Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2015-09-01, n. 201504077
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N. 04077/2015REG.PROV.COLL.
N. 03527/2011 REG.RIC.
N. 03698/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello n. 3527 del 2011, proposto dal
Comune di Grumo Nevano, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Guido D’Angelo, ed elettivamente domiciliato, unitamente al difensore, presso l’avv. L Svatori in Roma, via Sicilia n. 50, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;
contro
Assunta Pellino, rappresentata e difesa dagli avv.ti D C e G M B, ed elettivamente domiciliata, unitamente al difensore, presso l’avv. G B S in Roma, via Giovan Battista De Rossi n. 30, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;
nei confronti di
Papa Immobiliare s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Antonio Lamberti, ed elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma, viale dei Parioli n. 67, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;
sul ricorso in appello n. 3698 del 2011, proposto da
Papa Immobiliare s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Antonio Lamberti, ed elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma, viale dei Parioli n. 67, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;
contro
Assunta Pellino, rappresentata e difesa dagli avv.ti D C e G M B, ed elettivamente domiciliata, unitamente al difensore, presso l’avv. G B S in Roma, via Giovan Battista De Rossi n. 30, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;
nei confronti di
Comune di Grumo Nevano, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
quanto al ricorso n. 3527 del 2011:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione seconda, n. 345 del 2011, concernente permesso di costruire
quanto al ricorso n. 3698 del 2011:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione seconda, n. 345 del 2011, concernente permesso di costruire
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Assunta Pellino e di Papa Immobiliare s.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 luglio 2015 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Romano su delega dell'avvocato D'Angelo, Marone su delega degli avvocati Cirillo e Benincasa, e Lamberti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 3527 del 2011, il Comune di Grumo Nevano propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione seconda, n. 345 del 2011, con la quale è stato accolto il ricorso, integrato da motivi aggiunti, proposto da Assunta Pellino contro lo stesso Comune e Papa Immobiliare s.r.l. per l'annullamento:
- del permesso di costruire n. 123/2008 rilasciato dal Comune di Grumo Nevano alla ditta Papa Immobiliare S.r.l. in data 6.4.2009;
- del parere favorevole della Commissione Edilizia del Comune di Grumo Nevano del 17.2.2009;
- di ogni altro atto collegato, connesso e conseguente lesivo degli interessi dei ricorrenti ivi compresi e per quanto di ragione il vigente P.R.G. approvato con decreto n. 80/2009 nonché le N.T.A ed il regolamento edilizio del Comune di Grumo Nevano.
Il giudice di prime cure ha così ricostruito in fatto la vicenda in scrutinio:
“La ricorrente è proprietaria di un immobile sito nel Comune di Grumo Nevano in Via Padula, n. 24 insistente in Zona “B Satura” - Sottozona B2, di cui alle N.T.A. dei P.R.G. del medesimo Comune.
Il suddetto fabbricato confina con una porzione di terreno in Via Gilioli, n. 25 rientrante nella medesima zona “B satura” - Sottozona B2, in relazione al quale il Comune ha rilasciato, in favore della ditta Papa Immobiliare il permesso di costruire n. 123/2008 per lavori di ristrutturazione edilizia comportante la demolizione e ricostruzione di un preesistente fabbricato.
L’istante, dopo aver ricordato che il preesistente immobile, abbandonato da diversi anni, consisteva in un piano rialzato, risalente al 1968, e due piani sopraelevati, realizzati in difformità rispetto alla concessione edilizia n. 125/92 e oggetto di sentenza della Corte di Cassazione - Sez. II Civ. n. 13707 del 15.4.2004 con cui era stata disposta la rimessione in pristino per motivi di sicurezza e stabilità dell’edificio, ha quindi impugnato il permesso di costruire n. 123/2008 deducendo i seguenti motivi:
1) Violazione e falsa applicazione del d.P.R. 380/2001 e s.m.;violazione della l.r 16/2004;violazione del d.m. 1444/1968;inesistenza dei presupposti in fatto ed in diritto;eccesso di potere;inesistente istruttoria.
Il Comune non avrebbe potuto rilasciare l’avversato permesso di costruire in quanto il combinato disposto degli articoli 12 e 13 delle N.T.A. non consentirebbe di realizzare opere di ristrutturazione edilizia nella zona interessata B sottozona B2.
Inoltre non sussisterebbero nemmeno i presupposti della ristrutturazione edilizia, posto che l'edificio da ricostruire sarebbe del tutto diverso, per sagoma, volumi, superfici, da quello preesistente.
In particolare, in luogo del manufatto originariamente composto da piano terra e due piani rialzati, l’Amministrazione ha autorizzato la costruzione di un nuovo edificio composto da un piano interrato, un piano terra, n. 3 piani rialzati ed un sottotetto abitabile per un totale complessivo di presunte n. 7 unità immobiliari, oltre a n. 9 posti auto come descritto nella relazione tecnica.
Tale intervento non sarebbe autorizzabile, in quanto non solo non rientra nelle tipologie previste dalle N.T.A., ma non rientrerebbe nemmeno negli interventi di ristrutturazione, costituendo piuttosto una nuova costruzione, radicalmente diversa rispetto a quello precedente, per di più insistente in zona omogenea B – satura - sottozona B2, che, in quanto tale, è insuscettibile di nuove costruzioni;
2) Violazione e falsa applicazione del d.P.R. 380/2001 e s.m.;violazione della l.r 16/2004;violazione del d.m. 1444/1968;inesistenza dei presupposti in fatto ed in diritto;eccesso di potere;inesistente istruttoria.
Dal confronto tra i vecchi grafici di progetto relativi al manufatto preesistente, assentito con concessione n. 125/92, e demolito, ed i grafici di rilievo e dalla relazione tecnica, prodotti dalla ditta Papa, emergerebbe una palese difformità.
In particolare, dal confronto grafico si evincerebbe che il manufatto preesistente era stato costruito in difformità rispetto alla CE n. 125/1992 ed era stato oggetto di una sentenza con cui la Corte di Cassazione aveva rilevato la necessità di demolire le sopraelevazioni del preesistente edificio per ragioni di sicurezza. Ciò impedirebbe di computare i volumi (preesistenti ma da demolire) ai fini della ricostruzione del “nuovo” manufatto, in quanto in ogni caso tali volumi non possono essere recuperati, tanto più se insistono in una zona satura densamente abitata;
3) Violazione e falsa applicazione del d.P.R. 380/2001 e s.m.;violazione della l.r 16/2004;violazione del d.m. 1444/1968;inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto;eccesso di potere;inesistente istruttoria.
La nuova costruzione, alta più di 14.00 mt., supererebbe l’altezza media degli edifici preesistenti, nonché quella del preesistente fabbricato pari a mt. 10.00 circa., in violazione di quanto prescritto dal D.M. 1444/1968 e dall’art. 13 delle N.T.A che fissano il limite massimo di 14.00 mt di altezza consentita.
Nel calcolo della superficie realizzabile non sì è tenuto conto dell’incremento di superficie dei balconi.
Nel considerare la maggiore ampiezza dei balconi risulta che la superficie di progetto, pari a mq. 160.50 supera di m.q. 25 quella invece realizzabile pari a mq. 136.20.
Inoltre, anche il volume degli ascensori e delle scale non sarebbe stato, erroneamente, computato ai fini urbanistici. Viene infatti considerato volume edificabile solo la parte relativa alle unità immobiliari, con esclusione del volume relativo alla scala, vano chiuso su tre lati ed agli ascensori, con la conseguenza che tale incremento di volumetria, se considerato, avrebbe comportato un volume totale del progetto di mq 1559 maggiore rispetto a mq 1448 corrispondente al volume massimo edificabile, ciò in violazione dell’art. 29, comma 1, del regolamento edilizio secondo cui “volume... è quello del manufatto o dei manufatti edilizi che emergono dal terreno sistemato secondo il progetto approvato con esclusione dei volumi dei porticati”.
A seguito di accesso agli atti in data in data 8.10.2009, la ricorrente ha verificato che l’Amministrazione non si era mai pronunciata sul condono edilizio di cui alla istanza del 27.02.1995 e che dalla documentazione fotografica allegata era possibile riscontrare la assenza della “tompagnatura del manufatto preesistente” che, pertanto, non risultava ultimato.
La ricorrente ha quindi impugnato con motivi aggiunti il permesso di costruire n. 123/2009 deducendo:
Violazione della legge n. 724/94;assenza dei presupposti in fatto ed in diritto;violazione e falsa applicazione del d.p.r. 380/2001 e s.m.;violazione della l.r n. 16/2004;eccesso di potere;istruttoria inesistente.
Il Comune avrebbe autorizzato la demolizione e successiva ricostruzione di volumi inesistenti e per ciò stesso non (ri)utilizzabili, di parte dell’immobile costruito in difformità rispetto al preesistente titolo autorizzativo n. 125/92 che non è stato mai sanato.
Il manufatto preesistente, che era privo di tompagnature, non poteva essere condonato ai sensi della legge n. 724/94 e, quindi, non avrebbe mai potuto consentire l’abbattimento e la successiva ricostruzione dell’edificio.
Né, per le ragioni innanzi esposte, sussisterebbero i presupposti per il rilascio del condono per “silenzio assenso”, non ricorrendo i presupposti previsti dalla legge n. 724/94.
La controinteressata Papa Immobiliare si è costituita in giudizio, con atto depositato il 22.10.2009, eccependo l’infondatezza del ricorso e dei medesimi motivi aggiunti;in particolare sostiene che il fabbricato di progetto avrebbe volumetria e superfici lievemente inferiori a quelle preesistenti e che il permesso di costruire rispetterebbe i limiti e i vincoli imposti dalle norme tecniche di attuazione.
Con ordinanza n. 2779 assunta nella Camera di Consiglio del 3.12.2009 è stata accolta la domanda cautelare presentata dalla ricorrente per la sospensione del provvedimento impugnato, confermata in grado di appello dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 2517/2010;.
In prossimità della trattazione del merito, le parti hanno depositato memorie insistendo nelle loro rispettive richieste.
La società Papa Immobiliare, in data 12 maggio 2009, ha anche depositato fotografie dello stato dei luoghi e una relazione tecnica, redatta in data 8 maggio 2009 dall’ing. Giovanni Pedata, attestante la legittimità e conformità alle prescrizione del PRG degli atti impugnati.
Alla pubblica udienza del 2 dicembre 2010, dopo ampia discussione tra le parti, la causa è stata quindi trattenuta dal Collegio per la decisione.”
Il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva fondate le censure proposte, sottolineando l’illegittimità dell’operato della pubblica amministrazione, in relazione all’errata qualificazione dell’intervento, che doveva invece qualificarsi come di nuova edificazione e, conseguentemente, all’illegittimo rilascio del permesso di costruire.
Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte pubblica appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo come motivi di appello le proprie difese.
Nel giudizio di appello, si è costituita la Papa Immobiliare s.r.l., in posizione adesiva a quella del Comune, nonché Assunta Pellino, chiedendo invece di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
La stessa sentenza era peraltro oggetto di separata impugnativa, iscritta al n. 3698 del 2011, da parte della Papa Immobiliare s.r.l.. Anche in questo secondo giudizio si costituiva Assunta Pellino, in posizione oppositiva.
All’udienza del 16 giugno 2011, l’istanza cautelare proposta dalla Papa Immobiliare s.r.l. veniva respinta con ordinanza n. 2539/2011.
Alla pubblica udienza del 14 luglio 2015, i due ricorsi sono stati congiuntamente discussi e assunti in decisione.
DIRITTO
1. - In via preliminare ed a norma dell’art. 96 comma 1 del codice del processo amministrativo, va disposta la riunione dei diversi appelli, in quanto proposti contro la stessa sentenza.
2. - Sempre in via preliminare, la Sezione ritiene di evidenziare come la fattispecie de qua attenga unicamente a profili di diritto e di merito e non vi sono state contestazioni sulla ricostruzione in fatto, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, per cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64 comma 2 del codice del processo amministrativo, deve considerarsi assodata la prova dei fatti oggetto di giudizio.
3. - Gli appelli riuniti non sono fondati e vanno respinti per i motivi di seguito precisati.
4. - La questione in scrutinio si fonda sull’originario ricorso in prime cure, accompagnato da motivi aggiunti, con cui Assunta Pellino, proprietaria di un’unità immobiliare sita nel Comune di Grumo Nevano, confinante con una porzione di terreno in via Gilioli, n. 25 rientrante nella medesima “zona B Satura” - Sottozona B2, ha impugnato il provvedimento con il quale il Comune ha rilasciato, in favore della controinteressata Papa Immobiliare s.r.l., il permesso di costruire n. 123/2008 per lavori di ristrutturazione edilizia comportante la demolizione e ricostruzione di un preesistente fabbricato.
Trattandosi di questione inerente la legittimità del rilascio di un titolo abilitativo, il giudizio si è articolato fondamentalmente intorno ai due temi della qualificazione dell’intervento da realizzare e della sua compatibilità con l’assetto urbanistico dell’area. Pertanto, anche in grado di appello, la trattazione potrà essere organizzata intorno di detti due poli concettuali, da valutare prioritariamente.
4.1. - In merito alla tipologia di intervento da realizzare, la parte appellata ha evidenziato in prime cure come l’area fosse interessata da un intervento di totale demolizione e successiva ricostruzione dove, al posto del preesistente fabbricato, originariamente composto da un piano terra e due piani rialzati, sarebbe stato realizzato un immobile costituito da quattro piani fuori terra (piano terra e tre piani rialzati) ed un sottotetto abitabile, oltre ad un vasto piano interrato. Si sarebbe trattato pertanto di un edificio del tutto diverso rispetto al preesistente e quindi incompatibile con il concetto di ristrutturazione edilizia per demolizione e ricostruzione e con le previsioni valevoli nell’area.
Si tratta quindi di valutare se effettivamente l’edificio da realizzare sia compatibile con il concetto di ristrutturazione edilizia. A tal fine, va evidenziato come la fattispecie di demolizione e ricostruzione di un fabbricato, che costituisce uno delle tre tipologie della ristrutturazione edilizia, può rientrare in tale ambito nei soli casi in cui ricostruzione è sostanzialmente conforme alla precedente struttura oggetto di demolizione (sui limiti del concetto, sempre fondamentale il rinvio a Corte Costituzionale, 23 novembre 2011 n. 309).
A tal fine, la giurisprudenza di questo Consiglio ha pacificamente affermato che l'elemento che, in linea generale, contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione deve rinvenirsi nella già avvenuta trasformazione del territorio, mediante una edificazione di cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la sovrapposizione di un "insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente": art. 3, comma 1, lett. d), t.u.) ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita, ma - in quest'ultimo caso - con ricostruzione, se non "fedele" (per effetto della modifica apportata al testo unico dal decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 301), comunque rispettosa della volumetria e della sagoma della costruzione preesistente (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 12 maggio 2014 n. 2397;id., sez. IV, 30 marzo 2013, n. 2972).
Ancora più in dettaglio, si è notato (Consiglio di Stato, sez. IV, 6 dicembre 2013 n. 5822) che ai sensi della lettera d), comma 1 dell'art. 3 del t.u. edilizia sono inclusi nella definizione di "ristrutturazione edilizia", gli interventi di demolizione e ricostruzione con identità di volumetria e di sagoma rispetto all'edificio preesistente;la successiva lettera e) classifica come interventi di "nuova costruzione" quelli di "trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti". In base alla normativa statale di principio, quindi, un intervento di demolizione e ricostruzione che non rispetti la sagoma dell'edificio preesistente - intesa quest'ultima come la conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro considerato in senso verticale e orizzontale - configura un intervento di nuova costruzione e non di ristrutturazione edilizia.
Pertanto, e contrariamente a quanto sostenuto dalle parti appellanti, l'intervento edilizio oggetto di contenzioso, dimensionalmente caratterizzato come sopra evidenziato, non rientra nel canone della ristrutturazione ma in quella della nuova edificazione.
Per altro verso, il primo giudice ha convincentemente dimostrato come indicazioni in senso opposto non possano trarsi neppure dalla disciplina regionale (anche perché, qualora ciò fosse possibile, la legge regionale dovrebbe essere posta al vaglio del giudice delle leggi, come già avvenuto per la legge regionale Lombardia, oggetto della pronuncia della Corte costituzionale già sopra citata).
Infatti, in Campania, la legge regionale 28 novembre 2001, n. 19, all'art. 2, nel prevedere che le ristrutturazioni possono essere realizzate in base a semplice denuncia di inizio di attività (D.I.A.), fa riferimento a “le ristrutturazioni edilizie, comprensive della demolizione e della ricostruzione con lo stesso ingombro volumetrico”. La detta disposizione, foriera di ambiguità interpretatative, è stata poi rimodulata dall'art. 49, comma 5, della successiva legge regionale Campania 22 dicembre 2004, n. 16 che si è adeguata alla disciplina del T.U. dell’edilizia.
Il primo aspetto della questione va poi concluso vagliando il tema del massimo quantum volumetrico che il Comune avrebbe potuto autorizzare, qualora l’opera fosse rimasta nell’ambito della ristrutturazione per demolizione e ricostruzione.
Anche in questo caso, deve essere condivisa la valutazione del primo giudice, atteso che parte dell’immobile preesistente era stato costruito in difformità rispetto al precedente titolo autorizzativo n. 125/92 e non era stato mai sanato, per cui, autorizzando una ricostruzione volumetrica che andava ad assorbire la parte abusiva, il Comune di fatto ha dato vita ad una sanatoria implicita, del tutto non conforme a legge.
Al contrario, in assenza di condono edilizio, atteso che non poteva dirsi formato su di esso il silenzio assenso, stante la mancanza dei presupposti di legge (ed effettivamente si trattava di un manufatto privo di tompagnature), la volumetria illegittimamente realizzata non può essere considerata ai fini del rilascio di un titolo abilitativo.
Tale elemento incide anche su un ulteriore profilo dimensionale del progetto autorizzato, oggetto di espressa valutazione da parte del T.A.R. e inerente l’altezza dell’opera realizzanda. Papa Immobiliare s.r.l. ha infatti conseguito un titolo per realizzare il nuovo immobile ad un’altezza superiore (13,50 m) rispetto a quella preesistente (10,50 m), laddove secondo i parametri tecnici dettati dall'art. 8 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, “l'altezza massima dei nuovi edifici non può superare l'altezza degli edifici preesistenti e circostanti”. E correttamente il primo giudice ha richiamato il tema dell’inderogabilità (ora possibile ma solo previa legge regionale) del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 che, integrando con efficacia precettiva il regime delle altezze nelle costruzioni, rendono ancora più palese la non conformità del progetto alle prescrizioni normative.
Conclusivamente, nel caso in esame, si è di fronte al rilascio di un permesso di costruire per un’opera di nuova edificazione, e non di mera ristrutturazione edilizia, nel cui computo dimensionale, si è erroneamente tenuto conto anche di volumetrie illegittimamente realizzate, finendo per autorizzare esiti che violano la disciplina cogente di cui al D.M. 1444 del 1968.
4.2. - Vagliato il primo aspetto, quello della natura dell’opera da realizzare, deve essere ora verificata la sua compatibilità con la disciplina di zona.
Il primo giudice si è soffermato analiticamente sugli strumenti urbanistici vigenti in zona, notando come l’art. 13 delle N.T.A. del Comune di Grumo Nevano, per la sottozona B2 – Satura, prevede che in loco siano consentiti soltanto gli interventi di cui all'articolo precedente. L’evocato precedente articolo 12 per la Zona A - centro storico – stabilisce, per le sottozone individuate, la possibilità di realizzare gli interventi esclusivamente di cui “agli articoli 31a), 31b) e 31c) della legge 457/1978”.
Il rinvio è quindi quello alla normativa nazionale del 1978 che si riferisce a tre tipi di interventi:
“a) interventi di manutenzione ordinaria, quelli che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti;
b) interventi di manutenzione straordinaria, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso;
c) interventi di restauro e di risanamento conservativo, quelli rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio.”
Come si vede, la normativa urbanistica applicabile non consente interventi di nuova costruzione, come quello oggetto di permesso di costruire, né sono condivisibili tentativi di interpretazione della norma, tali da consentire l’inserimento di fattispecie non tassativamente indicate nell’ambito del rinvio.
Al contrario, deve affermarsi come l’intervento proposto, con le caratteristiche evidenziate al punto che precede, si ponga in contrasto stridente con le previsioni di zona, che non consentono realizzazione di nuove costruzioni.
5. - Conclusivamente, assodato che il progetto in questione non era inquadrabile nelle categorie della ristrutturazione urbanistica, non essendo un intervento sull’esistente ma ex novo ed evidenziato che non fosse così compatibile con le prescrizioni d’area, i ricorsi in appello devono essere entrambi respinti.
6. - Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
7. - Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.