Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2021-05-20, n. 202103912
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Pubblicato il 20/05/2021
N. 03912/2021REG.PROV.COLL.
N. 03732/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA NON DEFINITIVA
sul ricorso numero di registro generale 3732 del 2020, proposto dal Fallimento Lombarda Petroli in Liquidazione S.r.l., in persona del curatore
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati U G e G F R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G R in Roma, via Cosseria, n. 5;
contro
- il Comune di Villasanta, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’avvocato A F, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, corso di Porta Vittoria, n. 28;
- la Provincia di Monza e della Brianza, in persona del Presidente
pro tempore
, rappresentata e difesa dall’avvocato Mario Viviani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Galleria San Babila, n. 4/A;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Lombardia (Sezione Seconda) n. 654 del 2020, resa tra le parti, concernente il Piano del Governo del Territorio Comunale.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Villasanta, contenente appello incidentale, e della Provincia di Monza e della Brianza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2020, il Cons. Giuseppa Carluccio, nessuno presente per le parti;
Visti gli artt. 36, comma 2, e 73, comma 3, cod. proc. amm.
FATTO e DIRITTO
1. La controversia concerne la disciplina urbanistica - prevista dal Piano di Governo del Territorio (d’ora in poi PGT) approvato dal Comune di Villasanta nel 2019 – di un’ampia area di proprietà del Fallimento Lombarda Petroli S.r.l., in liquidazione (d’ora in poi Fallimento, perché anche il giudizio di primo grado è stato proposto dalla società oramai fallita), facente parte della porzione sud del territorio comunale, occupata da insediamenti produttivi dismessi o sottoutilizzati, tra i quali la raffineria di petrolio, per i quali il piano prevede la reindustrializzazione moderna, ampliata a funzioni “ mixitè ”, cioè a esercizi commerciali di vicinato, esercizi pubblici, artigianato e terziario.
2. Oggetto della decisione è l’appello – articolato in quattro censure, di cui le ultime tre strettamente collegate - proposto dal Fallimento avverso la sentenza del T.a.r. per la Lombardia n. 654 del 2020, la quale: a ) ha dichiarato inammissibile il ricorso per carenza di interesse, nella parte relativa all’impugnazione della determinazione provinciale n. 145 del 30 gennaio 2019, contenente il parere della Provincia di Monza e Brianza; b ) ha accolto parzialmente lo stesso ricorso, nei sensi di cui in motivazione, nella parte relativa all’impugnazione del PGT del Comune di Villasanta rispetto alle aree standard .
2.1. Il Comune si è costituito in giudizio per resistere all’appello ed ha proposto appello incidentale.
2.2. La Provincia si è pure costituita in giudizio ed ha chiesto il rigetto e, comunque, la conferma della statuizione di inammissibilità nei suoi confronti, con l’estromissione dal giudizio.
2.3. Tutte le parti hanno depositato memorie, anche di replica.
3. All’udienza pubblica del 3 dicembre 2020, svoltasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, il Collegio ha trattenuto la causa in decisione.
4. E’ logicamente preliminare il primo motivo di appello, che censura la statuizione di inammissibilità del ricorso rispetto alla determinazione provinciale.
4.1. Il primo giudice ha ravvisato la carenza di interesse del ricorrente perché gli atti lesivi sono stati emessi esclusivamente dal Comune, atteso che il parere provinciale impugnato ha imposto prescrizioni, indicazioni e raccomandazioni con riguardo ad ambiti diversi rispetto a quelli oggetto di causa.
4.2. Il Fallimento ha argomentato la censura, mettendo in rilievo che la Provincia concorre alla formazione del PGT mediante un atto complesso e che, comunque, la Provincia, ritenendo le scelte comunali coerenti con lo strumento di pianificazione sovracomunale, ha espresso un parere di per sé lesivo.
4.3. Il motivo è infondato e va respinto.
Al contrario di quanto sostiene l’appellante, il PGT non è un “ atto complesso ” avente quali amministrazioni co-emananti il Comune e la Provincia. Tale interpretazione è smentita dall’art. 13, comma 5, della l.r. della Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, che ha chiaramente abbandonato lo schema tradizionale del piano urbanistico come atto complesso, ridimensionando l’apporto della Provincia e limitandolo alla valutazione di compatibilità con il piano territoriale di coordinamento.
4.3.1. La conseguenza è che, come ha chiesto la Provincia in sede di appello, va disposta l’estromissione della stessa dal giudizio.
5. Il Fallimento, con una complessa censura articolata in più profili, ha sostenuto dinanzi al T.a.r. l’illegittimità della disciplina urbanistica assegnata all’area di sua proprietà nel 2019, dando rilievo alla disciplina urbanistica pregressa sulla quale ha fondato l’esistenza di un legittimo affidamento. In particolare, ha chiesto l’annullamento del PGT nella parte di interesse, per violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione, della l. n. 1150 del 1942, della l. n. 241 del 1990, del d.P.R. n. 380 del 2001, del d.m. lavori pubblici n. 1444 del 1968 e della l. r. n. 12 del 2005, deducendo eccesso di potere per sviamento, illogicità, contraddittorietà, contrasto con precedenti manifestazioni di volontà, travisamento del fatto, erronea rappresentazione della situazione di fatto e di diritto, difetto di motivazione, carenza d’istruttoria, ingiustizia manifesta e illegittimità derivata.
5.1. Il primo giudice ha rigettato il ricorso, argomentando rispetto a tutti i profili dedotti e, in accoglimento della sola censura attinente la eccessività e irragionevolezza della percentuale prevista per le aree a standard , ha disposto l’annullamento del PGT del 2019 con esclusivo riferimento alla posizione del Fallimento.
5.1.1. La statuizione di rigetto si fonda su una analitica ricostruzione della disciplina urbanistica del Comune, che il Collegio condivide e che può così sintetizzarsi.
5.1.2. La fase pregressa sulla quale il fallimento fonda l’affidamento .
5.1.2.1. Nel 2004, è stato approvato un Piano Particolareggiato di iniziativa pubblica, finalizzato alla riconversione e riqualificazione urbanistica dell’area, con scadenza al 25 febbraio 2017, ai sensi del d. l. n. 98 del 2013. Questo ha previsto la realizzazione di tre distinti comparti edificatori, suddivisi in 11 unità di progetto, per una s.l.p. complessiva pari a 190.874 mq (comparto A destinato ad attività produttiva;comparto B destinato ad attività terziaria;comparto C destinato a residenza).
In seguito alla scissione dell’originaria società proprietaria dell’area in due società (Immobiliare Villasanta S.r.l. e Lombarda Petroli S.r.l.), è stato diviso anche il compendio oggetto del Piano particolareggiato, cui ha fatto seguito nel 2007 una parziale esecuzione dell’originario piano, attraverso l’edificazione di alcuni capannoni produttivi solamente all’interno del compendio di Immobiliare Villasanta.
5.1.2.2. Con una variante al piano precedente (deliberazione consiliare n. 316 del 15 aprile 2009), è stato modificato l’assetto dell’originario intervento, prevedendo una differente distribuzione delle possibilità edificatorie tra le due proprietà (sono state individuate 14 unità di progetto, per una s.l.p. totale pari a 175.025, di cui 77.800 mq a destinazione produttiva, 64.000 mq a destinazione terziario commerciale e 33.225 mq a destinazione residenziale).
A causa di un evento esterno di rilevante impatto ambientale, avvenuto nel febbraio del 2010, costituito da un consistente sversamento di liquidi inquinanti provenienti dalla raffineria nella proprietà di Lombarda Petroli con contaminazione di un’ampia zona, compreso il fiume Lambro, si è determinata l’impossibilità di attuazione del Piano del 2009.
5.1.2.3. In sede di approvazione di un nuovo PGT, avvenuta con la deliberazione consiliare n. 156 del 6 marzo 2012, in accoglimento delle richieste delle parti private, è stata riconosciuta la possibilità di presentare distinti piani attuativi e convenzioni per le diverse proprietà, in esecuzione di un disegno organico e previa presentazione di un masterplan unitario, confermandosi le destinazioni e gli indici edificatori precedenti.
5.1.3. Il procedimento di interesse .
Nell’ambito del procedimento per la redazione del nuovo PGT, il Fallimento ha formulato alcune proposte finalizzate a ridisciplinare le potenzialità edificatorie del comparto di sua proprietà, chiedendone la suddivisione in cinque ambiti autonomi.
Secondo il Fallimento, la deliberazione consiliare n. 17 del 21 settembre 2018, di adozione del nuovo PGT, prescindendo completamente dalle richieste, ha confermato la sussistenza di un unico piano attuativo (AT11), con esclusione delle destinazioni residenziali e con la concentrazione dell’edificazione produttiva e commerciale nella parte vicino alla linea ferroviaria, prevedendo altresì una rilevante dotazione di standards , riducendo l’edificabilità complessiva a 50.000 mq di s.l.p. e introducendo altre significative limitazioni.
5.1.3.1. In esito alla presentazione di nuove osservazioni (in data 5 dicembre 2018) - con le quali sono state ribadite le precedenti proposte, in particolare quella di eliminare la previsione di un unico comparto, suddividendolo in più ambiti separati più facilmente attuabili, e di stralciare dal perimetro degli ambiti di trasformazione l’area di proprietà comunale - le delibere di approvazione del nuovo PGT (deliberazioni consiliari n. 15 e 16 del 2019) hanno accolto solo parzialmente le osservazioni presentate, assegnando al sub-comparto denominato 11.1 una s.l.p. massima pari a 60.000 mq e al sub-comparto denominato 11.2 una s.l.p. massima pari a 8.000 mq.
5.2. La statuizione di rigetto del primo giudice si fonda su essenziali argomentazioni in diritto, che il Collegio condivide e che possono sintetizzarsi nei punti che seguono:
a ) va escluso ogni affidamento tutelabile perché: - da un lato esso non può trovare fondamento nell’originario PGT del 2004 e nelle successive varianti del 2009 e del 2012;- dall’altro le previsioni di piano originarie sono state smentite dalle richieste del Fallimento concernenti il PGT di interesse del 2019, le quali, essendo completamente diverse rispetto all’assetto urbanistico precedente della zona, dimostrano la non attualità delle originarie previsioni rispetto all’interesse dello stesso Fallimento;
b ) le previsioni del 2004 non hanno mai avuto attuazione da parte del Fallimento;infatti, in esito alla divisione del compendio tra le due società succedute alla società originaria, una parziale esecuzione ha riguardato solo le aree della Immobiliare Villasanta S.r.l.;
b1 ) rispetto alla variante del 2009, predisposta in ragione del nuovo assetto societario, non risulta essere stata mai sottoscritta dalle parti la convenzione accessiva, e secondo la giurisprudenza la mancata sottoscrizione della convenzione correlata ad un piano di lottizzazione, rende quest’ultimo inefficace e non consente nemmeno l’avvio del decorso del termine decennale di validità dello stesso;
b1.1 ) peraltro, la variante del 2009 è restata “ sulla carta ” anche per altre ragioni, atteso che lo stesso piano è stato reso inattuabile dall’evento di notevole impatto ambientale accaduto nel febbraio del 2010, e dalla successiva variante del 2012;
b1.2 ) rispetto alla disciplina urbanistica prevista dal nuovo PGT del 2012, non è stato mai presentato il masterplan unitario;
b1.3 ) inoltre, il parere del Consiglio di Stato (n. 352 del 5 febbraio 2019, reso in sede di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica), concernente la richiesta da parte del Comune di restituzione del contributo di costruzione versato - pur ritenendo la vigenza del piano del 2009, seppure non integrato con la convenzione attuativa, e senza alcun riferimento alla sopravvenuta regolamentazione del 2012 - non ha affatto affrontato la questione della sua incidenza sulla futura attività di pianificazione del Comune, ma si è focalizzato esclusivamente sulla restituzione degli oneri legati all’attività di costruzione;con la conseguenza, che la suddetta decisione non assume rilievo vincolante o comunque determinante nel presente giudizio;
c ) la non attuabilità delle previsioni urbanistiche precedenti trova conferma anche rispetto al profilo dell’interesse alla loro realizzabilità da parte dello stesso Fallimento, atteso che le proposte di modifica presentate nel corso del procedimento approdato al PGT del 2018/2019 – a partire dalla suddivisione in cinque ambiti autonomi del comparto - sono del tutto difformi ed incompatibili con la variante del 2009 e con le previsioni del 2012;
d ) in definitiva, non può trovare tutela un affidamento generico al mantenimento delle capacità edificatorie di un comparto, mai convenzionato e attuato (almeno nella parte relativa alla Lombarda Petroli), essendo comunque necessario che permangano una continuità e una stretta correlazione tra quanto previsto nel piano non attuato e l’assetto urbanistico che si chiede di confermare;infatti, diversamente opinando, si giungerebbe ad ammettere che l’ente pubblico titolare delle potestà di pianificazione urbanistica sarebbe limitato nella scelta della destinazione urbanistica da assegnare ad un’area dalla mera volontà del privato beneficiario di un piano attuativo non più realizzabile, il quale potrebbe decidere il nuovo assetto da conferire alla stessa, anche in maniera del tutto difforme dal predetto piano;
e ) né rileva il precedente invocato dal ricorrente (T.a.r. per la Lombardia n. 318 del 2018), atteso che in quella fattispecie risultava stipulata la convenzione per una parte del comparto, era stata pronunciata una sentenza favorevole al privato su una vicenda affine, lo stato dei luoghi non era mutato rispetto al momento di approvazione del piano attuativo, peraltro anteriore di soli sei anni, e la parte privata aveva manifestato l’intenzione di realizzare il piano attuativo originariamente approvato.
5.3. Una volta esclusa la tutela dell’affidamento, e dopo aver messo in evidenza che le osservazioni del ricorrente erano state in parte accolte (assegnando al sub-comparto denominato 11.1 una s.l.p. massima pari a 60.000 mq e al sub-comparto denominato 11.2 una s.l.p. massima pari a 8.000 mq), il primo giudice si è analiticamente soffermato sulle censure specifiche prospettate dal Fallimento in collegamento con le osservazioni presentate nel corso del procedimento che non avevano avuto esito positivo.
5.3.1. La statuizione di rigetto di tali profili specifici si fonda sulle essenziali argomentazioni, condivise dal Collegio, che possono così sintetizzarsi:
a ) con riferimento al richiesto stralcio delle aree di proprietà comunale, il Comune ha congruamente motivato la sua scelta, con la necessità di una riqualificazione complessiva del contesto, a carattere strategico per la città, precisando che l’area di proprietà comunale non partecipa alla suddivisione dei diritti edificatori (salvo che per la ricollocazione degli alloggi comunali degradati esistenti);
b ) quanto alla richiesta destinazione residenziale, il Comune ha rilevato la sua incompatibilità con l’area occupata da insediamenti produttivi dismessi o sottoutilizzati, per i quali il piano prevede la reindustrializzazione, seppur ampliata a funzioni di “ mixitè ” che ammodernano il tradizionale concetto di “ industria ”;tanto, conformemente alla giurisprudenza costante, secondo cui le scelte riguardanti la classificazione dei suoli sono sorrette da ampia discrezionalità e in tale ambito la posizione dei privati risulta recessiva rispetto alle determinazioni dell’amministrazione, in quanto scelte di merito non sindacabili dal giudice amministrativo, salvo che non siano inficiate da arbitrarietà o irragionevolezza manifeste, ovvero da travisamento dei fatti in ordine alle esigenze che si intendono nel concreto soddisfare;
c ) quanto all’erronea rappresentazione della situazione di fatto, per non aver considerato il contesto interamente urbanizzato, la censura è rigettata perché: I) la nozione di naturale vocazione edificatoria rileva solo nelle vicende espropriative, e non, invece, nell’ambito della disciplina d’uso dei suoli, poiché – postulando la preesistenza di una vocazione edificatoria di fatto – sarebbe contradditoria rispetto alla sottoposizione di ogni attività edilizia alle scelte pianificatorie dell’amministrazione;II) come risulta dalla relazione generale al PGT, il Comune, mediante la riattribuzione al comparto della destinazione produttiva–commerciale, con riduzione dell’indice edificatorio: - ha inserito l’area tra le grandi strategie urbane riattivando il percorso di riqualificazione della ex Lombarda Petroli con la previsione di un futuro “industriale” per difendere la piattaforma produttiva locale mediante realtà economiche di nuova generazione; - ha perseguito l’obiettivo di limitare il consumo di suolo e di riattivare le grandi aree degradate;così esercitando il potere di pianificazione in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del proprio territorio, alla luce della tutela di interessi costituzionali primari, quali quelli salvaguardati dall’art. 9 Cost.;
d ) quanto alla lamentata gravosità dei costi di bonifica posti a carico della parte privata, rileva ai fini del rigetto che l’obbligo di ripristino ambientale discende direttamente dalla legge speciale in materia, secondo la quale, in mancanza di individuazione del soggetto responsabile dell’inquinamento, l’onere è di carattere “ reale ” sul bene inquinato;
e ) quanto ai profili di censura relativi alla inidoneità del piano finanziario allegato al PGT, da un lato la censura è generica, dall’altro la mancata o inesatta redazione della parte finanziaria non determina l’illegittimità dello strumento pianificatorio, trattandosi di aspetto concernente esclusivamente l’efficacia e l’attuabilità dello stesso.
6. Il Collegio deve preliminarmente dare atto che la statuizione di rigetto in riferimento alla inidoneità del piano finanziario non è stata oggetto di gravame ed è, pertanto, passata in giudicato.
7. Le censure dell’appellante che giungono ora allo scrutinio del Collegio, le quali come preannunciato si articolano in tre profili (rubricati nell’appello con i numeri 2, 3 e 4), investono tre snodi essenziali delle argomentazioni del primo giudice a sostegno del rigetto.
7.1. Il Collegio, che condivide le tesi ben argomentate a sostegno del rigetto dell’originario ricorso, si limiterà a soffermarsi sugli aspetti che meritano integrazioni e a ribadire, ove occorra, principi affermati nella giurisprudenza amministrativa.
8. Il primo profilo (motivo rubricato sub n. 2 dell’appello) attiene al legittimo affidamento e si incentra: a ) sulla sentenza n. 318 del 2018 dello stesso T.a.r., che sarebbe stata fraintesa dal primo giudice, mentre avrebbe deciso in senso opposto un caso analogo; b ) sulla valenza di giudicato esterno del parere di questo Consiglio n. 352 del 2019, rispetto alla variante del 2009 che sarebbe restata vigente per un decennio sino al 2019, seppure non convenzionata; c ) sulla sostanziale continuità del piano del 2004, della variante del 2009 e sul successivo piano del 2012, nella previsione della zona residenziale.
8.1. Logicamente preliminare è la censura incentrata sulla valenza di giudicato esterno del citato parere di questo Consiglio.
Il Collegio ritiene che sia da escludere ogni valenza di giudicato esterno sulla base della considerazione centrale che attiene all’ambito proprio di quel giudizio, incentrato sulla domanda di rimborso degli acconti sui contributi di costruzione versati rispetto al piano del 2004 ed a partire dalle tesi rispettivamente sostenute dalle parti in quel giudizio. In tale ottica, nel richiamato parere si precisa esplicitamente di non poter pronunciare sulla domanda di inefficacia/decadenza della convenzione del 2004 e si reputa fondata la tesi del Comune, secondo cui all’originario piano del 2004, cui accedeva la convenzione dello stesso anno, era subentrata la variante del 2009, non scaduta, rispetto alla cui vigenza temporale era irrilevante la mancata stipulazione della nuova convenzione ivi prevista. In questo contesto, nel quale la tesi del Fallimento era che la variante del 2009, in mancanza della stipula della nuova convenzione, non aveva sostituito quella del 2004, scaduta nel 2014, nel parere si richiama quella giurisprudenza (peraltro concernente fattispecie con convenzioni stipulate) secondo cui il piano particolareggiato ha scadenza legale di dieci anni o quella minore prevista per l’attuazione, non potendo la convenzione incidere sulla validità massima prevista dalla legge, e si trae la conseguenza della irrilevanza della mancata stipula della convenzione prevista nel piano del 2009 ai fini del computo della vigenza dello stesso, che aveva sostituito quello del 2004.
E’ evidente che il richiamato parere non può assumere alcun valore di giudicato esterno rispetto alla vigenza della variante del 2009 sino al 2019, atteso che, sulla base della prospettazione delle stesse parti in quel giudizio, non è proprio emerso - neanche in riferimento all’incidenza dello stesso sulla restituzione dell’acconto versato nel 2004 per costi di costruzione - il nuovo PGT del 2012, che era stato approvato su richiesta dei proprietari delle aree e si era sostituito alla variante del 2009.
8.2. Quanto alla censura volta a valorizzare una decisione in senso opposto da parte dello stesso T.a.r., è dirimente il rilievo che nella fattispecie oggetto di decisione – a differenza di quella considerata dalla sentenza a raffronto - la parziale realizzazione nel 2007 del piano originario riguarda la diversa area dell’originario compendio unitario, realizzata dalla società Villasanta, divenutane titolare esclusiva per effetto della scissione societaria.
8.3. L’altra censura dell’appellante è volta a mettere in rilievo, ai fini dell’affidamento qualificato, quella che si assume come una sostanziale continuità rinvenibile nel piano del 2004, nella variante del 2009 e nel successivo piano del 2012, rispetto alla previsione della zona residenziale.
8.3.1. Il primo giudice ha condivisibilmente ritenuto l’insussistenza in capo alla società ricorrente di un affidamento qualificato, tale da fondare una pretesa a una determinata destinazione urbanistica dell’area per cui è causa.
Infatti, la fattispecie in esame è caratterizzata: - dalla parziale realizzazione della originaria convenzione del 2004, peraltro solo da parte dell’altra società che era divenuta esclusiva titolare del relativo compendio;- dall’assenza della sottoscrizione della convenzione sulla base della variante del 2009, la quale era intervenuta su richiesta dei proprietari, effettuata dopo la scissione della società originaria proprietaria, e si è inserita nel corso di validità dell’originario piano;- dall’assenza finanche della preliminare presentazione del masterplan , necessaria per assicurare un disegno organico dell’intera area sulla base del nuovo PGT del 2012, approvato su richiesta dei proprietari dopo che nel 2010 si era verificato l’inquinamento ambientale nell’area della ex raffineria di petrolio della Lombarda Petroli.
8.3.2. La decisione del T.a.r. inerente tale fattispecie è conforme all’indirizzo, del tutto prevalente nella giurisprudenza, secondo cui affinché si abbia affidamento qualificato è necessario che si addivenga alla sottoscrizione della convenzione di lottizzazione, che è il momento in cui si consacrano tra le parti i diritti e gli obblighi reciproci (cfr. tra le tante, Cons. Stato, sez. IV, n. 378 del 2016). Con la conseguenza che, in mancanza di convenzioni, non è sufficiente la semplice approvazione di un piano e riemerge l’ampia discrezionalità che caratterizza le scelte di pianificazione del Comune, con i connessi limiti del sindacato giurisdizionale, non essendo obbligata l’amministrazione a tener conto di alcuna posizione giuridica qualificata o differenziata.
8.3.3. In definitiva la sostanziale continuità tra i piani sino al 2012 rispetto alla previsione della zona residenziale – che, comunque, registra una discontinuità nel PGT del 2012, dove si rimette ai proponenti l’organizzazione urbanistica degli ambiti nel rispetto di una visione d’insieme assicurabile attraverso il masterplan - sulla quale l’appellante fonda l’esistenza di un affidamento qualificato, non è altro che il risultato di una scelta del Comune, evidentemente per alcuni anni ritenuta coincidente con le finalità pubbliche di pianificazione urbanistica, di “ venire incontro ” alle esigenze dei proprietari dei suoli.
8.4. La conseguenza è che, in assenza di convenzioni sottoscritte che avrebbero vincolato anche il Comune a quelle scelte, in occasione del nuovo PGT del 2019 il Comune era nel pieno esercizio della propria potestà pianificatoria e, quindi, libero di regolare diversamente la zona residenziale limitandola all’esistente sulle aree comunali, per le ragioni che emergeranno nel prosieguo dello scrutinio della censura specifica.
9. Con il secondo profilo (motivo rubricato sub 3 dell’appello), si censura la sentenza nella parte in cui ha rigettato il ricorso con il quale si denunciava l’erronea rappresentazione della situazione di fatto, dedotta come consolidato assetto edificatorio.
9.1. Il Collegio condivide le argomentazioni del primo giudice (sintetizzate nel § 5.3.1.) e ritiene che quelle dell’appellante non siano idonee a pervenire ad una diversa decisione.
9.2. L’appellante, dopo aver precisato in generale che non intende sindacare il merito della scelta effettuata dal Comune, ma solo l’irragionevolezza della stessa, in particolare ha dedotto: a ) l’omessa pronuncia sul diverso trattamento denunciato tra il mantenimento della destinazione residenziale per le aree comunali e l’esclusione della stessa per il privato, in collegamento con la situazione di urbanizzazione di fatto dell’area, che renderebbe irragionevole la scelta della negazione della destinazione residenziale al privato; b ) l’erronea interpretazione della censura prospettata in tema di consumo del suolo, atteso che nel ricorso al T.a.r. il ricorrente non aveva chiesto l’aumento dell’area edificabile ma, nell’ambito del limite previsto, di conservare quanto previsto nei piani preesistenti per il residenziale, anche perché si tratta di area produttiva dismessa, mente per consumo del suolo si intende quello vergine; c ) la contraddittorietà emergente tra la motivazione del Comune basata su esigenze ambientali e la scelta di destinare l’area a fini commerciali e produttivi.
9.3. Tutti i profili di censura, che si muovono all’interno della logica di una pretesa posizione qualificata che avrebbe consentito di esigere una pianificazione diversa, sono infondati e vanno rigettati.
9.3.1. Risulta evidente che, rispetto al diverso trattamento riservato alle aree residenziali comunali, non è ravvisabile l’omessa pronuncia sul profilo della denunciata contraddittorietà della scelta effettuata nei confronti del privato. Infatti, proprio dall’obiettivo della riqualificazione complessiva del contesto, in una con l’esclusione delle aree comunali dalla suddivisione dei diritti edificatori e con la mera ricollocazione degli alloggi comunali esistenti e degradati, la scelta del Comune risulta non contraddittoriamente motivata. Tutte argomentazioni ritenute legittime dal primo giudice [cfr. sintesi § 5.3.1. lett. a )].
9.3.2. Pure del tutto priva di fondamento è la censura con la quale, nel ribadire che l’obiettivo perseguito dal fallimento era solo la conservazione delle pregresse previsioni a destinazione residenziale, l’appellante sostiene la contraddittorietà della scelta comunale perché la ripianificazione di un’area produttiva dismessa non sarebbe compatibile con l’obiettivo della riduzione del consumo del suolo, potendo riguardare tale obiettivo solo le aree vergini, e perché gli assunti obiettivi ambientali sarebbero incompatibili con la destinazione commerciale e produttiva.
9.3.2.1. E’ evidente che l’obiettivo della riduzione del consumo del suolo – per la sua valenza ambientale a presidio di valori tutelati dalla Costituzione - è per sua stessa natura compatibile, oltre che con la pianificazione delle aree vergini, proprio con la riqualificazione di aree già urbanizzate;tanto più se si tratta di aree industrializzate dismesse e, a maggior ragione, se sono state interessate da consistenti fenomeni di inquinamento, come nella fattispecie.
9.3.2.2. Né alcuna contraddittorietà può ravvisarsi nella nuova pianificazione comunale, la quale non può essere semplificata, come fa l’appellante, a quella commerciale e produttiva. Innanzitutto, perché, come ha rilevato il primo giudice, l’area è inserita tra le grandi strategie urbane mediante una riqualificazione industriale con realtà economiche di nuova generazione (cfr. § 5.3.1. lett. c ), che si combinano con esercizi commerciali di vicinato, esercizi pubblici, artigianato, terziario ( mixitè ), il tutto in un contesto di aree destinate a verde, alla realizzazione di una rete ecologica comunale, la creazione, unitamente ad altre aree, di un grande parco di transizione e collegamento (art. 66 NTA).
10. Con il terzo profilo (motivo rubricato sub 4 dell’appello), si censura la sentenza nella parte in cui ha rigettato il ricorso rispetto alla denunciata gravosità dei costi di bonifica.
10.1. Censura la sentenza per averlo rigettato – sulla base degli obblighi discendenti dalla legge a carico del proprietario delle aree inquinate – senza valutare che non era stato prospettato come vizio autonomo;bensì, come onere sproporzionato in considerazione della diminuita potestà edificatoria, del mancato riconoscimento della destinazione residenziale, degli oneri gravanti sulla proprietà per la demolizione delle aree di proprietà comunali degradate.
10.2. La censura è infondata perché l’appellante, in definitiva, sostiene che il Comune avrebbe dovuto considerare gli ingenti costi di bonifica presupposti alla utilizzazione del sito, per riconoscere ai proprietari una destinazione urbanistica – come quella residenziale – più redditizia per potervi fare fronte. In tal modo la contestazione si sostanzia nella deduzione della generale non sostenibilità dell’intera operazione urbanistica come risultante dal PGT del 2019, a raffronto di quella illo tempore concordata col Comune e sulla quale aveva fatto affidamento;argomentazione ormai non spendibile essendo stato disconosciuto ogni affidamento qualificato.
11. L’eccesso di dotazione di aree standard da cedere al Comune .
11.1. Il Fallimento, con l’originario ricorso al T.a.r., ha dedotto l’eccesso di tali aree (una superficie di circa 90.000 mq rispetto ad un comparto avente un’estensione complessiva di 157.000 mq) in violazione dei limiti posti dal d.m. n. 1444 del 1968, dall’art. 9 della l.r. n. 12 del 2005, dallo stesso strumento urbanistico comunale con le NTA, individuate negli artt. 45, comma 2 (dotazione di aree destinate a servizi) e 66 (scheda di indirizzo AT11 – via Sanzio), specifico per l’ambito di intervento, unitamente ad eccesso di potere per irragionevolezza e violazione del principio di proporzionalità e disparità di trattamento.
1.1.1. Nel giudizio di primo grado, il Comune ha chiesto il rigetto di tale doglianza richiamando il principio giurisprudenziale, secondo cui è legittima la previsione in eccesso, purché supportata da adeguata motivazione negli atti dello strumento urbanistico;a tal fine, ha richiamato la relazione generale (p. 64), dove la scelta troverebbe spiegazione nell’obiettivo di riqualificazione paesaggistica e ambientale, nella necessità di dare forma alla rete ecologica comunale e di avviare una complessiva riqualificazione urbana, anche mediante il rafforzamento della politica dei servizi.
11.2. Il primo giudice ha accolto la censura (cfr. statuizione prima riportata in § 5.1.), ritenendo la motivazione non adeguata a legittimare la scelta di uno standard pari al 55% della superficie del compendio, notevolmente superiore al limite minimo del 10%, individuato per le aree destinate ad insediamenti industriali o assimilati dall’art. 5 del d.m. n. 1444 del 1968.
11.3. Il Comune ha proposto appello incidentale.
11.3.1. La tesi sostenuta può così riassumersi:
a ) l’art. 103, comma 1- bis, lett. a ) ( recte , comma 1- bis ), della l. r. n. 12 del 2005, salvo che per i limiti inderogabili sulle distanze, ha disposto la disapplicazione delle norme del d.m. n. 1444 del 1968 per i PGT adeguati alle disposizioni dell’art. 26, commi 2 e 3, della stessa legge regionale;
b ) la disposizione è conforme al principio previsto dall’art. 2- bis del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale accorda a leggi e regolamenti regionali la possibilità di derogare alle prescrizioni del suddetto d.m. del 1968, “ con particolare riguardo a quelle in materia di spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi ”, e dunque agli standards ;
c ) il principio statale ha trovato applicazione nell’art. 9, comma 3, della stessa legge regionale, il quale ha fissato il limite minimo della dotazione standard per la zona destinata a “ residenza ” a 18 mq per abitante, rinviando alla pianificazione locale la determinazione per le altre destinazioni funzionali;
d ) nell’art. 9, la riserva di atto amministrativo è ancorata a tre elementi essenziali, costituiti dalla qualità delle attrezzature insediate e da insediare, alla loro fruibilità e accessibilità;
d1 ) il PGT, pertanto – fatta salva la misura minima stabilita per la destinazione a residenza – è autonomo nello stabilire il fabbisogno della dotazione di standard senza dover partire dai minimi previsti nel d.m. del 1968 e, considerando che – sulla base della giurisprudenza – “ la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree ”;
e ) il T.a.r. ha erroneamente valutato il solo ambito dell’area di interesse, fuori dal contesto pianificatorio, ed inoltre, non ha tenuto conto della specifica disciplina dell’ambito di interesse;
e1 ) le argomentazioni della relazione generale (riqualificazione paesaggistica e ambientale nella localizzazione delle aziende produttive, rete ecologica comunale, rafforzamento politica dei servizi senza consumo di suolo) sono idonee a spiegare il contesto pianificatorio che spiega il surplus di aree verdi;
e2 ) quanto alla disciplina dell’ambito di interesse, non può essere valutata come solo “industriale” in base al PGT;l’espressione è usata tra parentesi nella relazione, essendo stata utilizzata in una accezione generica;infatti, nella scheda specifica (art. 66 NTA contenente scheda di indirizzo proprio dlel’AT11) sono indicati quali usi non ammessi abitazioni e grande commercio, con la conseguenza che sono ammessi tutti gli altri (destinazioni commerciali di media struttura e terziario di qualsiasi genere);
e3 ) sulla base della norma generale in tema di dotazione di servizi (art. 45 NTA), la misura possibile degli standard varia notevolmente a seconda della destinazione, individuata nel piano attuativo;questa disposizione è conforme all’art. 9, comma 7, l.r. cit., che demanda al piano dei servizi il compito di individuarli all’interno degli ambiti di trasformazione, con particolare riguardo al caso in cui sia ipotizzata la realizzazione di “ strutture di distribuzione commerciale, terziarie, produttive e di servizio caratterizzate da elevata affluenza degli utenti .”
e4 ) in aggiunta, nella scheda d’ambito è prescritta la cessione al Comune dell’area indicata nello schema grafico e destinata a verde;essa concorre alle previsioni generali del PGT, da valutarsi nella sua interezza.
11.4. Il Fallimento ha, in primo luogo sostenuto l’infondatezza dell’appello incidentale perché sarebbe applicabile l’art. 5 del d.m. del 1968, con il limite minimo del 10% previsto per la destinazione principale produttiva, essendo la stessa prevalente rispetto a quella commerciale sulla base dell’art. 66 NTA, specifico rispetto all’ambito di interesse, e risultando pertanto non applicabile la norma tecnica generale costituita dall’art. 45 NTA.
11.4.1. In secondo luogo, il Fallimento ha criticato la tesi del Comune, mettendo in rilievo:
a ) che la disapplicazione del d.m. del 1968 per effetto dell’art. 103 della l.r. cit. comporterebbe la conseguenza di affidare a ciascun singolo PGT dei Comuni adeguatisi alle disposizioni dell’art. 26 della stessa l.r. la definizione della quantità di s tandards applicabili per le zone diverse da quella residenziale, senza nemmeno un parametro di riferimento stabilito a livello regionale;
b ) che tale interpretazione contrasterebbe con l’art. 2- bis del d.P.R. n. 380 del 2001, poiché l’attribuzione alle Regioni del potere di regolamentare la materia degli standards in modo difforme dal d.m. cit. non può essere interpretata come totale liberalizzazione (in eccesso e in riduzione) delle regole affidate all’arbitrio di ogni singola amministrazione comunale, perché contrasterebbe con il rispetto degli art. 7, 10, 13 e dell’art. 41- quinquies della l. n. 1150 del 1942, introdotto dall’art. 17 della l. n. 765 del 1967, in tema di piani urbanistici generali e di piani particolareggiati, che rendono obbligatoria la fissazione di standards , di limiti e parametri inderogabili per l’edificazione applicabili in sede di pianificazione urbanistica, disposizione che ha legittimato l’emanazione del d.m. in argomento;
b1 ) che, invece, l’art. 2- bis , perseguirebbe l’obiettivo di consentire alle Regioni di fissare limiti diversi rispetto a quelli del d.m. per orientare le scelte pianificatorie comunali, con la conseguenza di rendere possibile la limitata modifica dei parametri generali previsti dal d.m.
11.4.2. Infine, per l’ipotesi che si ritenga corretta la tesi del Comune e non percorribile una interpretazione adeguatrice delle norme vigenti, il Fallimento ha chiesto al Collegio di scrutinare la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 26 e 103, comma 1- bis, della l.r. n. 12 del 2005 per contrasto con gli art. 3, 24, 41, 42, 97, 113 e 117 della Costituzione, in relazione ai principi fondamentali dettati dagli art. 7, 10, 13 e 41- quinquies della l. n.1150 del 1942, introdotto dall’art. 17 della l. n. 765 del 1967 in tema di piani regolatori e di piani particolareggiati, in quanto si determinerebbe:
a ) il differente trattamento di cittadini che realizzino lo stesso intervento edilizio in Comuni differenti (art. 3 Cost.);
b ) la limitazione al diritto di difesa, in assenza di un parametro legislativo e regolamentare su cui pre-definire il livello di ragionevolezza della scelta pianificatoria assunta in tema di standards (art. 24 e 113 Cost.);
c ) la lesione del diritto di proprietà e del diritto di impresa, potendo il Comune prevedere uno standard del 99%, non incontrando limiti nel massimo, così determinando una situazione para-espropriativa (art. 41 e 42 Cost.);
d ) la violazione del precetto di buon andamento della pubblica amministrazione, non essendo previsti limiti nel minimo, con la conseguenza che il Comune potrebbe ridurre gli standards dovuti al 1% dell’estensione territoriale e consentire l’edificazione su tutto il resto, con enorme carico urbanistico non accompagnato dalle necessarie dotazioni di servizi, nonostante vi sia obbligo di rispettare l’art. 41- quinquies della l. n. 1150 del 1942, introdotto dalla l. n. 765 del 1967 (art. 97 Cost.);
e ) la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai principi generali dettati dalla l. n. 1150 del 1942 e dalla l. n. 765 del 1967, dei quali il d.m. del 1968 costituisce mera attuazione, tanto che viene definito come regolamento legislativo, oltreché degli art. 9 e 10 della l. n. 62 del 1953, nella parte in cui obbligano a definire limiti inderogabili di edificazioni e di standards che le citate norme regionali hanno impropriamente abrogato, tenendo anche presente che la “disapplicazione” da parte regionale di norme statali può avvenire solo per le c.d. “norme cedevoli” regolamentari (il d.m. del 1968 è norma solo formalmente regolamentare con valenza legislativa in quanto attua in modo necessitato ed ineludibile norme di legge inderogabili) in quanto l’urbanistica è materia concorrente, ma non può avvenire in riguardo a norme di legge statale, specie se fissino principi fondamentali delle materia, anche riferibili a norme statali di principio già previgenti, soprattutto con riferimento alle disposizioni del d.m. del 1968 che sono considerate munite di efficacia precettiva inderogabile, anche in relazione agli obiettivi citati dall’art. 2- bis del d.P.R. n. 380 del 2001, essendo evidente la violazione dell’art. 117, comma 2, Cost. anche in relazione alla c.d. determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni in cui la dotazione di s tandards urbanistici rientra e – più in generale – con riferimento alla competenza esclusiva statale in tema di proprietà privata.
11.4.3. Resta da aggiungere che, dalla sintesi della tesi del Fallimento sopra riportata, sono stati esclusi i riferimenti al piano del 2009, stante il rigetto dell’appello principale su ogni profilo attinente all’affidamento qualificato;profilo sul quale si sofferma soprattutto la memoria.
12. Ai fini della decisione dell’appello incidentale, sulla base di quanto emerge dalla sintesi sopra riportata, il Collegio deve prendere atto:
- che il T.a.r. ha deciso il profilo di censura attinente al sovradimensionamento delle aree standard sulla base dell’applicabilità diretta del d.m. del 1968 e, in particolare, ha rigettato la censura ritenendo non adeguata la motivazione della relazione al PGT in ordine al dimensionamento - calcolato pari al 55% - delle aree standards , utilizzando a raffronto la percentuale minima del 10%, prevista dall’art. 5 dello stesso d.m. per le aree industriali ed assimilate;
- che, con l’appello incidentale del Comune e con la memoria di costituzione del Fallimento, hanno assunto rilievo determinante nella decisione, da un lato l’art. 2- bis del d.P.R. n. 380 del 2001, dall’altro l’art. 103, comma 1- bis , in collegamento con gli artt. 9 e 26, della l.r. n. 12 del 2005;
- che il profilo, specifico della fattispecie, relativo alla destinazione dell’area per cui è causa in collegamento con il rapporto tra gli artt. 45 e 66 delle NTA anche rispetto al principio della prevalenza della destinazione ai fini degli standards applicabili, presuppone necessariamente, oltre all’art. 2- bis cit., la questione della applicabilità o meno delle norme regionali richiamate, le quali hanno consentito l’emanazione delle disposizioni urbanistiche del Comune;
- che, ai fini della applicazione delle norme regionali, è imprescindibile lo scrutinio della possibile non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità emersa nella fase di appello.
13. L’esistenza nell’ordinamento statale dell’art. 2- bis cit., oltre che dell’art. 41- quinquies , l. n. 1150 del 1942 e del d.m. del 1968, pone all’attenzione del Collegio il preliminare profilo dell’interpretazione del suddetto art.2- bis all’interno del sistema dei principi vincolanti per la legislazione regionale, individuati dall’art. 41- quinquies , commi 8 e 9, della l. n. 1150 del 1942, come specificati dal d.m. del 1968, e della sua compatibilità costituzionale rispetto alla competenza concorrente delle Regioni in materia di “ governo del territorio ”, posto che se fosse ipotizzabile la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2- bis per violazione dell’art. 117, terzo e secondo comma, la stessa sarebbe logicamente preliminare alla illegittimità prospettata dal Fallimento rispetto alle norme regionali, venendo meno – nel caso di ipotetico accoglimento – la base normativa statale che consente di emanare disposizioni regionali derogatorie ai principi già presenti nella legislazione statale.
13.1. Preliminarmente, deve precisarsi che dalla fattispecie in esame derivano i confini della rilevanza della possibile questione di costituzionalità, dovendosi escludere ogni profilo attinente alle deroghe in materia di limiti di distanze tra fabbricati, sui quali la Corte costituzionale è più volte intervenuta.
La fattispecie in esame è incentrata, infatti, unicamente sulle possibili deroghe, da parte della legislazione regionale, al d.m. del 1968 in materia di “ spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi ”, e dunque agli s tandards , “ nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali ”. Materia che, a prescindere dalla mancata ricomprensione nel titolo dell’articolo, è indubbiamente disciplinata dall’art. 2- bis .
14. Rileva il Collegio che, nello scrutinio della questione di costituzionalità dopo il passaggio in decisione, è emerso un profilo diverso rispetto a quello discusso tra le parti, perché attinente alla possibile non manifesta infondatezza della questione di legittimità anche dell’art. 2- bis cit.
14.1. Da ciò la necessità, ai sensi dell’art. 73, comma 3 c.p.a., riservata ogni decisione sull’appello incidentale, di assegnare alle parti il termine di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione, o dalla notificazione se precedente, della presente sentenza non definitiva, per il deposito di memorie vertenti unicamente sui tutti i profili di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità prospettata dal Collegio, nonché su tutti i profili di possibile rimessione della questione alla Corte costituzionale.
15. La questione di costituzionalità prospettata dal Fallimento può così sintetizzarsi :
Se sia o meno non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 103, comma 1- bis, in combinato disposto con gli artt. 9 (implicitamente dedotto) e 26, della l.r. n. 12 del 2005, in riferimento all’art. 117, terzo comma Cost., stante la competenza concorrente dello Stato in materia di “ governo del territorio ”, all’art. 117, secondo comma, lett. m ), Cost., stante la legislazione esclusiva statale nella “ determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ”, nonché in riferimento ad altri valori tutelati dalla Costituzione, quali il differente trattamento di cittadini che realizzino lo stesso intervento edilizio in Comuni differenti (art. 3 Cost.), il diritto di proprietà (art. 24 Cost.), il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) e il diritto di difesa (art. 24 Cost.);posto che la legge regionale (art. 103, comma 1- bis ) - in sede di adeguamento degli strumenti urbanistici (art. 26) - prevede che non si applicano tutte le disposizioni del d.m. del 1968 diverse da quelle attinenti alle distanze tra fabbricati, le quali sono derogabili a determinate condizioni, e demanda al “Piano dei servizi”, adottato dal Comune in collegamento con il “Documento di piano” (artt. 8 e 9), l’individuazione, previa determinazione del numero degli utenti sulla base di criteri predefiniti, della dotazione globale di aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico generale, la dotazione di verde, i corridoi ecologici e il sistema di verde di connessione tra territorio rurale ed edificato, la viabilità, stabilisce solamente una dotazione minima (art. 9, comma 3), pari a diciotto metri quadrati per abitante, di aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale per le zone residenziali;in tal modo violando i principi fondamentali della legislazione statale, che impongono in tutti i Comuni l’osservanza di “ rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti (residenziali) e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi ” (art. 41- quinques , commi 8 e 9, l. n. 1150 del 1942), come specificati dalle disposizioni del d.m. del 1968, più volte ritenuto dotato di efficacia precettiva e inderogabile in quanto attuativo del suddetto art. 41- quinquies (art. 117, terzo comma);violando altresì, la competenza esclusiva statale in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (117, secondo comma) e il buon andamento dell’amministrazione (art. 97), rimettendo alla regolamentazione comunale anche l’individuazione dei rapporti minimi di aree standard in zone diverse da quelle residenziali;nonché il diritto di impresa e il diritto di proprietà (artt. 41 e 42), rimettendo alla regolamentazione comunale anche l’individuazione dei rapporti massimi di aree standard ;nonché finanche il diritto di difesa dinanzi al giudice (art. 24 e 113) in assenza di un parametro legislativo di riferimento per il sindacato di ragionevolezza della scelta del singolo Comune.
15.1. Può aggiungersi che il presupposto interpretativo assunto dal Fallimento posto alla base della richiesta principale di rigetto dell’appello incidentale, è che l’art. 2- bis cit. consenta solo alla legislazione regionale, e non anche alla regolamentazione urbanistica comunale, deroghe ai principi stabiliti dalla legislazione statale, e che, in mancanza delle deroghe previste dalla legge regionale - come nella fattispecie dove la legislazione regionale disciplina solo il minimo degli standards nelle zone residenziali (peraltro in maniera parziale e individuando la dotazione minima nella stessa percentuale prevista dall’art. 3 del d.m. del 1968) – per le aree non disciplinate dalla legislazione regionale continuano ad applicarsi i principi statali dell’art. 41- quinquies, l. n. 1150 del 1942, come specificati dal d.m. del 1968, con conseguente possibilità di sindacato sulla motivazione dei piani comunali quando si discostano notevolmente dalla percentuale minima statale.
16. Il profilo dell’interpretazione del suddetto art.