Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-01-04, n. 202200022

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-01-04, n. 202200022
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202200022
Data del deposito : 4 gennaio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/01/2022

N. 00022/2022REG.PROV.COLL.

N. 06445/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6445 del 2019, proposto da
M L A, rappresentata e difesa dagli avvocati G P e M M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato G P in Roma, via Tagliamento n. 14;

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Federazione Italiana Sindacato Assicurazioni Credito-Fisac-Cgil, Uil Credito, Esattorie e Assicurazioni - Uilca, Rosa Salvati, Lorenzo Camilli, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 01565/2019, che ha respinto, previa loro riunione, i ricorsi RR.GG. nn. 7538/2016 e 10763/2016 proposti dall'odierna appellante.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 novembre 2021 il Cons. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti l’avvocato G P.

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Parte ricorrente impugna la sentenza del T.A.R. Lazio, Sezione Prima. 7 febbraio 2019, n. 1565, che ha respinto, previa loro riunione, sia il ricorso R.G. n. 7538/2016, che il ricorso R.G. n. 10763/2016.

I ricorsi sono stati originati dalla vicenda rappresentabile in fatto come segue.

Il 7 marzo 2007 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito “AGCM”) ha stipulato un accordo con le Organizzazioni sindacali.

In particolare, con il citato accordo sindacale è stato stabilito che a ogni dipendente di ruolo della carriera direttiva della Autorità avrebbero dovuto essere riconosciuti 3 livelli all’anno, e ciò per nove anni a partire dal 2007.

Ciò tenuto conto del fatto che, secondo quanto previsto all’art. 11, comma 2, della L. 287/90, “il trattamento giuridico ed economico del personale della Autorità deve essere stabilito in base ai criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d'Italia, tenuto conto delle specifiche esigenze funzionali ed organizzative dell'Autorità” e che negli anni precedenti si era creato uno scostamento tra il trattamento giuridico ed economico del personale dell’AGCM e quello del personale della Banca d’Italia.

Questa progressione economica è stata confermata con l’ulteriore accordo sindacale sottoscritto l’8 luglio 2010 tra l’Autorità e le rappresentanze sindacali, nel quale è stato precisato che “con cadenza triennale l’amministrazione e le OOSS si incontreranno per verificare la corrispondenza del trattamento economico dei dipendenti dell’autorità della Banca d’Italia ed apportare le eventuali opportune rettifiche. La prima verifica avrà ad oggetto il trattamento economico da assegnare al personale con decorrenza 1° gennaio 2010”.

Il 31 Maggio 2010 è, tuttavia, entrato in vigore il D.L. n. 78/2010, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 30 luglio 2010, n. 122, recante disposizioni di contenimento delle spese del pubblico impiego.

L’art. 9, comma 1, del citato decreto legge ha stabilito che il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti pubblici per gli anni 2011, 2012 e 2013 non potesse superare quello ordinariamente spettante per l’anno 2010.

Il comma 21 dello stesso art. 9 ha, invece, previsto che “I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorchè a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici”.

In conseguenza della sopravvenienza di tali norme, l’AGCM, con delibera del 19 gennaio 2011, ha sospeso l’assegnazione dei livelli retributivi previsti dall’accordo del 7 marzo 2007 e successivi accordi attuativi, in conformità al parere del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, laddove si afferma che, nel blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo, di progressione automatica degli stipendi, nonché degli effetti economici delle progressioni di carriera di cui all’art. 9, commi 17 e 21, del d.l. 78/2010, “è compreso anche l’accordo perequativo del 7 marzo 2007”.

9, commi 17 e 21, del d.l. 78/2010, “è compreso anche l’accordo perequativo del 7 marzo 2007”.

Successivamente la medesima AGCM con delibera del 4 Agosto 2011, ha previsto all’art. 2 che:

“1. Le progressioni previste nell’accordo del 7 marzo 2007, a far data dal 1° gennaio 2011, hanno effetto esclusivamente ai fini giuridici e, secondo quanto previsto dal punto 3 del presente articolo, sono subordinate alla verifica delle effettive esigenze di riallineamento del trattamento economico rispetto al personale della Banca d’Italia.

2. L’Amministrazione, conformemente ai criteri stabiliti con le OO.SS. o, in assenza di accordo, comunque autonomamente, dispone la verifica della corrispondenza delle retribuzioni dei dipendenti dell’Autorità con quelle della Banca d’Italia… .

3. Per i livelli da assegnare con decorrenza dal 1° gennaio 2012 e dal 1° gennaio 2013, … la verifica della corrispondenza delle retribuzioni verrà operata entro il mese di giugno 2012. Per i livelli da assegnare con decorrenza dal 1° gennaio degli anni 2014 e 2015, le verifiche della corrispondenza delle retribuzioni verranno operate secondo la tempistica definita con le OO.SS. o, in assenza di intesa con le OO.SS., negli anni, rispettivamente, 2013 e 2014.

4. Il successivo riconoscimento economico della predetta progressione giuridica, opera al venir meno del vincolo introdotto dal comma 21 dell’art. 9 del d.l. 78/10, senza corresponsione degli arretrati.”.

In data 5 aprile 2016, l’AGCM e la rappresentanza FISAC CGIL hanno stipulato, un accordo sindacale (sottoscritto, per adesione, anche dal Segretario nazionale UILCA, ma non dalle rappresentanze sindacali della SIAG-FIRST-CISL e della SIBC) per la modifica di alcuni articoli del Regolamento del Personale dell’Autorità e per la disciplina della fase transitoria.

Con tale Accordo è stato introdotto un sistema di progressioni di carriera basato su valutazioni di merito ed è stata definita la questione della perequazione con Banca d’Italia del trattamento economico dei dipendenti dell’AGCM. L’accordo ha previsto che per tutti i dipendenti dell’AGCM le progressioni di carriera siano attribuite annualmente in base all’esito di un processo di valutazione), seguano i livelli stipendiali indicati nelle vigenti tabelle adottate con delibera dell’Autorità sulla base delle tabelle adottate dalla Banca d’Italia e siano conferite, ai fini normativi ed economici, con decorrenza dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello oggetto di valutazione. Per ciascuna qualifica, tali progressioni non possono eccedere la misura di tre scatti a non oltre il 30% del personale, due scatti ad almeno il 40% del personale e uno scatto a non oltre il 30% del personale (comma 3).

Le medesime parti hanno, altresì, approvato un accordo integrativo, in base al quale, per il 2015, primo anno di applicazione del sistema di progressione di carriera, le progressioni per ciascuna qualifica (carriera direttiva, operativa ed esecutiva), da attribuire a seguito di un’apposita valutazione, “non potranno eccedere la misura di: - 8 scatti a non oltre il 10 percento del personale;

- 7 scatti a non oltre il 15 percento del personale;
- 6 scatti ad almeno il 50 percento del personale;

- 5 scatti a non oltre il 25 percento del personale”.

Ciò, “RITENUTA la necessità di dover introdurre, in via transattiva e a definizione della questione della perequazione con il trattamento economico previsto in Banca d’Italia, una disciplina transitoria dell’attribuzione delle progressioni di carriera ai dipendenti, valida per il primo anno di applicazione del nuovo sistema;
RITENUTA altresì la necessità di prendere in considerazione, nell’ambito della valutazione avente la medesima finalità transattiva, l’effettivo apporto dei dipendenti, anche tenendo conto dell’esperienza complessivamente maturata”. Ai sensi del comma 3 dell’accordo integrativo “Le progressioni saranno applicate sulla qualifica o posizione detenuta da ciascun dipendente al 1° gennaio 2016 e assorbiranno i tre livelli giuridici attribuiti al personale nel 2011”.

L’appellante è stata assunta quale dipendente della carriera direttiva della Autorità con contratto indeterminato a far tempo dal 17 maggio 2007.

Nel 2010 aveva maturato il livello 9, per effetto delle sopra ricordate delibere della Autorità e dei presupposti Accordi sindacali e si è vista riconoscere, nell’anno 2011, il livello giuridico 12, con trattamento economico fermo al livello 9, a causa del blocco imposto dal D.L. n. 78/2010.

Il blocco degli adeguamenti stipendiali è stato successivamente prorogato ed è definitivamente venuto meno dal 1° gennaio 2016.

Ciò nonostante l’appellante ha continuato a percepire il trattamento economico corrispondente al livello 9, che le veniva corrisposto già prima del 2011.

In data 5 aprile 2016 l’Autorità è pervenuta alla sottoscrizione di un nuovo accordo sindacale con le rappresentanze di FISAC CGIL, avente il dichiarato scopo di “introdurre, in via transattiva e a definizione della questione della perequazione con il trattamento economico previsto in Banca d’Italia, una disciplina transitoria della attribuzione delle progressioni di carriera ai dipendenti, valida per il primo anno di applicazione del nuovo sistema”.

È stato quindi previsto, in tale accordo, che per l’anno 2015 la progressione di carriera sarebbe avvenuta in base ad un giudizio di meritevolezza, in dipendenza del quale a ogni dipendente sarebbe stato riconosciuto un certo numero di “scatti”;
l’accordo in questione prevedeva anche il riconoscimento di un numero massimo variabile di scatti, ciascuno applicabile a determinate percentuali massime del personale dipendente, con l’ulteriore precisazione che “le progressioni saranno applicate sulla qualifica detenuta da ciascuna dipendente al 1° gennaio 2016 e assorbiranno i tre livelli giuridici attribuiti al personale del 2011”.

Con il ricorso r.g. 7538/2016 l’appellante ha impugnato il suddetto accorso sindacale del 5 aprile 2016, deducendone l’illegittimità per violazione degli artt. 3 e 36 Cost. e dell’art. 11, comma 2, della L. 287/90.

L’odierna appellante ha lamentato, in sintesi, che l’Autorità aveva denegato, attraverso l’accordo sindacale integrativo del 5 aprile 2016, il suo diritto soggettivo al riconoscimento della progressione giuridica ed economica negli anni 2012, 2013, 2014 e 2015 che deriverebbe dall’applicazione dell’accordo del 7 marzo 2007 e dell’accordo dell’8 luglio 2010.

La medesima appellante ha criticato l’Accordo per aver introdotto un giudizio di meritevolezza che, relativamente alla prima valutazione, avrebbe effetto retroattivo, ovvero comporta la valutazione di una attività che il dipendente ha reso senza aver coscienza di tale finalità.

I criteri di valutazione previsti dall’Accordo sarebbero, inoltre, estremamente generici e non è previsto che il responsabile dell’unità organizzativa cui è assegnato il singolo dipendente, ne sia coinvolto.

L’Accordo creerebbe, altresì, delle discriminazione tra i dipendenti, perché alcuni avrebbero diritto a vedersi riconoscere un maggior numero di scatti ( rectius : livelli).

L’appellante ha di conseguenza chiesto l’accertamento di tale diritto a essere inquadrata nel ruolo dell’Autorità nel 24° livello giuridico ed economico a decorrere dal primo gennaio 2016 e, conseguentemente, a vedersi riconoscere trattamento economico coerente con il predetto livello.

L’Amministrazione - considerato che le rappresentanze sindacali SIAG FIRST CISL e SIBC non hanno sottoscritto l’Accordo del 5 aprile 2016 e che con la proposizione di alcuni ricorsi giurisdizionali è stato chiaramente espresso il dissenso al medesimo accordo anche da parte dei dipendenti iscritti a quei sindacati - con comunicazione del 15 giugno 2016, ha chiesto ai dipendenti ricorrenti iscritti ai sindacati dissenzienti (tra cui l’appellante) di comunicare espressamente la volontà di aderire allo stesso e di volerne l’applicazione entro il 24 giugno 2016.

Nella comunicazione è stato precisato che, in difetto di risposta, non avrebbero trovato applicazione le disposizioni anche transitorie contenute nell’accordo.

In data 22 giugno 2016, in prossimità della scadenza del termine, l’Amministrazione ha inviato un’altra comunicazione con cui ha fornito alcuni chiarimenti, facendo presente che “chi ha presentato ricorso, contestando espressamente il citato Accordo, (avrebbe dovuto) comunicare la volontà di aderire allo stesso e di volerne l’applicazione entro il già ricordato termine del 24 giugno, potendo ovviamente, nella dichiarazione, fare salvo l’esito del contenzioso”.

L’appellante non ha comunicato alcuna adesione.

L’Amministrazione, con nota del 20 luglio 2016, ha comunicato all’appellante la sospensione della progressione economica e giuridica prevista dall’Accordo del 5 aprile 2016 “fino alla definizione del contenzioso ovvero sino all’eventuale invio di una … richiesta di adesione e applicazione dell’accordo medesimo”.

Il 20 luglio 2016, visto l’esito del processo di valutazione per il 2015 e le determinazioni assunte dall’Autorità nell’adunanza del 6 luglio 2016 con riguardo alle richieste di riesame proposte dai dipendenti, l’Autorità ha approvato gli elenchi del personale e i livelli attribuiti a decorrere dal primo gennaio 2016, con l’indicazione delle rispettive qualifiche (dirigente, funzionario, impiegato o commesso).

Tale delibera è stata trasmessa a tutti i dipendenti, divisi per carriera e qualifica, con e-mail della Direzione Generale Amministrazione in data 2 agosto 2016.

La ricorrente figura in tale ruolo quale funzionario di livello 9 della scala stipendiale.

Come emerge dalla suddetta delibera del 20 luglio 2016, per i dipendenti aderenti alle sigle non firmatarie dell’accordo del 5 aprile 2016 e che non avevano esplicitamente chiesto l’applicazione dell’accordo è presente un asterisco che recita “dipendente ricorrente che non ha chiesto l’applicazione dell’accordo del 5 aprile 2016. La progressione economica e giuridica prevista dal citato accordo per il predetto ricorrente sarà sospesa fino alla definizione del contenzioso ovvero sino all’eventuale invio, da parte dello stesso di una richiesta di adesione e applicazione dell’accordo medesimo”.

Con il ricorso r.g. 10763/16, la ricorrente l’odierna appellante ha chiesto al T.AR. l’annullamento della delibera del 20 luglio 2016 nella parte in cui prevede l’inquadramento della ricorrente al 9° livello della scala stipendiale dei funzionari;
l’annullamento della nota prot. n. 49624 del 20 luglio 2016 con la quale la Direzione Generale Amministrazione ha comunicato la sospensione della progressione economica e giuridica prevista dall’accordo del 5 aprile 2016;
l’accertamento dell’illegittimità, ai sensi degli articoli 24 e 39 della Costituzione delle comunicazioni via email del 15 e del 22 giugno 2016;
la condanna dell’Autorità all’attribuzione di n. 6 scatti di avanzamento, con il conseguente raggiungimento da parte della ricorrente del livello giuridico ed economico 15 a decorrere dal primo gennaio 2016, da considerarsi come anticipazione del 24° livello a lei dovuto, “sulla base del riconoscimento dello status di funzionario di livello corrispondente a quello di professionalità analoga prevista per i dipendenti della Banca d’Italia”.

In data 3 agosto 2017, all’esito del processo di valutazione per l’anno 2016, la Direzione Generale dell’Amministrazione ha trasmesso via email la tabella contenente l’elenco delle progressioni attribuite al personale con qualifica di funzionario, nell’ambito della quale all’appellante sono stati riconosciuti due scatti, unitamente alla delibera del 21 giugno 2017 con cui l’Autorità approvava gli elenchi del personale e i livelli attribuiti a decorrere dal primo gennaio 2017.

Come emerge dalla suddetta delibera del 21 giugno 2017, per la ricorrente, in quanto dipendente aderente a una sigla non firmataria dell’accordo del 5 aprile 2016 e che non ha esplicitamente chiesto l’applicazione dell’accordo, è presente un asterisco che recita “dipendente ricorrente che non ha chiesto l’applicazione dell’accordo del 5 aprile 2016. La progressione economica e giuridica prevista dal citato accordo per la predetta ricorrente sarà sospesa fino alla definizione del contenzioso ovvero sino all’eventuale invio, da parte della stessa di una richiesta di adesione e applicazione dell’accordo medesimo”.

Con ricorso per motivi aggiunti, l’appellante ha impugnato anche i predetti documenti chiedendo l’annullamento della delibera del 21 giugno 2017 e della tabella trasmessa con e-mail del 3 agosto 2017, nonché la condanna dell’Autorità all’attribuzione di n. 8 scatti di avanzamento.

In data 13 dicembre 2017, l’Autorità e le sigle sindacali hanno stipulato un accordo sindacale che, all’art. 2, ha previsto il riallineamento dell’inquadramento iniziale del personale entrato in servizio negli anni 2007, 2008 e 2009, ad esito della procedura di stabilizzazione attuata ai sensi del comma 519, dell’art. 1, della l. n. 296/2006.

In particolare, con tale accordo sindacale venivano riconosciuti ai dipendenti con qualifica di funzionario – tra cui l’appellante – tre livelli stipendiali.

Per effetto di tale accordo l’odierna ricorrente veniva inquadrata, a decorrere dal primo gennaio 2018, al 12° livello economico e al 15° livello giuridico.

Il 21 giugno 2018, ad esito del processo di valutazione per l’anno 2017, la Direzione Generale Amministrazione trasmetteva via email la tabella contenente l’elenco delle progressioni attribuite al personale con qualifica di funzionario, unitamente alla delibera del 13 giugno 2018 con cui l’Autorità ha approvato gli elenchi del personale e i livelli attribuiti a decorrere dal primo gennaio 2018.

Come emerge dalla delibera del 13 giugno 2018, per la ricorrente, in quanto dipendente aderente a una sigla non firmataria dell’accordo del 5 aprile 2016 e che non ha esplicitamente chiesto l’applicazione dell’accordo, è presente una nota che recita “dipendente ricorrente che non ha chiesto l’applicazione dell’accordo del 5 aprile 2016. La progressione economica e giuridica prevista dal citato accordo e riferita alle valutazioni 2015, 2016 e 2017 sarà sospesa fino alla definizione del contenzioso ovvero sino all’eventuale invio, da parte della dipendente, di una richiesta di adesione e applicazione dell’accordo medesimo”.

Con un secondo ricorso per motivi aggiunti, notificato il 14 settembre 2018, l’odierna appellante ha impugnato i predetti documenti chiedendo l’annullamento della delibera del 13 giugno 2018 e della tabella trasmessa con email del 21 giugno 2018, nella parte in cui prevede l’inquadramento della ricorrente al 12° livello della scala stipendiale dei funzionari;
la condanna dell’Autorità all’attribuzione di n. 10 scatti di avanzamento, con l’attribuzione dei livelli di progressione giuridica ed economica esito del processo di valutazione per il 2015, 2016 e 2017, con il conseguente raggiungimento della ricorrente del livello giuridico ed economico 22 a decorrere dal primo gennaio 2018, da considerarsi come anticipazione del 31° livello a lei dovuto, “sulla base del riconoscimento dello status di funzionario di livello corrispondente a quello di professionalità analoga prevista per i dipendenti della Banca d’Italia”.

L’adito T.A.R., ha riunito il ricorso n. 10763/2016 R.G. al ricorso n. 7355/2015 R.G. e li ha rigettati entrambi.

La sentenza in esame ha affrontato, in sede di scrutinio del ricorso di cui al r.g. 7538/2016, la questione relativa agli effetti che l’art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010 ha prodotto sull’Accordo sindacale, concluso il 7 marzo 2007 tra le Organizzazioni Sindacali e l’Autorità.

In sostanza, è stato valutato il punto controverso se tale norma fosse, o meno, idonea ad impedire che negli anni 2010-2015 gli incrementi di livello stabiliti da tale Accordo potessero essere riconosciuti ai dipendenti della Autorità in via meramente figurativa ed ai soli effetti giuridici, ovverosia, se, ferma restando la invarianza del trattamento economico materialmente erogato ai dipendenti, gli incrementi retributivi annuali ad essi dovuti in base all’Accordo del 7 marzo 2007 dovessero comunque trovare riconoscimento nei cedolini, così che, terminato il periodo di “blocco”, i dipendenti della Autorità potessero vedersi erogare, con decorrenza dal 1° gennaio 2016 e senza diritto a pretendere gli arretrati, il trattamento economico coerente con il più elevato livello retributivo previsto dall’applicazione dell’Accordo.

Ciò, in riferimento alla specifica posizione dell’appellante, si è tradotto concretamente nel quesito se l’odierna appellante avesse diritto, al 1° gennaio 2016, a vedersi inquadrare al livello 9 - maturato prima della entrata in vigore del D.L. n. 78/2010 - o al livello 24, che le spetterebbe riconoscendo alla stessa 3 livelli retributivi per ciascun anno di durata dell’Accordo del 7 marzo 2007 (cioè dal 2011 al 2015).

L’adito T.A.R., dopo una disamina della normativa di legge e delle previsioni contrattuali collettive, ha ritenuto corretto l’inquadramento dell’appellante al 1° gennaio 2016 al livello 9.

La sentenza in esame ha rilevato che l’art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010, quanto al personale di cui all’art. 3 del D.Lgs. 165/2001 – tra cui rientra anche il personale alle dipendenze della Autorità – prevede, al terzo periodo, la salvezza ai fini giuridici solo per le “progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013”;
al secondo periodo, invece, la norma stabilisce che le annualità 2011, 2012 e 2013 (alle quali si sono poi aggiunte, per effetto di proroga legislativa, anche le annualità 2014 e 2015), “non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti” per le categorie del personale medesimo “che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi”.

La norma in esame distingue, relativamente al personale in regime di diritto pubblico, tra “progressioni di carriera comunque denominate” e “meccanismi di progressione automatica”, riconoscendo solo alle prime valenza ai fini giuridici, ancorché disposte nel periodo di operatività del “blocco stipendiale”.

La previsione risponde evidentemente all’intento, del legislatore, di non penalizzare eccessivamente le promozioni e gli avanzamenti ottenibili previa procedura valutativa discrezionale, verosimilmente per non demotivare i lavoratori al punto da compromettere l’efficienza della loro attività.

Del resto, anche il lessico utilizzato dal legislatore evidenzia come “i meccanismi di progressione automatica” dovessero rimanere improduttivi di qualsiasi effetto: infatti, nel secondo periodo, della norma in esame, soggetto della frase sono “le annualità 2011, 2012 e 2013”, delle quali si afferma “non essere utili ai fini della maturazione delle classi e scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti”, segno questo che ulteriormente evidenza che i predetti “meccanismi di progressione automatica” dovevano rimanere improduttivi di qualsiasi effetto durante gli anni del “blocco”.

La medesima sentenza osserva che l’Accordo del 7 marzo 2007 distingueva tra “progressione giuridica” e “progressione economica”. Di esse, la prima, connessa o al passaggio dalla qualifica di funzionario alla qualifica dirigenziale o all’inquadramento ad un maggior livello economico, richiedeva il superamento di un concorso, mentre la seconda consisteva, appunto, nel riconoscimento automatico di “livelli retributivi”, 3 per i dipendenti della carriera direttiva e 2,2 per gli altri dipendenti.

Per quanto sopra detto, i livelli da attribuirsi nell’ambito della progressione economica dovevano ritenersi preclusi, con l’entrata in vigore del D.L n. 78/2010, ai sensi dell’art. 9, comma 21, secondo periodo, norma alla quale deve riconoscersi carattere cogente ed imperativo.

Ai sensi dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, i dipendenti potevano invece legittimamente ottenere, previo superamento di concorso, una “progressione giuridica”, che avrebbe prodotto solo effetti giuridici (ad esempio: anzianità nella qualifica), ma non effetti economici, questi rimandati al venir meno del “blocco stipendiale”.

La delibera della Autorità del 4 agosto 2011 non può che essere letta in termini coerenti con il sopra indicato quadro normativo, rinveniente da una norma cogente ed imperativa, essendo verosimile che la salvezza degli effetti giuridici degli incrementi previsti dall’Accordo del 7 marzo 2007 si riferisca alla sola “progressione giuridica.

Peraltro, ove pure la Autorità avesse inteso riconoscere effetti giuridici anche alla “progressione economica”, tuttavia non per questo solo fatto tali effetti si sarebbero prodotti, a ciò ostando una norma inderogabile, idonea a sostituirsi ad ogni diversa previsione contenuta in atti di natura sostanzialmente negoziale: tale può considerarsi la delibera della Autorità del 4 agosto 2011, con la quale, seppure nella forma di un atto amministrativo, l’Autorità ha chiarito come avrebbe applicato il precedente Accordo sindacale del 7 marzo 2007, che pure ha natura negoziale.

In sostanza, “la mancata applicazione della progressione automatica di cui all’Accordo del 2007, a far data dal 1° gennaio 2011, non è imputabile all’Accordo del 2016, bensì agli interventi legislativi di contenimento della spesa pubblica sopra menzionati, applicabili anche all’Autorità”.

Sono state infatti alcune norme di legge (l’art. 9, comma 21, del D.L. 78/2010 in primis, e le norme che hanno prorogato il “blocco” anche al 2014 ed al 2015) a cagionare la paralisi degli effetti dell’Accordo sindacale del 7 marzo 2007 fino a che questi era ancora in vigore.

Tale Accordo è venuto a naturale scadenza al 31 dicembre 2015, e non conteneva alcuna clausola di rinnovo.

L’Accordo del 5 aprile 2016 è dunque intervenuto su una situazione che era ferma dal 2010 e che era ormai divenuta “terreno vergine” per una nuova disciplina, non essendo più efficace l’Accordo sindacale precedente.

Stante che la “progressione economica” divisata dall’Accordo sindacale del 7 marzo 2007 è stata, letteralmente, “paralizzata” dalla entrata in vigore dell’art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010, la ricorrente non può affermare di aver maturato il diritto ai livelli retributivi di cui essa reclama il riconoscimento.

Infatti al 1° gennaio 2010 essa aveva maturato 9 livelli, che non le sono stati mai contestati, dopo di che la norma attributiva del diritto è stata privata di efficacia ope legis , il che ha impedito il maturare del diritto agli ulteriori incrementi di livello annui, che non è mai entrato nel suo patrimonio.

Tale ricostruzione dell’istituto risulta coerente con quanto la giurisprudenza ha avuto modo di affermare in situazioni simili, con riferimento ai diritti quesiti, per i quali si intendono “solo le situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato e non anche quelle situazioni future o in via di consolidamento che sono autonome e suscettibili come tali di essere differentemente regolate in caso di successione di contratti collettivi” (Cass. Civ. Sez. Lav., n. 3982 del 19/02/2014, n. 20838/2009). Questo giustifica l’affermazione secondo cui l’Accordo del 5 aprile 2016 in sé non ha svolto alcun ruolo sulla posizione pregressa della ricorrente, segnatamente nel senso che non ha inciso sul diritto dell’originaria ricorrente a essere inquadrata ad un livello maggiore del 9, dal momento che un tale diritto non era ancora stato acquisito.

Devono quindi essere respinte le domanda di accertamento del diritto al pagamento delle differenze retributive sulla base del riconoscimento dello status di funzionario di ruolo di livello corrispondente a quello di professionalità analoga prevista per i dipendenti della banca d'Italia e al pagamento, dal 1° gennaio 2016, delle somme a titolo di differenze retributive tra il livello economico 9 ed il livello economico 24 della tabella stipendiale dei funzionari di ruolo.

La medesima sentenza ha ritenuto infondata anche la domanda, formulata nel ricorso introduttivo del giudizio n. 7355/2016 inerente all’accertamento dell’illegittimità dell’Accordo sindacale del 5 aprile 2016, e ciò sia in ragione della asserita idoneità di tale Accordo a ledere diritti quesiti, sia in ragione del suo contenuto intrinseco.

L’adito T.A.R., riqualificando la domanda in base al principio jura novit curia , l’ha ritenuta riconducibile alla censura tendente all’accertamento della nullità dell’Accordo del 5 aprile 2016, per contrarietà a norme imperative, ai sensi dell’art. 1418, comma 1, e/o 1343 c.c., dichiarandola infondata in quanto:

“- nessuna norma imponeva di riconoscere immediatamente, ai dipendenti della Autorità, tutti i livelli retributivi già riconosciuti con l’Accordo del 7 marzo 2007 ed oramai perduti: un tale vincolo non sorge(va), in particolare, dall’art. 11, comma 2, della L. 287/90 (“il trattamento giuridico ed economico del personale della Autorità deve essere stabilito in base ai criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d'Italia, tenuto conto delle specifiche esigenze funzionali ed organizzative dell'Autorità”), che non impone(va) affatto di assicurare al personale della Autorità lo stesso trattamento giuridico ed economico in godimento al personale della Banca d’Italia, come già ha avuto modo di affermare la giurisprudenza (si veda Tar Lazio, n. 15656/2006…”;

- nessuna norma precludeva l’adozione di procedure di valutazione del merito, al fine della progressione economica;

- nessuna norma imponeva l’adozione di determinate procedure o modalità per lo svolgimento delle anzidette procedure valutative, segnatamente nel senso di assicurare un ruolo particolare al responsabile dell’unità organizzativa cui è assegnato il lavoratore soggetto a verifica;

- non v’è contezza, al di là delle generiche affermazioni della ricorrente, che l’Accordo del 5 aprile 2016 abbia determinato la violazione di altri diritti fondamentali dei lavoratori, sub specie di discriminazione tra lavoratori o di trattamento economico inadeguato alla qualità e quantità del lavoro;

- di converso l’Accordo del 5 aprile 2016 ha comunque cercato di dare attuazione all’art. 11 della L. 287/90, prevedendo l’attribuzione, per il primo anno, di un numero di livelli comunque assai superiore a quelli previsti dall’Accordo del 7 marzo 2007 (da 5 a 8), evidentemente al fine di avvicinare progressivamente le due posizioni, fermo restando che eventuali scostamenti o differenze possono giustificarsi alla luce delle differenti esigenze funzionali dei due Enti;

- come già precisato, non può trovare applicazione, nella specie, il principio secondo cui “La semplice appartenenza di un lavoratore ad una rappresentanza sindacale aziendale avente composizione collettiva o collegiale non può comportare di per sé l'efficacia nei suoi confronti delle clausole degli accordi collettivi che siano state stipulate dalla medesima rappresentanza sindacale in deroga al principio della non disponibilità, mediante contratto collettivo, dei diritti già maturati ed entrati a far parte del patrimonio dei singoli lavoratori, se manca la prova della effettiva sottoscrizione dell'accordo da parte del lavoratore o di altre circostanze indicative di un suo specifico mandato o della sua personale adesione all'accordo” (Cass. Civ., Sez. I, n. 7037/2003), per la semplice ragione che l’Accordo del 5 aprile 2016 non ha leso diritti retributivi già entrati a far parte del patrimonio della ricorrente”.

La medesima sentenza ha, altresì, scrutinato la questione - oggetto principale di tutti e tre i ricorsi depositati nell’ambito del giudizio n. 10763/2016 - se la ricorrente avesse comunque diritto ad essere inquadrata, nelle more del giudizio, secondo i criteri previsti da tale Accordo.

La ricorrente, infatti, premettendo di essere ancora inquadrata al livello 9, e di percepire il relativo trattamento economico, ha invocato la applicazione a suo favore, peraltro solo a titolo di “anticipazione” ed in attesa della definizione del giudizio, dell’Accordo del 5 aprile 2016, sia nella parte che prevede il riconoscimento di livelli al 1° gennaio 2016 (da 5 ad 8 in dipendenza dal giudizio di meritevolezza sull’operato del 2015), sia nella parte che prevede l’assegnazione di ulteriori livelli, previo giudizio di meritevolezza sull’operato degli anni successivi.

L’Autorità, sia nella fase precontenziosa che nel corso del presente giudizio, ha ritenuto di non applicare alla ricorrente l’Accordo del 5 marzo 2016, invocando l’orientamento di giurisprudenza secondo cui “I contratti collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori dell'azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, con l'unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, ne condividono l'esplicito dissenso dall'accordo e potrebbero addirittura essere vincolati da un accordo sindacale separato ( Cass. Civ., Sez. I, n. 6044/2012, Cass. Civ. Sez. Lav. n. 16089/2014 e n. 2362/2004)”.

L’Autorità ha, inoltre, dedotto e dimostrato, di aver chiesto alla ricorrente, in tempo utile, se intendesse aderire o meno all’Accordo del 2016, preannunciando che in caso contrario, a causa dell’indicato orientamento di giurisprudenza, le disposizioni ivi previste non avrebbero potuto trovare applicazione nei di lei confronti: la ricorrente non ha aderito.

La sentenza conclude, quindi, nel senso che il motivo per cui l’Autorità non riconosce alla ricorrente gli scatti rinvenienti dall’Accordo del marzo 2016 è da addebitare unicamente alla mancata adesione al medesimo da parte della ricorrente, precisando che nel caso in cui la ricorrente dovesse prestare tardivamente la propria adesione all’Accordo del 2016, l’Autorità, così come ha già fatto nel caso deciso con la sentenza n. 6402/2018, ben potrà riconoscerle retroattivamente le progressioni previste dall’Accordo sindacale del marzo 2016, restando tuttavia esente da responsabilità per il ritardo con il quale i relativi benefici verranno concretamente riconosciuti alla ricorrente.

L’appellante ha gravato la sentenza formulando i seguenti motivi di ricorso:

1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 36 Cost. e dell’art. 11, comma 2, Legge n. 287/90 e ss.mm.ii.

In via preliminare l’appellante ha fatto presente che, con istanza in data 20 maggio 2019, ha comunicato all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato “di ritenere applicabile nei propri confronti (in ulteriore prosecuzione e medio tempore) l’Accordo sindacale del 5 aprile 2016, con la conseguente attribuzione dei livelli di progressione giuridica ed economica ivi prevista, all’esito dei processi di valutazione per il 2015, il 2016 e il 2017, a cui è già stata sottoposta (con l’attribuzione, rispettivamente, di n. 6 livelli per il 2015, di n. 2 livelli per il 2016 e di n. 2 livelli per il 2017).

In ogni caso, ha fatto esplicitamente salvo l’esito del contenzioso relativo ai ricorsi RR.GG. nn. 7538/2016 e 10763/2016, deciso con la sentenza appellata, richiamando quanto già evidenziato nei ricorsi stessi in relazione alla richiesta che “i livelli giuridici ed economici che dovessero essere attribuiti alla ricorrente nel mese di luglio, all’esito del procedimento di valutazione, dovranno essere considerati come una mera anticipazione di quanto a lei dovuto” all’esito del contenzioso in atto”.

In accoglimento dell’istanza di cui sopra, con e-mail del 17 giugno 2019, l’AGCM ha comunicato all’appellante che avrebbe disposto la revisione della sua posizione retributiva, conseguente agli esiti dei processi di valutazione 2015, 2016, 2017 e 2018, a partire dal mese di giugno 2019.

E, in effetti, l’appellante ha riconosciuto che dalla busta paga di giugno 2019 è stata inquadrata al 24° livello giuridico ed economico della qualifica di funzionario dell’Autorità (in considerazione dei n. 12 livelli che le sono stati attribuiti all’esito dei processi di valutazione cui la stessa è stata sottoposta – n. 6 livelli per il 2015, n. 2 livelli per il 2016, n. 2 livelli per il 2017 e n. 2 livelli per il 2018 – nonché dei n. 3 livelli che le sono stati assegnati ai sensi dell’art. 2 dell’Accordo dell’11 dicembre 2017).

La medesima ricorrente rileva, tuttavia, come con il blocco degli adeguamenti tabellari dell’assegno ad personam (ricordando, in proposito, che l’Autorità ha deliberato, nell’adunanza del 1° giugno 2016, il rigetto della sua istanza presentata in merito alla rideterminazione dell’assegno de quo, “ritenendo che l’assegno ad personam riassorbibile non debba essere rideterminato tenendo conto dell’aggiornamento delle tabelle stipendiali a seguito degli adeguamenti retributivi disposti dalla Banca d’Italia”), l’appellante è stata di fatto retrocessa, con evidente danno economico attuale e pro futuro ai fini pensionistici.

Parte appellante ha dedotto come sia stata da tempo assunta presso l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato con reiterati contratti di lavoro a tempo determinato (sempre confermati, a far data dall’1/4/1993) e sia stata successivamente inquadrata in ruolo (a tempo indeterminato) dalla suddetta Autorità, all’esito della procedura di stabilizzazione a norma della legge n. 296/2006, ma con collocamento a decorrere soltanto dal mese di maggio 2007, senza alcun riconoscimento dell’anzianità acquisita in forza dei suddetti contratti a termine (ai sensi dell’articolo 75 del decreto legge n. 112/2008), stipulati a partire da un periodo di gran lunga precedente.

Ha invocato a tale riguardo i principi affermati dalla Corte di giustizia (sentenza del 18 ottobre 2012, nelle cause riunite da C-302/11 a C-305/11;
ordinanza del 7 marzo 2013, nella causa C-393/11;
ordinanza del 4 settembre 2014, nella causa C-152/14) secondo cui la scelta, operata dal legislatore italiano, di escludere totalmente la presa in considerazione di tutti i periodi di servizio compiuti da dipendenti pubblici nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato, ai fini della determinazione della loro anzianità in sede di assunzione in ruolo, dà luogo, di per sé, ad una differenza di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e indeterminato che è intrinsecamente ed esclusivamente fondata sulla diversa durata dei rispettivi rapporti di lavoro, e che dunque, in definitiva, la suddetta scelta dà origine ad una ingiustificata discriminazione tra dipendenti a tempo determinato e dipendenti di ruolo.

Il T.A.R. Lazio, con l’impugnata sentenza, non avrebbe considerato che l’illegittimità dell’accordo del 5 aprile 2016 risiede nel non aver tenuto conto delle situazioni individuali dei dipendenti e nella violazione del giudicato della Corte di Giustizia di cui alla decisione del 18 ottobre 2012.

La natura transattiva dell’Accordo avrebbe richiesto una valutazione caso per caso con l’adozione di misure compensative diverse per salvaguardare le anzianità lavorative acquisite.

La situazione dell’appellante sarebbe assolutamente differente rispetto a quella degli altri dipendenti e il T.A.R. Lazio ne avrebbe dovuto tenere conto.

Osterebbe con il diritto unionale una normativa che escluda totalmente che i periodi di servizio compiuti da un lavoratore a tempo determinato alle dipendenze di un’autorità pubblica siano presi in considerazione per determinare l’anzianità del lavoratore stesso al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa medesima autorità, come dipendente di ruolo nell’ambito di una specifica procedura di stabilizzazione del suo rapporto di lavoro, a meno che la citata esclusione sia giustificata da «ragioni oggettive», rinviando al giudice nazionale l’accertamento della sussistenza di dette ragioni oggettive.

Sempre secondo parte ricorrente, il Consiglio di Stato, con sentenza del 14 novembre 2013 n. 5287, ha stabilito che la disciplina nazionale relativa al trattamento normoeconomico riservato ai dipendenti interessati dalle procedure di stabilizzazione di cui alla l. 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007) – e, in particolare, le disposizioni relative al mancato riconoscimento dell’anzianità di servizio maturata nei contratti a termine con contestuale attribuzione di un assegno ‘ad personam’ – possa nel suo complesso ritenersi giustificata sulla base di ‘motivazioni oggettive’ rilevanti anche per il diritto comunitario.

Il Collegio ha, infatti, ritenuto determinante la circostanza per cui le disposizioni nazionali in tema di procedure di stabilizzazione, pur comportando la collocazione al livello iniziale della qualifica di inquadramento, non hanno comportato l’integrale perdita – in particolare, per il riconoscimento dell’assegno ad personam ai fini del trattamento economico – degli effetti del periodo di servizio prestato con contratti a tempo determinato.

Per rispettare il principio sancito dalla Corte di Giustizia e per non violare il giudicato del Consiglio di Stato, l’accordo transattivo avrebbe dovuto salvaguardare l’anzianità giuridica della dipendente riconoscendo quei livelli volti al riassorbimento dell’assegno ad personam .

Al fine di salvaguardare l’anzianità maturata dall’appellante, in forza dei contratti di lavoro a tempo determinato, l’Autorità non solo avrebbe dovuto riconoscere i livelli previsti dall’accordo del 7 marzo 2007, ma avrebbe dovuto operare una valutazione della situazione personale della stessa volta a verificare il mantenimento del livello economico e giuridico maturato precedentemente.

Una diversa collocazione sulla scala economica e giuridica – così come fatto dall’Autorità – risulterebbe contraria ai principi di non discriminazione stabiliti a livello comunitario tra lavoratori a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato in quanto, non consentendo il riassorbimento dell’assegno ad personam in tempi certi e veloci, determina un grave danno alla posizione giuridica ed economica precedentemente raggiunta.

Cristallizzare l’assegno ad personam al momento della stabilizzazione e non prevedere misure di riassorbimento è, comunque, una lesione dell’anzianità acquisita e una violazione dei principi comunitari.

L’appellante, in sostanza, avrebbe subìto un gravissimo pregiudizio per il prosieguo della sua carriera e una doppia discriminazione, in ordine sia alla mancata “perequazione” del suo trattamento retributivo con quello dei dipendenti della Banca d’Italia aventi medesima professionalità, sia al mancato riconoscimento, ai fini del suo inquadramento in ruolo presso l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, dell’anzianità acquisita in forza del periodo di servizio prestato presso l’A.G.C.M. con contratti a tempo determinato.

La stabilizzazione in ruolo dell’appellante è successiva all’Accordo sindacale del 7 marzo 2007 e la stessa, pertanto, fu accettata dall’appellante (anche) per l’aspettativa di ricevere i tre “scatti” annuali previsti dal medesimo Accordo

Senonché, il 5 aprile 2016 l’Autorità ha stipulato con la RSA FISAC CGIL un Accordo con il quale, tra l’altro, le parti hanno ritenuto “la necessità di dover introdurre, in via transattiva e a definizione della questione della perequazione con il trattamento economico previsto in Banca d'Italia, una disciplina transitoria dell'attribuzione delle progressioni di carriera ai dipendenti, valida per il primo anno di applicazione del nuovo sistema”.

La parte appellante ribadisce, altresì, che l’Autorità ha stipulato con la RSA FISAC CGIL un Accordo con il quale, tra l’altro, le parti hanno ritenuto “la necessità di dover introdurre, in via transattiva e a definizione della questione della perequazione con il trattamento economico previsto in Banca d'Italia, una disciplina transitoria dell'attribuzione delle progressioni di carriera ai dipendenti, valida per il primo anno di applicazione del nuovo sistema”.

Il predetto Accordo – invece di attuare la “perequazione” del trattamento retributivo dell’odierna appellante con quello dei dipendenti della Banca d’Italia aventi medesima professionalità, ai sensi del disposto di cui all’art. 11, comma 2, della Legge n. 287/90 – ha introdotto un sistema con cui l’Autorità (qualificando il tutto addirittura come transazione) ha inteso incidere, retroattivamente, sui diritti soggettivi della medesima appellante:

- alla corresponsione delle differenze retributive a lei spettanti in conseguenza della riunificazione della sua posizione giuridica ed economica, al venir meno degli effetti del “Decreto Tremonti”, ossia a decorrere dal 1° gennaio 2016;

- a vedersi riconoscere i livelli giuridici ed economici di funzionario di ruolo di livello corrispondente a quello di professionalità analoga operante in Banca d’Italia (la “perequazione”);

- a non vedersi assorbiti i livelli giuridici in godimento dal 2011, peraltro in modo discriminatorio rispetto ai colleghi che (funzionari nel 2011) sono diventati dirigenti nel 2015, i quali non hanno assorbito alcunché, tenuto conto del fatto che si sono visti attribuire le progressioni di carriera da dirigenti, in quanto il meccanismo prevede, come su detto, il conferimento delle progressioni sulla prevede, come su detto, il conferimento delle progressioni sulla qualifica o posizione detenuta da ciascun dipendente al 1° gennaio 2016.

La parte appellante ha richiamato i contenuti della delibera AGCM del 4 agosto 2011 e dell’Accordo del 7 marzo 2007, che le avrebbero attribuito il diritto soggettivo perfetto di vedersi attribuite le progressioni ai fini giuridici già durante il periodo di blocco e, quindi, anche per gli anni 2012, 2013, 2014 e 2015.

Inoltre, dal 1° gennaio 2016 il vincolo introdotto dal comma 21 dell’art. 9 del d.l. 78/10 (sospensione degli effetti solo economici delle progressioni necessarie per raggiungere la perequazione rispetto al parametro normativo di riferimento stabilito dalla legge n. 287/90) è venuto meno.

Con la totale eliminazione dall’ordinamento di ogni normativa di blocco della progressione delle retribuzioni dei pubblici dipendenti (blocco che aveva determinato la anomala scissione tra gli effetti giuridici e gli effetti economici della progressione in carriera degli interessati) è tornato ad operare un sistema unitario, caratterizzato dalla contestuale operatività di effetti giuridici e di effetti economici.

La stessa Autorità, con delibera del 4 agosto 2011, ha previsto che “le progressioni previste nell’accordo del 7 marzo 2007, a far data dal 1° gennaio 2011, hanno effetto esclusivamente ai fini giuridici e, secondo quanto previsto dal punto 3 del presente articolo, sono subordinate alla verifica delle effettive esigenze di riallineamento del trattamento economico rispetto al personale della Banca d’Italia … Il successivo riconoscimento economico della predetta progressione giuridica opera al venir meno del vincolo introdotto dal comma 21 dell’art. 9 del d.l. 78/10”.

L’appellante contesta, altresì, l’interpretazione dell’impugnata sentenza del Tar Lazio, Sezione Prima, dell’art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010 laddove rileva la distinzione “relativamente al personale in regime di diritto pubblico, tra “progressioni di carriera comunque denominate” e “meccanismi di progressione automatica”, riconoscendo solo alle prime valenza ai fini giuridici, ancorché disposte nel periodo di operatività del “blocco stipendiale”, in quanto non terrebbe in debito conto ed, anzi, altererebbe completamente il senso, lo scopo e la ratio della su indicata norma del “Decreto Tremonti”, la quale mira esclusivamente all’obiettivo del contenimento delle spese per il pubblico impiego dal 2011 al 2013 (periodo poi esteso, per proroga legislativa, al 2015), senza operare, quindi, alcuna distinzione tra “progressioni di carriera comunque denominate” e “meccanismi di progressione automatica” degli stipendi – ai fini del riconoscimento degli effetti giuridici di tali progressioni durante l’operatività del “blocco stipendiale” – e senza prevedere, men che meno, una disciplina normativa più favorevole per i dipendenti che abbiano ottenuto progressioni di carriera previa procedura valutativa discrezionale, a discapito di quelli che, invece, abbiano fruito di meccanismi di progressione automatica.

L’art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010 – avente ad oggetto il “Contenimento delle spese in materia di pubblico impiego” – prevede, anzitutto, al primo e al secondo periodo, il c.d. “blocco triennale”, per gli anni dal 2011 al 2013 (blocco poi esteso, per effetto di proroga legislativa, anche alle annualità 2014 e 2015), dei meccanismi automatici di adeguamento retributivo (primo periodo) e di progressione stipendiale (secondo periodo) per il personale in regime di diritto pubblico, stabilendo, in particolare, solo per i meccanismi di adeguamento retributivo di cui all’art. 24 della Legge n. 448/1998, che questi “non danno comunque luogo a successivi recuperi”.

Ciò posto, la norma in parola prosegue disponendo, al terzo periodo, che il blocco non riguarda solo i suddetti “meccanismi di progressione automatica” degli stipendi, ma anche gli aumenti retributivi conseguenti a “progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte”, facendo espressamente salvi, in quest’ultimo caso, gli effetti giuridici delle predette progressioni di carriera.

Va osservato, tuttavia, che il fatto che gli effetti giuridici siano stati fatti espressamente salvi solo per le “progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013” non significa che il legislatore abbia invece voluto escludere (e, infatti, non ha espressamente escluso) la salvezza di tali effetti giuridici per i “meccanismi di progressione automatica” degli stipendi.

L’appellante ha ribadito che lo scopo dell’art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010 era esclusivamente quello di garantire il contenimento delle spese per il pubblico impiego dal 2011 al 2015, al cui fine

è stato sufficiente stabilire il blocco, per il suddetto periodo, dell’operatività dei suddetti meccanismi, senza bisogno di ulteriori precisazioni circa la salvezza degli effetti giuridici delle predette progressioni automatiche.

Con riguardo, invece, alle progressioni di carriera eventualmente disposte con provvedimenti specifici, il legislatore non avrebbe certo potuto limitarsi a stabilire, sic et simpliciter, il blocco degli scatti stipendiali conseguenti alle predette progressioni, poiché, com’è del tutto evidente, tali progressioni di carriera, una volta disposte, non avrebbero potuto essere private di qualsiasi effetto. In altri termini, se ne potevano escludere (come, in effetti, sono stati esclusi) gli effetti economici (in linea con l’obiettivo, espressamente perseguito dalla norma in discorso, del contenimento delle spese per il pubblico impiego dal 2011 al 2015), ma non se ne potevano escludere gli effetti giuridici, anche perché una siffatta esclusione sarebbe andata ben oltre l’intento del legislatore (che era esclusivamente quello di garantire il contenimento delle spese per il pubblico impiego nel periodo considerato).

Insomma, il legislatore avrebbe avuto il solo ed esclusivo scopo di disporre il blocco degli aumenti degli stipendi del personale in regime di diritto pubblico dal 2011 al 2015, sia che tali aumenti fossero conseguenti a “meccanismi di progressione automatica”, sia che gli stessi derivassero da “progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte”.

Ciò posto, il fatto che il legislatore abbia espressamente previsto la salvezza degli effetti giuridici delle sole “progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013” dipende solo dalla considerazione che, nell’eventualità che fossero successivamente disposte, con provvedimenti specifici, delle progressioni di carriera in favore di dipendenti pubblici, tali progressioni, una volta disposte, non avrebbero potuto essere private di qualsiasi effetto.

Tale problema, all’evidenza, non si poneva per gli aumenti stipendiali conseguenti a “meccanismi di progressione automatica”, poiché, in questo caso, bastava prevederne (come, in effetti, è stato previsto), preventivamente e in via generale, il blocco (all’unico scopo del contenimento delle spese per il pubblico impiego).

Ed infatti, una volta esclusa l’operatività dei meccanismi automatici di progressione stipendiale, per le categorie di personale in regime di diritto pubblico che fruivano di tali meccanismi, non avrebbe certo potuto darsi il caso (l’eventualità) che fossero successivamente disposte progressioni di carriera con provvedimenti che, a quel punto, non avrebbero potuto essere esclusi dal “mondo giuridico” e posti, quindi, nel nulla.

Ed ecco, allora, perché, il legislatore non ha avuto bisogno di fare espressamente salvi gli effetti giuridici dei “meccanismi di progressione automatica” degli stipendi.

Ciò, tuttavia, non significherebbe affatto che il legislatore abbia voluto escludere (e, infatti, non ha espressamente escluso), per i “meccanismi di progressione automatica” delle retribuzioni, la salvezza degli effetti giuridici.

Del resto, a tale riguardo, che la salvezza degli effetti giuridici è espressamente prevista, dall’art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010, per le progressioni di carriera comunque denominate, intendendosi, quindi, per progressioni di carriera sia quelle giuridiche che quelle economiche.

Una progressione di carriera non consiste soltanto nel passaggio, per concorso, da una qualifica inferiore ad una superiore nell’ambito dell’Amministrazione di appartenenza, ma anche nell’acquisizione degli scatti stipendiali previsti dalla stessa Amministrazione.

Pertanto, del tutto privo di fondamento sarebbe il richiamo effettuato dall’impugnata sentenza del T.A.R. Lazio alla distinzione operata dall’Accordo del 7 marzo 2007 tra “progressione giuridica” e “progressione economica”, al fine di sostenere che sarebbe “verosimile che la salvezza degli effetti giuridici degli incrementi previsti dall’Accordo del 7 marzo 2007 si riferisca alla sola “progressione giuridica”.

Secondo l’appellante, infatti, basterebbe leggere il testo del suddetto Accordo del 2007 per rendersi conto che, in quella sede, con il concetto di “progressione giuridica” ci si è voluti riferire esclusivamente al passaggio, per concorso, dalla qualifica di funzionario a quella dirigenziale e non anche, come lascia erroneamente intendere la gravata pronuncia di prime cure, all’inquadramento ad un maggiore livello economico.

L’Accordo del 7 marzo 2007 ascrive gli incrementi stipendiali non alla categoria della “progressione giuridica” (connessa, invece, esclusivamente al passaggio dalla qualifica di funzionario alla qualifica dirigenziale), bensì alla sola categoria della “progressione economica”, da attuarsi secondo il già richiamato meccanismo di progressione automatica (per il personale della carriera direttiva n. 3 scatti all’anno, per nove anni, a partire dal 2007, “in funzione perequativa rispetto al trattamento Banca d’Italia”), da applicare a “tutto il personale anche a contratto”.

E poi perché, se davvero fosse vero quanto sostenuto dall’impugnata sentenza del Tar Lazio – e cioè che la salvezza degli effetti giuridici delle progressioni di carriera previste dall’Accordo del 7 marzo 2007 si dovrebbe riferire alla sola “progressione giuridica”, così come definita dallo stesso Accordo – si avrebbe l’assurda conseguenza che, nell’ambito dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, il riconoscimento economico, al venir meno del “blocco stipendiale”, degli effetti giuridici delle progressioni di carriera eventualmente disposte dal 2011 al 2015, dovrebbe essere effettuato non per tutte le progressioni di carriera “comunque denominate” (e, quindi, anche per quelle consistenti nell’acquisizione di scatti stipendiali), così come espressamente previsto dall’art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010, ma soltanto per le progressioni di carriera consistenti nel passaggio, per concorso, dalla qualifica di funzionario a quella dirigenziale.

Peraltro, in considerazione del fatto che nel periodo dal 2011 al 2015, nell’ambito dell’A.G.C.M., le progressioni di carriera consistenti nell’acquisizione di scatti stipendiali sono state attribuite, a “tutto il personale anche a contratto”, solo attraverso il su richiamato meccanismo di progressione automatica, è del tutto chiaro ed evidente che il “Decreto Tremonti” non avrebbe potuto escludere (e, infatti, ripetesi, non ha escluso) la salvezza degli effetti giuridici per i “meccanismi di progressione automatica” degli stipendi.

Altrimenti, invero, si sarebbe determinata una palese disparità di trattamento tra dipendenti pubblici appartenenti ad Amministrazioni in cui le progressioni di carriera consistenti nell’acquisizione di scatti stipendiali venivano attribuite con provvedimenti specifici (con salvezza degli effetti giuridici di tali progressioni, ancorché disposte nel periodo di operatività del “blocco stipendiale”) e dipendenti pubblici in servizio presso Amministrazioni che, invece, come l’A.G.C.M., attribuivano le suddette progressioni secondo meccanismi automatici (per i quali, all’opposto, sarebbe stata esclusa la salvezza degli effetti giuridici delle progressioni in parola).

Secondo il ricorrente quella fornita dal Tar Lazio è un’interpretazione, erronea, del disposto dell’art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010, che – se correttamente interpretato – non osta al riconoscimento degli effetti giuridici delle “progressioni economiche” attribuite durante l’operatività del “blocco stipendiale”, anche attraverso “meccanismi di progressione automatica” degli stipendi.

La delibera dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 4 agosto 2011 avrebbe riconosciuto la salvezza degli effetti giuridici delle “progressioni economiche” attribuite dalla stessa Autorità (secondo “meccanismi di progressione automatica”, ai sensi dell’Accordo del 7 marzo 2007) durante l’operatività del “blocco stipendiale”, senza che a tale riconoscimento possa essere di ostacolo quanto disposto dall’art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010. Ciò si ricaverebbe dalla sentenza del Consiglio di Stato, 30 maggio 2014, n. 2818, che ha dichiarato inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, la censura relativa all’illegittimità dell’art. 5 della delibera AGCM del 19 gennaio 2011, con cui l’Autorità aveva sospeso in toto il meccanismo di progressione di cui all’Accordo del 7 marzo 2007, “poiché, con la successiva delibera del 4 agosto 2011, sono stati riconosciuti gli effetti giuridici dell’accordo”.

La medesima parte appellante, inoltre, critica la sentenza gravata nella parte in cui osserva che la mancata applicazione della progressione automatica di cui all’Accordo del 2007, a far data dal 1° gennaio 2011, non è imputabile all’Accordo del 2016, bensì agli interventi legislativi di contenimento della spesa pubblica, applicabili anche all’Autorità e, conseguentemente, l’Accordo del 5 aprile 2016 in sé non ha svolto alcun ruolo sulla posizione pregressa della ricorrente, segnatamente nel senso che non ha inciso sul diritto dell’appellante a essere inquadrata ad un livello maggiore del 9, dal momento che un tale diritto non era ancora stato acquisito.

Secondo l’appellante, infatti, l’art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010 non avrebbe escluso il riconoscimento degli effetti giuridici delle “progressioni economiche” attribuite durante l’operatività del “blocco stipendiale”, anche attraverso “meccanismi di progressione automatica” degli stipendi.

Il regime di blocco delle retribuzioni di cui all’art. 9, comma 21, del “Decreto Tremonti” è venuto meno, con il conseguente riconoscimento economico della progressione giuridica prevista dagli Accordi sindacali del 7 marzo 2007 e dell’8 luglio 2010, prima della stipula del nuovo Accordo sindacale del 5 aprile 2016 e troverebbe applicazione il principio secondo cui anche per i contratti collettivi postcorporativi opera il principio di ultrattività, in virtù del quale la scadenza contrattuale non determina l’automatica cessazione dell’efficacia delle clausole a contenuto retributivo, che deve ritenersi fondato sia sull’esistenza nell’ordinamento lavoristico del principio di relativa intangibilità del livello economico raggiunto in un rapporto di lavoro a tempo determinato - ricavabile dalle norme costituzionali (art. 3, 36 e 41, cost.) - sia sulla funzione tipica del contratto collettivo di diritto comune, di stabilire la regolamentazione di una serie di rapporti di lavoro, la quale fa escludere che la mera scadenza del termine di efficacia possa provocare un vuoto di disciplina pregiudizievole del livello di tutela del rapporto di lavoro già raggiunto e lesivo della centralità della dignità umana del lavoratore.

Del resto, il diritto soggettivo dei singoli dipendenti alla percezione delle dovute differenze stipendiali non può essere negato o limitato dall’Amministrazione datrice di lavoro, trattandosi di una situazione soggettiva pienamente tutelata dall’ordinamento e insuscettibile di lesione o di affievolimento sulla base di nuove intese sindacali, alle quali, nel sistema delle fonti del diritto, l’ordinamento italiano non riconosce la forza di poter incidere retroattivamente sui diritti dei singoli e, in ogni caso, non riconosce la forza di incidere in modo discriminatorio e quindi non ragionevole.

Mediante un Accordo sindacale non può essere operata la cancellazione o la modificazione in peius di un diritto individuale del dipendente, che sia già maturato;
ciò, segnatamente, per i diritti soggettivi perfetti di natura patrimoniale come quelli di cui è titolare l’odierna appellante. La piena espansione di tale diritto individuale di natura patrimoniale si sarebbe avuta automaticamente all’atto della cessazione del blocco delle retribuzioni di cui all’art. 9, comma 21, del “Decreto Tremonti”. Si tratterebbe, pertanto, del riconoscimento di diritti già acquisiti al patrimonio dell’appellante, che non possono essere modificati in senso peggiorativo dalla successiva contrattazione collettiva.

La medesima parte appellante rileva, infine, che l’odierna appellante ha subìto una grave discriminazione sotto i seguenti profili.

In primo luogo, l’assorbimento dei livelli giuridici in godimento dal 2011 è discriminatorio rispetto ai colleghi che (funzionari nel 2011) sono diventati dirigenti nel 2015, i quali non hanno assorbito alcunché, tenuto conto del fatto che si sono visti attribuire le progressioni di carriera da dirigenti, in quanto il meccanismo prevede il conferimento delle progressioni sulla qualifica o posizione detenuta da ciascun dipendente al 1° gennaio 2016.

In secondo luogo, l’assorbimento operato è discriminatorio nei confronti dell’appellante anche perché – all’esito del processo di valutazione per il 2015 previsto dall’Accordo del 5 aprile 2016 – una parte del personale non in servizio nel 2011 ha potuto vedersi riconoscere un numero di livelli (6) pari a quelli che sono stati assegnati alla medesima appellante, già in servizio nel 2011.

Si è costituita nel giudizio AGCM, a mezzo dell’Avvocatura Generale dello Stato resistendo all’appello, con memoria difensiva.

La parte appellante ha depositato memoria di replica e la parte appellata note di udienza.

L’appello è stato trattenuto in decisione all’udienza pubblica del 25 novembre 2021.

DIRITTO

1) L’appello si palesa infondato.

2) In via preliminare il Collegio rileva come la controversia in questione si inquadra fra quelle inerenti al cosiddetto “blocco stipendiale”, operato dal d.l. n. 78/2010, per far fronte a una particolare situazione di criticità economica attraversata dal nostro paese, volte al contenimento della spesa pubblica, ed evitare l’incremento delle spese dei trattamenti economici del personale pubblico, che hanno interessato l’intero comparto pubblico.

La Corte Costituzionale ha, peraltro, escluso l’irragionevolezza di tali previsioni viste le sue finalità di contenimento della spesa pubblica per far fronte alla grave crisi economica, spettando al legislatore, nell'equilibrato esercizio della sua discrezionalità e tenendo conto anche delle esigenze fondamentali di politica economica (sentenze n. 477 e n. 226 del 1993), bilanciare tutti i fattori costituzionalmente rilevanti.

In tale contesto, il medesimo Collegio rileva la correttezza dell’argomentazione della sentenza gravata che ha confermato la piena legittimità dell’operato dell’AGCM, in ordine all’interpretazione e all’applicazione dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010, relativamente alla mancata applicazione dell’accordo del 2007, in ragione del blocco dei meccanismi di progressione automatica disposto dalla legge, e al mancato maturarsi degli incrementi di livello annuali stabiliti nel medesimo accordo, che sarebbero divenuti operativi al momento del termine del regime di blocco stipendiale, ovverosia da 1° gennaio 2016, pur senza diritto a pretendere gli arretrati.

In particolare, l’art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010, quanto al personale di cui all’art. 3 del D. L.gs. n. 165/2001 – tra cui rientra anche il personale alle dipendenze dell’AGCM – prevede la salvezza ai fini giuridici solo per le “progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013” e, al tempo stesso, contempla che le annualità 2011, 2012 e 2013 (alle quali si sono poi aggiunte, per effetto di proroga legislativa, anche le annualità 2014 e 2015), “non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti” per le categorie del personale medesimo “che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi”.

In sostanza, il Collegio ritiene di condividere le conclusioni raggiunte dal giudice di primo grado che differenzia le “progressioni di carriera comunque denominate” dai “meccanismi di progressione automatica”, riconoscendo solo alle prime valenza ai fini giuridici, ancorché disposte nel periodo di operatività del “blocco stipendiale”.

D’altra parte tale interpretazione si pone come conforme alla ratio , non certo irragionevole, di distinguere le promozioni e gli avanzamenti ottenibili previa procedura valutativa discrezionale, dalle mere progressioni automatiche, improduttivi di qualsiasi effetto per la durata dell’intero “blocco”, così come appare confermato dalla terminologia utilizzata nella medesima legge, ai sensi della quale “i meccanismi di progressione automatica” per “le annualità 2011, 2012 e 2013”, non sono “utili ai fini della maturazione delle classi e scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti”.

Sempre come evidenziato nella sentenza gravata, infatti, l’Accordo del 7 marzo 2007 distingueva tra “progressione giuridica” e “progressione economica”, dove la prima, connessa o al passaggio dalla qualifica di funzionario alla qualifica dirigenziale o all’inquadramento ad un maggior livello economico, richiedeva il superamento di un concorso, mentre la seconda consisteva nel riconoscimento automatico di “livelli retributivi”, 3 per i dipendenti della carriera direttiva e 2,2 per gli altri dipendenti.

I livelli da attribuirsi nell’ambito dell’automatica progressione economica sono stati preclusi dall’entrata in vigore del D.L n. 78/2010, ai sensi dell’art. 9, comma 21, che riveste carattere imperativo e la delibera dell’AGCM del 4 agosto 2011 deve essere letta in conformità con l’indicato quadro normativo, essendo verosimile che la salvezza degli effetti giuridici degli incrementi previsti dall’Accordo del 7 marzo 2007 si riferisca alle sola “progressione giuridica”, che i dipendenti potevano ottenere, previo superamento di concorso e che avrebbe prodotto solo effetti giuridici (ad esempio: anzianità nella qualifica), ma non effetti economici, questi rimandati al venir meno del “blocco stipendiale”.

In altri termini il Collegio concorda con l’orientamento espresso in primo grado dal T.A.R. Lazio secondo cui “la mancata applicazione della progressione automatica di cui all’Accordo del 2007, a far data dal 1° gennaio 2011, non è imputabile all’Accordo del 2016, bensì agli interventi legislativi di contenimento della spesa pubblica sopra menzionati, applicabili anche all’Autorità (T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, n. 7654/2018)”.

La progressione economica prevista nell’Accordo sindacale del 7 marzo 2007 è stata, quindi, resa inoperante dall’art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010 e la ricorrente non può affermare di aver maturato il diritto ai livelli retributivi di cui essa reclama il riconoscimento, in quanto successivamente all’1 gennaio 2010, la norma attributiva del diritto è stata privata di efficacia ope legis , il che ha impedito il maturare del diritto agli ulteriori incrementi di livello annui, che non è mai entrato nel suo patrimonio.

D’altra parte, come ben indicato nella sentenza di primo grado con riferimento ai diritti quesiti, “ solo le situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato e non anche quelle situazioni future o in via di consolidamento che sono autonome e suscettibili come tali di essere differentemente regolate in caso di successione di contratti collettivi” (Cass. Civ. Sez. Lav., n. 3982 del 19/02/2014, n. 20838/2009)” .

Infondato risulta, pertanto, il motivo di ricorso inerente all’ “insussistenza di un diritto al riconoscimento di progressioni economiche per gli anni 2012-2015”.

L’accordo del 7 marzo 2007 prevedeva un meccanismo di progressione automatica annuale, con la ratio di garantire la perequazione rispetto al Trattamento Banca d’Italia del trattamento giuridico ed economico dei dipendenti dell’AGCM, la cui vigenza è stata sospesa dall’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010, sino a che il medesimo accordo è venuto a scadenza nel 2015 ed è stato, quindi, sostituito dall’accordo del 2016, che ha tenuto conto del mutato quadro normativo.

L’appellante non può invocare alcun riconoscimento economico o giuridico per gli anni dal 2012 al 2015, essendo esclusi dal riconoscimento giuridico i meccanismi di progressione automatica, né ha acquisito nel suo patrimonio alcun diritto quesito.

In senso contrario non può essere invocata delibera dell’AGCM del 4 agosto 2011 che non ha previsto il riconoscimento delle progressioni automatiche a fini giuridici durante il periodo di blocco, bensì ha attribuito il riconoscimento fini giuridici degli scatti per l’anno 2011, subordinando il riconoscimento delle progressioni alla verifica delle effettive esigenze di riallineamento del trattamento economico rispetto al personale della Banca d’Italia, senza attribuire alcun diritto quesito.

Inoltre, non è sostenibile quanto indicato da parte ricorrente secondo cui la sentenza sarebbe erronea in quanto non avrebbe considerato che, mentre il regime di “blocco” delle retribuzioni è venuto meno dall’1 Gennaio 2016, l’accordo sindacale sarebbe stato stipulato solo in data 5 aprile 2016, ovverosia successivamente al venir meno del suddetto blocco.

Da ciò conseguirebbe, sempre secondo l’appellante, “la piena espansione di tale diritto individuale di natura patrimoniale si è avuta automaticamente all’atto della cessazione del blocco delle retribuzioni di cui all’art. 9, comma 21, del “Decreto Tremonti”.

In sostanza, al venir meno del blocco, avrebbe riassunto vigenza l’accordo del 2016 con conseguente acquisizione nel patrimonio dell’appellante del riconoscimento della progressione giuridica per l’intero periodo 2012 -2015, che dovrebbero essere riconosciuti come diritti quesiti che non sarebbero potuti essere incisi in senso negativo retroattivamente.

In primo luogo, infatti, l’accordo collettivo del 2007 era venuto a naturale scadenza, ma, soprattutto, la circostanza, sottolineata dalla parte ricorrente, che un accordo collettivo scaduto possa continuare ad avere applicazione per quanto riguarda le clausole a carattere retributivo per evitare vuoti di disciplina, non può certo comportare il riconoscimento giuridico delle progressioni previsto per gli anni pregressi di servizio.

In tal modo si conferirebbe un effetto retroattivo al riconoscimento giuridico per anni pregressi non previsto dall’accordo del 2007, né può trova fondamento la teoria della riespansione del diritto, che in realtà non è maturato a causa della normativa di blocco delle retribuzioni più volte indicata.

Quanto all’invocata sentenza di questa Sezione del Consiglio di Stato 30 maggio 2014, n. 2818, la suddetta pronuncia ha rilevato la natura di amministrazioni pubbliche in senso stretto delle Autorità indipendenti e la conseguente applicabilità alle stesse delle misure rivolte alla riduzione dei costi delle amministrazioni e, in particolare, delle norme disposte con il d.l. n. 78 del 2010.

Ha, quindi, ha affermato che la posizione dell’AGCM “nel quadro istituzionale e normativo dell’Unione non è fondata su una norma specificamente posta nei Trattati tale da radicarne la assoluta peculiarità quale definita per la Banca d’Italia, e ciò giustifica l’inapplicabilità alla AGCM delle previsioni di cui all’art. 3, comma 3, del d.l. 78/10, non essendo quest’ultima integralmente parificabile alla Banca d’Italia, pur godendo di indipendenza funzionale”.

Con riferimento alla censura avverso la delibera del 19 gennaio 2011 – inerente la sospensione dell’assegnazione dei livelli retributivi previsti dall’accordo del 7 marzo 2007 e seguenti accordi attuativi, per erronea applicazione del comma 21 dell’art. 9 del decreto, mentre nella specie si tratterebbe di “eventi straordinari della dinamica retributiva” (art. 9, comma 1, del decreto) e di un diritto acquisito dei dipendenti e non prevede che gli scatti di carriera di cui al detto accordo abbiano almeno effetti giuridici, così come previsto dall’art. 9, comma 21, del decreto - la decisione del Consiglio di Stato ha respinto “nella parte relativa alla qualificazione dell’accordo del 7 marzo 2007 come “evento straordinario della dinamica retributiva”, non potendo evidentemente essere qualificata come “straordinaria” la stipula di un accordo sindacale” e dichiarandola “inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, nella parte restante poiché, con la successiva delibera del 4 agosto 2011, sono stati riconosciuti gli effetti giuridici dell’accordo”.

La decisione, tuttavia, non riconosce il diritto al riconoscimento degli scatti asseritamente maturati dal 2011 in forza dell’Accordo del 2007 sino al termine del regime di blocco stipendiale.

L’indicata sentenza del Consiglio di Stato se, infatti, è decisiva nel dichiarare applicabili all’Autorità le previsioni di cui all’art. 9, comma 21, d.l. 78/2010, non lo è quanto al riconoscimento della spettanza degli scatti in questione.

Ciò in forza dell’indicata distinzione tra progressione automatica degli stipendi e progressioni di carriera comunque denominate.

Gli scatti di cui viene chiesto il riconoscimento, previsti nell’Accordo del 2007, rientrano nella prima categoria e, peraltro, a seguito della Delibera del 4 agosto 2011, hanno effetto esclusivamente ai fini giuridici e sono subordinati “alla verifica delle effettive esigenze di riallineamento del trattamento economico rispetto al personale della Banca d’Italia”.

Con tale sentenza è stato respinto il ricorso e dichiarate legittime le delibere con le quali sono state conformate le determinazioni di recepimento delle disposizioni di cui al d.l. 78/2010 dell’AGCM, ma tale statuizione del giudice d’appello non entra nel merito dei diritti quesiti formatesi, limitandosi a dichiarare la censura proposta dalla ricorrente “inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, nella parte restante poiché, con la successiva delibera del 4 agosto 2011, sono stati riconosciuti gli effetti giuridici dell’accordo”.

L’art. 2 della delibera del 4/8/2011, al punto 1, statuisce che:

“Le progressioni previste nell’Accordo del 7 marzo 2007, a far data dal 1° gennaio 2011, hanno effetto esclusivamente ai fini giuridici e, secondo quanto previsto dal punto 3 del presente articolo, sono subordinate alla verifica delle effettive esigenze di riallineamento del trattamento economico rispetto al personale della Banca d’Italia”.

Il punto 3, a cui rinvia la disposizione riportata, detta la tempistica delle verifiche e le modalità.

Ne consegue che il riconoscimento anche a fini meramente giuridici delle progressioni di cui all’Accordo era comunque condizionata a detta verifica, avvenuta in occasione della trattativa che ha portato alla stipula dell’accordo sindacale del 5 aprile 2016.

In attuazione di detta delibera è stato riconosciuto alla ricorrente il 35° livello giuridico, con riconoscimento ai soli fini giuridici di tre scatti per il solo 2011, in coerenza con le Circolari interpretative del MEF n. 12 del 15 aprile 2011 e con quanto evidenziato della Delibera dell’8 agosto 2011.

3) Privo di pregio si palesa il motivo di ricorso inerente alla doglianza suindicata relativa all’illegittimità dell’accordo del 5 aprile 2016, per non aver tenuto conto delle situazioni individuali dei dipendenti e per la violazione del giudicato della Corte di Giustizia di cui alla decisione del 18 ottobre 2012.

Innanzitutto, il motivo è inammissibile perchè non fa parte delle censure formulate in primo grado. Infatti, seppure l’odierna appellante ha rilevato un profilo discriminatorio nel ricorso per motivi aggiunti formulato nel giudizio di primo grado dinanzi la T.A.R. Lazio, di cui al r.g. 10763/2016, invocando i principi della giurisprudenza unionale, la doglianza era comunque relativa all’asserito mancato rilevo di diritti quesiti e non era relativa, come invece formulata in appello, all’illegittimità dell’accordo del 2016 per non aver effettuato una valutazione caso per caso con l’adozione di misure compensative diverse per salvaguardare l’anzianità lavorativa acquisita dall’appellante nel periodo lavoro a tempo determinato.

La censura è, in ogni caso, infondata.

La questione inerente all’inquadramento iniziale dell’appellante non è oggetto di questo giudizio, così come non lo è la questione della misura dell’attribuzione di un assegno ad personam , che è stato conferito all’odierna appellante, in considerazione degli effetti del periodo di servizio prestato con contratti a tempo determinato.

La questione del livello di inquadramento in sede di assunzione a tempo indeterminato, a seguito di una procedura di stabilizzazione, è stato oggetto del giudizio conclusosi, a seguito della rimessione di questione pregiudiziale in Corte di Giustizia dell’Unione Europea e la relativa pronuncia del 18 ottobre 2012, con la sentenza di questa Sezione del Consiglio di Stato, 4.11.2013, n. 5287l.

La questione dell’assegno ad personam è stata anch’essa oggetto di giudizio conclusosi, con la sentenza del T.A.R. del Lazio, 14 febbraio 2020, n. 2004, che ha accolto il ricorso della ricorrente ordinando la rideterminazione dell’assegno alla stessa riconosciuto.

La pronuncia della Corte di Giustizia richiamata enuncia il principio secondo cui il diritto comunitario osta a una disposizione nazionale (quale l’articolo 75 del decreto-legge n. 112 del 2008) che escluda totalmente che i periodi di servizio compiuti da un lavoratore a tempo determinato alle dipendenze di un’autorità pubblica siano presi in considerazione al fine di determinare l’anzianità del lavoratore stesso al momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa medesima autorità, come dipendente di ruolo nell’ambito di una specifica procedura di stabilizzazione del suo rapporto di lavoro.

Al tempo stesso la medesima pronuncia ammette la possibilità per cui (conformemente alla clausola 4 dell’accordo quadro recepito dalla richiamata direttiva), al ricorrere di talune ‘motivazioni oggettive’, la totale o parziale sterilizzazione dei periodi di servizio prestati con contratti a tempo determinato possa essere disposta dalle Autorità pubbliche in conformità con il diritto comunitario.

Tali principi, tuttavia, non vengono in rilievo nel caso di specie che riguarda l’intervento di uno ius superveniens successivo all’inziale inquadramento, e che non pone alcun problema di discriminazione tra posizione di chi ha precedentemente prestato l’attività lavorativa a tempo determinato e chi a tempo indeterminato.

L’inquadramento dell’appellante e l’assegno ad personam erano stati, infatti, già definitivamente definiti dalle richiamate sentenze del Consiglio di Stato, 4.11.2013, n. 5287 e del T.A.R. del Lazio, 14 febbraio 2020, n. 2004, per cui tale tema non può essere utilmente reintrodotto nell’ambito di questo giudizio, non palesandosi alcun profilo di discriminazione “postuma”, ovverosia successiva all’avvenuto inquadramento e all’avvenuta commisurazione dell’assegno ad personam in base a decisioni giudiziarie.

La circostanza invocata secondo cui l’appellante sarebbe stata indotta ad accettare l’inquadramento confidando nelle previsioni dell’accordo evidenzia un’aspettativa di mero fatto, come tale non tutelata dall’ordinamento, che recede dinanzi a una sopravvenuta normativa di legge, non potendosi ravvisare alcun diritto quesito.

Anzi, non si vede come una norma generale di contenimento della spesa pubblica potesse essere applicata in modo difforme a ai dipendenti a tempo indeterminato dell’AGCM nella medesima posizione sostanziale, escludendo o limitando l’applicazione nei confronti di alcuni soggetti, creando un regime di favore, né come la vicenda relativa all’inquadramento possa incidere sulla validità del dell’accordo sindacale del 5 aprile 2016.

Quanto all’illegittimità dell’accordo del 2016, non possono che richiamarsi le ragioni della sentenza appellata sulla necessità di riqualificare l’azione in azione di nullità, rispetto alla quale nessuna norma o principio ordinamentale o eurounitario prevedeva, a pena di invalidità, la necessità di effettuare nel medesimo accordo una valutazione caso per caso con l’adozione di misure compensative.

La tutela della ricorrente a non subire discriminazioni per il periodo di servizio a tempo determinato si era già esaurita con quanto determinato in sede di inquadramento e di conferimento di assegno ad personam; né la sospensione dell’accordo del 2011 ha prodotto conseguenze differenti per l’appellante rispetto a quelle degli altri dipendenti e tali da imporre misure compensative nell’ambito peraltro di uno strumento negoziale quali quello dell’accordo collettivo.

Infine, il Collegio non ritiene sostenibile si sia verificata una discriminazione giuridicamente tutelabile quella indicata dall’appellante rispetto ai colleghi che, sia pure diventati dirigenti nel 2015, nel 2011 erano ancora funzionari, essendo del tutto diversa e non comparabili le relative posizioni

4) Per le suesposte ragioni l’appello va rigettato.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

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