Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2016-03-22, n. 201601164
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Testo completo
N. 01164/2016REG.PROV.COLL.
N. 08995/2015 REG.RIC.
N. 09160/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8995 del 2015, proposto da:
Consiglio Nazionale Forense, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Carlo Allorio, Sandro Amorosino, Giuseppe Colavitti, Roberto Mastroianni, Giuseppe Morbidelli, Bruno Nascimbene, Guido Greco, Mario Sanino, Paolo Berruti, con domicilio eletto presso lo studio legale dell’avvocato Sanino in Roma, viale Parioli, 180;
contro
Autorita' Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata presso gli uffici di quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi;
nei confronti di
Nethuns S.r.l., Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense;
sul ricorso numero di registro generale 9160 del 2015, proposto da:
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata presso gli uffici di quest’ultim in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Consiglio Nazionale Forense, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Sanino, Carlo Allorio, Sandro Amorosino, Paolo Berruti, Giuseppe Colavitti, Guido Greco, Roberto Mastroianni, Giuseppe Morbidelli, Bruno Nascimbene, con domicilio eletto presso lo studio legale dell’avvocato Mario Sanino in Roma, viale Parioli, 180;
nei confronti di
Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense;
per la riforma
quanto ad entrambi i ricorsi
sentenza 1 luglio 2015, n. 8778 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, Sezione I.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2016 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti l’avvocato Sanino e l’avvocato dello Stato Fiorentino.
FATTO e DIRITTO
1. – L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (d’ora innanzi anche AGCM), con provvedimento 22 ottobre 2014, ha inflitto al Consiglio nazionale forense (d’ora innanzi anche CNF) la sanzione di € 912.536,40 per asserita violazione dell’art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), consistente in un’intesa restrittiva della concorrenza dovuta all’adozione di due decisioni volte a limitare l’autonomia dei professionisti rispetto alla determinazione del proprio comportamento economico sul mercato, invitando il CNF anche a porre termine all’infrazione dandone adeguata comunicazione agli iscritti, ad astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quello oggetto dell’infrazione accertata e a comunicare, entro il 28 febbraio 2015, l’adozione delle misure richieste.
In particolare, le due decisioni contestate hanno riguardato: i ) il parere 11 luglio 2012, n. 48 del 2012, con il quale, secondo l’AGCM, il CNF, rispondendo ad una richiesta del Consiglio dell’Ordine di Verbania, avrebbe limitato l’impiego di un canale di diffusione delle informazioni (“Amica Card”); ii ) la circolare 4 settembre 2006, n. 22-C/2006, con la quale, secondo l’AGCM, sarebbe stata reintrodotta la vincolatività dei minimi tariffari.
2.– Il CNF ha impugnato tale provvedimento innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio che, con sentenza 1° luglio 2015, n. 8778, ha parzialmente accolto il ricorso e ha annullato l’atto impugnato nella sola parte in cui ha qualificato come illecita l’adozione della circolare n. 22-C/2006, con conseguente obbligo dell’AGCM di rideterminare la sanzione.
3.– La sentenza del Tribunale amministrativo è stato oggetto di impugnazione sia da parte del CNF sia da parte dell’AGC.
4.– La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 28 gennaio 2016.
5.– Gli appelli, stante la loro connessione soggettiva e, parzialmente, oggettiva, devono essere riuniti per essere decisi con un’unica decisione.
6.– L’appello proposto dal CNF non è fondato.
6.1.– Con i primi tre motivi l’appellante deduce che il CNF è un ente pubblico non economico che, in base alla normativa che lo disciplina, svolgerebbe funzioni amministrative e, in alcuni casi, giurisdizionali. Non potrebbe, pertanto, essere qualificato come “associazione di imprese”. Ne conseguirebbe che l’AGCM avrebbe dovuto agire nel rispetto delle modalità procedimentali previste dall’art. 21 -bis della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato).
I motivi non sono fondati.
La questione, posta con le suddette censure, impone di accertare se l’AGCM avrebbe dovuto agire in applicazione degli articoli 101, primo par., TFUE ovvero dell’art. 21- bis della legge n. 287 del 1990.
La prima disposizione prevede che «sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno» (in senso analogo art. 2 della legge n. 287 del 1990).
Presupposti, soggettivo e oggettivo, per l’applicazione di tale norma sono che si sia in presenza di una «impresa» o di una «associazioni di imprese» e che vengano poste in essere attività economiche idonee a pregiudicare la libera concorrenza. In questi casi, l’AGCM adotta un provvedimento sanzionatorio impugnabile innanzi al giudice amministrativo.
La seconda disposizione prevede che l’Autorità: i ) «è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato» (primo comma); ii ) «se ritiene che una pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato emette, entro sessanta giorni, un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate», con la conseguenza che «se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l'Autorità può presentare, tramite l'Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni» (secondo comma).
Presupposti, soggettivo e oggettivo, per l’applicazione di tale norma sono che vi sia una «amministrazione pubblica» e che questa adotti un “atto amministrativo”. In questa casi, l’AGCM è titolare di una legittimazione straordinaria ad impugnare tale atto a tutela dell’interesse diffuso della concorrenza innanzi al giudice amministrativo, nel rispetto delle modalità prefigurate dalla norma stessa.
Nel caso in esame, occorre, pertanto, accertare se il Consiglio nazionale forense sia una “amministrazione pubblica” che ha adottato un “atto amministrativo” lesivo della concorrenza ovvero un’ “associazione di imprese” che ha adottato una “decisione” lesiva della concorrenza.
La giurisprudenza di questo Consiglio ha già avuto modo di affermare, con orientamento che la Sezione condivide anche in ragione della sua coerenza con la nozione elastica di soggetto pubblico fissata dal diritto comunitario in attuazione del principio dell’effetto utile, che: «l’ordinamento si è ormai orientato verso una nozione funzionale e cangiante di ente pubblico», con la conseguenza che «si ammette ormai senza difficoltà che uno stesso soggetto possa avere la natura di ente pubblico a certi fini e rispetto a certi istituti, e possa, invece, non averla ad altri fini, conservando rispetto ad altri istituti regimi normativi di natura privatistica». Questa nozione “funzionale” di ente pubblico, si è sottolineato, «ci insegna, infatti, che il criterio da utilizzare per tracciare il perimetro del concetto di ente pubblico non è sempre uguale a se stesso, ma muta a seconda dell’istituto o del regime normativo che deve essere applicato e della ratio ad esso sottesa». La conseguenza che ne deriva è «che è del tutto normale, per così dire “fisiologico”, che ciò che a certi fini costituisce un ente pubblico, possa non esserlo ad altri fini, rispetto all’applicazione di altri istituti che danno rilievo a diversi dati funzionali o sostanziali» (in questo senso, Cons. Stato, sez. VI, 26 maggio 2015, n. 2660).
Il Consiglio nazionale forense è previsto e disciplinato dagli articoli 52 e seguenti del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, ed è stato oggetto di una nuova regolamentazione ad opera della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense).
L’analisi complessiva della predetta disciplina e del contesto normativo in cui si inserisce induce a ritenere che il CNF, a seconda degli ambiti in cui interviene, può svolgere “attività amministrativa”, “giurisdizionale” e “di impresa”. A tale ultimo proposito, la giurisprudenza europea e nazionale ha affermato che la nozione europea di impresa include anche l’esercente di una professione intellettuale, con la conseguenza