Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2016-03-04, n. 201600888
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N. 00888/2016REG.PROV.COLL.
N. 07276/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7276 del 2015, proposto da:
Comune di Bari, in persona del Sindaco
pro tempore,
rappresentato e difeso dall'avv. N S M, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2;
contro
M P, M T, A T, P A, P T, G B, A A, G A, V G L, M B, I P, V T, E B, G F, M V, S C, Giuseppe P, rappresentati e difesi dall'avv. N D M, con domicilio eletto presso Sandro De Marco in Roma, via Cassiodoro, 1/A;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Puglia - Bari: Sezione III n. 00147/2015, resa tra le parti, concernente approvazione piano di lottizzazione
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di M P, M T, A T, P A, P T, G B, A A, G A, V G L, M B e I P;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2016 il cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati Matassa e De Marco;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Gli attuali appellati, proprietari di suoli nel Comune di Bari, hanno presentato nel 2005 un piano di lottizzazione e, dopo varie vicende processuali, hanno impugnato il diniego definitivo, opposto dalla Giunta comunale con delibera n. 20 del 22 gennaio 2013, insieme con gli atti connessi, in particolar modo il parere contrario della Ripartizione urbanistica e edilizia privata espresso con nota n. 75414 del 23 marzo 2010.
Con sentenza 28 gennaio 2015, n. 147, il T.A.R. per la Puglia, sez. III, ha accolto il ricorso.
Il Tribunale regionale ha ritenuto fondata la censura di incompetenza (l’atto, per il suo carattere negativo, avrebbe dovuto essere adottato dal Consiglio e non dalla Giunta, perché la legge ripartirebbe la competenza all’adozione o approvazione degli strumenti urbanistici attuativi in base al contenuto del provvedimento conclusivo del procedimento), mentre ha dichiarato inammissibili per carenza di interesse gli altri motivi del ricorso.
Il Comune ha interposto appello contro la sentenza, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva.
L’appello sostiene:
1. l’inammissibilità del ricorso di primo grado. Il provvedimento di diniego non sarebbe stato impugnato per il profilo del contrasto del piano di lottizzazione con l’art. 59 delle N.T.A. al P.R.G. A fronte di tale acquiescenza, i privati non potrebbero impugnare la successiva delibera del Consiglio comunale che, adottata in esecuzione della sentenza del T.A.R., non potrebbe che ribadire le ragioni del divieto;
2. l’attribuzione alla Giunta comunale della competenza a decidere comunque sui piani attuativi, se conformi allo strumento urbanistico generale, per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 5, comma 13, del c.d. “decreto sviluppo” (decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni nella legge 12 luglio 2011, n. 106) e dalla successiva legislazione regionale (art. 10 della legge 1° agosto 2011, n. 21). Una diversa ricostruzione della normativa vigente, quale quella fatta propria dal T.A.R., frustrerebbe l’intento di comprimere e snellire i tempi di formazione degli strumenti urbanistici attuativi e non sarebbe compatibile con il riparto delle competenze fra organi comunali delineato dal decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Consiglio competente limitatamente agli atti fondamentali espressamente indicati;Giunta organo di governo con competenza generale e residuale).
Gli originari ricorrenti si sono costituiti in giudizio per resistere all’appello che sarebbe:
1. improcedibile, essendo stato notificato in unica copia nonostante la pluralità di parti del giudizio;in subordine, il contraddittorio andrebbe integrato a norma dell’art. 95 c.p.a.;
2. infondato nel merito, quanto all’affermata competenza della Giunta a rigettare la proposta di piano;
3. inammissibile per difetto di interesse: il progetto avrebbe previsto due alternative per superare la presunta criticità dell’assetto viario, e poiché una di queste avrebbe implicato una variante del P.R.G. sarebbe incontestabile la competenza del Consiglio;
4. infondato nel merito, perché la Giunta avrebbe solo poteri esecutivi e attuativi, non potrebbe procedere a una valutazione discrezionale della proposta di piano e sarebbe vincolata al parere tecnico di conformità;nel caso di specie, dunque, non avrebbe potuto aggiungere alcuna valutazione circa l’art. 59 delle N.T.A. In concreto, il parere istruttorio richiamato dalla delibera impugnata sarebbe illegittimo, come già dichiarato a suo tempo dal T.A.R. con la sentenza n. 923/2012, poi riformata dal Consiglio di Stato per soli motivi formali, il che vizierebbe il provvedimento finale anche di invalidità derivata.
Alla camera di consiglio dell’8 settembre 2015 la causa, sull’accordo delle parti, è stata rinviata al merito.
In seguito, alcuni ricorrenti in primo grado hanno impugnato con appello incidentale la sentenza del T.A.R., nella parte in cui ha dichiarato inammissibili i primi sei motivi di ricorso e il vizio di illegittimità derivata e respinto l’azione risarcitoria.
Ripercorsa la complessa vicenda del piano di lottizzazione, a partire dal P.R.G. del 1976, gli appellanti deducono, in rito, le censure che seguono.
1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 34, comma 2, c.p.a.;contraddittorietà della sentenza. Dichiarata l’incompetenza della Giunta, il T.A.R. non avrebbe potuto valutare le altre censure, che avrebbero dovuto essere dichiarate assorbite;
2. Violazione del giusto procedimento e dei principi in tema di illegittimità derivata. Il T.A.R., accertato il vizio del parere istruttorio obbligatorio, lo avrebbe dovuto annullare;ne sarebbe seguito un vizio del procedimento;
3. Eccesso di potere per travisamento delle norme e di fatti determinanti;illogicità e contraddittorietà manifesta della sentenza. La delibera della Giunta avrebbe riproposto la medesima motivazione del parere istruttorio già annullato dal T.A.R., sicché la sentenza impugnata sarebbe errata là dove afferma che la Giunta avrebbe elaborato una motivazione nuova;
4. Eccesso di potere per travisamento, erroneità dei presupposti in fatto e in diritto.
Erroneamente la sentenza avrebbe ritenuto che l’art. 59 delle N.T.A., nel testo novellato nel 2009, non fosse stato considerato nel parere istruttorio del 2010.
Gli appellanti incidentali ripropongono quindi sinteticamente i sei motivi giudicati inammissibili in primo grado.
5. Incompetenza del funzionario istruttorio a rendere il parere, in luogo del dirigente. Il funzionario avrebbe inoltre espresso una valutazione di coerenza del progetto non rispetto alla normativa urbanistica, ma all’interesse pubblico, così usurpando un compito proprio dell’organo politico.
6. Violazione di legge ed eccesso di potere. La Giunta avrebbe affermato che l’area interessata dal progetto avrebbe rilevante valore paesaggistico e sarebbe scarsamente urbanizzata, mentre i vincoli paesaggistici sarebbero rispettati e il piano di lottizzazione servirebbe proprio a fornire le aree di urbanizzazione mancanti. Contrariamente a quanto affermato dalla delibera impugnata, i lottizzanti si sarebbero impegnati a realizzare e cedere i collegamenti stradali alla viabilità esistente.
7. Ancora violazione di legge ed eccesso di potere. Nella parte in cui la delibera avrebbe respinto il progetto con riferimento all’assetto viario trascurerebbe il fatto che la proposta sarebbe stata concordata, se non imposta, dagli uffici comunali.
8. Ancora violazione di legge ed eccesso di potere. La seconda proposta dei privati, determinata dal possibile rifiuto della proposta originaria per la necessità della variante al P.R.G. che avrebbe comportato, sarebbe stata coerente con l’assetto viario esistente, ma respinta in contrasto con il parere tecnico e con motivazioni pretestuose (conflitto con il futuro assetto viario)
9. Ancora violazione di legge ed eccesso di potere. La criticità rilevata dal funzionario istruttore circa una presunta interferenza di fasce di proprietà dell’Acquedotto pugliese sarebbe stata evocata solo genericamente dalla delibera e in concreto superata da una modifica di progetto.
10. Sviamento di potere e ingiustizia manifesta. In realtà l’Amministrazione sarebbe stata mossa dal solo intento effettivo di non approvare la lottizzazione in attesa del nuovo P.U.G., mentre avrebbe acconsentito ad altre lottizzazioni in aree assolutamente periferiche.
11. Gli appellanti incidentali ripetono, infine, la domanda di risarcimento del danno e quella di condanna del Comune a concludere il procedimento in termini perentori, entrambe rigettate dal T.A.R.
In data 18 dicembre 2015 il Comune ha depositato una memoria difensiva.
Il Comune ribatte all’eccezione di improcedibilità dell’appello, riafferma la competenza della Giunta anche per il diniego di approvazione del piano esecutivo, risponde ai motivi dell’appello incidentale.
Gli appellanti hanno risposto con una memoria di replica depositata il successivo 28 dicembre.
All’udienza pubblica del 19 gennaio 2016, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. In via preliminare, il Collegio osserva che la ricostruzione in fatto, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio.
2. Prima di passare all’esame del merito della controversia, sono da vagliare le eccezioni pregiudiziali che le parti reciprocamente si oppongono.
Per i privati, l’appello sarebbe improcedibile, o in subordine imporrebbe l’integrazione del contraddittorio, per essere stato notificato in unica copia nonostante la pluralità di soggetti ricorrenti.
L’eccezione è infondata.
Il Collegio non ha motivo di discostarsi da quanto ha deciso di recente, sul punto specifico, una diversa Sezione di questo Consiglio di Stato (sez. VI, 16 aprile 2015, n. 1944), e cioè che “la recente giurisprudenza, richiamando il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, il quale muove verso una considerazione delle nullità processuali per vizi formali non disgiunta da effettive ragioni sostanziali, ha affermato la validità della notificazione effettuata in unica copia presso il procuratore costituito nonostante la pluralità di parti. Invero, in forza dell'art. 330, comma 1, cod. proc. civ., il procuratore costituito è il destinatario (non il consegnatario) della notificazione dell'impugnazione, perché la norma risponde all'esigenza che le parti vengano a conoscenza dell'atto di impugnazione attraverso il loro difensore, in quanto soggetto professionalmente qualificato (Cass. civ., ss.uu., 15 dicembre 2008, n. 29290).
Anche in caso di pluralità delle parti, il destinatario della notifica è dunque unico. Ne consegue la validità della notificazione effettuata mediante consegna di una sola copia.
Anche il precedente più formale orientamento giurisprudenziale (Cass. civ., ss. uu., 10 ottobre 1997, n. 9859), nel richiedere la consegna al procuratore costituito di tante copie quante erano le parti rappresentate, affermava, tuttavia, che la consegna di un numero inferiore di copie desse luogo un’ipotesi non di inesistenza, ma di nullità della notificazione, sanabile con la costituzione delle parti. Considerato quindi, che nel presente giudizio le parti appellate si sono tutte costituite e difese nel merito la nullità dedotta sarebbe comunque sanata”.
3. Gli appellati sollevano inoltre un’eccezione di inammissibilità del gravame per difetto di interesse. Il progetto avrebbe previsto due alternative per superare la presunta criticità dell’assetto viario;poiché una di queste avrebbe implicato una variante del P.R.G., sarebbe incontestabile (né la contesterebbe il Comune appellante) la competenza del Consiglio.
L’argomento è sottile e merita l’approfondimento che al punto sarà riservato più oltre, ma non può condurre a una decisione in limine sulla base di un passaggio del ricorso in appello (pag. 10), la cui lettura non pare inequivoca.
4. Dal suo canto, il Comune appellante ribadisce l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo per acquiescenza e carenza di interesse, già formulata in primo grado. I ricorrenti non avrebbero impugnato la delibera di Giunta nel punto relativo al contrasto della proposta di piano di lottizzazione con l’art. 59 delle N.T.A. e non potrebbero dunque spendere il medesimo motivo contro la successiva delibera che il Consiglio comunale dovesse adottare in esecuzione della sentenza del Tribunale territoriale.
Neppure questa eccezione è fondata perché, ove fosse confermato che è il Consiglio l’organo competente a decidere sulla proposta, a esso soltanto spetterebbe valutare il profilo di un eventuale conflitto con le N.T.A. in piena autonomia, senza alcun vincolo derivante dal giudizio espresso da un organo (in tesi) incompetente, quale la Giunta.
5. Nel merito della questione, si discute se la più recente normativa nazionale e regionale, ricordata in narrativa, attribuisca alla Giunta comunale la sola competenza ad approvare i piani attuativi conformi al P.R.G. (come ha ritenuto il primo giudice) o anche quella a respingerli (secondo la tesi del Comune).
E’ fuori discussione che le innovazioni normative del 2011 abbiano un obiettivo di snellimento e accelerazione delle procedure urbanistiche.
In tale contesto, esse attribuiscono espressamente alla Giunta comunale il potere di approvare gli strumenti urbanistici attuativi, ponendo il limite della conformità allo strumento urbanistico vigente.
La norma regionale pugliese aggiunge una disposizione ulteriore, di impronta nettamente politica, a salvaguardia del Consiglio, che resta comunque titolare di una competenza residua attivabile su richiesta scritta della maggioranza dei propri componenti.
6. Lo schema appare sostanzialmente semplice. La Giunta può approvare il piano attuativo quando questo è coerente con il P.R.G. (o strumento equipollente);l’esigenza di modifica di quest’ultimo, implicata dal piano attuativo, attiva la competenza del Consiglio.
In linea di massima, la neutralità del piano attuativo rispetto allo strumento generale è condizione necessaria e sufficiente a radicare la competenza della Giunta. E se così è, non vi è ragione per negarne in via generale la competenza in ordine al diniego di approvazione, sulla base di una valutazione dell’interesse pubblico. Infatti, la tesi degli appellati, secondo cui, nell’approvare i piani attuativi, il Consiglio comunale eserciterebbe un potere discrezionale, mentre la Giunta avrebbe meri attuativi ed esecutivi e sarebbe vincolata al parere tecnico di conformità, non ha alcun fondamento: la normativa del 2011 ha disposto un trasferimento di competenza e non ha qualitativamente mutato la natura dell’atto conclusivo del procedimento, sicché è da escludere che, in tale fase, la Giunta sia titolare di poteri più ristretti di quelli che in precedenza spettavano al Consiglio. In termini generali, tale tesi contrasta con l’esigenza di cura dell’interesse pubblico che anche alla Giunta è rimessa e va disattesa.
In definitiva, nelle disposizioni ricordate “approvazione” va intesa non in senso positivo, ma nel significato neutro di “deliberazione”.
Ha ragione il T.A.R. nell’affermare che la competenza della Giunta presuppone ipotesi di “piana soluzione”, ma va poi troppo oltre ritenendo che questa richieda sia la conformità allo strumento generale, il che è pacifico, sia l’esito positivo del procedimento, elemento che invece contraddice le finalità acceleratorie del procedimento perseguite dalle leggi recenti.
7. Questi rilievi - che il Collegio stima opportuni per inquadrare la fattispecie in termini generali - non sono comunque decisivi nel caso in questione, là dove la Giunta, preso atto che la proposta implicava - almeno in una delle sue possibili articolazioni - una variante allo strumento urbanistico generale, avrebbe dovuto prenderne atto, astenersi dal deliberare e rimettere gli atti al Consiglio. Supporre che la Giunta avrebbe potuto comunque decidere e poi, in caso di accoglimento della proposta comportante la variante, attivare la competenza del Consiglio, significherebbe evocare una duplicazione di procedure, con inutile e contraddittorio dispendio di attività amministrativa proprio in contrasto con gli obiettivi che la normativa ricordata ha di mira.A norma dell’art. 42, comma 2, lett. b), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, il Consiglio mantiene sempre la competenza generale in tema di piani territoriali e urbanistici, competenza che si riespande non appena vengano meno le ragioni specifiche (e cioè la conformità della proposta al P.R.G.) che, per successiva norma di legge, ne abbiano comportato il trasferimento in capo alla Giunta.
L’appello principale del Comune è quindi infondato e va respinto, con conferma in parte qua della sentenza impugnata, seppur con motivazione parzialmente diversa quanto alle considerazioni che, nella fattispecie, giustificano in capo al Consiglio e non alla Giunta la competenza a deliberare sulla proposta dei privati (non il carattere di diniego del provvedimento ma la prospettata modifica del P.R.G. che la proposta reca).
8. Occorre dunque passare all’esame dell’appello incidentale dei privati.
Il primo motivo di tale appello censura la sentenza di primo grado perché, dopo avere dichiarato illegittima per incompetenza la delibera della Giunta impugnata, sarebbe passata all’esame delle ulteriori censure del ricorso, dichiarandole inammissibili anziché assorbirle.
Come ha rilevato di recente l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (27 aprile 2015, n. 5), l’art. 34, comma 2, c. p. a. (secondo cui “ in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati ”) è espressione del principio costituzionale fondamentale di separazione dei poteri (e di riserva di amministrazione) che, storicamente, nel disegno costituzionale, hanno giustificato e consolidato il sistema della Giustizia amministrativa. Poiché in tutte le situazioni di incompetenza, carenza di proposta o parere obbligatorio si versa nella situazione in cui il potere amministrativo non è stato ancora esercitato, in tali circostanze il giudice non può fare altro che rilevare, se assodato, il relativo vizio e assorbire tutte le altre censure, non potendo dettare le regole dell'azione amministrativa nei confronti di un organo che non ha ancora esercitato il suo “ munus ”.
Nel caso di specie, si versa in una situazione in cui la pronunzia di assorbimento, piuttosto che facoltativa, è dovuta, sicché un diverso contenuto della decisione è contrario alla legge.
Il motivo è dunque fondato e va accolto, con assorbimento degli altri motivi dell’appello incidentale sino al decimo (compreso) e parziale riforma della sentenza di primo grado.
9. Con l’ultimo motivo dell’appello incidentale, è criticata la reiezione della domanda di risarcimento di danno e di condanna a terminare il procedimento di lottizzazione entro termini perentori.
Il motivo non è fondato.
La sentenza impugnata merita condivisione là dove ha affermato che la domanda risarcitoria è rimasta sfornita di prova e che deve solo riaffermarsi l’ordinario obbligo dell’organo competente (il Consiglio) di concludere il procedimento nei termini di legge.
10. Dalle considerazioni che precedono discende che:
l’appello principale del Comune è infondato e va respinto, con conferma in parte qua della sentenza impugnata con motivazione parzialmente difforme;
l’appello incidentale è in parte fondato (primo motivo), in parte assorbito (motivi da due a dieci), in parte infondato (sul punto della condanna risarcitoria e della condanna a provvedere), con conseguente riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui ha dichiarato inammissibili i motivi del ricorso di primo grado diversi dall’incompetenza.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: ex plurimis , per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.
La novità della questione principale è una ragione sufficiente per compensare fra le parti le spese di giudizio.