CGARS, sez. I, sentenza 2022-05-30, n. 202200650
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Pubblicato il 30/05/2022
N. 00650/2022REG.PROV.COLL.
N. 00334/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
Sezione giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 334 del 2020, proposto dai signori
G T e S L, rappresentati e difesi dall'avvocato B P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Corleone, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato A M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda) n. 409/2020, resa tra le parti,
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Corleone;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 maggio 2022 il Cons. Sara Raffaella Molinaro e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La controversia riguarda l’attività edilizia svolta su un fondo rustico sito nel Comune di Corleone, C.da Punzonotto (censito in catasto al fg. 35, partt. 1645 e 1648), di proprietà dei signori G T e S L.
2. All’interno di tale fondo, ricadente in zona agricola E del prg comunale, nell’anno 2000 i proprietari hanno realizzato opere edilizie e ottenuto la concessione edilizia in sanatoria n. 98 del 2011 e la concessione edilizia n. 67 del 2015, chiedendo altresì accertamento di conformità ex art. 14 della l.r. n. 16 del 2016.
3. Con determinazioni n. 59 del 29 gennaio 2018 e n. 111 del 8 febbraio 2018 il Comune di Corleone ha annullato le concessioni edilizie e rigettato la richiesta di accertamento di conformità, emettendo i consequenziali ordini di rimozione e demolizione delle opere, ritenute abusive.
4. I proprietari hanno impugnato i predetti atti davanti al tar Sicilia – Palermo.
5. Il T, con sentenza 17 febbraio 2020 n. 409, ha respinto il ricorso.
6. La sentenza è stata appellata davanti a questo CGARS con ricorso n. 334 del 2020.
7. Nel giudizio di appello si è costituito il Comune di Corleone.
8. All’udienza del 5 maggio 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
9. L’appello non è meritevole di accoglimento.
10. Di seguito sono riassunti per sommi capi gli elementi di fatto rilevanti nell’ambito della vicenda qui controversa.
L’attività edilizia svolta dagli appellanti, già ricorrenti in primo grado, sul fondo rustico sito nel Comune di Corleone, C.da Punzonotto, ricadente in zona agricola E del prg comunale, è stata dai medesimi descritta (nel ricorso introduttivo) nei termini che seguono.
“ Nell’anno 2000, i proprietari hanno ricavato, tramite la sistemazione del suolo (livellamento di una parte in pendenza), uno spiazzo a cielo aperto supportato da una serie di gabbionate in pietrame su un lato, successivamente completato con la realizzazione di un muro di contenimento ” ove hanno collocato un “ casotto prefabbricato metallico, di m 4 x 5,75, composto da pannelli componibili e fissato al suolo con delle viti ”.
“ Più di recente ” hanno costruito un “ fabbricato di superficie coperta di mq 189,75 adiacente al predetto spiazzo e sorretto da una struttura di pilastri in c.a. eretta nella parte inferiore del fondo in modo tale che il fabbricato raggiungesse la quota del soprastante piazzale ”.
Le predette opere ed interventi, ad eccezione, per come dichiarato dagli stessi appellanti, del collocamento del box prefabbricato in lamiera, sono oggetto, da parte del Comune di Corleone, di:
- concessione edilizia in sanatoria n. 98 del 2011 (istanza 30 marzo 2004 n. 3653) ex legge n. 326 del 2003, con la quale è stato assentito il mutamento di destinazione d’uso da rurale a commerciale del fabbricato (già presente nel fondo al momento dell’acquisto da parte dei ricorrenti, poi accatastato alla part. 1648) e l’utilizzazione della superficie a cielo aperto di mq 1500 per il deposito e l’esposizione di automobili usate (oggetto di attività di vendita dei ricorrenti), definito piazzale adibito ad uso commerciale;
- concessione edilizia n. 67 del 2015 per la realizzazione del nuovo fabbricato di superficie coperta di mq 189,85, da adibire in parte ad attività commerciale (mq 32,50) ed in parte al deposito di attrezzi agricoli (mq 157,25), stabilendo che il piccolo fabbricato di cui alla concessione in sanatoria n. 98 del 2011 fosse adibito a deposito di attrezzi agricoli, in quanto il precedente uso commerciale dello stesso veniva trasferito nei corrispondenti mq 32,50 del nuovo edifico da realizzare.
La richiesta di concessione edilizia (pratica n. 21/13) sarebbe stata avanzata nel quadro di un intervento produttivo in verde agricolo, disciplinato dall’art. 22 della l.r. n. 71 del 1978, con destinazione ad uso commerciale solo di una parte del fabbricato, e cioè i mq 32,50, in considerazione del fatto che già esisteva per tale superficie un fabbricato a ciò destinato (quello della sanatoria n. 98 del 2011), considerando l’uso commerciale come trasferibile dal vecchio fabbricato a parte della nuova costruzione per la stessa superficie.
Nel corso dei lavori di realizzazione del nuovo fabbricato, infine, si sarebbe reso “ necessario aumentare di circa m 1,50 lo scavo della struttura di fondazione e di realizzarla non in appoggio ma in aderenza al muro di contenimento (lasciando cioè una piccola intercapedine di cm. 60 circa da ricoprire interamente) ”, ragion per cui gli appellanti avrebbero chiesto l’accertamento di conformità ( ex art. 14 della l.r. n. 16 del 2016) sia per tale modesta variazione, sia per una diversa grandezza delle finestre ed una pressoché irrilevante variazione nella disposizione degli spazi interni, essendo rimaste in ogni caso immutate le dimensioni dell’edificio.
Con determinazione n. 59 del 29 gennaio 2018 il Comune di Corleone ha annullato le concessioni edilizie, l’agibilità provvisoria datata 4 maggio 2005, ha rigettato la richiesta di accertamento di conformità e ha ordinato la demolizione delle “ costruzioni e del piazzale realizzati sulle risultanze di provvedimenti amministrativi illegittimi sopra annullati ”.
Le motivazioni possono essere riassunte per sommi capi nei termini che seguono.
La concessione edilizia in sanatoria n. 98 del 2011 sarebbe stata rilasciata sulla base di una falsa rappresentazione dei fatti fornita dagli interessati, risultante dal complesso della documentazione presentata, con riferimento in particolare alle dichiarazioni degli istanti relative alle dimensioni del fabbricato da condonare, agli elementi strutturali esistenti, alla dotazione degli impianti, alla reale destinazione dell'immobile e alla realizzazione delle opere di sistemazione del piazzale entro il termine di legge del 31 marzo 2003.
L’annullamento della concessione n. 67 del 2015 trova fondamento nelle seguenti circostanze:
- nella zona interessata dall’attività edilizia controversa sono consentite le sole costruzioni strumentali all’esercizio di attività agricola, mentre i ricorrenti non avrebbero prodotto la documentazione attestante l’esercizio di tale attività;
- il volume autorizzato con la concessione edilizia n. 67 del 2015 è pari a 471,25 mc., superiore a quanto assentibile nell’area (destinata a verde agricolo), dove, ai sensi del prg, l’edificabilità è consentita solo con un indice pari a mc/mq 0,03 e una volumetria pari a mq 4,565 * mc 0,03 = mc 136,95, “ comprendente il volume già esistente e legittimato con concessione edilizia in sanatoria ”;
- mancanza della documentazione richiesta dall’art. 62 nta per i frabbricati che ricadono in area ZTO E2 del prg (programma delle colture praticate, titolo di possesso del bestiame e di eventuali macchine agricole, certificazioni comprovanti il reddito da lavoro agricolo, valutazioni delle quantità di derrate, sementi o concimi e VIA);
- gli interventi edilizi realizzati non sono assentibili in quanto l’area ricade nell’ambito di applicabilità oggettivo dell’art. 95 nta, “ aree di salvaguardia ambientale e paesaggistica ”;
- le opere non potevano essere realizzate in quanto l’art. 53 nta ammette nell’area esclusivamente la realizzazione di spazi espositivi per il commercio a cielo aperto connessi all’agricoltura, interventi di sistemazione geomorfologica del suolo ed eventuali alberature;
- “ la concessione edilizia sopra citata è viziata per illegittimità derivata dalla precedente Concessione Edilizia in sanatoria nr. 98/2011, in quanto è stata trasferita la destinazione commerciale, già impressa all’edificio in sanatoria, nel costruendo nuovo edificio. Inoltre il piazzale esistente è stato illegittimamente sanato per i motivi sopra esposti e fondati su falsa dichiarazione dell’epoca di realizzazione e falsa rappresentazione sulle dimensioni e caratteristiche edilizie dei luoghi ”.
Le opere realizzate in virtù di entrambe le richiamate concessioni non rispetterebbero la distanza di 10 m dall’alveo di un torrente che scorre a valle del fondo.
La concessione edilizia n. 67 del 2015 sarebbe in ogni caso illegittima per derivazione dalla precedente concessione in sanatoria n. 98 del 2011 in quanto “ non è autonoma e distinta ” da quest’ultima, a sua volta illegittima, in quanto, da una parte, la destinazione commerciale sarebbe stata trasferita dal vecchio fabbricato (quello ad oggi spontaneamente demolito dai ricorrenti) sulla base di dichiarazioni non veritiere.
Quanto alla tipologia di variazioni oggetto della (denegata) istanza di conformità nella determinazione n. 59 del 2018 si legge che:
- “ trattasi di difformità essenziali/totali che ne variazioni essenziali che ne hanno modificato la sagoma dell’immobile e l’altezza ”;
- “ le opere ricadono parzialmente in area sottoposta al vincolo di inedificabilità assoluta ”;
- “ i volumi realizzati sono in eccesso rispetto a quelli consentiti dal PRG ”;
- “ la destinazione d’uso commerciale non è consentita nell’area in questione se non per prodotti della produzione agricola ”.
I provvedimenti concessori sarebbero stati adottati sulla base di dichiarazioni non veritiere della parte istante, pertanto non potrebbe invocarsi il legittimo affidamento.
Con la successiva determinazione 8 febbraio 2018 n. 111 è stata disposta, sulla base di motivazioni analoghe a quelle contenute nella determinazione n. 59 del 2018, la rimozione del manufatto con struttura prefabbricata di cui alla comunicazione di avvio del procedimento 6 ottobre 2017 n. 24502, e allo sgombero del piazzale.
11. Si premette allo scrutinio dei motivi di ricorso che il presente giudizio è limitato agli atti impugnati in primo grado, mentre sono estranei al presente giudizio i successivi provvedimenti, quali la nota 13 gennaio 2021 n. 1040 (censurata con memoria depositata in data 1 febbraio 2021), con la quale il Comune ha risposto negativamente all’istanza di “ variazione di destinazione d’uso del vano previsto in C.E. per il deposito di mezzi agricoli ” (“ rappresentando che lo stesso sarà adibito al deposito di mezzi urbani (le auto usate in vendita) e chiedendo che nel caso in cui sia necessario l’avvio di ulteriori particolari procedimenti a ciò destinati la nota di comunicazione è da intendersi quale richiesta in tal senso ”) e rappresentato agli appellanti che “ la procedura da seguire, indicata in quella disposta dall’art. 8 della legge 160/10, è stata bloccata dalla l.r. n. 19 del 13.8.2020 dove all’art. 54 comma vieta le varianti urbanistiche in zona agricola nei Comuni dove i vincoli preordinati all’esproprio risultano decaduti ”.
12. Con il primo motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il T ha ritenuto infondata la censura di violazione del limite temporale dei diciotto mesi indicato dall’art. 21- novies della legge n. 241 del 1990.
12.1. Il T ha affermato che la novella modificativa del citato articolo 21-novies, introdotta dall’art. 6 comma 1 lett. d) n. 1 della legge 7 agosto 2015 n. 124, che ha introdotto il termine di 18 mesi per procedere all’annullamento d’ufficio, non trova applicazione nel caso di specie. Ciò in quanto la giurisprudenza amministrativa, chiamata a pronunciarsi sull’argomento, ha precisato che la predetta disposizione non ha carattere sanante dei provvedimenti illegittimi rilasciati precedentemente ai 18 mesi antecedenti all’entrata in vigore della norma, ma ha carattere innovativo con la conseguenza che si applica soltanto ai provvedimenti adottati successivamente alla sua entrata in vigore e quindi non può che riferirsi ai provvedimenti di annullamento in autotutela di provvedimenti di primo grado adottati successivamente alla vigenza della legge.
Nel caso di specie, i titoli edilizi oggetto di autotutela si sono formati invece, rispettivamente, nel 2011 (concessione edilizia in sanatoria n. 98/2011) e in data 20 luglio 2015, quindi in epoca antecedente all’entrata in vigore della novella legislativa.
In ogni caso anche a volerlo ritenere applicabile, il predetto termine decorrerebbe non già dall’adozione del provvedimento ma eventualmente dalla scoperta delle ragioni dell’illegittimità. Ed essendo le irregolarità dei provvedimenti edilizi in precedenza rilasciati in favore dei ricorrenti emerse a seguito dell’accertamento compiuto dall’Amministrazione comunale in data 22 settembre 2017, il termine previsto dal citato art. 21- novies sarebbe comunque rispettato.
Il T ha poi concluso ricordando che il comma 2- bis dell’art. 21-novies della legge n. 241 del 1990, introdotto dalla summenzionata novella del 2015, ha fatto salvo l’annullamento d’ufficio, anche decorsi i 18 mesi, dei provvedimenti amministravi rilasciati sia in presenza di false rappresentazione dei fatti o, alternativamente, in caso di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci: nel caso di specie la concessione edilizia in sanatoria n. 98 del 2011 sarebbe stata rilasciata sulla base di una falsa rappresentazione dei fatti fornita dagli interessati, risultante dal complesso della documentazione presentata, con riferimento in particolare alle dichiarazioni degli istanti relative alle dimensioni del fabbricato da condonare, agli elementi strutturali esistenti, alla dotazione degli impianti, alla reale destinazione dell'immobile, alla realizzazione delle opere di sistemazione del piazzale entro il termine di legge del 31 marzo 2003.
12.2. Il Collegio osserva quanto segue.
Nel caso di specie, i titoli edilizi oggetto di autotutela si sono formati nel 2011 (concessione edilizia in sanatoria n. 98 del 2011) e in data 20 luglio 2015 (concessione edilizia n. 67 del 2015) dunque entrambi in epoca antecedente all’entrata in vigore della novella legislativa di cui sopra (avvenuta in data 28 agosto 2015), introdotta, come ricordato, dalla legge n. 124 del 7 agosto 2015. La determinazione di autotutela 29 gennaio 2018 n. 59 è invece adottata dopo l’entrata in vigore della novella legislativa.
Al riguardo la giurisprudenza concorda nell’affermare che “ il suddetto termine di diciotto mesi sarebbe applicabile solo per i provvedimenti adottati successivamente alla entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 (avvenuta in data 28 agosto 2015) in considerazione della natura innovativa (e non interpretativa) della disposizione. Infatti, si tratta di un termine che non può applicarsi in via retroattiva, nel senso di computare anche il tempo decorso anteriormente all'entrata in vigore della novella legislativa, atteso che tale esegesi, oltre a porsi in contrasto con il generale principio di irretroattività della legge (art. 11 preleggi) finirebbe per limitare in maniera eccessiva ed irragionevole l'esercizio del potere di autotutela amministrativa. Si arriverebbe, infatti, all'irragionevole conseguenza per cui, con riguardo ai provvedimenti adottati diciotto mesi prima dell'entrata in vigore della nuova norma, l'annullamento d'ufficio sarebbe, per ciò solo, precluso. Ne consegue che, rispetto ai provvedimenti illegittimi di primo grado, adottati anteriormente all'attuale versione dell'art. 21- nonies L. n. 241 del 1990, il termine dei diciotto mesi non può che cominciare a decorrere dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione ” (Cons. St., sez. VI, Sent., 8 settembre 2020 n. 5410).
Ritenendo quindi applicabile il termine di 18 mesi a far data dall’entrata in all’entrata in vigore della novella legislativa di cui alla legge n. 124 del 2015, avvenuta in data 28 agosto 2015 (mentre la determinazione di autotutela è del 29 gennaio 2018), si rileva che la giurisprudenza ha ribadito “ il principio a mente del quale, con riferimento al termine di 18 mesi previsto dall'art. 21-nonies L. n. 241 del 1990 per l'esercizio del potere di autotutela, detta norma si interpreta nel senso che il superamento del rigido termine di diciotto mesi, entro il quale il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, è consentito:
a) nel caso in cui la falsa attestazione, inerente i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all'uopo rese dichiarazioni sostitutive): nel qual caso sarà necessario l'accertamento definitivo in sede penale;
b) nel caso in cui l'(acclarata) erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all'amministrazione, ed imputabile, per contro, esclusivamente al dolo della parte: nel qual caso - non essendo parimenti ragionevole pretendere dalla incolpevole amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa di rimozione - si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco ” (Cons. St., sez. VI, 8 settembre 2020 n. 5410).
Detto ultimo principio è in linea con quanto statuito dall’Adunanza plenaria con riferimento al previgente formulazione dell’art. 21-novies della legge n. 241 del 1990, che faceva riferimento al rispetto del meno pregnante termine ragionevole: “ la nozione di ragionevolezza del termine è strettamente connessa a quella di esigibilità in capo all’Amministrazione, ragione per cui è del tutto congruo che il termine in questione (nella sua dimensione ‘ragionevole’) decorra soltanto dal momento in cui l’amministrazione è venuta concretamente a conoscenza dei profili di illegittimità dell’atto.
In particolare, in caso di titoli abilitativi rilasciati sulla base di dichiarazioni oggettivamente non veritiere (e a prescindere dagli eventuali risvolti di ordine penale), laddove la fallace prospettazione abbia sortito un effetto rilevante ai fini del rilascio del titolo, è parimenti congruo che il termine ‘ragionevole’ decorra solo dal momento in cui l’amministrazione ha appreso della richiamata non veridicità ” (Ad. plen. 17 ottobre 2017 n. 8).
Detto ciò in termini generali si rileva quanto segue con riferimento al caso di specie.
Innanzitutto l’appellante ha censurato solo in parte la statuizione del T in merito alla circostanza della falsa rappresentazione dei fatti fornita dagli interessati con riferimento alle dimensioni del fabbricato da condonare, agli elementi strutturali esistenti, alla dotazione degli impianti, alla reale destinazione dell'immobile, alla realizzazione delle opere di sistemazione del piazzale entro il termine di legge del 31 marzo 2003, che comporta il decorso, per l’annullamento d’ufficio, dei diciotto mesi di cui al comma 2- bis dell’art. 21- novies della legge n. 241 del 1990, introdotto dalla summenzionata novella del 2015, dal disvelamento dei fatti.
Invero egli si è limitato a dedurne “ la piena infondatezza, stante che gli appellanti non hanno mai reso false dichiarazioni, per come sarà esposto nel prosieguo della trattazione ”.
Nel prosieguo del ricorso in appello la parte privata ha criticato (con gli esiti di cui infra) i provvedimenti impugnati, e la sentenza che non li ha annullati, nella parte in cui contengono il riferimento a dichiarazioni non veritiere della parte privata in punto di avvenuta, o meno, realizzazione del muro di contenimento entro il 31 marzo 2003.
Nondimeno non risultano censurati gli ulteriori aspetti che l’Amministrazione ha ritenuto essere non rispondenti al vero e precisamente le dimensioni del fabbricato da condonare, gli elementi strutturali esistenti, la dotazione degli impianti e la reale destinazione dell'immobile.
Sicché la motivazione addotta dal T sul punto (decorso dei diciotto mesi dal disvelamento della non veridicità delle dichiarazioni da ultimo richiamate) è passata in giudicato.
Essa è sufficiente a ritenere superata la censura di violazione del termine dei diciotto mesi di cui al comma 2-bis dell’art. 21-novies della legge n. 241 del 1990, introdotto dalla summenzionata novella del 2015.
Si aggiunge che la mancanza, nel ricorso in appello, di censure specifiche avverso quella parte delle determinazioni impugnate nelle quali si riferisce la sussistenza di dichiarazioni non veritiere in ordine alle dimensioni del fabbricato da condonare, agli elementi strutturali esistenti, alla dotazione degli impianti e alla reale destinazione dell'immobile, ha reso il provvedimento incontrovertibile in parte qua .
In tal modo non può essere posto in discussione il presupposto sostanziale della statuizione del T in punto di termine a partire dal quale far decorrere i diciotto mesi, così da poter in ogni caso confermare il capo della sentenza in esame. E ciò anche in considerazione della sopra richiamata giurisprudenza, che ha sottolineato come, in caso di dichiarazioni non veritiere, non sia ragionevole pretendere dalla incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione della iniziativa di rimozione
12.3. Il motivo non può quindi essere accolto.
13. Con il secondo motivo l’appellante ha censurato la valutazione del T nella parte in cui ha confermato i provvedimenti di annullamento e demolitori relativi alla nuova costruzione assentita con concessione edilizia n. 67 del 2015 in ragione del combinato disposto dell’art. 22 della l.r. n. 71 del 1978, dell’art. 35 della l.r. n. 30 del 1997 e dell’art. 89 comma 3 della l.r. n. 6 del 2001, che àncora le facoltà edificatorie in zona agricola all’ipotesi in cui non siano disponibili aree per insediamenti produttivi previste dagli strumenti urbanistici comunali né aree attrezzate artigianali e industriali o su porzioni dell'area interessata insistano precedenti insediamenti produttivi.
Parte appellante ha dedotto circa la mancanza di dette ultime aree nel territorio comunale, e la conseguente conferma della sussistenza della facoltà dei privati di esercitare attività produttive in zona agricola.
Ciò troverebbe conferma nella delibera di Giunta municipale n. 15 del 24 gennaio 2020, con la quale, preso atto dell’inesistenza di aree destinate ad attività artigianali e/o industriali e della prioritaria necessità di contrastare lo spopolamento del territorio dovuto principalmente alla mancanza di opportunità di lavoro, la Giunta ha deliberato di dare indirizzo al responsabile di settore di avviare tutti i procedimenti per consentire l’esercizio di attività artigianali, commerciali ed industriali in zona omogenea E (verde agricolo).
13.1. Il T ha ritenuto inoperante la facoltà di realizzare insediamenti produttivi in zona agricola prevista dall’art. 22 della l.r. n. 71 del 1978 in quanto il Comune ha dettato una normativa maggiormente vincolistica per le aree agricole in genere e, in particolare, per la zona in cui ricade la proprietà dei ricorrenti, soggetta a vincoli di salvaguardia ambientale e paesaggistica. Pertanto gli interventi realizzabili in area agricola “ restano quelli individuati dalle rispettive norme del PRG, che consentono la realizzazione di insediamenti produttivi in verde agricolo soltanto in presenza di un effettivo e comprovato vincolo con l’attività agricola, nel rispetto dei limiti di cui al comma 2 dell’art. 22 L.r. 71/78 e degli ulteriori limiti previsti dal piano regolatore comunale (in particolare le costruzioni devono rispettare la distanza minima di 200 mt dagli insediamenti abitativi esistenti, devono prevedere l’individuazione delle aree da vincolare a parcheggio, devono essere soggetti a verifica di compatibilità ambientale con il procedimento di VIA e devono essere collegati ad un piano di sviluppo agricolo del fondo) ”.
13.2. Il Collegio osserva quanto segue.
13.3. La determinazione n. 59 del 2018 e la determinazione n. 111 del 2018 sono plurimotivate.
Fra le ragioni che le giustificano sono addotte, per quanto rileva ai fini dello scrutinio del presente motivo, le seguenti circostanze:
- nella zona interessata dall’attività edilizia controversa sono consentite le sole costruzioni strumentali all’esercizio di attività agricola, mentre i ricorrenti non avrebbero prodotto la documentazione attestante l’esercizio di tale attività;
- il volume autorizzato con la concessione edilizia n. 67 del 2015 è pari a 471,25 mc., superiore a quanto assentibile nell’area (destinata a verde agricolo), dove, ai sensi del prg, l’edificabilità è consentita solo con un indice pari a mc/mq 0,03 e una volumetria pari a mq 4,565 * mc 0,03 = mc 136,95, “ comprendente il volume già esistente e legittimato con concessione edilizia in sanatoria ”;
- mancanza della documentazione richiesta dall’art. 62 nta per i frabbricati che ricadono in area ZTO E2 del prg (programma delle colture praticate, titolo di possesso del bestiame e di eventuali macchine agricole, certificazioni comprovanti il reddito da lavoro agricolo, valutazioni delle quantità di derrate, sementi o concimi e VIA);
- gli interventi edilizi realizzati non sono assentibili in quanto l’area ricade nell’ambito di applicabilità oggettivo dell’art. 95 nta, “ aree di salvaguardia ambientale e paesaggistica ”;
- le opere non potevano essere realizzate in quanto l’art. 53 nta ammette nell’area esclusivamente la realizzazione di spazi espositivi per il commercio a cielo aperto connessi all’agricoltura, interventi di sistemazione geomorfologica del suolo ed eventuali alberature;
- “ la concessione edilizia sopra citata è viziata per illegittimità derivata dalla precedente Concessione Edilizia in sanatoria nr. 98/2011, in quanto è stata trasferita la destinazione commerciale, già impressa all’edificio in sanatoria, nel costruendo nuovo edificio. Inoltre il piazzale esistente è stato illegittimamente sanato per i motivi sopra esposti e fondati su falsa dichiarazione dell’epoca di realizzazione e falsa rappresentazione sulle dimensioni e caratteristiche edilizie dei luoghi ”.
13.4. Non tutti i suddetti motivi, che giustificano l’annullamento della concessione n. 67 del 2015, sono stati censurati, con la conseguenza che la determinazione assunta in tal senso dall’Amministrazione, essendo plurimotivata, resiste comunque al motivo qui dedotto.
13.5. L’appellante ha in particolare censurato la valutazione del T nella parte in cui ha “ confermato i provvedimenti di annullamento e demolitori relativi alla nuova costruzione assentita con C.E. n. 67/15 (pagg. 15 e ss. sentenza), ritenendo, con considerazione estesa anche allo spiazzo di terreno utilizzato per il deposito di automobili, che la facoltà di realizzare insediamenti produttivi in zona agricola, prevista dall’art. 22, l.r. 71/78 e succ. mod. e integraz., fosse in tal caso inoperante, stante la previsione da parte dello strumento urbanistico generale, di apposite zone specificamente destinate a ciò;e stante in ogni caso la diversa previsione contenuta nelle norme di attuazione del PRG che avrebbe prevalenza anche sulla disposizione di legge ”.
Ai sensi dell’art. 22 della l.r. n. 71 del 1978 nelle zone destinate a verde agricolo sono ammessi “ impianti o manufatti edilizi destinati alla lavorazione o trasformazione di prodotti agricoli o zootecnici locali ovvero allo sfruttamento a carattere artigianale di "risorse naturali locali" tassativamente individuate nello strumento urbanistico ” (comma 1). Le relative concessioni (“rilasciate ai sensi del comma 1”) devono rispettare alcune condizioni:
“ a) rapporto di copertura non superiore a un decimo dell'area di proprietà proposta per l'insediamento;
b) distacchi tra fabbricati non inferiori a m. 10;
c) distacchi dai cigli stradali non inferiori a quelli fissati dall'articolo 26 del D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495;
d) parcheggi in misura non inferiore ad un decimo dell'area interessata;
e) rispetto delle distanze stabilite dall'articolo 15 della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, come interpretato dall'articolo 2 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 15;
f) distanza dagli insediamenti abitativi ed opere pubbliche previsti dagli strumenti urbanistici non inferiore a metri duecento, ad esclusione di quanto previsto dalla lettera c) ”.
In base all’art. 35 comma 1 della l.r. n. 30 del 1997 “ Al fine di favorire il rapido avvio delle iniziative produttive previste dai patti territoriali e dai contratti d'area approvati dal CIPE sono ammessi insediamenti produttivi in verde agricolo, limitatamente ai singoli interventi previsti dai patti territoriali e dai contratti d'area già approvati dal CIPE alla data di entrata in vigore della presente legge, anche in deroga a quanto previsto dall'articolo 22 della legge regionale 27 dicembre 1978, n. 71 ”, fermo restando il rispetto delle condizioni previste dal comma 2 dello stesso art. 6 comma 2 della l.r. n. 17 del 1994 (comma 1).
In base all’art. 89 comma 3 della l.r. n. 6 del 2001 (nella versione successiva alle modifiche di cui all'art. 30 comma 1 della l.r. n. 2 del 2002, all'art. 38 della l.r. n. 7 del 2003 e all'art. 76 comma 22 della l.r. n. 20 del 2003, che non contiene più il riferimento al fatto che “ l'approvazione da parte dei consigli comunali costituisce variante ”) “ Le disposizioni previste dall'articolo 35 della legge regionale 7 agosto 1997, n. 30, relative agli insediamenti produttivi in verde agricolo, si applicano a tutti gli interventi inseriti oltre che nei contratti d'area ed in altri analoghi strumenti di programmazione negoziata approvati dal CIPE o relativi ad interventi finanziati dallo Stato con la legge 19 dicembre 1992, n. 488, o concernenti interventi finanziati dall'Unione europea, anche a singole iniziative imprenditoriali private da realizzarsi con fondi propri, nell'ipotesi in cui non siano disponibili aree per insediamenti produttivi previste dagli strumenti urbanistici comunali né aree attrezzate artigianali e industriali o su porzioni dell'area interessata insistano precedenti insediamenti produttivi ”.
Ai sensi del combinato disposto di dette previsioni sono pertanto ammessi, per quanto di interesse in questa sede, insediamenti produttivi in verde agricolo, anche in deroga a quanto previsto dall'art. 22 della l.r. n. 71 del 1978, nell'ipotesi in cui non siano disponibili aree per insediamenti produttivi previste dagli strumenti urbanistici comunali né aree attrezzate artigianali e industriali o su porzioni dell'area interessata insistano precedenti insediamenti produttivi.
Devono però essere rispettate, in base all’art. 35 comma 1 della l.r. n. 30 del 1997, le condizioni di cui all’art. 6 comma 2 della l.r. n. 17 del 1994, in base al quale, per gli immobili realizzati in zona agricola secondo le previsioni del piano regolatore generale e che non possono più essere utilmente destinati alle finalità economiche originarie, è facoltà dei comuni consentire il cambio di destinazione d'uso con riferimento ad altra attività, ancorché diversa da quella originaria, nel rispetto della cubatura esistente e purché la nuova destinazione non sia in contrasto con rilevanti interessi urbanistici o ambientali.
La previsione, oltre a lasciare alla discrezionalità dell’Ente il cambio di destinazione d’uso, presuppone il rispetto della cubatura esistente e il non contrasto con interessi urbanistici e ambientali.
Sicché non è sufficiente invocare le suddette previsioni legislative per ritenere assentibile il cambio di destinazione d’uso, specie se accompagnato da un aumento di cubatura e dall’accertamento di un vincolo paesaggistico (come si illustrerà infra, quanto a detto secondo aspetto).
Non risulta quindi superata, in base al combinato disposto di cui agli artt. 22 della l.r. n. 71 del 1978, 35 comma 1 della l.r. n. 30 del 1997, 89 comma 3 della l.r. n. 6 del 2001 e 6 comma 2 della l.r. n. 17 del 1994, la motivazione, contenuta nelle (plurimotivate) determinazioni n. 59 del 2018 e n. 111 del 2018, in base alla quale il volume autorizzato con la concessione edilizia n. 67 del 2015, pari a 471,25 mc., è superiore a quanto assentibile nell’area (destinata a verde agricolo), dove, ai sensi del prg, l’edificabilità è consentita solo con un indice pari a mc/mq 0,03 e una volumetria pari a mq 4,565 * mc 0,03 = mc 136,95, “comprendente il volume già esistente e legittimato con concessione edilizia in sanatoria”.
Né è sufficiente a ritenere sussistente la condizione posta dall’art. 89 comma 3 della l.r. n. 6 del 2001 con riferimento all’indisponibilità di aree destinate a insediamenti produttivi, l’adozione degli atti richiamati da parte appellante.
Il riferimento è innanzitutto all’approvazione della delibera di Giunta municipale 24 gennaio 2020 n. 15, con la quale il Comune ha stabilito, nelle more del ripristino dell’area pip di C.da Frattina, “ i cui lotti ad oggi non sono fruibili né concedibili ”, di dare la possibilità alle imprese del territorio di “ richiedere il cambio di destinazione d’uso di insediamenti agricoli esistenti e regolarmente assentiti alla data della presente deliberazione in zona omogenea E (Verde agricolo) al fine di una loro utilizzazione come opifici artigianali, commerciali e/o industriali ”.
Invero, da un lato, la delibera attesta la presenza, nel territorio comunale, di un’area, quella di C.da Frattina, destinata agli insediamenti produttivi, area che risulta, alla data di detta delibera, non fruibile, mentre non può desumersi che detta non fruibilità vi fosse anche in precedenza (in altra parte della delibera di fa riferimento all’” attuale indisponibilità nel territorio del Comune di Corleone di adeguate aree destinate ad attività artiguanali e/o artigianali ”).
Dall’altro lato, la delibera presuppone la sussistenza di insediamenti agricoli esistenti e regolarmente assentiti al fine di trasformarli in opifici produttivi, mentre non costituisce il mezzo per regolarizzare insediamenti irregolari.
Con memoria depositata il 13 gennaio 2021 parte appellante ha altresì fatto riferimento al parere n. 17 del 2020 e alla precedente nota 17 giugno 2020, adottati nell’ambito di un procedimento ordinato all’ottenimento di un’autorizzazione alla realizzazione di un insediamento commerciale-artigianale in “ zona agricola E1 – Aree Agricole della Valle dell’Alto Belice che in via ordinaria è caratterizzata da maggiori limitazioni all’esercizio di attività connesse all’agricoltura rispetto alla zona E2 nella quale ricade il fabbricato degli appellanti ”.
Nondimeno si rileva che il predetto cambio di destinazione d’uso riguarda un manufatto situato in un’area non caratterizzata da vincolo paesaggistico (così espressamente dai suddetti atti), non potendo quindi essere comparata alla situazione qui controversa.
13.6. Ferma quindi la legittimità della suddetta motivazione addotta dall’Amministrazione, non superata dalle censure dell’appellante, si rileva altresì quanto segue.
Prima e indipendentemente dalla valutazione della sussistenza delle condizioni di cui al combinato disposto dell’art. 22 della l.r. n. 71 del 1978, dell’art. 35 comma 1 della l.r. n. 30 del 1997 e dell’art. 89 comma 3 della l.r. n. 6 del 2001, il verificatore ha in ogni caso appurato, quanto alla destinazione dell’area, che essa ricade, in base al prg, in zona di salvaguardia paesaggistica e ambientale (attestazione 28 aprile 2021, con allegato il certificato di destinazione urbanistica n. 48 del 28 aprile 2021).
Tale area di salvaguardia non trova riscontro, secondo quanto riportato nel certificato, nelle Zone Territoriali Omogenee – ZTO – previste dalla legislazione vigente. La suddetta area pertanto “ dovrà essere classificata come zona agricola che nello specifico si identifica come Zona E2 Verde Agricolo ”.
Dal certificato di destinazione urbanistica si rileva che l’area è altresì soggetta ai seguenti vincoli:
- “ Zona Sismica per effetto della Legge n°64 del 02/02/1974;
- Legge Galasso/vincolo paesaggistico ambientale Legge n° 431 dell’8/08/1985;
- Vincolo Idrogeologico a seguito del Regio Decreto R.D. n°3267 del 30/12/1923 ”.
Nel processo verbale 5 maggio 2021 si trova conferma del fatto che l’area è sottoposta a vincolo di salvaguardia paesaggistica ambientale.
13.7. Ne deriva che l’area non solo è disciplinata, a fini urbanistici, quale area a verde agricolo ma è sottoposta, in base alle nta (qui non impugnate), a vincoli ulteriori, che rispondono ad altri interessi pubblici, non ultimo il vincolo paesaggistico di cui all’art. 95 delle nta.
Se con il motivo qui scrutinato si è rilevata la necessità che gli insediamenti produttivi siano presenti in concreto per impedire l’esercizio delle facoltà edificatorie in zona agricola ai sensi del combinato disposto dell’art. 22 della l.r. n. 71 del 1978, dell’art. 35 della l.r. n. 30 del 1997 e dell’art. 89 comma 3 della l.r. n. 6 del 2001, la sussistenza di ulteriori vincoli imposti dalle non gravate nta, primo fra tutti il vincolo paesaggistico, è idonea a supportare l’annullamento delle precedenti concessioni, prima e indipendentemente dalla valutazione in ordine alla sussistenza, in astratto o in concreto, di aree destinate a insediamenti produttivi.
Ciò in quanto, innanzitutto, il vincolo paesaggistico presidia un interesse pubblico diverso, benché correlato, al vincolo urbanistico e determina la necessità che le trasformazioni, se non vietate, debbano essere assentite con autorizzazione (art. 146 del d. lgs. n. 42 del 2004 e, in precedenza, art. 7 della legge n. 431 del 1995).
La disciplina urbanistica e quella paesaggistica infatti, pur completandosi in vista della tutela integrata del territorio, mantengono la loro autonomia, confermata dalla stessa relazione procedimentale che si instaura tra l’attività volta ad adottare il titolo edilizio e la procedura preordinata all’emanazione del titolo paesaggistico.
Si tratta di due procedimenti distinti in ragione della diversità degli interessi, finalizzati l'uno alla compatibilità dell'intervento edilizio volto a incidere sul patrimonio paesaggistico e l'altro alla tutela dell'assetto urbanistico in conformità agli strumenti di pianificazione del territorio (Cass. pen., sez. III, 10 marzo 2020 n. 9402).
Per realizzare un’opera edilizia nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico occorre l’assenso a fini edilizi e l’assenso a fini paesaggistici, con la conseguenza che in tali aree non si può realizzare un’opera edilizia se non sono presenti entrambi i titoli abilitativi. Recita, infatti, l’art. 146 comma 4 del Codice dei beni culturali e del paesaggio che “ L’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio ”.
Pertanto il possibile rilascio di uno dei due atti di assenso non comporta il necessario rilascio anche dell’altro e la mancanza e il diniego del necessario titolo edilizio non consente la realizzazione di un’opera anche se per la stessa è stato rilasciato l’assenso a fini paesaggistici, e viceversa.
La circostanza poi che detti poteri siano intestati a due enti pubblici distinti, la Soprintendenza e il Comune, rende ancor più marcata l’autonomia dei due procedimenti e l’interesse pubblico perseguito nell’ambito dei medesimi.
In secondo luogo, come già illustrato, le possibilità di realizzare insediamenti produttivi richiede, in base all’art. 35 comma 1 della l.r. n. 30 del 1997, il rispetto delle condizioni di cui all’art. 6 comma 2 della l.r. n. 17 del 1994, in base al quale, per gli immobili realizzati in zona agricola secondo le previsioni del piano regolatore generale e che non possono più essere utilmente destinati alle finalità economiche originarie, è facoltà dei comuni consentire il cambio di destinazione d'uso con riferimento ad altra attività, ancorché diversa da quella originaria, nel rispetto della cubatura esistente e “ purché la nuova destinazione non sia in contrasto con rilevanti interessi urbanistici o ambientali ”.
Il potere di valutare l’ammissibilità degli interventi edilizi in zona agricola spetta al Comune ed è connotato dalla discrezionalità che afferisce tipicamente alla funzione programmatoria del governo del territorio (“ è facoltà dei comuni ”): “ non è ammissibile che questi [il privato] decida autonomamente di insediarsi in una zona avente destinazione agricola sulla base del presupposto (che deve essere espressamente verificato dall'ente locale) che non vi sia la disponibilità di aree con destinazione compatibile. Deve, invece, presentare apposita istanza al Comune il quale, in quanto titolare del potere altamente discrezionale di programmazione dell'uso del territorio, deve verificare la sussistenza dei presupposti normativamente richiesti e consentire o meno la realizzazione dell'iniziativa ” (CGARS, sez. consultiva, 1 aprile 2020 n. 106).
Nel caso di specie non risulta che la parte privata abbia sollecitato l’esercizio di detto potere, avviando un apposito procedimento davanti all’Ente locale.
Pertanto la circostanza dell’inserimento dell’area oggetto della presente controversia nella zona destinata a verde agricolo, in tesi idonea a ospitare opifici produttivi alle condizioni poste dall’art. 22 della l.r. n. 71 del 1978, non è di per sé sufficiente a ritenere i manufatti assentiti, né necessariamente assentibili con riferimento alla destinazione dell’area, atteso che devono essere valutati anche gli ulteriori vincoli che la connotano, in particolare quello paesaggistico, richiamato nelle nta, la cui applicazione è di competenza del Comune.
Considerato che l’art. 6 comma 2 della l.r. n. 17 del 1994, richiamato dall’art. 35 comma 1 della l.r. n. 30 del 1997, intesta ai comuni la facoltà dei comuni consentire il cambio di destinazione d'uso con riferimento ad altra attività, ancorché diversa da quella originaria, nel rispetto della cubatura esistente e “ purché la nuova destinazione non sia in contrasto con rilevanti interessi urbanistici o ambientali ”, neppure sono idonee a superare il rilievo i provvedimenti adottati dalla soprintendenza.
Non è quindi idoneo a venire in soccorso delle tesi della parte privata il visto della Soprintendenza rilasciato il 15 settembre 2000, in quanto non è evidenziato, anche in ragione dellea tempistica di rilascio, il collegamento con l’oggetto delle concessioni edilizie annullate con determina n. 59 del 2018, cioè con la concessione edilizia in sanatoria n. 98 del 2011, che segue ad istanza 30 marzo 2004 n. 3653, e con la concessione edilizia n. 67 del 2015, che segue alla richiesta classificata come pratica n. 21/13.
Neppure depone in senso contrario (alla determinazione dell’Amministrazione) il parere 26 maggio 2011 n. 4186, che riguarda il fabbricato costruito nel 1964 (e poi demolito, secondo quanto riferito dall’appellante) e la realizzazione dello spiazzo ad uso commerciale (senza indicazione del muro di contenimento), e il parere della Soprintendenza 22 maggio 2018, che riguarda la compatibilità paesaggistica delle sole variazioni.
Non risulta pertanto superata la motivazione, contenuta nelle determinazioni n. 59 del 2018 e n. 111 del 2018, in base alla quale gli interventi edilizi realizzati non sono assentibili dal Comune in quanto l’area ricade nell’ambito di applicabilità oggettivo dell’art. 95 nta, “ aree di salvaguardia ambientale e paesaggistica ”, considerato anche che le norme tecniche di attuazione non sono state impugnate e che la loro applicazione rientra nei poteri dell’ente locale.
13.8. La censura non può quindi essere accolta.
14. Si aggiunge che il potere altamente discrezionale dei Comuni in merito al riconoscimento della facoltà del privato di realizzare insediamenti produttivi in zona agricola comprende anche il potere di declinare in modo stringente la facoltà prevista dalla legge. In termini si è espresso anche il Dipartimento regionale urbanistica, che, con circolare n. 5/DRU/2012, in riferimento all’applicazione della normativa in commento, ha precisato che, in ogni caso, “ i Comuni, in sede di pianificazione del loro territorio, possono introdurre nelle aree di verde agricolo limiti più pregnanti ”.
Nel caso di specie le nta del Comune, peraltro non impugnate, non consentono la realizzazione di un qualsiasi insediamento produttivo in un’area destinata a verde agricolo. In particolare l’art. 53 ammette la realizzazione di spazi espositivi per il commercio a cielo aperto anche stabili e/o temporanei quali fiere e mostre, purché connesse all'agricoltura. L’art. 72 individua le attività e le costruzioni realizzabili nelle zone E2, tra cui non figurano le attività commerciali.
Tale considerazione rende superabile l’ulteriore profilo di censura rappresentato nel tratto finale del secondo motivo di appello, quello relativo al fatto che, se anche le nta del Comune non consentono la realizzazione di un insediamento produttivo in un’area destinata a verde agricolo, in ogni caso prevale, in ragione del principio di gerarchia delle fonti, la norma di legge, che, in tesi, lo consente.
In ogni caso si rileva che il rapporto fra pianificazione urbanistica e normativa sopravvenuta, pur scontando la necessità di qualificare il prg in termini non solo di atto misto ma anche di individuare l’esatta natura delle prescrizioni di zonizzazione (se aventi natura di atto amministrativo generale o di atto regolamentare), così da valutare se il rapporto con la normativa di legge sopravvenuta è un rapporto fra fonti o un rapporto fra disposizione legislativa e atto amministrativo, seppur generale, intercetta una serie di tematiche che sono già state risolte dalla giurisprudenza amministrativa nel senso di:
- tenere fermo il principio per cui la legittimità di un atto deve essere esaminata in virtù del principio tempus regit actum , con riguardo alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della sua adozione (Corte cost., 28 ottobre 2021 n. 202);
- apprezzare, in sede interpretativa, come quella attinente alla pianificazione urbanistica rappresenta una funzione che non può essere oltre misura compressa dal legislatore, in modo da non alterare i termini essenziali di esercizio della funzione pianificatoria, che altrimenti si obbligano i medesimi Comuni a far dipendere le loro scelte fondamentali sulle forme di uso e sviluppo del territorio da una decisione legislativa (Corte cost., 28 ottobre 2021 n. 202);
- tenere in considerazione come l’Amministrazione non possa assumere decisioni in contrasto con le previsioni di prg, tenuto conto della vincolatività delle stesse, mentre una nuova disciplina del territorio può conseguire soltanto all’approvazione di un nuovo prg, o di una variante, che costituisce lo strumento per adeguare la disciplina urbanistica alle diverse circostanze di fatto: “ pur in presenza di una palese violazione dell’ordinamento urbanistico, il Comune era vincolato a dare attuazione alla disciplina che esso stesso aveva adottato ” in quanto “ il Comune non aveva il potere di disapplicare una propria disposizione cogente, per quanto questa fosse pacificamente in contrasto con l’ordinamento, ma avrebbe dovuto al più agire in autotutela, autoannullandola ” (Cons. St., sez. IV, 11 giugno 2015 n. 2863).
15. Con ulteriore motivo l’appellante ha dedotto come “ la piena legittimità del fabbricato costruito a seguito della C.E. n. 67/15, in quanto del tutto conforme alle norme urbanistiche ed edilizie, impone, inoltre, la valutazione positiva dell’accertamento di conformità richiesto dai ricorrenti in relazione alle modeste variazioni apportate ”.
L’appellante ha poi ribadito che “ non sussiste alcuna ragione impeditiva all’accoglimento dell’istanza, e contrariamente agli erronei assunti del Comune, esposti nel corpo delle Determinazioni impugnate, gli appellanti hanno operato soltanto lievi modifiche prive di rilievo sostanziale e pienamente rispettose della normativa urbanistica ed edilizia di riferimento ”.
15.1. Al riguardo si osserva come non si sia realizzata la premessa della deduzione di parte appellante.
I superiori motivi volti a ritenere legittima la concessione n. 67 del 2015 sono infatti stati respinti e, in ogni caso (come anticipato), non risultano oggetto del presente giudizio di appello le altre (sopra richiamate) ragioni poste alla base dell’annullamento della medesima, così come rappresentate nei provvedimenti impugnati.
Gli interventi ulteriori (oggetto dell’istanza di accertamento di conformità) ripetono le caratteristiche di illegittimità dall’opera principale alla quale ineriscono: “ in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori - sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria del restauro e/o del risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche - ripetono le caratteristiche d'illegittimità dell'opera principale alla quale ineriscono strutturalmente ” (Cons. St., sez. VI, 17 maggio 2021 n. 3840).
Pertanto, non solo la formulazione del motivo, ma anche la dinamica degli interventi edilizi che si sono succeduti nel corso del tempo depongono nel senso di ritenere che l’annullamento delle concessioni edilizie precedenti osti all’accoglimento di una successiva istanza di accertamento di conformità in sanatoria riguardante la medesima area.
Quanto alla tipologia di variazioni oggetto dell’istanza di conformità si rileva che nelle determinazioni impugnate si legge circa l’oggetto della medesima che:
- “ trattasi di difformità essenziali/totali che ne variazioni essenziali che ne hanno modificato la sagoma dell’immobile e l’altezza ”;
- “ le opere ricadono parzialmente in area sottoposta al vincolo di inedificabilità assoluta ”;
- “ i volumi realizzati sono in eccesso rispetto a quelli consentiti dal PRG ”;
- “ la destinazione d’uso commerciale non è consentita nell’area in questione se non per prodotti della produzione agricola ”.
15.2. L’appellante si è limitato a censurare la prima affermazione, relativa alle variazioni essenziali.
Sul punto il verificatore ha accertato che “ la sagoma può ritenersi conforme al progetto ”, così come “ l’altezza del fabbricato lato piazzale ”, seppur in relazione alle “ tolleranze di cantiere ”.
Tuttavia “ l’altezza della costruzione dalla parte seminterrata risulta oggi difforme alla C.E. 67/15 per una maggiore altezza 1,50 mt ”.
Nondimeno detta maggiore altezza “ è stata giustificata dalla ditta per assestare il piano della fondazione sul terreno stabile ”, rispetto ad essa il Comune, con nota 4 gennaio 2014 n. 200, ha richiesto la produzione della documentazione di rito relativamente alle opere strutturali.
La parte privata ha quindi prodotto:
- “ deposito al Genio Civile di Palermo delle opere strutturali in difformità al Nulla Osta Autorizzazione Sismica rilasciata sempre dal Genio Civile di Palermo, con n°38367 del 03/06/2015, deposito Certificato di Idoneità Sismica ai sensi dell’art. 110 della L.R. n°4/2003 - art.96 DPR 380/01 deposito prot. 245677 del 23/11/2018, allegato agli atti di causa.
-parere di compatibilità paesaggistica rilasciato dalla Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Palermo in data 22/05/2018 prot.2717/ S 15.4, allegato agli atti di causa ”.
Al riguardo si rileva che, indipendentemente dalla fondatezza del rilievo relativo alla qualificazione delle variazioni come essenziali, o meno, residuano le ulteriori motivazioni addotte dall’Amministrazione a sostegno del diniego di accertamento di conformità, che non sono dalle parti censurate e rispetto alle quali si richiamano comunque le superiori osservazioni in merito alla possibilità di realizzare insediamenti produttive nella zona de quo, e quanto sopra affermato in merito all’impossibilità di realizzare interventi su manufatti non conformi alla normativa urbanistica.
15.3. Il motivo, per come formulato, non può pertanto nel complesso essere accolto.
16. Con ulteriore motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il T ha ritenuto illegittima la concessione edilizia n. 98 del 2011, e non ha quindi annullato le conseguenti determinazioni di annullamento adottate dall’Amministrazione nel 2018, in quanto il piazzale realizzato in zona agricola per il deposito delle auto in vendita non sarebbe stato ultimato alla data del 31 marzo 2003 e pertanto non sarebbe potuto essere condonato.
L’appellante ha al riguardo rilevato come “ in nessun atto o documento gli appellanti avevano dichiarato o rappresentato che lo spiazzo era stato completato prima del 31.3.2003, ed in particolare nell’anno 2000 ”.
16.1. Con ulteriore profilo di censura, contenuto nel medesimo motivo di ricorso, l’appellante ha censurato il provvedimento impugnato e la sentenza nella parte in cui non hanno considerato assentita la realizzazione del muro di contenimento.
In particolare, secondo l’appellante, “ la richiesta di sanatoria avanzata con istanza del 30.3.2004, prot. 3653, ove la si fosse voluta estendere al muro di contenimento realizzato in corso di procedimento (unico volume edificato suscettibile di considerazione, essendo risaputo che né le pavimentazioni, né le ringhiere rappresentano volumi edificati ai fini di un condono), avrebbe potuto e dovuto essere considerata nell’ambito di una richiesta di accertamento di conformità ex art. 13, l.r. 37/85, ratione temporis applicabile, stante che la citata l. 326/03, come detto, contemplava i soli fabbricati residenziali ”.
E’ stato altresì aggiunto che “il muro di contenimento era ed è tuttora una struttura realizzabile anche in zona agricola”.
In ogni caso, a parere dell’appellante, “ il muro in c.a. risulta pur sempre assistito da altro provvedimento concessorio. Come precedentemente esposto, invero, la p.a. ha rilasciato agli appellanti la C.E n. 67/15, relativa alla costruzione di un nuovo fabbricato della cui struttura fa parte anche il predetto muro di contenimento ”.
16.2. Il Collegio scrutina congiuntamente dette censure in ragione del fatto che vi è una relazione strutturale fra il piazzale e il muro di contenimento, atteso che lo spiazzo è stato “completato con la realizzazione di un muro di contenimento” (così dal ricorso introduttivo).
16.3. Il Collegio osserva quanto segue.
La concessione edilizia in sanatoria n. 98 del 2011 fa seguito all’istanza 30 marzo 2004 n. 3653.
Con istanza 30 marzo 2004 parte appellante ha chiesto, ai sensi del condono di cui alla legge n. 326 del 2003, la sanatoria di un fabbricato ad una elevazione fuori terra, oltre ad un piazzale adibito ad uso commerciale, dichiarando un uso commerciale dell’immobile, tipologia di abuso 1, data di ultimazione dell’abuso entro il 31 marzo 2003, oltre una superficie utile del fabbricato di mq. 26,56.
Detto fabbricato ha poi conseguito l’autorizzazione provvisoria di agibilità e allo scarico del 4 maggio 2005 sulla base delle dichiarazioni rese con perizia giurata del 14 aprile 2005.
In seguito al sopralluogo del 14 settembre 2017, il Comune ha accertato che il predetto fabbricato (oggetto di condono per una superficie pari a mq 32,50, e dichiarato nell'istanza di condono pari a mq 26,56) aveva una reale superficie di ingombro pari a mq 17,16 e che non presentava le rifiniture dichiarate nella relazione tecnica allegata al condono e nella perizia giurata necessaria per il conseguimento dell’agibilità provvisoria, con conseguente inidoneità dello stesso all’utilizzo a scopi commerciali quale ufficio.
Con nota 6 ottobre 2017 n. 24395 la ditta Tufanio ha comunicato l’intervenuta demolizione del fabbricato oggetto del condono facendo con ciò venir meno il locale deputato all’esercizio dell’attività commerciale e, in data 23 ottobre 2017, ha comunicato la cessazione definitiva della succitata attività commerciale, conseguente all’intervenuta demolizione del fabbricato destinato ad ufficio.
Nelle determinazioni nn. 59 e 111 del 2018 si legge, a supporto della decisione di annullare la concessione in sanatoria n. 98 del 2011, che la documentazione prodotta dalla parte privata è basata su “ presupposti palesemente non veritieri per:
- rappresentazione delle dimensioni dell’immobile che non ha la consistenza planimetrica e volumetrica dell’edificio graficamente rappresentato negli elaborati tecnici di 32,50, accertato con misurazioni sui luoghi, superficie di ingombro pari a mq. 17,16 e mc. 42,38, inferiori a quanto dichiarato sull’istanza di sanatoria dalla Ditta Tufanio, pari a mq. 26,56;
- rappresentazione riguardo agli elementi strutturali esistenti poiché non presentava architravi sulle aperture e cordoli debolmente armati;
- alla dotazione degli impianti (elettrico, idrico etc.) poiché non osservabili in alcun modo all’atto dell’accertamento tecnico né riscontrabili all’epoca della presentazione dell’istanza corredata da documentazione fotografica;
- alla reale destinazione dell’immobile, poiché accertata l’utilizzazione quale custodia di un cane e nel passato, osservate dalla documentazione fotografica presente agli atti d’ufficio le complessive condizioni statiche e igienico-sanitarie, non idonee alla utilizzazione a scopi commerciali;
- dichiarazione circa l’epoca di realizzazione e definizione del piazzale destinato a spazio espositivo per le verifiche compiute (anni 2002, 2004, 2005 e 2011) su supporto storico-fotografico attraverso Google Hearth, evidenzianti uno stato incompiuto e non corrispondente a quanto rappresentato e dichiarato all’atto del condono edilizio ”.
Le censure dedotte e qui esaminate si riferiscono alla tempistica di realizzazione del piazzale e del muro di contenimento, non essendo state specificamente criticate con il ricorso in appello, come illustrato sopra, le altre argomentazioni contenute nelle determinazioni nn. 59 e 111 del 2018 con riferimento ai presupposti non veritieri della concessione in sanatoria n. 98 del 2011.
Indipendentemente dalla fondatezza del rilievo relativo alla tempistica di realizzazione del piazzale, residuano pertanto le ulteriori motivazioni addotte dall’Amministrazione a sostegno dell’annullamento della concessione in sanatoria, che non sono dalla parte censurate.
Quanto al profilo di censura dedotto, dalla relazione di verificazione emerge che la domanda di condono e le somme versate a titolo di oblazione “ riguardano la sola superficie relativa all’immobile non residenziale ”, mentre “ il piazzale rappresentato negli elaborati grafici, questi agli atti di causa, di cui alla pratica di sanatoria edilizia prot- 3653 del 3-03-2004 a firma del Geom. G T, può solo considerarsi mera rappresentazione grafica non rilevandosi di fatto agli atti l’effettiva sua realizzazione ”. Il verificatore ha poi precisato che “ la relazione tecnica allegata alla domanda di sanatoria e agli atti di causa nulla dice sulla esistenza del muro di contenimento. Tale circostanza risulta confermata nel certificato di idoneità sismica, agli atti di causa, che fa parte del fascicolo della sanatoria di cui C.E. in sanatoria n. 98/11”, concludendo che “dalla verificazione risulta che il muro non era facente parte della sanatoria assentita con C.E.98/11 ”.
Quanto ai tempi di realizzazione del piazzale il verificatore ha affermato che “ dalla attestazione della Società S.A.S.TD S.R.L – Società Aerofotogrammetrica Siciliana – del 09/07/2004, agli atti di causa, si evince l’esistenza di un piazzale in terra senza delimitazioni.
Nello stesso elaborato grafico allegato alla pratica di sanatoria edilizia prot. 3653 del 3-03-2004 e allegato agli atti di causa, è riportata una planimetria in scala 1:500 dove viene indicato un ampio piazzale delimitato da una scarpata (dal segno grafico come zona rinverdita) che giunge al ciglio del Vallone Palomba. Il piazzale, come illustrato dalle foto estratte da Google-Hearth presenti in atti, ha dapprima una connotazione di spianata naturale restando delimitato dalle scarpate in terra verso il Vallone Palomba, per come riportato dalla foto in atti di causa datata 01/01/2004 e assume la caratteristica di piazzale nel 2005 restando delimitato dai muri di contenimento verso il Vallone Palomba ”.
Il verificatore ha poi aggiunto che “ Dagli atti prodotti in causa, sempre dalle foto estratte da Google-Hearth, le caratteristiche funzionali quale piazzale per l’esposizione e la vendita della auto avviene nel 2016. Da una ulteriore verifica con Google Hearth, che si allega, si è constatato che il piazzale di vendita e un casotto a servizio del piazzale erano già presenti dal 2011/2012 ”.
Il piazzale è quindi già presente quanto viene rilasciata la concessione n. 67 del 2015. Lo stesso appellante ha affermato ciò laddove ha dedotto che il muro di contenimento avrebbe potuto essere sanato secondo il predetto art. 13, l.r. 37/85, anche se realizzato in data successiva al 31 marzo 2003 ma comunque “ prima del rilascio del titolo abilitativo che come confermato dalla stessa p.a. è stato ritenuto esteso anche ad esso ”.
Pertanto, il piazzale e il muro di contenimento non sono compresi nella concessione edilizia in sanatoria n. 98 del 2011.
Nondimeno il titolo abilitante neppure può essere rinvenuto nella successiva concessione edilizia n. 67 del 2015, che presuppone la già avvenuta realizzazione del piazzale e del muro di contenimento, avendo piuttosto ad oggetto la costruzione di un nuovo fabbricato “ in aderenza al muro di contenimento ”. In altre parti degli scritti difensivi dell’appellante si afferma che “ parte strutturale del fabbricato, secondo la rispettiva previsione progettuale assentita, è anche il muro di contenimento costruito precedentemente lungo il perimetro dello spiazzo esterno ”.
Quanto a quest’ultimo punto dalla relazione, richiamata da parte appellante, del consulente di parte si evince che il manufatto destinato ad attività commerciale è stato costruito a 60 cm. dal muro di contenimento, permanendo quindi una distinzione fra le due strutture, contrariamente a quanto affermato dall’appellante circa l’inglobamento del muro di contenimento nell’edificio, e il conseguente inserimento del medesimo “ nel progetto assentito con la suddetta C.E. 67/15 ”.
La circostanza dell’intercapedine esistente fra il muro di contenimento e l’edificio è confermata dalla nota 23 novembre 2018 n. 245677 del Genio civile.
Peraltro è la stessa parte appellante, nel ricorso introduttivo del giudizio, ad affermare che nel corso dei lavori di realizzazione del nuovo fabbricato si sarebbe reso “necessario aumentare di circa m 1,50 lo scavo della struttura di fondazione e di realizzarla non in appoggio ma in aderenza al muro di contenimento (lasciando cioè una piccola intercapedine di cm. 60 circa da ricoprire interamente)”, così evidenziando che il muro di contenimento non può essere considerato una parte strutturale del fabbricato e non potendo quindi ritenersi ricompreso nel fabbricato che la concessione n. 67 del 2015 ha abilitato a realizzare.
In ogni caso, come già visto ed evidenziato nei provvedimenti impugnati, la presenza di un precedente intervento edilizio abusivo rende irregolare anche la successiva costruzione.
Quanto alla carenza di un titolo abilitante alla realizzazione del muro di contenimento, non compreso fra le opere da realizzare sulla base della concessione edilizia n. 67 del 2015, nella verificazione si legge testualmente che “ Il progetto di cui alla richiesta della concessione edilizia C.E. n. 67/15 riporta graficamente la delimitazione del piazzale di vendita con un muro. L’allegato fotografico al fascicolo tecnico per il rilascio della C.E.67/15 prodotto dal geom. Grizzaffi, datato febbraio 2013 “rileva l’ubicazione del terreno oggetto di intervento dove sarà realizzato il fabbricato sito nella località Punzonotto del territorio di Corleone”. Al riguardo il verificatore ha testualmente affermato che “da questo elaborato, agli atti di causa, si evince che il muro era esistente e delimitava il piazzale di vendita delle auto ”.
Agli atti di causa risulta altresì un elaborato dal titolo “ Documentazione fotografica di un fabbricato ed uno spiazzo per uso commerciale (vendita auto) in Sanatoria Edilizia L.N. 326-03 sito nella contrada Punzonotto del territorio di Corleone ”, datato maggio 2011. Questo elaborato indica l’esistenza del “ muro di contenimento del piazzale realizzato in parte sulla preesistente gabbionata di delimitazione del Vallone Palomba ”.
Nella verificazione si legge altresì che “ Dagli elaborati grafici allegati alla richiesta di C.E.67/15 il muro è rappresentato nell’elaborato grafico e nella documentazione fotografica che indica ove sarà realizzato il nuovo fabbricato, successivamente assentiti con concessione C.E. 67/15 ”.
Dalla circostanza che sia utilizzato il participio passato al purale, “ realizzati ”, non può desumersi che il titolo abilitante alla realizzazione di detto muro sia la concessione edilizia n. 67 del 2015, atteso che è stato accertato dallo stesso verificatore che il muro è stato costruito in precedenza e comunque nella relazione allegata all’istanza che ha dato luogo alla concessione edilizia n. 67 del 2015 non viene indicata, nel paragrafo 4 relativo agli interventi previsti, la costruzione del muro di contenimento.
A fronte di ciò, peraltro, si rileva che alcune affermazioni della parte privata sono idonee a ingenerare confusione quanto al titolo legittimante la realizzazione del muro di contenimento e del piazzale.
Il tecnico di parte appellante ha, infatti, dichiarato, nella richiesta di deposito del certificato di idoneità sismica del muro di contenimento, che “ nella pratica di condono citata in premessa, per la quale è stata rilasciata concessione in sanatoria 98/2011, per mero errore non è stato citato il muro di contenimento a protezione dello spiazzo adibito ad esposizione di automobili ” (nota 16 febbraio 2015 n. 2059). Sicché, se risulta confermata la realizzazione del muro in epoca precedente alla concessione n. 67 del 2015, viene introdotto un elemento di dubbio circa la volontà della parte di ricomprendere detto muro nel procedimento concluso con concessione n. 98 del 2011, sottintendendo altresì che il muro sia stato ultimato entro il 2003, ingenerando un ulteriore elemento di aleatorietà.
Nella memoria depositata il 13 gennaio 2021 parte appellante ha dapprima confermato che “il muro di contenimento, invero, è stato costruito dopo la presentazione dell’istanza di concessione in sanatoria del 30.3.2004, prot. 3653 alla quale seguì la pedissequa C.E. n. 98 del 25.7.2011, ma pur sempre anteriormente al rilascio di quest’ultima, come, pur sempre anteriormente, l’esistenza del muro era stata rappresentata al Comune con la produzione degli ultimi documenti fotografici nel maggio del 2011 a completamento della documentazione (doc. 11e)”, per poi concludere che, in ragione di tale circostanza, “avrebbe potuto essere considerato anch’esso oggetto di regolarizzazione con la C.E. 98/11, non sussistendo divieti alla realizzazione di tali strutture in zona agricola, e tanto più per il fatto che la predetta concessione venne rilasciata prendendo atto anche della documentazione successivamente prodotta”. E ciò senza considerare il termine perentorio indicato nella disciplina del condono di cui all’art. 32 comma 25 della legge n. 326 del 2003 (si applica “ alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003 ”).
Ne consegue che, in ogni caso, risulta mancante il titolo edilizio a fondamento della costruzione del muro di contenimento e conseguentemente del piazzale, nel senso che non è contenuto nella concessione edilizia in sanatoria n. 98 del 2011, ma neppure nella successiva concessione n. 67 del 2015, che lo presuppone, non ne autorizza la realizzazione.
Né il titolo può essere rinvenuto nel certificato 10 febbraio 2014, rilasciato ai sensi della normativa antisismica.
I certificati del Genio civile, resi peraltro al precipuo fine cui sono destinati, non riguardano il muro di contenimento, quanto la gabbionata (nulla osta 15 maggio 2000) e la costruzione del fabbricato (autorizzazione 3 giugno 2015 n. 8367).
Né possono venire in soccorso il visto della Soprintendenza rilasciato il 15 settembre 2000 n. 73420, in quanto fa espressamente salvi i provvedimenti che saranno adottati a fini urbanistici ed edilizi, e il parere della Soprintendenza 22 maggio 2018, che riguarda la compatibilità paesaggistica delle sole variazioni, nonché l’autorizzazione dell’I.R.F. 27 ottobre 2004 n. 12351, espressamente resa con riferimento alle opere ivi indicate, fra le quali non è ricompresa la realizzazione del muro di contenimento, e “ nei soli riguardi degli scopi del vincolo idrogeologico ”.
Anche dalla relazione, richiamata da parte appellante, del consulente di parte si evince che la realizzazione del muro di contenimento è oggetto di parere ai sensi della normativa antisismica, legge n. 64 del 1974, mentre non sono riferiti altri titoli abilitanti la relativa costruzione.
Risultano quindi fondate le argomentazioni poste alla base delle determinazioni nn. 59 e 111 del 2018 circa la mancanza del titolo abilitante della realizzazione del muro di contenimento e del piazzale (indipendentemente dal profilo della falsità in relazione alla concessione edilizia in sanatoria n. 98 del 2011, già trattato sopra con riferimento al primo motivo di appello e comunque non coinvolgente, come già illustrato, gli altri profili di falsità rappresentati nelle determinazioni impugnate e non censurati).
Il riferimento riguarda quella parte del preambolo dove si legge che “ in ordine alla pratica edilizia nr. 21/2013, istituita a seguito dell’istanza presentata dalla Ditta Tufanio per la costruzione di un nuovo fabbricato da adibire in parte a locale deposito per mezzi agricoli e in parte ad attività commerciale per la vendita di autovetture e alla Concessione Edilizia n. 67/2015, si evidenzia preliminarmente che con la nota prot. 2367 del 26.9.2017 il Comando del Corpo della Polizia Municipale di Corleone ha rilevato per l’edificio oggetto della concessione edilizia suddetta difformità fra lo stato dei luoghi e gli elaborati grafici di cui alla concessione edilizia, nonché una diversa distribuzione interna;sempre nella medesima nota il Comando rileva che le difformità hanno comportato modifiche strutturale per l’innalzamento del piano sottostrada, modifiche all’aspetto esteriore del fabbricato e modifiche all’orografia dei luoghi ”.
Rileva altresì la considerazione in base alla quale “ la concessione edilizia sopra citata è viziata per illegittimità derivata dalla precedente Concessione Edilizia in sanatoria nr. 98/2011, in quanto è stata trasferita la destinazione commerciale, già impressa all’edificio in sanatoria, nel costruendo nuovo edificio. Inoltre il piazzale esistente è stato illegittimamente sanato per i motivi sopra esposti e fondati su falsa dichiarazione dell’epoca di realizzazione e falsa rappresentazione sulle dimensioni e caratteristiche edilizie dei luoghi ”.
In merito a entrambe dette ragioni addotte a giustificazione delle determinazioni nn. 59 e 111 del 2018 si rileva innanzitutto che i profili, diversi da quelli riguardanti il piazzale e il muro di contenimento, di illegittimità della concessione n. 67 del 2015, derivati dall’invalidità della concessione n. 98 del 2011, non possono essere scrutinati non essendo stati specificamente censurati e sono di per sé soli idonei a supportare la motivazione delle determinazioni nn. 59 e 111 del 2018 con riferimento all’annullamento della concessione edilizia n. 98 del 2011 e (in via derivata) della concessione n. 67 del 2015.
In secondo luogo, la mancanza del titolo edilizio a fondamento della costruzione del muro di contenimento e del piazzale rende comunque non assentibile il manufatto oggetto della concessione edilizia n. 67 del 2015, in quanto realizzato sulla base di un precedente intervento edilizio irregolarmente realizzato.
Pertanto, pur non corrispondendo agli accertamenti compiuti la considerazione, contenuta nelle determinazioni impugnate, in base alla quale la concessione edilizia n. 67 del 2015 è illegittima in quanto “ il piazzale esistente è stato illegittimamente sanato per i motivi sopra esposti e fondati su falsa dichiarazione dell’epoca di realizzazione e falsa rappresentazione sulle dimensioni e caratteristiche edilizie dei luoghi ”, nondimeno è vero che il piazzale e il muro di contenimento non risultano assentiti e quindi la concessione edilizia n. 67 del 2015 è illegittima in quanto ha ad oggetto un intervento edilizio compiuto su un’area con edificazione non assentita.
Ne deriva che il provvedimento, sul punto, è censurabile nella parte in cui si afferma che l’illegittimità della concessione edilizia n. 67 del 2015 deriva dalla illegittimità della precedente concessione in sanatoria n. 98 del 2011 e non direttamente dagli accertamenti compiuti in fatto, in base ai quali si è rilevata una non corrispondenza fra la documentazione e lo stato dei luoghi o comunque è stato accertato che il muro di contenimento e il piazzale non sono stati assentiti con la concessione in sanatoria n. 98 del 2011 (“ le difformità hanno comportato modifiche strutturale per l’innalzamento del piano sottostrada, modifiche all’aspetto esteriore del fabbricato e modifiche all’orografia dei luoghi ”).
Il dato di fatto che rileva infatti ai fini dell’annullamento della concessione edilizia n. 67 del 2015, compiuto con la determinazione n. 59 del 2018, è rappresentato dalla mancanza del titolo di abilitazione per la realizzazione del muro di contenimento e del piazzale. La circostanza che detta mancanza derivi dall’illegittimità della precedente concessione in sanatoria (per falsità circa l’avvenuta realizzazione delle opere entro il 31 marzo 2003) o dall’omessa sanatoria del manufatto (per mancata ricomprensione del medesimo nella pratica di sanatoria conclusa con concessione n. 98 del 2011), come accertato anche in base agli elementi di fatto dedotti dall’appellante, oltre che con la verificazione, si riverbera, peraltro, solo sulla qualificazione dell’illegittimità della concessione n. 67 del 2015 in termini di illegittimità derivata o diretta, per mancanza dei presupposti di fatto.
Né può ritenersi che il muro di contenimento e di conseguenza il piazzale, realizzati, come sopra illustrato, nel corso del procedimento avviato con istanza 30 marzo 2004 n. 3653 e concluso con la concessione n. 98 del 2011 e non entro la data del 31 marzo 2003, possano ritenersi sanati ex art. 13 della l.r. n. 37 del 1985.
Al riguardo si premette, in rito, che nel ricorso introduttivo non viene richiamato l’istituto di cui all’art. 13 della l.r. n. 37 del 1985.
Dalla concessione n. 98 del 2011 si evince che l’istanza che ha dato avvio al procedimento è stata presentata da parte appellante al fine espresso di ottenere il condono edilizio ai sensi della legge n. 363 del 2003.
L’Amministrazione non era tenuta a modificare il titolo in base al quale la parte privata ha chiesto la regolarizzazione del manufatto, essendo invece tenuta a valutare la fondatezza dell’istanza presentata dal privato.
Rientra infatti nell’autonomia privata stabilire se e con quali modalità chiedere la soddisfazione di un interesse pretensivo attraverso l’utilizzo di un istituto straordinario quale l’istituto di cui all’art. 32 comma 25 della legge n. 326 del 2003. La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha infatti affermato che il condono di cui alla legge n. 326 del 2003 “ ha carattere straordinario e durata temporale limitata (la legge che lo prevede, stabilisce anche la scadenza entro cui presentare la domanda, oltre tale data non è più possibile regolare la posizione attraverso il condono) ”, mentre “ la sanatoria edilizia invece, (detta anche “accertamento di conformità”) è una misura ordinaria e sempre vigente, sancita negli articoli 36 e 45 del D.P.R. n. 380/2001 ” (Cons. St., sez. II, 26 aprile 2021 n. 3342).
Detti strumenti di regolarizzazione dell’attività edilizia, e in particolare il condono ai sensi della legge n. 326 del 2003, impongono peraltro all’istante il pagamento di oneri all’Amministrazione, di talché essa non può, o quantomeno non è tenuta, in mancanza di consenso, modificare il titolo della regolarizzazione.
In tale contesto non può quindi ritenersi che l’Amministrazione, considerata la volontà espressa dalla parte privata, fosse tenuta a riqualificare l’istanza al fine di ritenerla presentata ai sensi dell’art. 13 della l.r. n. 37 del 1985.
Tanto basta per ritenere infondate le censure, senza che risulti necessario addenstrarsi in merito all’asserita non necessità che la sistemazione dello spiazzo non richieda di premunirsi di titolo edilizio ai sensi dell’art. 6 della l.r. n. 37 del 1985 in quanto comunque il titolo edilizio è richiesto per la realizzazione del muro di contenimento in cemento armato, come ammesso dalla stessa parte appellante (pag. 30 del ricorso in appello). E in ogni caso l’eventuale profilo di irregolarità
In ogni caso si rileva che la giurisprudenza ha avuto modo di affermare la necessità del permesso di costruire in relazione alla trasformazione di un terreno da area agricola a parcheggio per autovetture, mediante la messa in opera di ghiaia, in quanto tale attività, pur non rappresentando un intervento edilizio in senso stretto, comporta comunque la trasformazione permanente del suolo (Cass. pen., Sez. III, 24 febbraio 2009, n. 8064).
Per sistemazione di suoli agricoli si intende, infatti, esclusivamente la sistemazione di fondi effettivamente destinati ad uso agricolo, mentre nel caso di specie il terreno de quo è stato destinato a usi commerciali, posto che lo stesso è utilizzato come area espositiva per rivendita di automobili.
Le opere di sistemazione di aree che siano destinate alla realizzazione di depositi di merci o di materiali, ovvero di impianti per attività produttive non agricole all’aperto, ove comportino l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato, sono soggette a permesso di costruire: “ integra un illecito edilizio l’esecuzione, in assenza del permesso di costruire, di interventi finalizzati a realizzare un piazzale mediante apporto di terreno e materiale inerte e successivo sbancamento e livellamento del terreno, in quanto tale attività, pur non comportando un’edificazione in senso stretto, determina una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio ” (Cass. pen., sez. III, 12 gennaio 2017, n. 1308).
16.4. Il motivo non è quindi meritevole di accoglimento.
17. Con ulteriore motivo l’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui il T non ha censurato l’affermazione contenuta nelle determinazioni impugnate, riguardante la violazione della distanza di 10 m da un vicino ruscello denominato vallone Palomba.
17.1. Il verificatore ha affermato che “ le gabbionate sono state progettate e realizzate con giuste autorizzazioni quali opere idrauliche ” e “ il muro di contenimento in C.A. in parte in sopraelevazione delle stesse gabbionate assolve allo scopo prevalentemente di contenimento del piazzale artificiale destinato alla vendita auto, ed in maniera residuale come opera idraulica ”, in ogni caso “ le misurazioni portano a concludere che il fabbricato è ubicato ad una distanza inferiore a 10,00 mt ”.
In termini più generali dalla prima relazione di verificazione si evince che “ Le opere di che trattasi ricadono nella fascia di rispetto del Vallone Palomba ai sensi del R.D. 523/1904 quale vincolo idraulico ”.
Circa il muro di contenimento parte appellante ha dedotto, nella memoria depositata il 13 gennaio 2021, che nelle determinazioni nn. 59 e 111 del 2018 si assume, con riferimento al muro di contenimento dello spiazzo, che “ esso sia in parte a distanza inferiore ai predetti 10 m dall’alveo ”.
Detta circostanza di fatto impone di valutare la violazione dell’art. 96 lett. f) del r.d. n. 523 del 1904 (“ Sono lavori ed atti vietati in modo assoluto sulle acque pubbliche ” la realizzazione di fabbriche entro i dieci metri dalle sponde) e dell’art. 90 delle norme tecniche di attuazione al prg, che pone la medesima prescrizione.
Al fine di negare la rilevanza della violazione, controparte ha sostenuto che il muro di contenimento rientrerebbe tra le opere idrauliche non soggette al rispetto delle distanze dagli argini dei corsi d’acqua.
La stessa parte appellante ha però affermato che il muro ha la funzione di contenimento del piazzale “ per essere stato realizzato in aderenza alla sponda del torrente ”.
Il verificatore ha accertato, in sede di supplemento istruttorio depositato in data 21 gennaio 2022, che “ il muro di contenimento in c.a. non svolge una funzione idraulica ” (contrariamente a quanto dedotto da parte appellante) e che “ la funzione per la quale è stato realizzato il muro in c.a. è quella di contenimento del piazzale artificiale destinato alla vendita auto ”.
Pertanto gli accertamenti compiuti non consentono di ritenere illegittima la determinazione n. 59 del 2018 (e la determinazione n. 111 del 2018) per avere motivato l’annullamento delle concessioni n. 98 del 2011 e n. 67 del 2015 in quanto le opere realizzate ricadono nella fascia di rispetto del corso d’acqua denominato “Vallone Palomba” e non sono opere idrauliche, così non essendo necessario approfondire la tematica della disposizione di cui agli artt. 58 comma 2 e 93 del r.d. n. 523 del 1904, che (in tesi) “ esonerano dalle autorizzazioni dell’autorità amministrativa ”.
Detto accertamento compiuto dal verificatore consente altresì di superare l’argomentazione circa l’impossibilità di ricomprendere la struttura nella nozione di “ fabbrica ”, per la quale l’art. 96 lett. f) del r.d. n. 523 del 1904 prescrive la distanza di 10 metri in quanto il muro assolverebbe a una funzione idraulica, smentita appunto dal verificatore.
Né, contrariamente a quanto sostenuto da parte appellante, le opere contestate sono state compiutamente autorizzate dal Genio civile, atteso che i certificati del Genio civile non riguardano il muro di contenimento, che si estende oltre le gabbionate, parallelamente al Vallone Palomba, per metri 14,95, né le varianti di cui alla nota 23 novembre 2018 n. 245677 del Genio civile realizzati in difformità rispetto all’autorizzazione 3 giugno 2015 (aumento dell’altezza dei pilastri del piano seminterrato e distacco fra l’edificio e il muro di sostegno con realizzazione in sommità di aggetto in cemento armato), ma si riferiscono piuttosto alla gabbionata (nulla osta 15 maggio 2000) e alla costruzione del fabbricato (autorizzazione 3 giugno 2015 n. 8367).
Gli elementi dedotti da parte appellante non sono quindi sufficienti per superare la motivazione contenuta nelle determinazioni nn. 59 e 111 del 2018 circa il fatto che le opere “ ricadono parzialmente ma in modo sostanziale nella fascia di rispetto del corso d’acqua denominato “Vallone Palomba”, censito nell’elenco ufficiale delle Acque Pubbliche al n. 232 pubblicato sulla GURI n. 238 del 29/06/1971 e che ai sensi dell’art. 90 delle Norme Tecniche di Attuazione del PRG vigente – Alvei torrentizi e fluviali e loro sponde e fasce di rispetto dei fiumi e dei corsi d’acqua – è vietata qualsiasi attività edificatoria entro la fascia di ml 10,00, coerentemente al dettato dell’art. 96 lett. f) del regio decreto n. 523 del 25/07/1904 ”.
17.2. Il motivo non può pertanto essere accolto.
18. In conclusione, l’appello deve essere respinto.
19. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
20. Il compenso del verificatore, che ha presentato la relativa istanza nel rispetto del termine di 100 giorni di cui all’art. 71 d.P.R. n. 115 del 2002, è determinato considerando l’istanza presentata, la connotazione pubblicistica dell’incarico e del soggetto designato e le disposizioni del d.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, che assumono valenza meramente parametrica ai fini della liquidazione del compenso dei verificatori.
In ragione di quanto sopra si liquida in favore del verificatore la somma complessiva di euro 2.500,00, (ivi compresi eventuali anticipi già corrisposti) comprensiva di ogni spesa sostenuta, oltre accessori di legge se dovuti, ponendo il relativo onere a carico di parte appellante.