Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-03-28, n. 201801960

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-03-28, n. 201801960
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201801960
Data del deposito : 28 marzo 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/03/2018

N. 01960/2018REG.PROV.COLL.

N. 02766/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2766 del 2014, proposto dal signor G A, rappresentato e difeso dall’avv. M A ed elettivamente domiciliato in Roma, piazza Gondar n. 22, presso il suo studio;

contro

Ministero della difesa, in persona del Ministro in carica pro tempore , rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del TAR Lazio, sez. I bis , n. 10758 del 12.12.2013, resa inter partes , concernente diniego riammissione in servizio.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;

Vista la memoria difensiva dell’appellato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2018 il Cons. G S e uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, l’avvocato Antonelli e l’avv.to dello Stato Palatiello;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il signor Aurelio G, Capitano dell’Arma dei Carabinieri, ha impugnato, avanti il T.a.r. per il Lazio – Roma, sez. I bis , il provvedimento del 27.01.2006, col quale il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, dopo la cessazione del servizio a decorrere dal mese di gennaio 2005 e contestuale collocamento nel corrispondente ruolo degli Ufficiali di complemento dell’Arma dei Carabinieri, respingeva la sua istanza, del 28.09.2005, con la quale chiedeva di essere riammesso in servizio in applicazione del principio di cui all’art. 132 del d.P.R. n. 3/1957 e comunque di vedere revocate le dimissioni non essendo ancora intervenuto il d.P.R. di cessazione dal servizio permanente.

2. Il signor G, nel quadro di un unico complesso motivo di censura, ha lamentato l’illegittimità di tale decisione, in quanto la mera accettazione delle dimissioni – fintantochè non sia stato emesso il decreto presidenziale richiesto dall’art. 33, secondo comma, della legge 10 aprile 1954, n. 113 – non determina la cessazione del servizio in grado di precludere la revoca delle dimissioni;
comunque, nella dichiarata consapevolezza della mancanza di una norma che contempli la riammissione in servizio a domanda nel micro ordinamento di settore - del quale se ne lamenta pertanto la illegittimità costituzionale - ha invocato l’applicazione del citato art. 132 del testo unico per il pubblico impiego, in quanto espressivo di un principio generale del quale sarebbe esplicazione l’art. 39 del d.lgs. n. 69/2001, che consente la riammissione in servizio per gli ufficiali della Guardia di Finanza.

3. Costituitasi l'amministrazione erariale, il T.a.r. ha rigettato il ricorso con compensazione delle spese di giudizio.

4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che “ l’atto in questione non rientra tra quelli indicati dalla legge 12 gennaio 1991, n. 13, che riporta l’elencazione tassativa degli atti da adottare con Decreto del capo dello Stato ” e che i dubbi di legittimità costituzionale della disciplina di riferimento vanno sopiti “ dovendosi [invece] riconoscere al legislatore ordinario un’ampia discrezionalità nella materia dell’inquadramento e dell’articolazione delle carriere degli ufficiali ” e pertanto “ la diversità di disciplina prevista per diverse tipologie non si pone in contrasto con il principio di uguaglianza e di ragionevolezza ”.

5. Avverso tale pronuncia il signor G ha interposto appello, lamentando, da un lato, la omessa considerazione dell’art. 33 della legge 113/1954, laddove prevede che il provvedimento di cessazione del servizio permanente è adottato con decreto del Presidente della Repubblica, e, dall’altro, che l’impugnato diniego è intervenuto dopo la presa di conoscenza da parte dell’amministrazione della revoca delle dimissioni con l’istanza del 28 settembre 2005 di riammissione in servizio e quindi prima che si sia prodotto l’effetto estintivo del rapporto.

5.1. L’appellante ha ulteriormente dedotto che il Tribunale ha posto a fondamento della sua decisione una pronuncia della Corte Costituzionale (n. 430 del 25 novembre 2005) nonché una del Cons. Giust. Amm. Regione Sicilia (n. 135 del 16 febbraio 2011) da ritenere entrambe inconferenti, deponendo la normativa di riferimento (individuata nella legge n. 113/1954, art. 33) nel senso della necessità del decreto presidenziale ai fini dell’adozione del provvedimento di cessazione dal servizio. L’appellante ha evidenziato che non sarebbero riferibili alla presente controversia le conclusioni della Corte Costituzionale di cui alla menzionata sentenza n. 430 in quanto “ formulate con riferimento all’applicabilità dell’istituto agli Ufficiali dell’Esercito, e che contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di prime cure, non sono estensibili alle altre Forze Armate ”.

6. Il Ministero della difesa si è costituito con memoria, valorizzando l’intervento della Corte che ha dichiarato infondata la prospettata questione di costituzionalità e opponendo l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 132 del d.P.R. n. 3/1957.

8. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti non hanno svolto difese scritte.

9. Il ricorso, discusso alla pubblica udienza dell’8 febbraio 2018, non merita accoglimento.

9.1. Preliminarmente il Collegio rileva che il nucleo delle deduzioni sollevate dall’appellante, come evidenziato nello stesso atto di gravame (pag. 9), “ si incentra […] sull’ammissibilità della revoca delle dimissioni antecedentemente al decreto del Presidente del Presidente della Repubblica e sulla necessità dell’emanazione di detto decreto ”. L’appellante infatti ritiene che, stante la necessità della predetta veste formale, l’istanza di riammissione in servizio, oltre che di revoca delle dimissioni precedentemente rese, sarebbe intervenuta prima che si fosse consolidata la cessazione dal servizio, con la conseguente inapplicabilità della norma di cui all’art. 43, comma 2, della legge 10 aprile 1954, n. 113 – articolo oggi trasfuso nell’ordinamento militare – nella parte in cui non prevede che l’amministrazione della difesa possa riassumere in servizio l’Ufficiale cessato a domanda dal servizio permanente. Assume quindi carattere dirimente quanto articolato dall’appellante circa la mancanza della veste formale del decreto presidenziale, dovendosi ritenere tale questione preliminare ed assorbente rispetto a quella, di carattere sostanziale, della pretesa disparità di trattamento.

9.2. La disamina del rilievo non può prescindere dall’esatto tenore testuale della disciplina di riferimento. L’art. 33 invocato dal ricorrente effettivamente prevede che “ Il provvedimento di cessazione dal servizio permanente è adottato con decreto del Presidente della Repubblica. Se il provvedimento è disposto a domanda, ne è fatta menzione nel decreto ”. Tale statuizione normativa, che peraltro è stata abrogata dal codice dell’amministrazione militare (D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66), deve ritenersi superata dalla legge n. 13 del 1991, che, come rilevato dal Tribunale, individua gli atti che richiedono la veste del decreto del Presidente della Repubblica attraverso la loro tassativa elencazione che non contempla il provvedimento di cessazione dal servizio. La prevalenza della disciplina di cui alla legge n. 13 del 1991 si deve sia al criterio cronologico, essendo intervenuta successivamente alla legge n. 113 del 1954, sia al criterio di specialità, riferendosi esattamente agli atti del capo dello Stato la cui competenza si assume nel caso di specie pretermessa.

9.3. Le critiche sollevate dall’appellante in ordine alla legittimità costituzionale della disciplina su richiamata, al di là della loro effettiva potenziale refluenza sulla legittimità del provvedimento impugnato in prime cure, vanno a loro volta disattese, in considerazione della ridetta pronuncia della Corte delle leggi (n. 430 del 2005) che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità sollevata in relazione all’istanza “ di riammissione in servizio di un ex tenente dell’Esercito ”, in quanto “ non è consentito al controllo di costituzionalità di travalicare nel merito delle opzioni legislative (sentenza n. 5 del 2000) - deve escludersi che la norma denunciata sia manifestamente irragionevole o arbitraria o contrasti con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, tenuto conto che al legislatore ordinario spetta un'ampia discrezionalità nella materia dell'inquadramento e dell'articolazione delle carriere degli ufficiali, e che la riammissione in servizio di colui che abbia cessato di far parte, in seguito a sua domanda, di un'amministrazione, non costituisce un istituto caratterizzante l'impiego pubblico in tutte le sue diverse articolazioni;
che, del resto, questa Corte (ordinanza n. 10 del 2002) ha dichiarato manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione , la questione di legittimità costituzionale dell' art. 211, primo comma, del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), nella parte in cui preclude la riammissione in magistratura al magistrato cessato dal servizio a sua domanda, osservando che la norma, riflettendo la peculiarità di status dei magistrati, è disposizione speciale che non si presta ad essere messa in utile raffronto con norme generali
”. Ritiene il Collegio che, ad onta di quanto opinato dall’appellante, la pronuncia della Corte è estensibile a tutte le Forze Armate, ivi compresa l’Arma dei Carabinieri (elevata al rango di quarta “ Forza Armata ” ai sensi dell’art. 1 della legge delega 31 marzo 2000, n. 78), essendo comuni le esigenze di continuità del servizio astrattamente idonee a giustificare l’esclusione dell’istituto della riammissione in servizio e che la stessa Corte ha riconnesso al “ particolare status dell'ufficiale in servizio permanente, per il quale il legislatore prevede peculiari forme di selezione attitudinale, di addestramento e di formazione professionale, in connessione con i compiti che la Repubblica assegna alle Forze armate ”. Ne consegue che non è suscettibile di applicazione al caso di specie la norma, invocata dall’appellante, dell’art. 132 del d.P.R. n. 3 del 1957 (T.U. imp. civili dello Stato) riguardando questo il pubblico impiego in generale e non anche quello militare, avente - come detto - speciali caratteristiche che giustificano un diverso trattamento. Sulla stessa linea interpretativa si pone la menzionata pronuncia del Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., n. 135 del 2011, secondo cui “ il principio generale della riammissione in servizio, affermato per il rapporto di pubblico impiego civile dall'art. 132 del D.P.R. del 10.1.1957 n. 3, non è applicabile ai rapporti di impiego del personale militare, i quali sono regolati da una normativa speciale ”. Del resto, l’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (" Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche ") espressamente prevede che “ In deroga all'articolo 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287 ”. Ne consegue che “ il personale in regime di diritto pubblico, fra cui è ricompreso, per espressa disposizione legislativa, il personale militare, rimane disciplinato dai rispettivi ordinamenti, escludendosi, così, un’automatica applicabilità del citato art. 132 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 ” (cfr. Cons. Stato, Adunanza Sez. II, n. 1188 del 10 aprile 2014). Tale orientamento è stato confermato di recente da questa Sezione, essendosi appunto rilevato che “ non può, per altro verso, propugnarsi l’applicabilità anche in ambito militare della disposizione dell’art. 132 d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3 ” (cfr. sentenza, n. 330 del 6 luglio 2017).

8. Conclusivamente, l'appello è infondato e deve essere respinto.

9. Possono, comunque, compensarsi le spese del presente grado di giudizio, in considerazione della natura della controversia e del rilievo dei sottesi interessi.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi