Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-05-21, n. 202404521

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-05-21, n. 202404521
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202404521
Data del deposito : 21 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 21/05/2024

N. 04521/2024REG.PROV.COLL.

N. 00758/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 758 del 2022, proposto dal
signor G S, rappresentato e difeso dagli avvocati P E e P Z, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Anzio, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato T T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 07345/2021, resa tra le parti, relativa all’impugnazione dell’ordine di demolizione n. 48, prot. n. 20424 dell’8 maggio 2012 e alla conseguente sanzione pecuniaria.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Anzio;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 maggio 2024 il Cons. C A;
nessuno comparso per le parti costituite.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il presente appello è stata impugnata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 7345/2021, che ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento del Comune di Anzio n. 48 dell’8 maggio 2012 con il quale è stata ordinata, ai sensi dell'art. 15 della legge regionale 11 agosto 2008, n. 15, la demolizione dell'ampliamento di circa 16 metri quadri, posto al piano terra dell’immobile sito in via Gozzi 35, in Lavinio, in quanto realizzato senza permesso di costruire;
nonché i motivi aggiunti avverso il provvedimento notificato il 6 novembre 2012 di irrogazione della sanzione pecuniaria, pari a euro duemila, per non avere ottemperato alla demolizione.

Il provvedimento di demolizione era stato preceduto da un sopralluogo della Polizia Locale il 28 marzo 2012. Il provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria era stato preceduto dall’accertamento dell’inottemperanza alla demolizione in data 3 ottobre 2012.

Con il ricorso di primo grado erano state formulate censure di violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, degli artt. 10, 31, e 34 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e di eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, carenza dei presupposti, sproporzione.

In particolare con il primo motivo si deduceva che il manufatto era stato realizzato nel 2007 e che pertanto l’Amministrazione avrebbe dovuto motivare sulla sussistenza dell’interesse pubblico alla demolizione in presenza dell’affidamento del privato.

Con il secondo motivo si lamentava che era stata indicata solo la carenza del permesso di costruire, senza individuare la tipologia e l’entità dell’abuso nonché le opere da demolire.

Con il terzo motivo si sosteneva la sproporzione della demolizione rispetto alla entità dell’abuso.

Con il quarto motivo si lamentava che non era stata considerata l’impossibilità di demolizione senza pregiudizio della parte legittima del manufatto.

Con il quinto motivo si evidenziava la mancata comunicazione di avvio del procedimento.

Con i motivi aggiunti, rispetto alla sanzione pecuniaria, oltre ai motivi di illegittimità derivata, si deduceva, con un primo motivo, che la sanzione non era prevista dall’art. 31 del D.P.R. 380 del 2001 e che comunque l’ordine di demolizione era stato tempestivamente impugnato;
con una seconda censura si sosteneva che la sanzione pecuniaria sarebbe stata irrogata, ai sensi dell’art. 34 del D.P.R. n. 380 del 2001 manifestando la illegittimità del precedente ordine di demolizione.

Si costituiva in giudizio il Comune di Anzio, che sosteneva l’infondatezza del ricorso e dei motivi aggiunti;
in particolare, con riguardo alla sanzione pecuniaria, deduceva che era prevista dalla legge regionale del Lazio.

Con l’appello sono state riproposte le censure del ricorso di primo grado e dei motivi aggiunti, lamentando l’error in procedendo e in iudicando , il difetto di motivazione, il difetto di istruttoria, l’omessa e/o travisata valutazione della documentazione, l’omessa pronuncia in quanto il provvedimento di demolizione non avrebbe contenuto una completa qualificazione dell’intervento edilizio, la descrizione delle parti da demolire, la specifica valutazione del pregiudizio della demolizione sulle parti legittime, la mancata considerazione del tempo trascorso dalla realizzazione dell’opera;
inoltre la sentenza non avrebbe considerato la natura dell’intervento realizzato per cui il Comune avrebbe potuto solo irrogare la sanzione pecuniaria. Con riguardo al provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria si riproponevano le censure dei motivi aggiunti, insistendo per la violazione del principio di legalità e tassatività delle sanzioni amministrative e per la contraddittorietà del provvedimento sanzionatorio con il provvedimento di demolizione, essendo la sanzione pecuniaria riconducibile all’esercizio del potere di cui all’art. 34 del D.P.R. 380 del 2001.

Si è costituito in giudizio il Comune di Anzio, che ha eccepito l’inammissibilità dell’appello in quanto limitato alla mera riproposizione delle censure di primo grado senza specifiche critiche alla sentenza impugnata. Ha comunque sostenuto l’infondatezza dei motivi proposti.

La parte appellante ha presentato memoria di replica riproponendo i motivi di appello.

Il Comune di Anzio ha presentato istanza di passaggio in decisione senza discussione orale.

All’udienza pubblica del 7 maggio 2024 l’appello è stato trattenuto in decisione.

Si prescinde dall’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dal Comune di Anzio in relazione all’evidente infondatezza dello stesso.

La sentenza di primo grado ha esaminato tutte le censure, dando espressamente atto dei presupposti di fatto e di diritto, anche alla luce dei consolidati orientamenti giurisprudenziali richiamati, per disporre la demolizione e la conseguente sanzione pecuniaria.

Con riguardo al difetto di motivazione del provvedimento di demolizione non può che richiamarsi la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio per cui il provvedimento di demolizione è atto dovuto e vincolato e non richiede una specifica motivazione, essendo sufficiente la descrizione delle opere abusive e le ragioni della loro abusività (Consiglio di Stato sez. VI, 7 giugno 2021, n. 4319;
3 aprile 2024, n. 3031). Nel caso di specie la descrizione delle opere abusive, pari ad un ampliamento di sedici meno quadri, risulta sia dal provvedimento di demolizione che dal presupposto verbale di sopralluogo;
inoltre risulta chiaramente che tale ampliamento è stato ritenuto abusivo in quanto realizzato in assenza del permesso di costruire.

Tale qualificazione è conforme all’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001, nel testo allora vigente, per cui costituiscono “ interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile ”. Nel caso di specie non è contestato che sia stato realizzato un aumento volumetrico, con evidente modifica altresì della sagoma dell’immobile, per cui era necessario il permesso di costruire.

Nella Regione Lazio le variazioni essenziali, rilevanti al fine di individuare le totali difformità sono state specificamente indicate, in base al potere attribuito alle regioni, ai sensi dell’art. 32 del D.P.R. 380 del 2001, dall’art. 17 della legge regionale n. 15 del 2008, che tra le varie ipotesi prevede, alla lettera c), l’ “ aumento superiore al 2 per cento del volume o della superficie lorda complessiva del fabbricato ”, escludendo quindi, anche sotto tale profilo, la irrilevanza della difformità, secondo quanto sostenuto dalla difesa appellante .

Peraltro, anche ai sensi dell’art. 34 del D.P.R. 380 del 2001, gli interventi realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire “ sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili ”.

Inoltre, ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. 380 del 2001, anche nel testo allora vigente, la ristrutturazione edilizia con aumenti della volumetria era subordinata a permesso di costruire, la cui mancanza avrebbe comunque comportato l’esercizio del potere demolitorio ai sensi dell’art. 33 del D.P. R. n. 380 del 2001.

L’espressa previsione normativa rispetto all’esercizio del potere demolitorio esclude, altresì, la fondatezza delle censure relative al lamentato difetto di proporzionalità della demolizione per la dimensione minima dell’abuso in rapporto alla superficie complessiva del manufatto.

In ogni caso, il provvedimento di demolizione non richiede alcuna motivazione in ordine all’interesse pubblico attuale, diverso dalle mere esigenze di rispristino della legalità violata, né alcuna valutazione dell’affidamento del privato, in relazione al tempo trascorso dalla realizzazione dell’abuso, essendo la relativa ponderazione tra l'interesse pubblico e quello privato già compiuta, a monte, dal legislatore, che ha prescritto la demolizione (Consiglio di Stato Sez. VII, 22 gennaio 2024, n. 655;
Sez. VI, 4 agosto 2023, n. 7546;
17 ottobre 2022, n. 8808;
Sez. II, 11 gennaio 2023, n. 360;
Adunanza Plenaria, 17 ottobre 2017, n.9).

Anche con riguardo al mancato esercizio del potere di cui all’art. 34 del D.P.R. 380 del 2001, per cui in caso di pregiudizio per le parti legittime la demolizione può essere sostituita con la sanzione pecuniaria, la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che la possibilità di irrogare la sanzione pecuniaria, ai sensi dell'art. 34 del D.P.R. n. 380 del 2001, non comporti un obbligo per l’Amministrazione di valutare tale possibilità prima dell'adozione dell'ordine demolitorio, né può implicare l'illegittimità dell'ordine demolitorio, avendo tale potere come presupposto proprio la validità e l'efficacia della sanzione ripristinatoria, atteso che soltanto durante la sua materiale esecuzione è effettivamente possibile verificare se l'ordine di demolizione (comunque legittimamente assunto) sia eseguibile - stante la possibilità di procedere al materiale ripristino dello status quo anteriore all'abuso - ovvero se, alla luce delle emergenze proprie della fase esecutiva, si renda necessario far luogo all'applicazione della sanzione pecuniaria" (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 17 ottobre 2022, n. 8808;
Sez. II, 11 gennaio 2023, n. 360). Peraltro, nel caso di specie, non è, allo stato, allegato ma neppure dedotto alcunché circa l’effettivo pregiudizio per la parte legittima.

Non è stata riproposta in appello la censura relativa alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, comunque infondata in relazione alla natura vincolata del provvedimento di demolizione (Cons. Stato, Sez. II, 13 giugno 2019, n. 3971;
n. 360 del 2023 cit.).

Con riferimento alla sanzione pecuniaria non è stata contestata in appello la affermazione del giudice di primo grado, per cui, pur non essendo a quel tempo prevista la sanzione pecuniaria in caso di inottemperanza alla demolizione dal D.P.R. 380 del 2001 (essendo stata successivamente introdotta dall’art. 17, comma 1, lett. q-bis), D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 2014, n. 164), l’irrogazione della sanzione pecuniaria trovava precedentemente la sua copertura normativa nella Regione Lazio nella previsione dell’art. 15 della legge regionale n. 15 del 2008, norma, inoltre, espressamente richiamata nel provvedimento sanzionatorio.

Infondata è poi la ricostruzione dell’appellante per cui l’irrogazione della sanzione pecuniaria sarebbe stata disposta dal Comune, ai sensi dell’art. 34 del D.P.R. 380 del 2001, con conseguente contraddittorietà rispetto al provvedimento di demolizione, essendo evidente che si tratta di sanzione pecuniaria irrogata, ai sensi dell’art. 15 comma 3 della legge regionale n. 15 del 2008, che espressamente prevede che l’“ accertamento dell'inottemperanza comporta, altresì, l'applicazione di una sanzione pecuniaria da un minimo di 2 mila euro ad un massimo di 20 mila euro, in relazione all'entità delle opere ”, nel caso di specie, inoltre, correttamente quantificata nel minimo in relazione alla modesta dimensione dell’abuso.

In conclusione l’appello è infondato e deve essere respinto.

In considerazione della natura e della risalenza della controversia le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate.

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