Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-05-12, n. 202103729

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-05-12, n. 202103729
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202103729
Data del deposito : 12 maggio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/05/2021

N. 03729/2021REG.PROV.COLL.

N. 09046/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso NRG 9046/2017, proposto da Reti Televisive Italiane - RTI s.p.a., corrente in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avv.ti L M, M M e G R, con domicilio eletto in Roma, via Panama n. 58,

contro

l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - AGCOM, in persona del Presidente pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12,

per la riforma

della sentenza del TAR Lazio, sez. III, n. 9821/2017, resa tra le parti, concernente il provvedimento AGCOM n. 175/06/csp del 20 dicembre 2006, con cui è stata irrogata all’appellante la sanzione pecuniaria di € 100.000,00, per violazione dell'art. 4, co. 1, lett. b) del D.lgs. 31 luglio 2005 n. 177,

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’AGCOM;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all'udienza pubblica del 24 settembre 2020 il Cons. Silvestro Maria Russo;

Dato atto che nessuno è presente per le parti, avendo i loro avvocati presentato istanza congiunta di passaggio in decisione della causa;


Ritenuto in fatto che:

– nel corso del programma televisivo « Grande Fratello » trasmesso sull’emittente Canale 5 del Gruppo RTI s.p.a., alle ore 23,57 del 4 novembre 2004, uno dei concorrenti diede in escandescenze, usando un linguaggio blasfemo;

– com’è noto, tal programma appartiene alla categoria dei c.d. reality show , ove i soggetti coinvolti operano in un contesto ove le riprese avvengono in diretta e al di fuori d’un copione predefinito, sì da impedire ogni preventiva censura o interventi che cancellino od oscurino immediatamente la visione e l’ascolto di comportamenti illeciti istantanei di costoro;

– la RTI s.p.a., corrente in Roma e soggetto gestore dell’emittente stessa esclude, a suo dire, ogni sua culpa in eligendo per il concorrente che commise tal illecito, essendo questi stato sottoposto ad un’attenta verifica al fine di valutarne l’adeguatezza a partecipare al programma, oltre ad aver egli previamente accettato, come ogn’altro concorrente, il regolamento comportamentale (che vietava condotte scurrili) e ricevuto copia e lettura integrale del Codice di autoregolamentazione per la TV ed i minori;

– detto concorrente fu immediatamente espulso e, pur avendo pronunciato parole di pentimento e deplorato tal suo condotta, non gli fu più concessa altra possibilità d’apparizione sulle reti RTI;

– tuttavia, l’AGCOM ravvisò in tal vicenda la violazione, da parte dell’emittente e della RTI s.p.a., dell’art. 4, co. 1, lett. b) del D.lgs. 31 luglio 2005 n. 177, onde iniziò, con l'atto di contestazione n° proc. 1427-fb in data 2 agosto 2006, il relativo procedimento sanzionatorio;

– in esito a quest’ultimo e con provvedimento n. 175/06/CSP del 20 dicembre 2006, l’Autorità accertò la responsabilità di detta Società e le irrogò la sanzione pecuniaria di € 100.000, ritenendo: a) che «… la pronuncia di una bestemmia è idonea a suscitare nei minori la legittimazione di un linguaggio aggressivo e blasfemo, configurandosi, nel suo insieme, come nociva degli interessi morali, etici e di corretto sviluppo degli stessi nonché, comunque, offensiva del sentimento religioso …»;
b) l’irrilevanza del fatto che l’illecito avvenne poco prima della mezzanotte, trattandosi di un «… programma di largo ascolto a interesse progressivamente crescente, che ha avuto inizio in prima serata …»;
c) l’irrilevanza inoltre dell’imprevedibilità dell’accaduto, «… dovendo aversi riguardo esclusivamente all’effetto oggettivamente prodotto dalla pronuncia della bestemmia e dovendo escludersi ogni valutazione in ordine all’assenza di intenzionalità …»;

Rilevato allora che:

– avverso tal statuizione e gli atti presupposti, la RTI s.p.a. si gravò innanzi al TAR Lazio, con il ricorso NRG 3215/2007, deducendo: 1) – il mero richiamo dell’AGCOM ai principi enunciati da Cass., 6 aprile 2004 nn. 6759 e 6760 (con riguardo all’analoga fattispecie di cui al previgente art. 15, co. 10 della l. 6 agosto 1990 n. 223, che contemplava i due distinti illeciti, l’uno di pericolo concreto e l’altro di pericolo presunto), senza indicare in modo specifico gli elementi concreti per cui l’illecito commesso nella citata trasmissione avrebbe leso lo sviluppo dei minori, visto che la ricorrente che il programma non avallò in alcun modo la bestemmia e censurò la condotta del partecipante, fermo restando che, in relazione all’orario in cui essa fu tenuta e nonostante il largo ascolto della trasmissione a interesse progressivamente crescente, non si poté escludere la normale assenza del pubblico di minori;
2) – l’erronea interpretazione dell’art. 35, co. 2 del D.lgs. 177/2005, quasi che detta norma avesse configurato un’ipotesi di responsabilità oggettiva (rendendo così superflua ogni indagine sull’atteggiamento della ricorrente verso l'illecito contestato), sì da violare l’art. 3 della l. 24 novembre 1981 n. 689 ed omettendo di considerare l’impossibilità, per le trasmissioni in diretta, di prevedere le reazioni ingiuriose di uno dei partecipanti, salvo l’obbligo di selezionare i partecipanti al fine di evitare rischi diseducativi;
3) – l’omessa considerazione, da parte dell’Autorità, che la vicenda riguardò espressioni avulse dal resto della trasmissione, senza alcuna responsabilità diretta della ricorrente e in un orario successivo alla fascia protetta (ossia, in assenza di minori), irrilevante essendo il richiamo ad un analogo episodio già sanzionato, avvenuto in un diverso reality show trasmesso da altra emittente della ricorrente, sebbene si fosse trattato di un fatto isolato e risalente nel tempo;

– l’adito TAR, con sentenza n. 9821 del 19 novembre 2017, respinse integralmente la pretesa così azionata, essenzialmente perché: A) la giurisprudenza della Cassazione non qualificò il regime posto dall’art. 4, co. 1, lett. b), del D.lgs. 177/2005 come illecito di pericolo concreto anche a fronte del disposto di cui all’art. 2.5) del Codice di autoregolamentazione e, anzi, confermò che la fattispecie ex art. art. 15, co. 10 della previgente l. 223/1990 avesse integrato un’ipotesi d’illecito di pericolo astratto per il bene giuridico del buon costume (inteso come corretto sviluppo e libera formazione dei minori), come s’evince dal citato art. 2.5);
B) la vicenda costituì un’ipotesi d’illecito di pericolo astratto, donde l’irrilevanza sia dell’orario in cui messa in onda la trasmissione (anche se fuori dalla fascia di televisione per tutti), sia delle misure repressive assunte dalla ricorrente (solo successive alla consumazione dell’illecito);
C) l’Autorità sanzionò la Società ricorrente non per responsabilità oggettiva, bensì per motivate ragioni di culpa in vigilando , non avendo infatti gli organizzatori del programma approntato ogni cautela preventiva, atta ad evitare situazioni che potessero recare nocumento ai minori, per cui non pertinente fu il richiamo alla giurisprudenza sulla irresponsabilità della emittente per illeciti di diffamazione commessi da terzi in trasmissioni in diretta, ove, però, l’ospite era stato invitato occasionalmente;
D) – la pronuncia di un’espressione blasfema non fu certo una sortita imprevedibile, sicché la ricorrente ben avrebbe dovuto adottare meccanismi di controllo sui dialoghi dei partecipanti;

– appellò quindi la RTI col ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità della gravata sentenza per:

I) – l’indebita integrazione postuma della motivazione del provvedimento di AGCOM (che non fece alcun riferimento al Codice di autoregolamentazione, peraltro applicabile solo alla fascia della “televisione per tutti”) e, comunque, l’art. 2.5) di detto Codice al più riguardava gli spettacoli che “ per impostazione o per modelli ” erano nocivi per i minori e non certo Il Grande Fratello , che non ebbe e non ha ictu oculi una siffatta impostazione, ma nel quale si verificò un (isolato) episodio sì disdicevole, però avulso dal contesto del programma medesimo e dallo stesso non “provocato” e, in ogni caso, non si versò in un’ipotesi di illecito amministrativo di pericolo astratto (questi ultimi son delineati in modo preciso dal legislatore), né in alcuna vicenda di concreto pericolo per lo sviluppo psichico dei minori;

II) – aver voluto l’Autorità sì ascrivere all’appellante un illecito a titolo di colpa (cioè una culpa in vigilando sulla rispondenza delle trasmissioni alla normativa vigente), ma non tenendo conto che in tal caso il contenuto dell’obbligo di vigilanza varia a seconda del tipo di programma e l’idoneità delle relative misure è valutabile non ex post (come piuttosto fecero l’Autorità ed il TAR, onde, in pratica, il mero verificarsi dell’evento non voluto finirebbe sempre per dimostrare l’inidoneità delle cautele adottate, cioè una responsabilità oggettiva), ma ex ante (tenendo conto delle peculiarità del caso concreto), con la precisazione che, per le trasmissioni in diretta, un controllo ex ante è limitato al genere del programma ed alla scelta dei relativi partecipanti e che non è possibile prevedere con assoluta certezza le reazioni umane, a pena di esigere controlli preventivi impossibili;

III) – l’evidente sproporzione, tenuta in non cale dal TAR, della sanzione pecuniaria applicata, pari a quattro volte il minimo edittale e senza tener conto delle circostanze di un illecito d’impeto, in sé non prevedibile, improvviso, né rimediabile nell’immediato;

– s’è costituita in giudizio l’AGCOM, concludendo in modo articolato per il rigetto dell’appello;

Considerato in diritto che:

– come s’è accennato nelle premesse in fatto, la vicenda sanzionata dall’AGCOM accadde durante il programma televisivo « Grande Fratello », trasmesso il 4 novembre 2004 sull’emittente Canale 5 del Gruppo RTI s.p.a., quando, alle ore 23,57, uno dei concorrenti diede in escandescenze, usando un linguaggio blasfemo, in violazione dell’art. 4, co. 1, lett. b) del D.lgs. 177/2005 (vecchio testo), recante le norme sui principi generali del sistema radio televisivo a garanzia degli utenti;

– in particolare, tal disposizione recitava («… la disciplina del sistema radiotelevisivo, a tutela degli utenti, garantisce:… la trasmissione di programmi che rispettino i diritti fondamentali della persona , essendo, comunque, vietate le trasmissioni che contengono… incitamenti all'odio comunque motivato o che inducono ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità o che, anche in relazione all'orario di trasmissione, possono nuocere allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori o che presentano scene di violenza gratuita o insistita o efferata ovvero pornografiche, salve le norme speciali per le trasmissioni ad accesso condizionato che comunque impongano l'adozione di un sistema di controllo specifico e selettivo

…»);

– come si vede, da un lato, non sono consentite trasmissioni (quindi, le singole emissioni televisive, a prescindere dalla loro natura, dal loro oggetto o dal loro particolare format ) che non rispettino i diritti fondamentali, inducano ad atteggiamenti d’intolleranza d’ogni tipo (l’elenco era meramente esemplificativo) o che nuocciano allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori (in ogni caso, al di là anche del segmento temporale della c. d. “televisione per tutti”);

– dall’altro lato e sebbene ciò sia obbligatorio in modo specifico per le trasmissioni ad accesso condizionato, s’evince dalla serena lettura della norma sulle garanzie che la necessità di un’attenta predisposizione ex ante d’un acconcio sistema di controllo, specifico e selettivo, pur facoltativo, è comunque una misura suggerita dal principio di precauzione per quelle trasmissioni il cui format , pure se non inibito nel segmento della “televisione per tutti”, tende (se non mira) al compiacimento, all’induzione o alla tolleranza verso episodi estremi;

– in altre parole, al di là dell’indubbio effetto d’un tal format sul pubblico meno smaliziato —che spera sempre d’assistere a talune pruderie o ad un voyeurismo gladiatorio, perlopiù derivanti dalle forzate convivenze di personalità disparate nei reality show —, anzi, appunto per questo occorre, a cura dell’emittente, l’assunzione di misure cautelative ex ante , cioè sempre pronte ad attivarsi per elidere tempestivamente scene o parole inappropriate, che non è, tra i vari possibili, un gravoso ed inesigibile apparato di controllo o, comunque, non è offerta una seria prova contraria;

– esso sembra (anzi, è) piuttosto il rimedio ordinario e rapido d’intervento nei casi di trasmissioni che riprendano, dal vivo e senza intermediazioni di sorta, i comportamenti di comunità umane talvolta assortite in guisa da far prevedere conflitti , ristrette in ambiti che non permettono altri tipi d’interazioni che non quelli interni e comunque poco aduse a mediare con calma neppure le minime difficoltà scaturenti dalla convivenza o divergenze di comportamenti o idee, cose, queste, assai probabili e ben prevedibili, quindi tali da poter esser gestite in base a dati segnali d’ascolto e d’attenzione a situazioni anomale che possano montare negativamente in fretta;

– già fin d’ora è facile replicare all’appellante che, se, negli illeciti per culpa in vigilando in ordine alla congruenza di trasmissioni alla normativa vigente, il contenuto dell’obbligo di vigilanza varia a seconda del tipo di programma, allora il tipo in esame, a causa delle aspettative di chi assiste e per la volontà dei protagonisti d’offrire la visione d’uno spaccato di vita al contempo artificioso e senza veli, impone per forza una catena di controlli d’attenzione crescente e ridondante, atta a prevenire le situazioni di pericolo più che probabile, se del caso smorzando luci ed audio ancor prima che la condotta dannosa si realizzi, come, p.es., avviene quando si mette in blocco una tratta ferroviaria se son segnalate anche mere anomalie di rete e non anche danni concreti;

– rettamente il TAR ha rammentato come, pure nel caso in esame, il richiamo attoreo ad arresti della Suprema Corte, ben lungi dall’elidere ogni responsabilità dell’appellante, ne avesse integrato un’ipotesi d’illecito amministrativo di pericolo astratto per il bene giuridico tutelato (cioè il corretto sviluppo e libera formazione dei minori) sotto il regime non solo del previgente art. 15, co. 10 della l. 223/1990, ma anche dell’art. 4, co. 1, lett. b) del D.lgs. 177/2005, quindi prescindendo, stante il chiaro dato testuale della norma, dall’orario in cui l’illecito si consumò in concreto e dalla materiale circostanza che tal condotta fosse avvenuta fuori dal segmento della “televisione per tutti”;

– invero, il legislatore, in modo ragionevole e congruente con le esigenze di tutela di beni giuridici e diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino, vietò tout court ed espressamente le trasmissioni «… che, anche (ma non solo-NDE) in relazione all'orario di trasmissione , possono nuocere allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori …»;

– fu proprio l’art. 2.5), lett. b) del Codice di autoregolamentazione media e minori (approvato il 29 novembre 2002 e richiamato dall’art. 34, co. 6 del D.lgs. 177/2005) ad impegnare tuttavia le emittenti a «… non trasmettere quegli spettacoli che per impostazione o per modelli proposti possano nuocere allo sviluppo dei minori (oggetto del provvedimento AGCOM, ma rispondente ad un principio generale sul rispetto del sentimento religioso-NDE) , e in particolare ad evitare quelle trasmissioni … nelle quali si faccia ricorso gratuito al turpiloquio e alla scurrilità nonché si offendano le confessioni e i sentimenti religiosi …», donde l’obbligo dell’emittente d’approntare ex ante gli strumenti tecnici più adeguati ed opportuni, proprio desumendoli dalla scelta dei concorrenti e dall’osservazione in continuo aggiornamento delle loro personalità ed atteggiamenti;

– a parte che le attività pericolose sono anche quelle atipiche (ma in realtà, in base al citato art. 4, si tratta di pericolosità tipica), tal divieto connotò di pericolosità del tipo ex art. 2050 c.c. l’attività delle emittenti televisive, per quelle trasmissioni che, per oggetto o natura, potessero intercettare e, se del caso, ledere i citati beni giuridici protetti, rispondendo quindi l’emittente sia per il format in sé che per il comportamento lesivo dei soggetti da essa organizzati nelle singole trasmissioni;

– in tal caso la responsabilità per violazione dell’art. 4, co. 1, lett. b) del D.lgs. 177/2005 e dell’art. 2.5), lett. b) del Codice di autoregolamentazione (quest’ultimo non richiamato espressamente dal provvedimento impugnato, ma sotteso alla fonte primaria e parte integrante della fattispecie reale) è accollata all'emittente per non aver attuato misure acconce a fronte di un'attività ontologicamente pericolosa per com’è stata conformata dal legislatore, per cui la prova liberatoria si risolve non nella dimostrazione del solo caso fortuito (peraltro invocato dall’appellante, ma a torto) che interrompa il nesso causale tra l'attività pericolosa e la condotta illecita, ma nell’approntamento di misure tanto preventive, quanto in corso di trasmissione secondo la regola del “ principiis obsta ” (p. es., mercé l’intervento della regia quando inizino ad intravvedersi atti o comportamenti anomali), confacenti, cioè, a quel tipo di trasmissioni ove la normalità è il lasciar correre parole in libertà, non certo la misura, il riserbo, la calma e l’autocontrollo;

– quindi prova troppo tanto l’assunto attoreo per cui l’idoneità delle misure cautelative non sia valutabile o non debba esser valutato ex post (giacché, a suo dire, il sol fatto dell’evento non voluto dimostrerebbe sempre e comunque l’inidoneità delle cautele adottate, dando luogo a responsabilità oggettiva), quanto quello secondo cui, nelle trasmissioni in diretta, il controllo ex ante è limitato al genere del programma ed alla scelta dei relativi partecipanti;

– infatti, nell’un caso, la consumazione dell’illecito, che per forza di cose è valutato ex post , è anche la conseguenza di un’inefficacia specifica delle misure preventive messe in campo, ma non è per forza connotante d’una responsabilità oggettiva, anzi, al contrario è spia di come non basti la scelta oculata dei partecipanti, che è misura generica e buona per ogni tipo di programma, occorrendo ulteriori misure durante lo svolgimento del programma quindi ex ante e tenendo conto di come il pericolo di comportamenti degenerativi sia la cifra specifica di quel format precipuo e non di altri;

– nell’altro caso, poiché non tutti ma solo taluni format televisivi s’appalesano ictu oculi ben più pericolosi di altri, a tal evidenza fattuale l’emittente non può opporre l’impossibilità di prevedere con assoluta certezza tutta la gamma delle reazioni umane, non essendo questo quanto richiestole, mentre essa sarebbe stata obbligata a fornire la prova positiva d’aver impiegato ogni cura o misura atta ad impedire l'evento dannoso come rettamente sottolinea il TAR, in qualunque orario, solo nel qual caso si sarebbe potuto apprezzare eventualmente il caso fortuito;

– tutto questo non è accaduto ed appalesandosi le misure attuate tanto labili da coglier di sorpresa l’emittente stessa di fronte ad un comportamento anomalo del partecipante, più che incontrollabile, a ben vedere non controllato;

– petizioni di principio appaiono allora la predicata estraneità dell’atto illecito del partecipante al contesto del programma (invece questo vuol mostrare tutti i tipi di comportamenti dei partecipanti stessi, per cui il fatto fu disdicevole in sé, non avulso dal predetto contesto), l’assenza di causazione dell’emittente nella condotta illecita (ché ciò ne avrebbe connotato la responsabilità a titolo di dolo specifico), l’assenza d’un concreto pericolo per lo sviluppo psichico dei minori (non vale l’ora tarda per escludere a priori tal pregiudizio verso i minori) e l’inconfigurabilità della natura astratta del pericolo delineato dalle norme citate, che pongono clausole generali di protezione, come quelle ex artt. 2049 e 2050 c.c. (cui pure assomigliano);

Considerato altresì che:

– non sfugge al Collegio la sentenza n. 2300/2020, con la quale la Sezione ha trattato ed accolto un appello simile a quello in esame, affermando che la pronuncia di un’espressione blasfema, sebbene sia una condotta illecita (anche penale, ai sensi dell’art. 724 c.p.), non appare di per sé sufficiente ad integrare l’illecito amministrativo contestato all’odierna appellante, la relativa verifica non potendo limitarsi a prendere in considerazione il singolo, isolato episodio ma dovendo estendersi piuttosto all’intero contenuto del programma televisivo;

– in quel caso, come nella specie, « … le circostanze esaminate dall’Autorità per accertare la pericolosità concreta della condotta contestata, da un lato, conducono ad un giudizio opposto a quello sotteso al provvedimento sanzionatorio (orario di trasmissione in fascia diversa della “televisione per tutti”), dall’altro, non riguardano lo specifico contesto in cui la condotta è stata tenuta, richiamando elementi astratti (tipologia del programma), per propria natura inidonei a sorreggere una valutazione da ancorare al caso concreto …»;

– in base a nuove riflessioni il Collegio avrebbe ragione di discostarsi dagli approdi ai quali tal sentenza è pervenuta (per i motivi prima esposti in diritto), ma è tenuto ad esprimere alcune precisazioni rispetto ai risultati colà esposti, in un primo isolato caso dove era stata pronunciata un’ espressione blasfema, perché proprio la reiterazione degli episodi in format analoghi –testimoniata dal caso in esame– va attentamente meditata imponendo a questo punto l’adozione di cautele riconducibili al dovere di vigilanza;

– tanto al fine d’evitare il ripetersi di simili condotte, evidentemente non contrastate dalle cautele adottate, concludendosi quindi che, nella specie, si trattò d’una culpa in vigilando derivante da un chiaro, ma non giustificato difetto di misure avanzate di controllo, raffreddamento e correzione di vicende anomale o in via di degenerazione, difetto, questo, evidenziato proprio dall’illecito, anzi da una sua evidente sottovalutazione od omessa previsione (dunque, imperizia e negligenza), al di là degli intenti o dei buoni propositi dei produttori e della stessa emittente;

– come meglio si dirà appresso, essendo lesivo pure un programma al cui interno, con turpiloquio del tutto gratuito, si insultarono le confessioni religiose con l’utilizzo di espressioni irriguardose tali da nuocere ai minori, l’appellante aveva l’obbligo di astenersi dal mandare in onda una qualunque trasmissione che, indipendentemente dal genere , per i propri contenuti potesse ledere lo sviluppo fisico, mentale e morale dei minori, in assenza di acconce misure preventive di garanzia specifica per evitare tal nocumento;

– ovviamente, un siffatto obbligo, secondo un equo bilanciamento tra il principio di precauzione e il principio di proporzionalità, una volta commesso l’illecito per la culpa in vigilando , non poteva che esser sanzionato (come in effetti accadde nella specie), rammentando che la sanzione aveva colpito tal mancanza di precauzioni idonee ad evitare il più che probabile pericolo del turpiloquio, pericolo crescente quando si assista a scatti incontrollati di ira, almeno a favore dei soggetti più deboli, ossia i minori;

– in secondo luogo, è consapevole il Collegio come l’art. 3 della dir. n. 89/552/CEE e s.m.i., nel testo ratione temporis applicabile alla fattispecie, avesse previsto sì la possibilità per gli Stati membri di chiedere alle emittenti televisive di rispettare norme più particolareggiate o più rigorose nel settore oggetto di regolazione, avvertendo al contempo l’esigenza d’assicurare il bilanciamento tra le esigenze di tutela dei minori e della dignità umana nei servizi audiovisivi e d’informazione, da un lato e quelle di diffusione e distribuzione di servizi televisivi (costituente una manifestazione specifica della libertà d’espressione, sancito dall'art. 10, § 1 della Convenzione sulla salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali), dall’altro;

– la direttiva aveva stabilito, in subiecta materia , all’art. 22, l’obbligo che «… le trasmissioni delle emittenti televisive… non contengano alcun programma che possa nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni… (obbligo, questo, applicabile) … anche agli altri programmi che possono nuocere allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, a meno che la scelta dell'ora di trasmissione o qualsiasi altro accorgimento tecnico escludano che i minorenni che si trovano nell'area di diffusione assistano normalmente a tali programmi… (se del caso, ove) ... tali programmi siano trasmessi in chiaro, gli Stati membri fanno sì che essi siano preceduti da un'avvertenza acustica ovvero siano identificati mediante la presenza di un simbolo visivo durante tutto il corso della trasmissione …» e, al successivo art. 22-bis, che «… gli Stati membri fanno sì che le trasmissioni non contengano alcun incitamento all'odio basato su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità …»;

– ad avviso del Collegio, l’art. 4, co. 2, lett. b) del D.lgs. 177/2005, nel fissare «… la disciplina del sistema radiotelevisivo, a tutela degli utenti, garantisce:… la trasmissione di programmi che rispettino i diritti fondamentali della persona , essendo, comunque, vietate le trasmissioni che contengono… incitamenti all'odio comunque motivato o che inducono ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità o che, anche in relazione all'orario di trasmissione, possono nuocere allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori …», aveva così stabilito un complesso di garanzie e di correlati obblighi omeomorfi a quelli scaturenti dal combinato disposto degli artt. 22 e 22-bis della direttiva, onde la differenza tra il divieto assoluto ed il divieto relativo di trasmissioni nocive ai minori, evincibile dalle citate disposizioni UE, fu certo giustificata dal richiamo al principio di proporzionalità nell’applicazione di tali divieti, affinché non fosse (e non sia tuttora) conculcata strumentalmente la libertà d’espressione sottesa all’attività audiovisiva, si potesse avere l’equo bilanciamento tra gli interessi sottesi e non s’elidesse di fatto la predetta differenza;

– nondimeno, se è giusto evitare l’imposizione d’un divieto assoluto di trasmissione quando si possa escludere che il telespettatore minorenne, per l'ora di trasmissione o di altro accorgimento tecnico, assista normalmente ai relativi programmi, per lo stesso principio di proporzionalità non si può predicare l’impossibilità di assumere misure acconce ad evitare, ai sensi dell’art. 22-bis della dir. n. 89/552/CEE, che le trasmissioni, diverse da quelle specificamente regolate dal precedente art. 22 —come tali, di per sé, non immediatamente percepibili come trasmissioni nocive ai minori, né assistite dagli accorgimenti tecnici dell’orario o del parenthal control —, contengano comunque, se non a sorpresa, incitamenti all'odio religioso (come la blasfemia) o altre espressioni discriminatorie di odio, che nuocciano allo sviluppo fisico, mentale o morale del minore;

– ciò soprattutto ove, come nella specie, tali atteggiamenti non si risolvano in un’espressione isolata ma si ripetano nei format dello stesso tipo, col rischio di associarsi alla visione di scatti incontrollati d’ira ed escandescenze, che diffondano anche involontariamente –e sicuramente contro il sereno e notorio intento dell’impresa appellante – l’idea di una praticabile violenza nelle relazioni sociali;

– le predette misure, com’è evidente e prescindendo dalla natura del programma e dall’orario della sua trasmissione, in linea di massima afferirebbero a vicende garantite da divieti assoluti secondo il ripetuto art. 22, ma, poiché riguardano programmi altri, soggiacciono non già all’imposizione di un siffatto divieto di trasmissione —del tutto sproporzionato rispetto all’obiettivo sotteso alle garanzie di tutela dei minori—, bensì all’approntamento delle predette misure ex ante , lasciate all’autonoma e responsabile capacità autoregolativa dell’emittente (prima dell’intervento dell’ANR), non essendo possibile giudicare che un programma, come Il Grande Fratello ed altri reality show , sia per propria natura sempre e comunque gravemente pregiudizievole per lo sviluppo fisico, psichico o morale del minore;

– appunto per tutto questo, il Collegio in coerenza con il precedente arresto della Sezione, laddove si dice che la previsione nazionale deve, in particolare, essere intesa alla luce della disciplina UE, sì da riaffermare la distinzione tra fattispecie di pericolo presunto dal legislatore (tali da soggiacere a divieto assoluto di trasmissione) e fattispecie di pericolo concreto, per le quali una volta riscontrata l’effettività della lesione (com’è accaduto nel caso in esame), il vero rimedio consiste nelle misure cautelative ex ante , proprie della fattispecie ex art. 2050 c.c.;

– si tratta di rimedi tali da coprire anche i casi in cui gli elementi valorizzati dal legislatore UE (orario di trasmissione;
accorgimenti tecnici dell’emittente; parenthal control ) dovessero fallire (p. es., presenza d’un sistema di sorveglianza che determini uno stacco o un silenziamento del programma, il quale potrebbe riprendere una volta cessata la parentesi lesiva dei beni da tutelare), onde ritiene necessario il Collegio di valutare la fattispecie alla luce dell’inidoneità delle misure adottate a evitare il ripetersi di tali episodi;

– invero, non v’è evidenza che il mero riferimento all’orario di trasmissione costituisca, di per sé o in relazione al tipo di programma, una sorta di presunzione assoluta dell’assenza di minori che assistano alle trasmissioni indicate all’art. 22, § 2) della direttiva, come è facile evincere dall’uso dell’avverbio « normalmente » e della locuzione « scelta dell’ora di trasmissione ;

– tali dati testuali appaiono riferire la norma d’esenzione dal divieto di cui al § 1) ai soli casi, di stretta interpretazione, in cui strutturalmente un programma sia trasmesso in un orario in cui è assai probabile che non vi sia la “normale” presenza di spettatori minorenni e non pure a quello, oggetto dell’impugnata sanzione, «… di largo ascolto a interesse progressivamente crescente, che ha avuto inizio in prima serata …» e per i quali debbano essere previsti accorgimenti tecnici (p. es., le fasce di protezione;
il termine del segmento temporale “televisione per tutti”;
segnalazioni sonore a tutela dei minori), non rilevando la circostanza, del tutto casuale, che le espressioni blasfeme e gli sfoghi aggressivi siano state pronunciate e siano avvenuti intorno alla mezzanotte, essendo ben possibile e plausibile la presenza di minori anche a quell’ora;

– scolorano così pure le doglianze sulla misura della sanzione determinata dall’AGCOM (pari a € 100.00,00, cioè quattro volte il minimo edittale ex art. 35 del D.lgs. 177/2005), non ravvisandosi nel caso in esame scostamenti incongrui rispetto a tutti i parametri indicati dall’art. 11 della l. 689/1981, comprese dunque, la gravità della violazione, l’opera svolta dall’appellante per attenuare gli effetti dell’illecito (certo seria, ma non più efficace), la personalità della stessa (la RTI s.p.a. è dotata di un’organizzazione interna, anche di controllo, idonea a garantire le misure cautelative efficaci che si sarebbero attese fin dall’inizio dell’irradiazione di quel programma da un’impresa certo di norma sempre attenta ad evitare nocumenti o situazioni pregiudizievoli al pubblico minorile) e le relative condizioni economiche;

– tutte le questioni testé vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all’esame della Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., mentre gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente son stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso;

– in definitiva, l’appello va respinto, ma giusti motivi suggeriscono la compensazione integrale, tra le parti, delle spese del presente grado;

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