Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2024-02-21, n. 202401717
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.
Segnala un errore nella sintesiSul provvedimento
Testo completo
Pubblicato il 21/02/2024
N. 01717/2024REG.PROV.COLL.
N. 07549/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7549 del 2019, proposto da:
D E, D M e D A, rappresentati e difesi dagli avvocati G P, Nicolo' Paoletti e M S, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Barnaba Tortolini, 34;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato U G, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove, 21;
Università degli Studi Roma Tre, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Cardarelli, Guido Corso e Enrico Moscati, con domicilio digitale come da PEC dei Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Roma, viale P.L. da Palestrina, 47;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 5687/2019.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e dell’Università degli studi Roma Tre;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4 bis , c.p.a.;
Relatore il Cons. L M;
Uditi, all'udienza straordinaria del giorno 7 febbraio 2024, celebrata in collegamento da remoto, i difensori delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Gli appellanti hanno impugnato la sentenza del Tar Lazio n. 5687 del 6 maggio 2019, con cui è stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto per la restituzione del terreno distinto nel Catasto di Roma al foglio 841 particelle 181/p e 81/p, della superficie di mq. 5467,65), illegittimamente occupato e trasformato irreversibilmente o, in caso di esercizio da parte dell’amministrazione, della facoltà di cui all’art. 42 bis DPR 327/2001, il pagamento delle somme ad essi spettanti da liquidarsi sulla base dei criteri fissati dalla suddetta norma.
Si sono costituiti nel presente grado di giudizio sia Roma Capitale, sia l’Università degli studi Roma Tre, chiedendo la reiezione dell’appello.
In vista della trattazione tutte le parti hanno depositato memorie conclusive.
L’Ateneo e gli appellanti hanno replicato con memorie in data rispettivamente 16 e 17 gennaio 2024.
Alla udienza straordinaria del 7 febbraio 2024, celebrata in collegamento da remoto, la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. Devono essere tratteggiati i fatti di causa.
2.1. Il 28 settembre 1962 il sig. A D, padre degli odierni ricorrenti, notificava al Comune di Roma un atto di citazione, in cui chiedeva all'autorità giudiziaria ordinaria di dichiarare l'intervenuta usucapione del terreno, sito in Roma e facente parte del patrimonio disponibile dell'Amministrazione comunale, che egli affermava di avere ininterrottamente posseduto fin dal 1938 (terreno distinto nel Catasto di Roma al foglio 841 particelle 181/p e 81 p, della superficie di mq. 5467,65).
Con sentenza del 30 dicembre 1978, il Tribunale accoglieva la domanda di A D e dichiarava intervenuta l’usucapione. Tale decisione veniva confermata dalla Corte di Appello di Roma con sentenza del 7 giugno 1982 e diventava definitiva con sentenza della Corte di cassazione del 18 giugno 1986.
2.2. Nelle more, con provvedimento del 14 marzo 1969, il Prefetto di Roma autorizzava l'occupazione d'urgenza per due anni del terreno al fine di realizzarvi un edificio scolastico. Tale decreto veniva notificato al D in data 17 marzo 1969, poiché, pur essendo il terreno catastalmente intestato al Comune di Roma che ne risultava unico proprietario, il D aveva instaurato il giudizio di accertamento dell'avvenuta usucapione.
Il 31 marzo 1969 avveniva l'immissione in possesso e in data 19 giugno 1971 erano ultimati i lavori di costruzione del suindicato edificio scolastico (Istituto statale d'arte Silvio d'Amico), senza che l'amministrazione emanasse il decreto di esproprio nè corrispondesse alcun indennizzo.
2.3. In data 25 luglio 1987, il sig. A D adiva il Tribunale civile di Roma, chiedendo di “accertare e dichiarare, ovvero disporre in esito al presente giudizio, il trasferimento della proprietà dell'area occupata in capo al Comune di Roma o a chi risulterà in corso di giudizio; condannare, per l'effetto, il Comune stesso, o chi risulterà dei convenuti a risarcire all'attore il danno corrispondente alla perdita del bene attribuendogli una somma pari al valore del bene stesso; attribuire su tale somma la rivalutazione e gli interessi e condannare chi risulterà dei convenuti a corrispondere all'attore l'indennità dovuta per la occupazione legittima”.
2.4. Il giudizio si concludeva definitivamente con la sentenza della Corte di Cassazione n. 7583 del 6 giugno 2000, con la quale, ricordata la giurisprudenza formatasi sull’acquisto della proprietà alla mano pubblica per occupazione acquisitiva, in conferma delle sentenze del Tribunale di Roma e della Corte di appello di Roma, dichiarava prescritto il diritto degli eredi del sig. A D, nelle more deceduto, al risarcimento del danno, per l’inutile decorso del termine quinquennale di cui all’art. 2947 c.c., il cui dies a quo va computato a far data dalla consumazione dell’illecito che, in caso di occupazione appropriativa (a differenza che nell’usurpativa), ha natura di illecito istantaneo.
Nel frattempo, nel 1999 la scuola è stata demolita ed il terreno dei ricorrenti è tornato nelle condizioni originarie, per essere successivamente concesso all’Università Roma Tre che vi ha eretto una porzione dell’ateneo.
2.5. Gli eredi D, proponevano, in data 21 giugno 2001 al Tribunale civile di Roma ricorso (ex art. 670 n. 1 e 700 c.p.c.) con cui chiedevano all'autorità giudiziaria: a) di disporre il sequestro giudiziario dell'area in questione, che nel frattempo il Comune di Roma aveva concesso in uso all'Università degli studi Roma Tre; b) in via subordinata, di ordinare all'Università e/o al Comune di Roma la restituzione o il rilascio dell'area nella piena disponibilità dei ricorrenti inibendo ai medesimi enti di realizzare attività o opere di qualunque genere fino alla data della effettiva esecuzione del provvedimento d'urgenza.
Con ordinanza del 5 ottobre 2001 il Tribunale rigettava il ricorso in quanto i richiedenti avevano perso la proprietà terreno, conformemente alla res judicata che si era formata con la sentenza della Corte di cassazione del 6 giugno 2000. Ne conseguiva che la proprietà del terreno era passata definitivamente all'amministrazione pubblica e che la restituzione del terreno era giuridicamente impossibile.
L’opposizione proposta dai richiedenti veniva respinta dal Tribunale di Roma, in composizione collegiale, con ordinanza del 10 dicembre 2001, in cui affermava che nello specifico non c'era stata solamente un'occupazione illegittima del terreno, ma che mancava anche la dichiarazione di utilità pubblica valida. Osservava che tale questione non era stata esaminata nel procedimento e poteva fondare, all'occorrenza, una domanda in restituzione del terreno anche se la questione della proprietà del terreno non poteva più essere rimessa in discussione poiché si era verificata l’usucapione a favore dell'amministrazione.
Respinte le domande cautelari, gli eredi D tuttavia non instauravano la causa nel merito.
2.6. In data 17 novembre 2000, i ricorrenti hanno presentato un ricorso davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo affinché la stessa accertasse e dichiarasse la violazione da parte dello Stato italiano dell’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e di conseguenza accertasse e dichiarasse il diritto ad ottenere la restituzione del loro terreno nonché il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti per effetto della lesione del loro diritto di proprietà.
2.7. Con sentenza del 15 luglio 2005 la Corte Europea, dopo aver premesso che le parti concordano sul fatto che ci sia stata “privazione della proprietà”, richiamando i propri precedenti ha dichiarato che l’espropriazione indiretta nel caso di specie posta in essere contrasta con l’art. 1 del Protocollo addizionale CEDU stante la mancanza di regole accessibili, precise e prevedibili e che, ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione, il quale dispone che "Se la Corte dichiara che c'è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli, e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette di cancellare che imperfettamente le conseguenze di questa violazione, la Corte accorda alla parte lesa, se c'è luogo, una soddisfazione equa", ai ricorrenti spetta un equo compenso per la quantificazione del quale ha rinviato a separata pronuncia.
2.8. Con successiva sentenza del 15 novembre 2012, divenuta definitiva in data 8 luglio 2013, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha cancellato dal ruolo il suindicato ricorso dei signori D ritenendo equo l’importo di € 8.000.000,00 offerto dal Governo a definizione, saldo e stralcio