza di una celere decisione sul medesimo.
Con ciò si intende l’infondatezza del quinto motivo del ricorso di primo grado reiterato con l’impugnativa dinanzi a questo Consiglio di giustizia amministrativa, in cui si sostiene che l’autorità ministeriale dovesse motivare un’asserita revoca richiamando ragioni di pubblico interesse (Consiglio di Stato ad. plen. , 06/04/2018 , n. 3 “il provvedimento di “interdittiva antimafia” determina una forma di incapacità ex lege , parziale e temporanea, che preclude al soggetto, sia esso persona fisica o giuridica, di avere rapporti di cui all’ art. 67 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 con la Pubblica Amministrazione.
Inoltre il divieto di ottenere, da parte del soggetto colpito dall’interdittiva antimafia, «contributi, finanziamenti e mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali», di cui all’ art. 67, comma 1, lett. g), d.lgs. cit. , ricomprende anche l’impossibilità di percepire somme dovute a titolo di risarcimento del danno riconosciuto da giudicato formatosi dopo l’informativa” ).
Quanto al corpo centrale delle censure, secondo cui le informative sarebbero mosse sul presupposto errato ossia quello delle sospette infiltrazioni mafiose, l’appello insiste particolarmente sull’avvenuta assoluzione per quanto concerne i reati di cui all’art. 416 bis c.p. -OMISSIS--OMISSIS-, condannato solamente per i reati concernenti il traffico di stupefacenti, e dunque sull’emanazione di un provvedimento privo del suo presupposto basilare, visto che il fatto che aveva dato luogo alle interdittive era stato poi escluso dal giudice penale e non potevano invece essere assunte a ragione dei provvedimenti prefettizi le conoscenze e le frequentazioni con personaggi di dubbia reputazione, tra l’altro in un arco di tempo quindicennale.
Anche dette censure appaiono infondate, sulla scorta della correttezza di quanto assunto dal giudice di primo grado.
L’art. 91, co. 5, del d. lgs. 159 del 2011 prevede che il prefetto nei suoi accertamenti in materia debba avere riguardo anche nei confronti dei soggetti che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte o gli
indirizzi dell'impresa: ciò legittima l’accertamento operato in relazione alla posizione di un socio della s.n.c. ricorrente ed alla possibilità che tale soggetto, raggiunto da una condanna penale ancora non definitiva, e incline alla frequentazione con soggetti controindicati - possa incidere sulla gestione dell’impresa.
Inoltre appare del tutto incontestabile il richiamo operato dal Prefetto di Messina all’art. 91, co. 6, del d. lgs. 159 cit.. Con detta previsione viene stabilito che il prefetto possa desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all'attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l'attività d'impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata.
Con questo si deve riconoscere che il legislatore ha individuato come presupposto per l’adozione di una informativa antimafia – non solo i provvedimenti giudiziari adottati per i cd. “reati spia” menzionati nell’art. 84, co. 4, del d. lgs. 159 del 2011 – ma anche provvedimenti giudiziari per reati strumentali all’attività di organizzazioni criminali, allorquando risulti che l’attività di impresa possa agevolare le suddette attività criminose, ovvero esserne condizionata.
Nel caso di specie v’è la condanna di uno dei due soci della società ricorrente per reato di spaccio di stupefacenti che è reato strumentale rispetto all’associazione criminale contemplata nella sentenza stessa, nonché l’estromissione solo “formale” di tale soggetto dalla compagine sociale, alla quale è conseguita la sua permanenza nella concreta gestione dell’impresa ed il possibile condizionamento di quest’ultima.
La sentenza del Tribunale di Patti n. -OMISSIS-ha ad ogni buon conto individuato un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti ex art. 74 del d.P.R. 309 del 1990, di cui facevano parte i -OMISSIS-, -OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS-, vale a dire gli stessi soggetti che secondo la Prefettura di Messina avevano una rete di frequentazioni col socio della odierna ricorrente -OMISSIS- -OMISSIS-, frequentazioni continuate anche successivamente ai fatti di cui si è occupato il giudice penale, in cui è stata accertata la responsabilità penale di -OMISSIS- -OMISSIS- per il reato di cui all’art. 73 del d.P.R. 309 del 1990, in concorso con -OMISSIS- e -OMISSIS-, nonché la sua disponibilità a finanziare l’acquisto di stupefacenti a vantaggio dell’associazione sopra citata, fatti commessi nell’anno 2005.
Inoltre, nell’arco di tempo 2000-2016 (dunque, anche in epoca successiva ai fatti cui si riferisce la condanna penale inflitta dal Tribunale di Patti) le forze dell’ordine hanno accertato ripetute frequentazioni del -OMISSIS- -OMISSIS- con -OMISSIS-, -OMISSIS-e con -OMISSIS-, ossia con soggetti componenti l’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, alcuni dei quali imputati anche del reato di associazione per delinquere di tipo mafioso - in particolare il -OMISSIS- - ed estorsione.
Perciò l’interdittiva ha tenuto conto del carattere strumentale all’associazione della condotta illecita tenuta dal -OMISSIS-, sia delle frequentazioni di costui con i citati associati, ritenendo altamente probabile - in base ad un giudizio prognostico - un elevato rischio di condizionamento dell’attività d’impresa ad opera della citata associazione criminale.
Ora, giurisprudenza del tutto consolidata ha ritenuto che ai contatti o ai rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia, di titolari, soci, amministratori, dipendenti dell'impresa con soggetti raggiunti da provvedimenti di carattere penale o da misure di prevenzione antimafia, l'Amministrazione può ragionevolmente attribuire loro rilevanza quando essi non siano frutto di casualità o, per converso, di necessità. Se di per sé è irrilevante un episodio isolato ovvero giustificabile, sono invece altamente significativi i ripetuti contatti o le 'frequentazioni' di soggetti coinvolti in sodalizi criminali, di coloro che risultino avere precedenti penali o che comunque siano stati presi in considerazione da misure di prevenzione.
L’apprezzamento di tali situazioni indiziarie deve essere effettuato non in via atomistica, bensì sintetica e omnicomprensiva, secondo quel calibrato giudizio sintetico tratteggiato dalla giurisprudenza amministrativa: le valutazioni prefettizie profuse nel provvedimento impugnato affrontano con il approccio richiamato la posizione del -OMISSIS- desumendo, con ragionamento immune da illogicità ed improntato al sillogismo probabilistico tarato sul canone probatorio del “ più probabile che non ”, il pericolo di condizionamento mafioso sulle scelte e gli indirizzi di impresa.
Il giudizio espresso dalla Prefettura appare immune dai vizi denunciati, sia perché si basa su circostanze di fatto attestate da sentenza del giudice penale – la vicinanza tra il -OMISSIS- e il -OMISSIS- - e da accertamenti delle forze dell’ordine;sia perché il ragionamento di tipo deduttivo che dagli elementi di fatto ha portato l’autorità a pronosticare un rischio di infiltrazione, già sussistente - appare logico, coerente e condivisibile, alla stregua del sindacato ab externo che il giudice amministrativo può esercitare in questa peculiare materia, caratterizzata da valutazioni tecnico/discrezionali di stretta competenza dell’autorità di p.s., non sindacabili con il ricorso a consulenze tecniche o verificazioni.
Va ricordato che la giurisprudenza del Consiglio di Stato in materia è ormai consolidata nel ritenere che “ La misura interdittiva dell'informativa antimafia, essendo il relativo potere esercitato espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi
sull'esistenza della contiguità dell'impresa con organizzazione malavitose, e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell'attività imprenditoriale della criminalità organizzata;in ogni caso, tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità, che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua ragionevolezza in relazione alla rilevanza dei fatti accertati ” (Cons. Stato, III, 4000/2017).
Quanto alla terza censura, ovverosia alla evocata operazione elusiva della dismissione della quota sociale da parte del -OMISSIS-, a parte le dichiarazioni rese alla Guardia di finanza dai due dipendenti che affermano di aver ricevuto le retribuzioni proprio dal soggetto che, apparentemente, aveva reciso ogni legame con la società, dismettendo la qualità di socio, si deve rilevare che tale fatto, se non accompagnato da una serie di fenomeni univoci che comprovino l’uscita dell’interessato dalla compagine, può essere ritenuto un elemento indiziante di una finalità di elusione dei controlli antimafia.
Non per nulla l’art. 84, co. 4, lett. f), del d. lgs. 159 del 2011 prevede che le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all'adozione dell’informazione antimafia interdittiva di cui al comma 3 sono desunte, tra le altre, “ dalle sostituzioni negli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, effettuate da chiunque conviva stabilmente con i soggetti destinatari dei provvedimenti di cui alle lettere a) e b), con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l'intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia .”
Quindi un simile accadimento potrebbe addirittura configurare una dissimulazione della permanenza del controllo della gestione dell’impresa e quindi preso isolatamente ed accompagnato da dichiarazioni contrarie di dipendenti non può di certo essere utile all’appellante.
Per le considerazioni che precedono, l’appello deve essere dunque respinto.
Spese come da dispositivo.