Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-06-03, n. 202003467

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Il provvedimento analizzato è una sentenza del Consiglio di Stato, Sezione Sesta, pubblicata il 3 giugno 2020, relativa a un ricorso proposto dal Comune di Bolzano contro Vodafone Italia S.p.A. Le parti hanno sollevato questioni giuridiche riguardanti la validità di una clausola contrattuale relativa al canone di concessione per l'uso di un immobile comunale. Il Comune ha chiesto l'annullamento di atti amministrativi e la riforma di una sentenza del Tribunale regionale di giustizia amministrativa, sostenendo che la clausola contrattuale violasse il D.Lgs. n. 259/2003, in particolare l'art. 93, che limita gli oneri imposti agli operatori di telecomunicazione.

Il giudice ha accolto l'appello del Comune, ritenendo che la clausola contrattuale fosse valida e non in contrasto con la normativa citata. Ha argomentato che l'art. 93 si applica solo a prestazioni patrimoniali imposte unilateralmente e non a canoni pattuiti in un contratto di concessione. Inoltre, ha respinto la domanda di Vodafone per il rinnovo della concessione, affermando che non esisteva un diritto di insistenza per il concessionario. La sentenza ha quindi confermato la legittimità del diniego di rinnovo e ha condannato Vodafone a rifondere le spese legali al Comune.

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-06-03, n. 202003467
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202003467
Data del deposito : 3 giugno 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 03/06/2020

N. 03467/2020REG.PROV.COLL.

N. 06881/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6881 del 2019, proposto dal Comune di Bolzano, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati G A, A M e B M G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

l’impresa Vodafone Italia S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati P G B, M S e M P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale regionale di giustizia amministrativa - Sezione autonoma di Bolzano, n. 124/2019, resa tra le parti e concernente:

I) domanda di annullamento:

A) con il ricorso introduttivo:

1) della nota del Comune di Bolzano del 4 ottobre 2017, a firma della direttrice dell’Ufficio patrimonio, recante « Richiesta di rilascio di parte dell'immobile di proprietà comunale utilizzato con proprio impianto di telefonia mobile sito in via Vittorio Veneto 5 (p.ed. 508 C.C. Bolzano) »;

di tutti gli atti precedenti e, in particolare:

2) delle note del 13 luglio 2017 prot. 97506, del 10 maggio 2017 prot. 70884, del 3 marzo 2017 prot. 28468, del 21 novembre 2016 prot. 139558, del 20 maggio 2016 prot. 62807, della comunicazione di avvio del procedimento del 22 settembre 2015;

3) della deliberazione del consiglio comunale di Bolzano n. 18 del 7 febbraio 2012 e ss.mm.ii. e del regolamento con la medesima approvato, se e nella parte in cui escluda l’applicazione del regime COSAP;

4) dell’art. 9, comma 4, dell’allegato B del regolamento edilizio del Comune di Bolzano approvato con deliberazione consigliare n. 117/90959 del 5 dicembre 2006 e ss.mm.ii.;

B) con il ricorso per motivi aggiunti:

5) della nota del Comune di Bolzano del 30 novembre 2017, a firma della direttrice dell’Ufficio patrimonio, trasmessa a mezzo PEC in data 1° dicembre 2017, Prot. n. 0170880/2017, con la quale, con riferimento alla precedente nota prot. 141296 del 4 ottobre 2017 impugnata con il ricorso introduttivo, il Comune « insiste nelle conclusioni e nell’intimazione già formulate », comunicando che « in mancanza di un titolo, o anche solo di una trattativa in merito, il procedimento per il rilascio dell’immobile di proprietà comunale di via Vittorio Veneto 5, avviato con nota prot. 97506 del 19.07.2017, deve pertanto ritenersi confermato », fissando « la data di restituzione dell'immobile per occupazione senza titolo da parte di Vodafone Italia S.p.A., entro le ore 12.00 del giorno 12 gennaio 2018 »;

6) della deliberazione della giunta comunale cui si fa riferimento nella nota del 30 novembre 2017, con la quale la stessa avrebbe « stabilito che l’immobile di via Vittorio Veneto 5 sarà interessato da importanti lavori di ristrutturazione e dovrà essere pertanto progressivamente liberato »;

7) della deliberazione consigliare n. 85 del 2 ottobre 2013 e ss.mm.ii. e del regolamento con la medesima approvato, se e nella parte in cui escluda l’applicazione del regime COSAP;

8) della deliberazione consigliare n. 18 del 7 febbraio 2012 e ss.mm.ii. e del regolamento con la medesima approvato, se e nella parte in cui escluda l’applicazione del regime COSAP;

9) dell'art. 9, comma 4, dell’allegato B del regolamento edilizio del Comune di Bolzano approvato con deliberazione consigliare n. 117/90959 del 5 dicembre 2006 e ss.mm.ii.;

II) domanda di accertamento:

- dell’obbligo del Comune di Bolzano di concedere alla ricorrente l’uso degli immobili di cui è causa, ai sensi e per gli effetti dell’art. 88 d.lgs. n. 259/2003;

- che la concessione di cui al punto 1 è regolata in via esclusiva dall’art. 93 d.lgs. n. 259/2003 con conseguente obbligo del Comune di Bolzano di stipulare le relative convenzioni dietro corresponsione dei soli importi previsti dall’art. 63 d.lgs. n. 446/1997 ovvero, in assoluto subordine, in base ad un criterio rigorosamente indennitario e comunque secondo equità, come previsto dall’art. 88 d.lgs. n. 259/2003;

- della nullità per contrarietà della concessione - contratto del 19 dicembre 2011, nella parte in cui ha previsto oneri maggiori e diversi a carico della concessionaria, con altrettanto conseguente sostituzione automatica ex lege del canone nella misura minima di euro 516,46 o in quella diversa giudizialmente determinata, con riserva di promuovere se del caso separato giudizio anche per la restituzione di quanto versato in eccesso.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della società appellata;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2020, il consigliere B L e uditi, per le parti, gli avvocati Agostini Gudrun e Borghi Paolo Giovanni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il TRGA - Sezione autonoma di Bolzano pronunciava definitivamente sul ricorso n. 287 del 2017, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla Vodafone Italia S.p.A. – in qualità di concessionaria, in forza di concessione-contratto del 19 dicembre 2011 intercorsa con il Comune di Bolzano, del diritto di utilizzare parte del tetto e il garage n. 27 dell’immobile tavolarmente identificato dalla p.ed. 508 in C.C. Gries e sito in Bolzano, via Vittorio Veneto n. 5, appartenente al patrimonio indisponibile del Comune, allo scopo di installarvi un impianto di telefonia mobile, per la durata di anni sei (con decorrenza dal 15 marzo 2011 e scadenza al 14 marzo 2017) e verso un canone annuo di euro 18.018,63 – avverso gli atti indicati in epigrafe, inerenti alle note comunali di diniego di rinnovo e di rilascio per l’intervenuta scadenza naturale al 14 marzo 2017.

1.1. In particolare, il TRGA adìto provvedeva come segue:

(i) respingeva l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla presente controversia, versandosi in fattispecie di concessione in uso di un bene pubblico per l’esercizio di un servizio pubblico, rientrante nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133, comma 1, lettera b), cod. proc. amm.;

(ii) dichiarava inammissibile, per carenza di interesse, la domanda di annullamento della nota comunale del 4 ottobre 2017, in quanto avente natura endoprocedimentale;

(iii) accoglieva le domande di annullamento della nota del 30 novembre 2017 dell’Ufficio patrimonio del Comune di Bolzano, nella parte in cui vi era affermata l’applicabilità di un canone diverso dagli oneri stabiliti dall’art. 93 d.lgs. n. 259/2003, e, in accoglimento della correlativa domanda di accertamento, acclarava che i canoni relativi alle concessioni - contratto di beni pubblici per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica erano regolati in via esclusiva dal citato art. 93, dichiarando di conseguenza la nullità della clausola relativa al canone, che prevedeva oneri maggiori e diversi da quelli consentiti dalla citata disposizione legislativa;

(iv) respingeva la domanda di accertamento del diritto a conseguire il rinnovo della concessione-contratto del 19 dicembre 2011 alla scadenza ivi stabilita, attesa l’inconfigurabilità di un rinnovo tacito o di un diritto di insistenza dell’impresa concessionaria;

(v) dichiarava le spese di causa interamente compensate tra le parti.

2. Avverso tale sentenza interponeva appello il Comune di Bolzano, deducendo i motivi come di seguito rubricati:

a) « Violazione, errata e falsa applicazione ed interpretazione dell’art. 93 del D.Lgs. n. 259 del 2003 nonché dell’art. 12, comma 3, del D.Lgs. 15 febbraio 2016 n. 33, norma di interpretazione autentica della prima. Violazione della ratio sottesa all’art. 93 del D.Lgs. n. 259 del 2003 e conforme all’art. 23 della Cost.. Erronea insufficiente e contraddittoria motivazione in punto », esulandosi dall’ambito applicativo dell’art. 93 d.lgs. n. 259/2003 e non trattandosi di fattispecie di prestazione patrimoniale imposta unilateralmente per le occupazioni di infrastrutture pubbliche o di suolo pubblico, bensì di canone concessorio stabilito di comune accordo tra le parti;

b) « Violazione, errata e falsa applicazione ed interpretazione dell’art. 93 del D.Lgs. n. 259 del 2003 nonché dell’art. 12, comma 3, del D.Lgs. 15 febbraio 2016 n. 33, norma di interpretazione autentica della prima. Violazione, errata e falsa interpretazione ed applicazione dell’art. 63 del D.Lgs. 446/1997 e dell’art. 1 del Regolamento comunale di Bolzano di concessione dell’occupazione del suolo ed aree pubbliche. Erronea insufficiente e contraddittoria motivazione in punto », con la conseguente erronea declaratoria di nullità della clausola relativa al canone di concessione;

c) « Ulteriore violazione, errata e falsa interpretazione ed applicazione dell’art. 93 del D.Lgs. n. 259 del 2003 nonché dell’art. 12, comma 3, del D.Lgs. 15 febbraio 2016 n. 33, norma di interpretazione autentica della prima. Omessa motivazione in punto », non versandosi in fattispecie di esecuzione di opere contemplate dal d.lgs. n. 259/2003 o comunque necessarie per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, menzionate dal citato art. 93, né potendosi (in subordine) attribuire all’art. 12, comma 3, d.lgs. n. 33/2016 valenza di norma di interpretazione autentica con conseguente inapplicabilità retroattiva.

Il Comune appellante chiedeva pertanto, previa sospensione della provvisoria esecutività dell’impugnata sentenza e in sua riforma, la reiezione integrale delle avversarie domande di primo grado.

3. Si costituiva in giudizio Vodafone Italia, contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone la reiezione, nonché interponendo appello incidentale sulla base dei motivi come di seguito rubricati:

a) « Violazione degli artt. 7, 31, 34 e 88 c.p.a.. Travisamento dei presupposti di fatto e diritto. Falsità e/o erroneità della motivazione. Contraddittorietà », essendosi il TRGA illegittimamente sostituito all’amministrazione comunale nella individuazione di una presunta ragione impeditiva alla rinnovazione del rapporto concessorio (necessità di avviare una procedura competitiva di evidenza pubblica), mai addotta dal Comune, il quale per contro nelle note del 4 ottobre 2017 e 30 novembre 2017 aveva acconsentito alla stipula di una nuova convenzione (per due anni e, rispettivamente, per diciotto mesi) alla sola condizione che Vodafone accettasse di corrispondere un canone di euro 18.000,00;

b) « Violazione degli artt. 7 e 88 c.p.a.. Falsità e/o erroneità della motivazione. Travisamento dei presupposti di fatto e diritto. Violazione degli artt. 4, 25, 86, 89 e 93 D.Lgs. 259/2003 », con conseguente erronea esclusione di un diritto al rinnovo della concessione.

L’appellante incidentale chiedeva pertanto la riforma in parte qua dell’impugnata sentenza, riproponendo espressamente il terzo, settimo e ottavo motivo di primo grado, non esaminati dal TRGA per ritenuto assorbimento.

4. All’udienza pubblica del 23 gennaio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

5. Premesso che non risulta impugnata la statuizione sub 1.1.(i), affermativa della giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere della presente controversia, con la conseguenza che ogni relativa questione è ormai coperta da giudicato interno ed esula dai limiti oggettivi del devolutum , si osserva nel merito che l’appello principale del Comune è fondato.

5.1. Meritano, in particolare, accoglimento i motivi d’appello principale sub 2.a), 2.b) e 2.c) – tra di loro connessi e da esaminare congiuntamente – proposti dal Comune avverso la statuizione di cui sopra sub 1.1.(iii).

Con la gravata statuizione, il TRGA ha dichiarato la nullità della clausola della concessione-contratto del 19 dicembre 2011, nella quale era stato pattuito il canone annuo di euro 18.018,63, ritenendola in contrasto con l’art. 93 d.lgs. n. 259/2003 ( Codice delle comunicazioni elettroniche ), come sostituito dall’art. 68, comma 1, d.lgs. 28 maggio 2012, n. 70 (a decorrere dal 1° giugno 2012, ai sensi di quanto disposto dall’art. 82, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 70/2012), in quanto il concessionario esercente servizi di telecomunicazione non poteva ritenersi assoggettato al pagamento di oneri o canoni diversi da quelli previsti dal citato articolo del Codice, anche alla luce dell’interpretazione autentica fornita dall’art. 12, comma 3, d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 33, e ss. mm. ii..

Il Comune deduce l’erroneità della statuizione del TRGA sulla base dei seguenti centrali rilievi:

- la disciplina di cui all’art. 93 d.lgs. n. 259/2003 è limitata alla materia delle prestazioni patrimoniali imposte in forza di determinazioni unilaterali dell’amministrazione, mentre non potrebbe trovare applicazione alle concessioni-contratto e ai corrispettivi con essi stabiliti sulla base di una pattuizione di natura convenzionale accessiva alla concessione;

- in base all’art. 1 del regolamento comunale COSAP (approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 18 del 7 febbraio 2012), adottato ai sensi dell’art. 63 d.lgs. n. 446/1997, il presupposto di applicabilità del canone COSAP è costituito dall’occupazione, in modo permanente o temporaneo in virtù di concessione amministrativa, di aree pubbliche, strade o comunque spazi destinati all’uso generalizzato della collettività (come, ad es., al pubblico passaggio), mentre nel caso di specie si è in presenza della concessione in uso della porzione (garage e tetto) di un edificio di proprietà comunale (incontestatamente facente parte del patrimonio indisponibile, destinato a sede di varie associazioni), non qualificabile come area pubblica ai fini della COSAP (o, in alternativa, TOSAP);

- alla concessione-contratto in questione trova pertanto applicazione il regolamento per la gestione del patrimonio immobiliare del Comune di Bolzano approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 85 del 2 ottobre 2003, secondo cui la concessione in uso temporaneo a terzi di beni demaniali o patrimoniali indisponibili è effettuata nella forma della concessione amministrativa il cui corrispettivo è pattuito tra le parti nella convenzione accessiva (previa acquisizione della stima del Servizio estimo comunale);

- il TRGA erroneamente ha attribuito alla disposizione contenuta nell’art. 12, comma 3, d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 33, valenza di interpretazione autentica, con conseguente erronea applicazione alla fattispecie dedotta in giudizio.

5.1.1. Dirimente ai fini della soluzione della controversia è la ricognizione della disciplina legislativa che qui viene in rilievo.

Il comma 1 dell’art. 93 d.lgs. n. 259/2003 testualmente recita: « Le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge ».

Il successivo comma 2, nella versione risultante dalla novella apportata dal d.lgs. n. 70/2012, statuisce: « Gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica hanno l’obbligo di tenere indenne la Pubblica Amministrazione, l’Ente locale, ovvero l’Ente proprietario o gestore, dalle spese necessarie per le opere di sistemazione delle aree pubbliche specificamente coinvolte dagli interventi di installazione e manutenzione e di ripristinare a regola d’arte le aree medesime nei tempi stabiliti dall’Ente locale. Nessun altro onere finanziario, reale o contributo può essere imposto, in conseguenza dell’esecuzione delle opere di cui al Codice o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, fatta salva l’applicazione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, oppure del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui all’articolo 63 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni, calcolato secondo quanto previsto dal comma 2, lettere e) ed f), del medesimo articolo, ovvero dell’eventuale contributo una tantum per spese di costruzione delle gallerie di cui all’art. 47, comma 4, del predetto decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 ». Tale disciplina è stata considerata, dall’indirizzo interpretativo assolutamente prevalente, come espressione di un principio fondamentale dell’ordinamento di settore delle telecomunicazioni, in quanto persegue la finalità di garantire a tutti gli operatori un trattamento uniforme e non discriminatorio, attraverso la previsione del divieto di porre a loro carico oneri o canoni, posto che – ove ciò non fosse – ogni singola amministrazione munita di potestà impositiva potrebbe liberamente prevedere obblighi pecuniari a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio, appunto, di una ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre Regioni, ai quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti (v. Corte Cost., n. 336/2005, n. 450/2006, n. 272/2010, n. 47/2015;
Cons. Stato, n. 2335/2016).

Sull’art. 93 d.lgs. d.lgs. n. 259/2003 è, poi, intervenuto l’art. 12, comma 3, d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 33 ( Attuazione della direttiva 2014/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, recante misure volte a ridurre i costi dell'installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità ), che, nella sua originaria versione, testualmente recita: « 3. L’articolo 93, comma 2, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica possono essere soggetti soltanto alle prestazioni e alle tasse o canoni espressamente previsti dal comma 2 della medesima disposizione ».

L’art. 12, comma 3, d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 33, è stato, a sua volta, integrato dall’art. 8- bis , comma 1, lettera c), d.-l. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12, e, nella versione così modificata, recita testualmente: « 3. L’articolo 93, comma 2, del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che gli operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica possono essere soggetti soltanto alle prestazioni e alle tasse o canoni espressamente previsti dal comma 2 della medesima disposizione, restando quindi escluso ogni altro tipo di onere finanziario, reale o contributo, comunque denominato, di qualsiasi natura e per qualsivoglia ragione o titolo richiesto ».

Risulta palese, da quanto sopra, che l’art. 93 d.lgs. n. 295/2003, laddove per l’esecuzione delle opere di cui al Codice delle comunicazioni elettroniche o per l’esercizio dei relativi servizi di comunicazione ha sancito per gli enti territoriali il divieto d’imporre qualsiasi « altro onere finanziario, reale o contributo », diversi dalla TOSAP o, alternativamente, COSAP, e dal contributo una tantum per spese di costruzione delle gallerie di cui all’articolo 47, comma 4, d.lgs. n. 507/1993, ha posto un limite al potere impositivo unilaterale degli enti territoriali, ma non ha contemplato minimamente eventuali canoni pattuiti convenzionalmente nell’ambito di concessioni-contratto aventi ad oggetto beni demaniali o patrimoniali indisponibili (quali, nel caso di specie, le porzioni dell’edificio oggetto della concessione-contratto del 19 dicembre 2011, costituite dal garage n. 27 e da parte del tetto dell’immobile di proprietà comunale sito in Bolzano, via Vittorio Veneto 5, facente parte del patrimonio indisponibile del Comune e adibito a sede di varie associazioni). Ciò, peraltro, in conformità al ‘Considerando’ 22, seconda parte, della direttiva 2002/21/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 marzo 2002, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro), per cui la direttiva non pregiudica « le disposizioni nazionali vigenti in materia di espropriazione o uso di una proprietà, normale esercizio dei diritti di proprietà, normale uso dei beni pubblici »;
infatti, secondo l’art. 345 TFUE « i trattati lasciano del tutto impregiudicati il regime di proprietà esistente negli Stati membri », sicché la disciplina dello statuto della proprietà, sia privata che pubblica, resta, in linea generale, di competenza degli Stati membri.

I contrasti interpretativi in seno alla giurisprudenza amministrativa e ordinaria, che hanno indotto il legislatore ad emanare la norma di interpretazione autentica del comma 2 dell’art. 93 d.lgs. n. 259/2003, ossia l’art. 12, comma 3, d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 33, erano insorti in relazione alla questione della persistente assoggettabilità, o meno, al potere attribuito dall’art. 27 d.lgs. n. 285/1992 (preesistente al citato articolo 93) all’ente proprietario della strada, d’imposizione di un canone per l’uso o l’occupazione a qualsiasi titolo del suolo e del sottosuolo della strada medesima;
questione interpretativa, risolta positivamente da una parte della giurisprudenza con il richiamo al primo comma dell’art. 93, laddove lo stesso, con riferimento generale alle attività di « impianto di reti o […] esercizio dei servizi di comunicazione elettronica », vieta l’imposizione di oneri o canoni « che non siano stabiliti per legge » (sulla ricostruzione del contrasto interpretativo che aveva dato luogo a detto intervento legislativo, v. Cass. civ., sez. I, 10 gennaio 2017, n. 283, punto 1.2.5.). La sentenza della Corte di cassazione da ultimo citata ha, coerentemente, attribuito valenza di interpretazione autentica all’art. 12, comma 3, d.lgs. n. 33/2016, n. 33 – ovviamente, nella sua versione originaria, l’unica vigente al momento dell’intervento della Corte –, avendo questo stabilito, con specifico riferimento agli « operatori che forniscono reti di comunicazione elettronica », che la disposizione in parola deve essere interpretata nel senso che gli stessi siano sottoposti soltanto alle tasse o canoni (TOSAP e COSAP) previsti dal comma 2 dell’art. 93, con ciò restando per tali soggetti esclusa l’applicabilità del comma 1, concernente genericamente l’attività di « impianto di reti » o di « esercizio dei servizi di comunicazione elettronica ».

Diversa valenza deve, invece, essere attribuita all’integrazione apportata alla citata norma di interpretazione autentica (contenuta nell’art. 12, comma 3, d.lgs. n. 33/2016) dall’art. 8- bis , comma 1, lettera c), d.-l. n. 135/2018 convertito dalla l. n. 12/2019, n. 12, il quale vi ha inserito l’aggiunta: « restando quindi escluso ogni altro tipo di onere finanziario, reale o contributo, comunque denominato, di qualsiasi natura e per qualsivoglia ragione o titolo richiesto ». Trattasi, invero, di norma che, lungi dal limitarsi ad assegnare alla disposizione interpretata (ossia all’art. 93, comma 2, d.lgs. n. 259/2003) un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario, estende il contenuto precettivo della limitazione dei poteri impositivi unilaterali degli enti territoriali ad oneri che trovino la loro fonte in qualsiasi altro titolo , anche diversi dai poteri impositivi unilaterali degli enti territoriali, e, quindi, anche ai canoni riconducibili a titoli convenzionali quali – per quanto qui rileva – le convenzioni accessive ad atti di concessione in uso di beni pubblici che, in via pattizia, disciplinano l’assetto patrimoniale del rapporto concessorio.

Infatti, per consolidata giurisprudenza la qualificazione di una disposizione legislativa come norma di interpretazione autentica di preesistenti disposizioni legislative non può fondarsi sul mero titolo del testo legislativo o sui lavori preparatori, oppure sull’intenzione del legislatore in sé considerata, ma presuppone una particolare struttura della fattispecie normativa, per la quale la legge medesima, essendo rivolta a imporre una data interpretazione a una precedente norma, con efficacia retroattiva, lasci immutato il tenore testuale della disposizione interpretata e si limiti a chiarirne e precisarne il significato e a rendere vincolante, tra le tante interpretazioni possibili, una tra le varie interpretazioni possibili, essendo sufficiente che la scelta ermeneutica imposta dalla legge interpretativa rientri tra le varianti di senso compatibili con il tenore letterale del testo interpretato, stabilendo un significato che ragionevolmente poteva essere ascritto alla legge anteriore (v., ex plurimis , Cons Stato, Sez. IV, 27 marzo 2008, n. 1268;
Cons Stato, Sez. VI, 17 novembre 2004, n. 7512);
per converso, non può attribuirsi natura interpretativa alla disposizione che provveda ad integrare il precetto della disposizione preesistente aggiungendone uno nuovo e allargandone l’ambito di applicazione a fattispecie esulanti da quello originario, proprio della norma preesistente.

Alla luce di tali criteri ermeneutici, l’estensione del divieto impositivo di cui all’art. 93, comma 2, d.lgs. n. 259/2003 a fattispecie di determinazione del canone che trovino il loro titolo in una fonte contrattuale e pattizia (accessiva alla concessione in uso del bene pubblico), scaturente dall’aggiunta apportata dall’art. 8- bis , comma 1, lettera c), d.-l. n. 135/2018 alla norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 12, comma 3, d.lgs. n. 33/2016 a sua volta comportante l’ampliamento dell’ambito applicativo dell’art. 93, comma 2, d.lgs. n. 259/2003, deve qualificarsi alla stregua di nuovo ed innovativo precetto normativo: Come tale, lo stesso – in mancanza di diversa disposizione espressa – è applicabile solo alle fattispecie future, da cui invece esula la fattispecie sub iudice , ormai esaurita sotto la disciplina previgente, essendo la concessione-contratto de qua , decorrente dal 15 marzo 2011, venuta a scadenza il 14 marzo 2017, quindi in data anteriore all’entrata in vigore del nuovo precetto normativo.

Peraltro, l’applicazione retroattiva della nuova disposizione a fattispecie di determinazione del canone che trovino il loro titolo in una fonte di natura contrattuale/pattizia – da ritenersi senz’altro conforme alla disciplina europea, lasciando la sopra citata direttiva quadro del settore delle comunicazioni elettroniche impregiudicate le discipline nazionali del « normale uso dei beni pubblici », dettate dai singoli Stati membri (v. sopra) –, comportante ex post e retroattivamente la nullità della clausola del disciplinare per violazione della sopravvenuta norma imperativa, rispettivamente la sua eterointegrazione ai sensi degli artt. 1339 e 1419, comma 2, cod. civ. con il regime del canone forfetario previsto dall’art. 63, comma 2, lettere e) ed f), d.lgs. n. 446/1997, si porrebbe in contrasto con i principi del legittimo affidamento delle parti contrattuali (compresa la parte pubblica) e della ragionevolezza, con la conseguenza che la disposizione all’esame, anche nell’ottica di un’interpretazione ‘costituzionalmente’ e ‘comunitariamente’ orientata, non può che essere qualificata come norma innovativa.

5.1.3. Resta assorbita la questione, pure devoluta al presente grado con i motivi all’esame, se i beni quali quelli oggetto del contratto-concessione in questione possano ritenersi compresi, o meno, nell’ambito di applicazione dei presupposti d’imposizione degli oneri fatti salvi dal comma 2 dell’art. 93, in particolare della TOSAP o, in alternativa, della COSAP, costituiti dalle occupazioni, sia permanenti che temporanee, di « strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al […] demanio o patrimonio indisponibile, comprese le aree destinate a mercati anche attrezzati », dell’ente territoriale.

5.2. Destituiti di fondamento, oltre che generiche, sono il terzo e il settimo motivo di primo grado, espressamente riproposti dall’originaria ricorrente nell’atto di costituzione con appello incidentale, con i quali la stessa deduce la violazione degli artt. 88 e 93 d.lgs. n. 259/2003, il contrasto con i principi generali di cui al d.lgs. n. 33/2016 e l’eccesso di potere sotto vari profili, dolendosi in particolare dell’eccessiva onerosità del canone pattuito nell’importo annuo di euro 18.000,00 per l’occupazione di una superficie di appena 30 mq (di cui 15 mq sulla copertura dell’edificio, ove sono installate le antenne, in realtà non diversamente utilizzabili dal Comune), in quanto:

- d’un lato, non si verte in fattispecie di messa a disposizione, da parte del Comune, di opere e impianti infrastrutturali – bensì della concessione in uso di un garage e di una parte della copertura dell’edificio, acquisibili anche sul libero mercato –, con conseguente inapplicabilità dell’art. 88, comma 6, d.lgs. n. 259/2003;

- d’altro lato, la contestazione dell’ammontare del canone, oggetto di pattuizione contrattuale nella convenzione accessiva alla concessione e non unilateralmente imposto dal Comune, in primo luogo si risolve nell’impugnazione di una clausola pattizia che, per quanto sopra esposto, non si pone in contrasto con norme imperative e, in assenza di altri vizi di nullità o annullabilità (non specificamente dedotti), è valida ed efficace tra le parti, e, in secondo luogo, per quanto diretta avverso la stima del Servizio estimo del Comune, impinge nel merito delle relative valutazioni, con conseguente inammissibilità di tale profilo di censura.

5.3. Per le considerazioni tutte sopra svolte, non può condividersi l’affermazione del TRGA, posto a base della statuizione sub 1.1.(iii), per cui la clausola n. 6 della concessione-contratto del 19 dicembre 2011 contrasterebbe con la disciplina di cui all’art. 93 d.lgs. n. 259/2003 nella versione applicabile ratione temporis , sicché, in accoglimento dell’appello principale, s’impone la riforma in parte qua dell’impugnata sentenza, con assorbimento di ogni altra questione, ormai irrilevante ai fini della decisione.

6. Infondato è l’appello incidentale proposto da Vodafone Italia avverso la statuizione sub 11.(iv), affermativa della legittimità del diniego di rinnovo della concessione, scaduta il 14 marzo 2017.

Premesso che il diniego di rinnovo comunicato con la nota del 30 novembre 2017 (impugnata in primo grado con i motivi aggiunti) si fonda sui rilievi che non era stato raggiunto alcun accordo sull’ammontare del canone e che, a fronte della necessità di eseguire « importanti lavori di ristrutturazione », comunque sarebbe stata possibile un rinnovo per un periodo massimo di 18 mesi, si osserva in primo luogo che, per le ragioni esposte sopra sub 5., deve senz’altro ritenersi legittimo il riferimento al fallimento delle trattative sul canone dovuto per l’eventuale rinnovo, attesa la sopra rilevata inapplicabilità dell’art. 93, comma 2, d.lgs. n. 259/2003 alla fattispecie sub iudice .

In secondo luogo, si osserva che il TRGA ha correttamente respinto la domanda di accertamento del diritto dell’originaria ricorrente a conseguire il rinnovo della concessione, in quanto, a fronte dell’intervenuta scadenza del rapporto concessorio costituito nel 2011, per decorso della durata ivi stabilita, non era configurabile un diritto di insistenza del concessionario uscente, privo di base legale e, in ogni caso, in contrasto con i principi generali di imparzialità, trasparenza e parità di trattamento di derivazione europea che impongono all’amministrazione concedente di beni pubblici di porre in essere una procedura di evidenza pubblica, sicché il concessionario di un bene demaniale non può vantare alcuna aspettativa al rinnovo del rapporto, essendo lo stesso, in sede di rinnovo, posto sullo stesso piano di qualsiasi altro soggetto richiedente lo stesso titolo.

Destituita di fondamento è, al riguardo, la censura di violazione degli artt. 31 e 34 cod. proc. amm. – dedotta sotto il profilo che il TRGA, nella individuazione delle sopra riportate ragioni impeditive alla rinnovazione del rapporto concessorio, si sarebbe sostituito all’amministrazione comunale che non vi avrebbe fatto cenno alcuno nella nota del 30 novembre 2017 –, emergendo invero dalla semplice lettura della motivazione dell’impugnata sentenza che le sopra riportate ragioni impeditive erano state addotte dal TRGA a suffragio della statuizione reiettiva della domanda di accertamento del diritto al rinnovo proposto dalla ricorrente in sede giudiziale, e, in tale contesto processuale (di giudizio sul rapporto, giusta domanda), il richiamo alle ragioni giuridiche ostative all’accoglimento della domanda di accertamento costituisce legittima esplicazione del principio iura novit curia .

Conclusivamente, per un verso, a fronte dell’intervenuta scadenza del rapporto di concessione era sufficiente la motivazione del diniego fondata sul mancato raggiungimento di un nuovo accordo sulle condizioni economiche di un eventuale rinnovo (che, comunque, sarebbe stato durata alquanto ridotta rispetto alle richieste di Vodafone), e, per altro verso, le motivazioni poste dal TRGA a fondamento della statuizione reiettiva della domanda di accertamento erano processualmente ammissibili e sostanzialmente aderenti al vigente assetto normativo e giurisprudenziale in materia di concessione di beni pubblici.

L’appello incidentale deve pertanto essere disatteso, con assorbimento di ogni altra questione, ormai irrilevante ai fini della decisione.

7. Le spese del doppio grado di giudizio, come liquidate nella parte dispositiva, devono essere poste a carico dell’originaria ricorrente.

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