Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-04-12, n. 202102913

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-04-12, n. 202102913
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202102913
Data del deposito : 12 aprile 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 12/04/2021

N. 02913/2021REG.PROV.COLL.

N. 00612/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso avente numero di registro generale 612 del 2013, proposto dalla Società Acquario di Achenza Patrizia &
C. S.n.c. in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati P B C e G D P, e con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Liegi n. 35/B;

contro

la Regione autonoma della Sardegna in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A C e S T, nonché, con successiva integrazione del Collegio difensivo, dall’avvocato R M;
e con domicilio eletto presso l’Ufficio di rappresentanza della Regione autonoma della Sardegna in Roma, via Lucullo n. 24;
e con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna n. 605/2012, resa tra le parti e concernente revoca di contributi e invito alla corresponsione di somme.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione autonoma della Sardegna;

Visti tutti gli atti della causa;

Viste le note di udienza depositate dall’appellante in data 29 gennaio 2021 ai sensi della normativa emergenziale di cui all’art. 25 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 18 dicembre 2020, n. 176, e come modificato altresì dall'art. 1, comma 17, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183.

Relatore il Cons. G L nell’udienza pubblica del 2 febbraio 2021, tenutasi con modalità da remoto ai sensi della suddetta normativa emergenziale;

Nessuno comparso in udienza per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con atto d’appello notificato alla Regione Sardegna il 16 gennaio 2013 e depositato il 29 gennaio 2013 la Società Acquario di Achenza Patrizia &
C. S.n.c. ha impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna n. 605/2012, la quale, ritenuta la giurisdizione del Tar sulla controversia, ha respinto, con condanna alle spese, il ricorso n. 457 del 2005, proposto dall’appellante per l’annullamento, con gli atti connessi:

-della determinazione n. 72NII del 4 febbraio 2005 di revoca del contributo concesso per € 928.183,63 con D.A./D.A. n. 4140 in data 31 dicembre 1997 e del contributo di € 26.396,79 concesso con D.A./D.A. n. 3248 in data 31 dicembre 1998 a favore dell’appellante;

- della determinazione/nota della Regione autonoma della Sardegna in data 14 aprile 2005 (prot. n. 4884), con cui l'Ente ha invitato l’appellante a corrispondere, entro e non oltre 15 giorni dal ricevimento della nota, le somme di € 545.948,61 (di cui € 464.091,82 per quota capitale anticipata e € 81.406,79 per interessi legali maturati alla data del 20 febbraio 2005, con interessi giornalieri di € 31,79 sino alla data dell'effettivo pagamento) e di € 30.350,88 (di cui € 26.396,79 per spese relative allo studio di fattibilità ed € 3.954,09 per interessi legali maturati alla data del 20 febbraio 2005, con interessi giornalieri di € 1,81 sino alla data di effettivo pagamento).

Il ricorso di primo grado denunciava:

1) Violazione della L 241/1990, art. 7, e L. 15/2005 – omesso avviso di avvio del procedimento di revoca - eccesso di potere per difetto di istruttoria;

2) Violazione di legge per motivazione insufficiente ed eccesso di potere (contraddittorietà tra atti;
disparità di trattamento;
ingiustizia manifesta;
contraddittorietà della motivazione;
travisamento dei fatti) dell’atto di revoca del 4 febbraio 2005 rispetto alle precedenti determinazioni regionali;

3) Violazione di legge, eccesso di potere dell’atto di revoca e di tutti gli atti prodromici, conseguenti e comunque ad essi connessi, in relazione all’applicazione di interessi sulle somme richieste;

4) Incompetenza dell’organo che ha emanato l’atto di revoca (dirigente) – competenza dell’Assessore che aveva concesso il contributo ”.

L’appello reca i seguenti motivi:

I. Erronea e contraddittoria motivazione in ordine all'affermata giurisdizione amministrativa.

II. Erroneità dell'impugnata sentenza per mancato accoglimento del primo motivo del ricorso introduttivo in merito alla violazione della legge sul (giusto) procedimento amministrativo (L. n. 241 del 1990 e L. n. 15/2005), nonché all'eccesso di potere per difetto di istruttoria.

III. Omessa pronuncia e motivazione in ordine al secondo motivo di ricorso in prime cure: illegittimità per violazione di legge (motivazione insufficiente) ed eccesso di potere (contraddittorietà tra atti;
disparità di trattamento;
ingiustizia manifesta;
contraddittorietà della motivazione;
travisamento dei fatti) dell'atto di revoca del 04.02.2005 rispetto alle precedenti determinazione regionali.

IV. Erroneità ed illegittimità dell'impugnata sentenza per mancato accoglimento del motivo di ricorso concernente l'applicazione di interessi sulle somme richieste dall'Amministrazione regionale (dedotto motivo di illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere dell'atto di revoca del 04.02.2005, nonché della nota del 14.02.2005 - prot. 4884 - e di tutti gli atti prodromici, conseguenti e comunque ad essi connessi).

V. Erroneità della impugnata sentenza per mancato accoglimento del quarto motivo del ricorso inerente l'incompetenza dell'organo emanante l'atto di revoca. ”.

La Regione autonoma della Sardegna ha depositato atto formale di costituzione in data 16 maggio 2013.

In esito ad avviso di perenzione consegnato in data 21 marzo 2018 parte appellante ha depositato, in data 28 agosto 2018, domanda di fissazione di udienza.

La Regione autonoma della Sardegna ha depositato in data 29 dicembre 2020 memoria di costituzione, con integrazione del Collegio di difesa.

L’appellante ha depositato una memoria in data 31 dicembre 2020;
e in data 11 gennaio 2021 una memoria di replica alla suddetta memoria della Regione autonoma della Sardegna depositata il 29 dicembre 2020.

La Regione autonoma della Sardegna ha a sua volta depositato una memoria di replica in data 12 gennaio 2021, ribadendo i propri assunti ed eccependo che per giurisprudenza ormai consolidata l'appellante che ha incardinato la causa dinanzi al giudice amministrativo non può esso stesso ritenere il difetto di giurisdizione di quel medesimo giudice.

L’appellante ha depositato note di udienza il 29 gennaio 2021, contestando le deduzioni avversarie e chiedendo il passaggio in decisione della causa ai sensi della normativa emergenziale di cui all’art. 25 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 18 dicembre 2020, n. 176, e come modificato altresì dall'art. 1, comma 17, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183.

La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 2 febbraio 2021, tenutasi con modalità da remoto ai sensi della suddetta normativa emergenziale.

DIRITTO

L’appello va respinto.

1.1 –L’impugnata pronuncia è contestata in primo luogo nel punto ove ha affermato la giurisdizione amministrativa sulla controversia.

Il Collegio ritiene la censura inammissibile perché è la stessa ricorrente ad aver adìto il giudice amministrativo.

L’appellante precisa che è stata essa stessa, nel ricorso di primo grado, ad aver espressamente dichiarato di ritenere che la giurisdizione sulla controversia appartenesse al giudice ordinario e non a quello amministrativo, ma che essa ricorrente si era vista costretta a proporre il ricorso dinanzi al Tar in quanto l’impugnato provvedimento di revoca conteneva l’indicazione, definita dall’appellante “ formale avvertimento ”, circa la facoltà di impugnazione dell’atto, nei termini di legge, dinanzi al giudice amministrativo, e non dinanzi al giudice ordinario.

Il Collegio ritiene che questa circostanza non sia tale da escludere l’inammissibilità della censura

È vero che alla data di proposizione del ricorso di primo grado (depositato il 30 aprile 2005) non vi era nell’ordinamento, quanto al processo amministrativo, la previsione della translatio iudicii di cui all’articolo 50 del codice di procedura civile, tale da far salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda in caso di attivazione di giudizio dinanzi a giudice sfornito di giurisdizione (l’istituto della translatio per la giustizia amministrativa - oggi espressamente previsto dall’articolo 11 del codice del processo amministrativo - sarebbe stato poi introdotto per effetto della sentenza della Corte costituzionale 5-12 marzo 2007, n. 77, la quale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 30 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 nella parte in cui non prevedeva che gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservassero, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice che di quella giurisdizione fosse munito;
v. anche la nota sentenza della Corte di cassazione, Sezioni unite, 22 febbraio 2007, n. 4109);
e che pertanto la ricorrente nutriva il non palesemente infondato timore che, in caso di declinatoria di giurisdizione da parte del giudice ordinario eventualmente adìto - e salvo una diversa favorevole interpretazione giurisdizionale della normativa di riferimento vigente a quella data - avrebbe potuto esser preclusa la strada alla tutela dinanzi al Tar e dunque ogni tutela giurisdizionale.

Ed è vero altresì che alla data del ricorso di primo grado vi era un orientamento di questo Consiglio di Stato che escludeva abuso del processo in caso di motivo d’appello contro la ritenuta giurisdizione del Tar da parte di chi il Tar avesse adìto (v. Cons. Stato, Sez. V, 5 dicembre 2008, n. 6049). Ma è poi subentrato orientamento di segno opposto (v. Cons. Stato, Sez. V, 7 febbraio 2011, n. 656), e conforme a quello, oggi del tutto prevalente (v., per tutte, Cons. Stato, Sez. II, 8 marzo 2020, n. 1909), secondo cui è inammissibile l'eccezione ( idest : il motivo) di difetto di giurisdizione sollevata in appello dalla stessa parte che aveva adìto la medesima giurisdizione amministrativa con l’atto introduttivo di primo grado.

Ed ad avviso del Collegio la sopra indicata circostanza della non chiaramente statuita applicabilità alla fattispecie, alla data di proposizione del ricorso introduttivo, della translatio iudicii di cui all’articolo 50 del codice di procedura civile non elide la circostanza che comunque la richiesta di tutela ad un giudice dichiaratamente ritenuto, dallo stesso attore che adisce quel giudice, carente di giurisdizione mostri - per vizio logico e per la natura ipotetica ed esplorativa della richiesta di tutela – inammissibilità di quell’azione giurisdizionale. Ciò anche per il rilievo che nel caso di specie eventuali preclusioni di tutela a seguito di declinatoria di giurisdizione del giudice ordinario avrebbero potuto superarsi, alla data della controversia introduttiva, con gli ordinari mezzi previsti dall’ordinamento processuale, quali le impugnazioni e i giudizi incidentali di costituzionalità (come del resto avvenuto negli altri giudizi sfociati da ultimo nelle citate pronunce della Corte costituzionale n. 77/2007 e della Corte di cassazione n. 4109/2007).

Premessa l’inammissibilità della censura sulla giurisdizione della presente controversia, che pertanto il Collegio ritiene debba essere qui trattenuta in decisione, le censure di merito dell’appello sono infondate.

1.2. Nel merito l’appello contesta in primo luogo la pronuncia del Tar la quale - respingendo le relative censure di primo grado che denunciavano mancata comunicazione dell’avvio del procedimento - ha rilevato che la funzione sostanziale di avvio del procedimento è stata svolta dalla nota dirigenziale del 20 gennaio 2003, che prospettava, in mancanza di idonee giustificazioni, il recupero delle somme corrisposte.

L’appello afferma che nel caso di specie non è dato in alcun modo di rilevare l'avvio - negli esatti termini previsti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 e dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15 integrativa e modificativa della prima - del procedimento amministrativo finalizzato, previa la doverosa ammissione a parteciparvi del soggetto destinatario del procedimento, al pronunciamento dell'atto di revoca;
e che comunque, di ciò non si è dato conto nella determinazione regionale impugnata.

In particolare l’appello denuncia che l’Amministrazione non ha provveduto al compimento delle seguenti formalità:

1) non ha provveduto alla nomina del responsabile del procedimento di cui agli artt. 5 e 6, lettere a) e b) , della legge n. 241/1990;

2) non ha proceduto all'avvio del procedimento dandone comunicazione con le modalità previste dall'art. 8 della medesima legge n. 241/1990 e successive modifiche e integrazioni.

Si osserva che lo stesso appello dà atto che la suddetta nota dirigenziale del 20 gennaio 2003 invitava l’appellante a fornire esaurienti spiegazioni e informava che le procedure per il recupero delle somme sarebbero state attivate in assenza di quelle spiegazioni;
e la stessa appellante qualifica espressamente come “formalità” i suddetti adempimenti sopra indicati sub 1) e 2) .

La censura d’appello risulta dunque infondata, poiché è noto che le disposizioni sugli adempimenti inerenti la comunicazione di avvio del procedimento di cui alla legge n. 241/1990 richiedono una lettura sostanzialistica della tutela del diritto al contraddittorio, per la quale ogni doglianza relativa alla sua violazione presuppone la deduzione di una lesione concreta ed effettiva del diritto di difesa, capace di riverberarsi sull’esito del procedimento (v., per tutte, Cons. Stato, Sez. III, 30 luglio 2019. n. 5371), e nella fattispecie una simile violazione del diritto di difesa tale da incidere sull’esito del procedimento appare da escludere.

L’appellante indica a sostegno di questa censura di carattere procedimentale ulteriori rilievi, che parimenti non sono condivisibili.

In particolare non incidono sul suddetto diritto di difesa con negativi riflessi sull’esito del procedimento:

- la circostanza che la richiesta di chiarimenti provenisse da un funzionario indicato come “ Direttore del Servizio pesca, stagni, acquicoltura ” ma effettivamente nominato a quella carica in data successiva, trattandosi di rilievo di natura formale e non sostanziale;

- l’assunto secondo il quale quella richiesta di chiarimenti sarebbe poi stata ampiamente soddisfatta dall’appellante nelle proprie spiegazioni fornite in data 10 febbraio 2003 e indicanti impedimenti e ritardi burocratici legati alla definizione delle pratiche amministrative (concessioni comunali, demaniali, provinciali e regionali) e non dipendenti dalla società appellante;
in proposito si rinvia ai rilievi, di natura sostanziale, esposti dalla sentenza appellata e riportati nel successivo capo 1.3;

- parimenti priva di rilievo sostanziale, per le considerazioni che pure saranno esposte nel successivo capo 1.3, risulta la circostanza, prospettata in appello, che nessuna altra richiesta, osservazione, controdeduzione è stata proposta dall'Ente pubblico, lasciando in tal modo intendere che - come già accaduto in passato – vi fosse per facta concludentia un'ulteriore proroga per consentire ad altre Amministrazioni il disbrigo dell'attività di rispettiva competenza;

- a fronte della superfluità sostanziale della comunicazione di avvio del procedimento risulta priva di rilievo, a prescindere da ogni altra considerazione, l’allegazione (pure finalizzata a sostenere l’illegittimità procedimentale di mancata comunicazione di avvio del procedimento) di non urgenza del contestato recupero di somme;

- parimenti infondato è il richiamo ai principi procedimentali relativi agli atti punitivi o sanzionatori, essendo gli atti impugnati non punitivi o sanzionatori ma di revoca per inadempienza, con richiesta di restituzione di ingenti contributi già corrisposti;

- può poi soprassedersi, in applicazione del principio di sinteticità di cui all’articolo 3 del codice del processo amministrativo, sul richiamo, da ultimo operato nel presente motivo d’appello, ad una interpretazione pro reo dell’articolo 21- octies , comma 2, della legge n. 241/1990;
ciò in quanto, a prescindere da ogni altro rilievo in proposito, la sentenza appellata non si è espressa sull’applicabilità di quest’ultima disposizione alla fattispecie.

1.3 - Il mezzo successivo contesta alla pronuncia del Tar di aver omesso ogni statuizione e/o motivazione in ordine al mancato accoglimento del secondo motivo di prime cure, il quale lamentava che l’impugnata revoca della sovvenzione era illegittima per difetto di motivazione con riferimento alla indicazione dell’interesse pubblico, concreto e attuale, contrario alla realizzazione del progetto di acquicoltura marina intensiva a suo tempo già valutato ed approvato con decreto dell’Assessorato alla difesa dell’ambiente n. 4140 del 31 dicembre 1997.

L’appello ammette che la determinazione dirigenziale impugnata richiama carenze progettuali e incompletezza della documentazione necessaria al Comune di San Giovanni Suergiu per evadere la pratica concernente rilascio della concessione edilizia, ma ribadisce che è sempre necessaria la motivazione della revoca e dell’atto di ritiro in generale, sia per far risaltare le ragioni di interesse pubblico di cui all’articolo 21- quinques della legge n. 241/1990 sia ai sensi dell’articolo 3 della stessa legge.

Il motivo è infondato, poiché la sentenza appellata, pur non richiamando espressamente il secondo motivo del ricorso di primo grado, dà ampiamente conto delle ragioni, indicate nell’atto impugnato, alla base della revoca del contributo per inadempienza e della richiesta delle somme già erogate all’appellante.

La sentenza infatti espone, sulla scorta delle indicazioni dell’atto impugnato, ampi rilievi che è utile riassumere:

- la società doveva realizzare le opere entro il termine di 18 mesi (dal 31 dicembre 1997, data di concessione del contributo;
e comunque entro 18 mesi dalla data di pagamento dell’anticipazione delle somme, il 4 dicembre 1998);

- la società aveva percepito fin dal dicembre 1998, con l’anticipazione del 50%, e trattenuto, l’ingente somma di lire 898.607.000 senza realizzare alcuna opera prevista in progetto;

- la società non aveva mai chiesto una proroga del termine adducendo difficoltà burocratiche;

- le prospettate difficoltà nell’ottenimento dei titoli necessari (da parte delle varie autorità preposte) non erano state in realtà dimostrate né nel corso del procedimento, né nel corso del giudizio;

- in data 24 gennaio 1997 (quindi prima - ha precisato il Tar - della concessione del contributo) la società otteneva l’approvazione del progetto da parte della Commissione edilizia, che subordinava il rilascio della concessione edilizia alla presentazione del nulla osta regionale di tutela del paesaggio e l’autorizzazione allo scarico delle acque da parte della Provincia;

- in data 5 febbraio 2001 il Comune chiedeva integrazioni documentali ancora mancanti: l’autorizzazione provinciale allo scarico e la concessione demaniale, in risposta alla richiesta di riesame del progetto presentata dalla società il 22 novembre 2000;

- nel ricorso la società si limitava ad affermare essere “ ancora in corso l’iter autorizzativo ”, non indicando quali adempimenti si fossero posti in essere dopo il febbraio 2001 (come sopra indicato, in data 5 febbraio 2001 il Comune aveva chiesti integrazioni documentali ancora mancanti) e fino alla disposta revoca del febbraio 2005;

- risultava solo quanto indicato dalla citata nota di riscontro alla pure citata nota dirigenziale del 20 gennaio 2003 (la quale aveva prospettato alla società, in mancanza di idonee giustificazioni, il recupero delle somme: v. il capo 1.2 che precede): l’elencazione da parte della ricorrente di una serie di attività, la maggior parte delle quali precedenti alla concessione del contributo;

- in sostanza, dopo il rilascio del contributo nel dicembre 1997 (e l’anticipazione del dicembre 1998) era stata svolta dalla società, che pure aveva incamerato le somme, una limitatissima attività: in data 22 novembre 2000 richiesta al Comune il riesame del progetto, su cui il Comune aveva richiesto integrazioni il 5 febbraio 2001;
l’ottenimento dell’autorizzazione allo scarico provinciale del 20 giugno 2001, già richiesta dal Comune fin dal gennaio 1997;

- risultava una palese negligenza nel curare in modo sollecito il rilascio dei titoli, non giustificabile addossando la responsabilità alla negligenza del consulente, con esclusione del soggetto che aveva già percepito le cospicue somme;

- doveva disattendersi la tesi avanzata in ricorso della proroga implicita, senza un termine finale, per l’esecuzione del progetto, essendo insito nel sistema dei finanziamenti pubblici (nel caso in esame finalizzati all’occupazione, e già erogati) un riscontro in termini ragionevoli;

- nel caso di specie non erano ravvisabili concreti elementi di rallentamento procedimentale imposti dalle altre autorità, ma era invece ravvisabile l’assenza di tempestiva attivazione e cura delle diverse procedure necessarie, da parte del privato, dopo l’incameramento delle somme di cui sopra.

Appare dunque da escludere che queste considerazioni, rese dalla sentenza appellata sulla base delle indicazioni dell’atto impugnato (ed invero in buona parte non considerate nell’appello, sì da manifestare sul punto inammissibilità per mancata contestazione di specifici profili della sentenza appellata: vedi l’articolo 101, comma 1, del codice del processo amministrativo), mostrino un’omissione del Tar sulla relativa motivazione e sulla relativa censura di primo grado.

1.4 – La pronuncia del Tar viene contestata anche laddove essa, quanto al calcolo degli interessi sulle somme da restituire, ha ritenuto che in mancanza di norme specifiche ad hoc era applicabile, trattandosi di pagamento d’indebito, l’art. 2033 del codice civile sull’indebito oggettivo (“ Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda ”), affermando così il Tar un diritto dell’Amministrazione alla percezione degli interessi dal giorno del pagamento ed escludendo la buona fede della percipiente.

L’appello sostiene che tale assunto è totalmente erroneo ed immotivato e richiama il principio, espresso nell’articolo 1147, terzo comma, del codice civile, “ mala fides superveniens non nocet ”;
sicché, nella denegata ipotesi che fosse accertato l'obbligo restitutorio, gli interessi legali dovuti sulle somme da restituire dovrebbero farsi decorrere dalla data della domanda.

Il rilievo non è fondato.

Il Tar ha motivatamente escluso “ il riconoscimento di uno stato soggettivo favorevole ” nella percipiente, rilevandone totale inerzia di attività dal 1998 al 2000, ed in effetti dalla scansione temporale esposta nella gravata sentenza, e qui riportata nel precedente capo 1.3, risulta già dall’incameramento delle somme da restituire un’inerzia tale da escludere uno stato soggettivo meritevole della più favorevole disciplina, ai fini della decorrenza degli interessi sul debito, prevista dall’invocato articolo 2033, terzo comma, del codice civile.

1.5 - Da ultimo l'appello sostiene che il Tar, nel respingere la censura di incompetenza formulata in primo grado nei confronti dell'atto dirigenziale di revoca del beneficio e di ingiunzione a restituire le somme corrisposte, avrebbe violato il principio del contrarius actus , poiché l'originario contributo era stato statuito non dal dirigente ma dall'Assessore alla difesa ambientale.

L’appello afferma che la sentenza impugnata ha disatteso integralmente detto principio del contrarius actus , poiché avrebbe, con generica asserzione, affermato la natura gestionale dell’impugnata revoca del beneficio, in virtù ai principi di separazione fra competenze politiche ed amministrative di cui alla legge della Regione autonoma della Sardegna 13 novembre 1998, n. 31, sulla disciplina del personale regionale e dell'organizzazione degli uffici regionali.

Anche questo motivo è infondato.

Il Tar ha infatti correttamente ed esaustivamente riscontrato in proposito la differenza sostanziale fra l’atto dell’organo politico-amministrativo della Regione, con il quale era stata effettuata la scelta di erogare il finanziamento, e l’atto di gestione che, appunto in sede gestionale, aveva riscontrato l'oggettiva assenza dei relativi presupposti e conseguentemente disposto la revoca del beneficio e la restituzione degli importi già versati (confr., per tutte, Cons. Stato, Sez. V, 17 settembre 2018, n. 5441).

3. - L’appello, in conclusione, va respinto.

Le caratteristiche, anche processuali, della controversia inducono alla compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi