Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-02-27, n. 202302005

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-02-27, n. 202302005
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202302005
Data del deposito : 27 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/02/2023

N. 02005/2023REG.PROV.COLL.

N. 00305/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 305 del 2019, proposto da
R L, rappresentata e difesa dagli avvocati A M e A P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Agropoli, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione di Salerno, n. 854/2018.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 13 febbraio 2023 il Cons. Giordano Lamberti e dato atto che nessuno è comparso in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma "Microsoft Teams";

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 – L’appellante R L in data 13.11.1992 ha acquistato la nuda proprietà della villetta ad uso abitazione, con vano box seminterrato con annesse terrazze sovrastanti ed ulteriori pertinenze, sita in Agropoli, alla via San Francesco n. 2 (in N.C.E.U. alla partita 1832 foglio 21, mappale 205 sub 1 e sub 2).

2 – La stessa ha impugnato avanti il TAR per la Campania, sezione di Salerno, l’ordinanza del 17 novembre 2006 con la quale il Comune di Agropoli ha ordinato la demolizione di “ un manufatto di vecchia costruzione adibito a deposito delle dimensioni in pianta di circa m 10,00 m 3,40 e alto esternamente m 2,40 ”, parzialmente interrato, adiacente al fabbricato lato mare in Agropoli, alla via S. Francesco.

2.1 – L’abuso era stato realizzato in area sottoposta a vincolo paesaggistico, in zona 2 del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, e a vincolo idrogeologico.

2.2 – A sostegno del ricorso, ha dedotto che:

- il manufatto di cui si lamenta l’abusività è stato edificato ed accatastato insieme alla villetta di cui costituisce pertinenza ed è preesistente all’acquisto della proprietà immobiliare da parte del dante causa della ricorrente, risalente al 17.1.1971;

- la demolizione dell’opera comporterebbe il crollo della sovrastante villetta;

- di essere estranea alla commissione dell’abuso e di non poter dunque essere ritenuta responsabile per esso;

- l’ordinanza non motiva in ordine all’interesse pubblico alla demolizione attuale e concreto, tenuto conto della antica edificazione del manufatto e della posizione consolidata del privato;

- l’ordinanza non dà conto delle verifiche compiute per affermare la natura “abusiva” dell’intero manufatto seminterrato;
ove mai fosse stata rilevata la “difformità” rispetto al titolo abilitativo originario, sarebbe stata necessaria l’esatta identificazione della parte difforme, al fine di identificare correttamente e senza incertezze le opere oggetto della demolizione;

- è stata del tutto omessa la fase partecipativa del procedimento, non essendo stata notificata alcuna comunicazione di avvio del procedimento;
né è stata mai resa disponibile la relazione del responsabile U.T.C. del Comune di Agropoli richiamata nell’ordinanza medesima.

3 – Il TAR adito, con la sentenza indicata in epigrafe, ha respinto il ricorso.

4 – L’originaria ricorrente ha impugnato tale pronuncia per i motivi di seguito esaminati.

5 – Con il primo motivo contesta il passaggio della sentenza impugnata in cui si legge che sarebbe “ sfornita di prova la deduzione di parte ricorrente circa la natura legittima e non abusiva del vano in questione ”.

Secondo l’appellante, il T.A.R. avrebbe omesso di considerare la fondamentale circostanza - pur puntualmente evidenziata in ricorso - che il “ vano box seminterrato con annesse terrazze sovrastanti ” costituisce una mera pertinenza dell’opera principale rappresentata dalla “ casa di abitazione ” (cfr. rogito del 1971) o “ villetta ad uso abitazione ” (cfr. rogito del 1992).

La legittima edificazione di detto bene principale costituisce circostanza incontestata e pacifica (difatti non è oggetto dell’ordinanza demolitoria) e il relativo titolo abilitativo non può non avere riguardato anche le opere pertinenziali, tra cui il “ vano box seminterrato con annesse terrazze sovrastanti ”, edificato e poi accatastato contestualmente alla villetta, come si evince dai due rogiti notarili acquisiti agli atti del giudizio di primo grado.

5.1 – La censura è infondata.

L’appellante non ha provato la sussistenza di un titolo edilizio a legittimazione del manufatto oggetto dell’ordine di demolizione.

La natura di pertinenza, sotto il profilo civilistico (tale nozione assume invece un diverso significato dal punto di vista edilizio), dell’adiacente villetta non vale a costituire la prova della legittimità edilizia del manufatto.

A tal fine è necessario che il manufatto fosse previsto (e autorizzato) nel titolo che ha legittimato il fabbricato principale, o in un successivo titolo che ha interessato l’immobile.

Sono invece irrilevanti sia gli atti contrattuali che lo ricomprenderebbero, sia il suo accatastamento.

Quanto al primo profilo, si deve infatti condividere la giurisprudenza, secondo cui “ Il riferimento ad un atto notarile di compravendita, da un lato, non consente di ritenere che i beni compravenduti, soltanto perché trasferiti mediante un atto notarile, fossero legittimi sul piano urbanistico, occorrendo a tali fini avere riguardo alla disciplina edilizia e, dunque, al possesso effettivo del titolo abilitativo o alla collocazione temporale delle opere in un periodo in cui non era prescritto il rilascio di tale titolo edilizio;
dall’altro, non permette neppure di ritenere provata la datazione delle opere oggetto di acquisto, pure ove indicata nell’atto notarile
” (Cons. St., sez. VI, 12/09/2022, n. 7899).

Quanto al secondo profilo, giova ricordare che per giurisprudenza pacifica l’accatastamento ha valenza solo a fini fiscali e non vale certo a legittimare, sotto il profilo edilizio, il manufatto (Cons. Stato, Sez. IV, n. 666 del 2013: “ l’accatastamento costituisce adempimento di tipo fiscale - tributario che fa stato ad altri fini, non atteggiandosi a strumento idoneo ad evidenziare una situazione di conformità edilizia ”).

Alla luce delle considerazioni che precedono non sussiste la prova della prospettata legittimità edilizia del manufatto oggetto dell’ordine di demolizione.

6 – Sotto altro profilo, l’appellante contesta la sentenza appellata laddove, in merito alle censure sollevate al motivo del ricorso di primo grado I.2, ne afferma la infondatezza, rilevando che la dedotta non demolibilità dell’opera, senza pregiudizio per la restante parte del fabbricato, non inficia la legittimità della ordinanza di demolizione perché costituisce “questione propria della fase esecutiva”.

6.1 – La censura è infondata.

La motivazione della sentenza del TAR al riguardo risulta conforme alla giurisprudenza.

L’ordinanza di demolizione è atto necessitato a seguito della constatazione dell’abuso. Trattasi di atto vincolato, rispetto al quale all’amministrazione non è attribuito alcun margine di discrezionalità ( cfr. Cons. St., sez. V, 17/09/2008, n. 4446).

Nel caso in cui non sia concretamente possibile procedere al ripristino, sarà il Comune a valutare, in un secondo tempo, tale eventualità, senza che ciò incida sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione oggetto del presente giudizio;
invero, come più volte precisato dalla giurisprudenza, tale questione deve essere valutata a valle del provvedimento di demolizione, laddove ne sussistano i relativi presupposti (cfr. Cons. St., sez. VI, 23/11/2017, n. 5472;
Cons. St., sez. VI, 29/11/2017, n. 5585).

7 – Con il secondo motivo, l’appellante contesta l’affermazione del TAR per cui “ la risalenza del manufatto e la non riconducibilità della realizzazione dello stesso alla ricorrente, odierna proprietaria, neppure costituiscono motivi di illegittimità dell’ordinanza demolitoria ”.

Secondo l’appellante, sarebbe certa la sua assoluta estraneità sia alla realizzazione del seminterrato di cui si ordina la demolizione, sia al successivo intervento nello stesso del 1981.

7.1 – La censura è infondata.

L’ordine di demolizione può essere adottato anche nei confronti del proprietario attuale non responsabile dell’abuso, giacché quest’ultimo costituisce illecito permanente e l’ordine di demolizione ha carattere ripristinatorio, non prevedendo l’accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la realizzazione dell’abuso (ex multis, Cons. St., sez. VI, 22/11/2022, n. 10266;
Cons. St., sez. II, 05/11/2019, n. 7535: “ nel caso di realizzazione di opere edilizie abusive, è considerato responsabile anche il proprietario, non in forza di una sua responsabilità effettiva o presunta nella commissione dell’illecito edilizio, ma in virtù del suo rapporto materiale con la res. Egli è, infatti, titolare di obblighi di collaborazione attiva, tra cui rientra senz'altro la rimozione di un abuso edilizio, indipendentemente dal fatto che egli fosse o meno responsabile di tale illecito ”.

Tali principi sono inoltre desumibili dalla pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 2017, secondo cui “ gli ordini di demolizione di costruzioni abusive, avendo carattere reale, prescindono dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante l’immobile, applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico violato ”.

Non è possibile addivenire ad una diversa conclusione sulla base dell’art. 29 TU Edilizia citato da parte appellante, che riguarda il pagamento delle sanzioni pecuniarie e delle spese per l’esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, cui sono tenuti il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore, e che esenta costoro dalle spese in considerazione nel caso dimostrino di non essere responsabili dell’abuso, restando peraltro ferma la demolizione delle opere realizzate.

8 – Con il terzo motivo di appello si sottopone a censura la decisione impugnata laddove respinge il terzo motivo del ricorso di primo grado in merito alla omessa motivazione, da parte della P.A., sull’interesse pubblico attuale a demolire l’opera.

8.1 – La censura è infondata.

Il TAR ha fatto corretta applicazione dell’orientamento da ultimo affermatosi in base al quale “ il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino ” (Cons. St., Ad. Plen., 17/10/2017, n. 9).

9 – Con il quarto motivo, l’appellante censura la sentenza impugnata laddove respinge il IV motivo di ricorso, rilevando che “ la ricorrente non ha, essa, dato compiuto conto della allegata legittimità di alcun originario manufatto ”.

A tal fine l’appellante, oltre a richiamare le circostanze dedotte con il primo motivo di appello, prospetta che al più la P.A. avrebbe potuto contestare una mera “difformità” rispetto al titolo concessorio originario del bene principale e delle relative pertinenze (difformità cioè relativa alle sole opere realizzate nel vano seminterrato nel 1981 per la messa in sicurezza della villetta danneggiata dal sisma del 1980).

9.1 – La censura è infondata.

Il TAR ha correttamente evidenziato l’irrilevanza della questione inerente alla distinzione tra (eventuale) preesistenza e interventi successivi, statuendo che “ La detta irrilevanza emerge in maniera anche più evidente ove si ponga mente alla circostanza, emergente nell’ordinanza impugnata, che gli interventi successivi sarebbero stati realizzati su immobili interessati da vincoli paesaggistici, di parco e idrogeologici, il che determina l’indifferenza, sul piano sanzionatorio, della natura degli interventi realizzati, tutti soggetti a sanzione demolitoria ove non preceduti, come nel caso in esame, da autorizzazione dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo (cfr., ex pluris, Cons. di Stato, nn. 1478/2018 e 62/2013;
TAR Campania, Napoli, n. 4355/2017)
”.

Infatti, ai sensi dell’art. 27, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, l’ordine di demolizione di opera abusivamente realizzata su area vincolata ha carattere obbligatorio.

10 – Con il quinto motivo, l’appellante deduce che l’appellata sentenza è errata anche nella parte in cui respinge il V motivo del ricorso in ordine all’omessa comunicazione di avvio del procedimento da parte della P.A. procedente.

Secondo l’appellante, parimenti fondato era il motivo dedotto al motivo V n. 2, circa la omessa disponibilità della relazione del responsabile dell’U.T.C. del Comune di Agropoli del 15.11.2006 richiamata nell’ordinanza e posta a base della stessa, in violazione del 3° comma dell’art. 3 della L. 241/90.

10.1 – La censura è infondata.

Nel caso in esame, deve essere disatteso ogni rilievo con il quale si lamenta l’omissione degli adempimenti partecipativi ex art. 7 e seguenti, legge n. 241/1990. Invero, per quanto attiene a quest’ultima violazione procedimentale, in primo luogo, e in termini generali, va ribadito che l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce attività vincolata della p.a., con la conseguenza che ai fini dell’adozione delle ordinanze di demolizione non è necessario l’invio della comunicazione di avvio del procedimento, non potendosi in ogni caso pervenire all’annullamento dell’atto alla stregua dell’art. 21-octies, legge 241/1990 (cfr. Cons. St., sez. IV, 17/02/2014, n. 734;
Cons. St., sez. V, 06/06/2012, n. 3337;
Cons. St., sez. IV, 10/08/2011, n. 4764).

In riferimento al secondo rilievo, giova inoltre ricordare che, in relazione alla motivazione, la giurisprudenza di questo Consiglio è costante nell’affermare che l’attività di repressione degli abusi edilizi costituisce attività vincolata. Ne consegue “ che l’ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell’abuso corrisponde per definizione all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, con la conseguenza che essa è già dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività ” (Cons. Stato, sez. VI, 6/02/2019, n. 903).

11 – Per le ragioni esposte l’appello va respinto.

Non è necessario provvedere sulle spese di lite, stante la mancata costituzione in giudizio di parte appellata.

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