CGARS, sez. I, sentenza 2017-12-11, n. 201700550

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Sul provvedimento

Citazione :
CGARS, sez. I, sentenza 2017-12-11, n. 201700550
Giurisdizione : Consiglio Di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana
Numero : 201700550
Data del deposito : 11 dicembre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/12/2017

N. 00550/2017REG.PROV.COLL.

N. 00657/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

in sede giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 657 del 2017, proposto da: U.T.G. - Prefettura di Palermo, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale, domiciliata in Palermo, via Alcide De Gasperi, n. 81;

contro

-O-, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati G I, G I, con domicilio eletto presso lo studio di G I in Palermo, viale Libertà, n.171;

Per la riforma della sentenza del T.A.R. SICILIA - PALERMO: SEZIONE I n. 01279/2017, resa tra le parti, concernente informativa antimafia interdittiva

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di -O-;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 novembre 2017 il Cons. Giuseppe Verde e uditi per le parti gli avvocati l'avv. dello Stato Quiligotti, G I, G I;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

L’odierna appellante considera ingiusta la sentenza indicata in epigrafe che ha accolto il ricorso introduttivo per l’annullamento:

- dell'informativa antimafia interdittiva prot. n. 75446 del 4.7.2016 emessa ai sensi degli artt. 91 e 89 bis del D.Lgs. n. 159/2011 e ss.mm.ii. dal Prefetto di Palermo;

- (ove occorra e per quanto di ragione) del verbale della riunione del 29.6.2016 del Gruppo Provinciale Interforze e della coeva proposta di adozione di un provvedimento interdittivo a carico della società ricorrente;

- del provvedimento interdittivo (decreto) n. 85145 del 28.7.2016 adottato dal Prefetto di Palermo di rigetto dell'istanza presentata dalla ditta ricorrente intesa ad ottenere l'iscrizione nell'elenco ex art. 1 comma 52 L. n. 190/2012 dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa (cd. White list);

- nonché degli atti tutti presupposti, connessi e consequenziali.

La sentenza impugnata nell’accogliere il ricorso introduttivo ripercorre i vari passaggi dell’interdittiva prefettizia impugnata e si sofferma sul suo contenuto con riferimento:

a) in primo luogo, al fatto che l’imprenditore odierno appellato era stato sottoposto a un procedimento penale per reati mafiosi, che aveva coinvolto una pluralità di soggetti;

b) in secondo luogo, alla sussistenza di rapporti familiari con soggetti controindicati;

c) in terzo luogo alla valutazione dell’idoneità delle successive risultanze istruttorie rassegnate dal Gruppo interforze alla Prefettura di Palermo (29 giugno 2016) a giustificare un giudizio di permeabilità della società alle pressioni esercitate da Cosa Nostra sulla base dell’Ordinanza di custodia cautelare n. 3642/2013 R.G.N.R. e 3237/2013 R.G.G.I.P. (emessa dal GIP di Palermo il 3 maggio 2016 a carico di vari soggetti).

In riferimento a quanto sinteticamente indicato sopra ai punti b) e c), l’interdittiva prefettizia del 2016 afferma che:

- ai rapporti di parentela descritti nell’interdittiva del 2011 si aggiunge quanto acquisito successivamente, e cioè che -O-, figlia -O-, è coniugata con -O-, figlio di -O- (cl.45), imprenditore edile, soprammenzionato;

- tuttavia le criticità segnalate nel provvedimento del 2011, oggi assumono una maggiore pregnanza nell’attualità, in relazione a quanto emerso nell’O.C.C.C. n. 3642/2013 R.G.N.R e 3237/2013 R.G.G.I.P. emessa dal Gip del Tribunale di Palermo il 3 maggio 2016 .

La sentenza impugnata ha accertato che:

- l’appellato è stato assolto con sentenza n. 2533/2003 passata in giudicato l’undici novembre 2006 perché l’accusa si fondava essenzialmente su una chiamata in reità effettuata dal collaboratore di giustizia -O-, la quale però è rimasta isolata e priva di riscontri di alcun genere […] l’imputato deve essere assolto perché il fatto non sussiste;

- che con i provvedimenti impugnati l’Amministrazione dà atto di aver adottato nei confronti della società appellata “comunicazioni liberatorie” ai sensi dell’art. 87 D.Lgs. 159/2011 (prot. 5179 del 16/10/2013 e n. 5452 del 29/10/2013);

- nei confronti della società appellata e che nei confronti dell’impresa sono state altresì adottate negli anni informative antimafia negative, impugnate con differenti ricorsi giurisdizionali, definiti con le sentenze di questo T.A.R., Se. I, 4 giugno 2009 n. 1017 e 19 luglio 2013 n. 1462 che, accoglienti i ricorsi, ha annullato i relativi provvedimenti impugnati (dette sentenze passavano quindi in autorità di cosa giudicata);

- che la società appallata ha presentato all’autorità di polizia denunce degli atti intimidatorio subiti;

- a distanza di qualche anno la Prefettura ha nuovamente confermato il proprio convincimento sulla sussistenza in capo all’Impresa di condizionamenti di tipo mafioso, adottando i nuovi provvedimenti interdittivi impugnati;

- l’Amministrazione riportava a sostegno motivazionale ampi stralci del precedente omologo atto del 2011, facendo altresì riferimento agli esiti di procedimenti penali relativi a soggetti estranei alla società, citando in particolare taluni passaggi di un dialogo intercettato il 29 aprile 2014;

- da detto dialogo emerge che alle richieste del capo mafia di assunzione del figlio, l’imprenditore ha opposto un netto rifiuto.

L’appello è sostanzialmente affidato ad un unico articolato motivo:

- sebbene in passato la società appellata è stata destinataria di interdittive antimafia - tutte annullate con sentenze passate in giudicato –nel caso di specie vengono in esame provvedimenti interdittivi “basati su nuovi elementi di fatto, e correlate nuove valutazioni giuridiche degli stessi” (Ordinanza di custodia cautelare in carcere, adottata dal GIP del Tribunale di Palermo, in data 3 maggio 2016, nell’ambito del procedimento n. 3642/2013 R.G.N.R. e 3237/2013 R.G. G.I.P.);

- muovendo dalla suddetta ordinanza “è stato possibile ricostruire l’evoluzione delle dinamiche interne dell’organizzazione mafiosa partinicese, svelando un rapporto di estrema vicinanza e confidenzialità di uno dei suoi componenti di spicco, -O-, con l’imprenditore […] socio dell’odierna appellata, unitamente al fratello […], e a […] coniuge dello stesso […]. Gli atti giudiziari acquisiti, in particolare, hanno disvelato un atteggiamento di sudditanza e di reverenza di […] nei confronti dell’autorevole esponente mafioso, nonché una condivisione delle regole mafiose”, si tratta di nuovi elementi non adeguatamente valutati dal giudice di primo grado e che per il loro significato giustificano l’emanazione dei provvedimenti interdittivi;

- non convince il ragionamento seguito dal giudice di prime cure a detta del quale “l’affermazione del GIP in merito a un atteggiamento di asserita deferenza e rispetto mostrato da […] nei confronti di -O-assume, infatti una valenza recessiva rispetto al netto rifiuto opposto alla richiesta di fare assumere in figlio nell’impresa”. Al contrario – secondo l’appellante – il rifiuto alla richiesta di assunzione del figlio “non può non assumere una connotazione del tutto diversa, alla luce del fatto che soltanto un elevatissimo livello di reciproca confidenza può aver consentito al […] di negare l’assunzione del giovane con la consapevolezza di non subire ritorsioni ed anzi addirittura di essere compreso per il rifiuto opposto”;

- in considerazione di quanto da ultimo dedotto l’Amministrazione appellante ritiene che l’intercettazione costituisce un elemento di novità anche in riferimento ai rapporti parentali che “avrebbero dovuto costituire oggetto di nuova valutazione ben potendo risultare oggi rilevante, in nuovo quadro indiziario, anche elementi illo tempore ritenuti non particolarmente pregnanti”.

La società appellata, con memoria del 7 agosto 2017, ritiene l’appello inammissibile e infondato in relazione alla dedotta violazione e falsa applicazione degli articoli 84, 89 bis, 91, 92 e 94 d.lgs. 159/2011 (SS.MM.II);
nonché violazione e falsa applicazione e dell’art. 3 l. n.241/1990 e degli articoli 24 e 97 Cost.. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti, difetto di motivazione e di istruttoria, ingiustizia manifesta, travisamento dei fatti, illogicità.

La memoria della società appellata affida le controdeduzioni a due motivi (il primo motivo articolato in undici punti;
il secondo motivo articolato in quattro motivi).

Le ragioni con cui la società appellata risponde all’appello possono così essere sinteticamente esposte:

- la tesi sostenuta dall’appellante “è di una illogicità parossistica” atteso che l’imprenditore appellato ha opposto un netto rifiuto alla richiesta proveniente dal -O-di assunzione del figlio. Si tratta di una scelta libera operata dall’appellato che è “consapevole che la propria società deve essere ‘pulita’ per superare l’attento vaglio della Prefettura […] la scelta è determinata da ragioni puramente imprenditoriali, attesa l’inutilità di nuove assunzioni”. È decisivo il fatto che la Società “non abbia voluto assumere il figlio di un soggetto ritenuto al vertice di Cosa Nostra”;

- nel caso di specie mancherebbe poi un riscontro puntuale “degli atti idonei diretti a condizionare le scelte dell’impresa e in cosa essi si siano concretizzati” secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di questo Consiglio (CGA, n. 247/2016);

- i nuovi elementi di cui all’appello non sono tali da giustificare l’adozione di provvedimenti interdittivi nei confronti del soggetto per il quale è stata esclusa – in sede penale – qualsiasi contiguità o appartenenze alla consorteria mafiosa;

-non vengono colpiti da specifici motivi di appello diversi passaggi della sentenza impugnata, dunque passati in giudicato: a) il capo della sentenza impugnata nella quale si fa riferimento nell’informativa impugnata alla vicenda dei rapporti fra il cugino dell’imprenditore appellante e il -O- (mancata locazione dell’immobile);
b) il capo della sentenza impugnata nella quale si fa riferimento alla decisione del Tar sulla precedente informativa annullata perché basata su circostanza ritenute insufficienti ed illogiche (Tar Sicilia, Sez. I, n. 1286 del 2013);c) il capo della sentenza impugnata relativo alla regolare denuncia degli attentati intimidatori subito dall’imprenditore appellato;

- nessun rilievo deve accordarsi al richiamo ai rapporti parentali che in passato non sono stati ritenuti idonei a giustificare i provvedimenti interdittivi;
tale inidoneità persiste anche nei confronti della interdittiva del 2016 impugnata dal momento che non emergono specifiche ragioni che possono giustificare l’Amministrazione a cambiare giudizio;

- non può la Prefettura “richiamare i contenuti dell’informativa antimafia tipica (e interdittiva) adottata nel 2011 ed annullata in sede giurisdizionale, per affermare la sua attualità”.

Nel corso dell’udienza pubblica del 16 novembre 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

L’appello è infondato e va respinto.

Giova premettere che ai sensi del codice antimafia (artt. 84, comma 4, 85, comma 6 e 91 comma 6 cit.) sono indici rivelatori o sintomatici della esistenza di infiltrazioni mafiose:

- la sussistenza di provvedimenti che “dispongono” o anche solamente che “propongano” una misura di prevenzione (art.84, comma 4, lett. ‘b’);

- la sussistenza di provvedimenti che recano una “condanna” anche non definitiva, o che dispongono una misura cautelare (custodia cautelare o altre misure atte ed evitare pericolo di fuga, inquinamento di prove o reiterazione del reato) o che dispongono il (rinvio a) giudizio per taluno dei delitti di cui all’art.51, comma tre bis del codice di procedura penale (associazione di stampo mafioso: art.416 bis;
contraffazione e uso di marchi: art.473 c.p.;
introduzione e commercio di prodotti falsi: art.474 c.p.;
riduzione e mantenimento in schiavitù;
art.600 c.p.;
tratta di persone: art.601 c.p.;
acquisto e alienazione di schiavi: art.602 c.p.;
sequestro di persona a scopo di estorsione: art.630 c.p.;
associazione finalizzata al traffico di stupefacenti: art.74 DPR n.309/1990;
associazione a delinquere: art.416 c.p. se essa è costituita allo scopo di compiere i reati di cui agli artt.473, 474, 600, 601 e 602 c.p. cit);

- la sussistenza di provvedimenti che recano una “condanna” anche non definitiva, o che dispongono una misura cautelare (custodia cautelare o altre misure atte ed evitare pericolo di fuga, inquinamento di prove o reiterazione del reato) o che dispongono il (rinvio a) giudizio per taluno dei delitti di cui agli artt.353 (turbata libertà degli incanti) e 353 bis (turbata libertà del procedimento di scelta del contraente), nonché 640 bis (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) del codice penale e di cui all’art.12 quinquies del D.L. 8 giugno 1992 n.306 convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992 n.356 (trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori);

- l’omessa denuncia all’Autorità giudiziaria dei reati di cui agli artt. 317 (concussione) e 629 (estorsione) del codice penale aggravati ai sensi dell’art.7 del

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