Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2023-01-17, n. 202300562
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Pubblicato il 17/01/2023
N. 00562/2023REG.PROV.COLL.
N. 08127/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8127 del 2021, proposto da
Comune di Bovisio Masciago, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato B B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Vittoria Colonna n. 40;
contro
Immobiliare Bovisio Centro s.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati G T, E T e G C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Unipolsai Assicurazioni s.p.a., non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) n. 01678/2021 e della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) n. 02549/2020, rese tra le parti, per l'ottemperanza,
per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
alla decisione T.A.R. Lombardia, sez. II, 20 maggio 2020, n. 858
e per il conseguente accertamento:
della somma dovuta da Immobiliare Bovisio Centro s.r.l., a titolo di risarcimento del danno, per la prolungata occupazione di aree divenute di proprietà municipale, nonché per la condanna del Comune di Bovisio Masciago al pagamento in favore della ricorrente di quanto di sua spettanza, come accertato dalla decisione predetta.
Per quanto riguarda la domanda riconvenzionale presentata dal Comune di Bovisio Masciago il 2 novembre 2020:
accertare la possibilità di opporre in compensazione legale gli ulteriori crediti di cui il Comune è titolare nonché l'effettiva spettanza alla ripetizione di parte delle somme ricevute dall'ente;
in via riconvenzionale subordinata:
previa conversione dell'azione ai sensi dell'art. 32, comma 2, c.p.a., provvedere all'accertamento sopra richiesto mediante rito ordinario.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Immobiliare Bovisio Centro s.r.l.;
Viste le memorie delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2022 il Cons. Annamaria Fasano e preso atto delle richieste di passaggio in decisione depositate in atti dagli avvocati Bianchi, Tanzarella Elena, Tanzarella Giancarlo e Corbyons;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.Il Comune di Bovisio Masciago ha proposto appello per la riforma della sentenza non definitiva n. 2549/2020 e della sentenza definitiva n. 1678/2021 del T.A.R. per la Lombardia, riferendo quanto segue. La società Immobiliare Bovisio Centro s.r.l. con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per la Lombardia agiva per l’ottemperanza della sentenza n. 858 del 2020, con il quale il Tribunale amministrativo aveva statuito l’inammissibilità della domanda di accertamento negativo del debito della società Immobiliare Bovisio Centro s.r.l. nei confronti del Comune, a titolo di sanzioni per ritardato pagamento per euro 213.115, 26, respingendo la domanda principale di accertamento di inesistenza del debito per occupazione senza titolo di aree pubbliche. Il Collegio, invece, accertava il diritto di credito della Immobiliare Bovisio Centro s.r.l. nei confronti del Comune per un importo di euro 1.387.813,75 e, in accoglimento della domanda subordinata, fissava i criteri per l’accertamento dell’importo dovuto dalla società per il mantenimento delle aree. Il Comune, in sostanza, domandava al Tribunale adito la liquidazione della somma dovuta dalla società Immobiliare Bovisio Centro s.r.l., a titolo di risarcimento del danno, per la prolungata occupazione di aree divenute di proprietà municipale e la condanna del Comune al pagamento di quanto dovuto in suo favore, come risultante alla compensazione dell’importo di euro 1.387.813, 75, credito già accertato e liquidato in favore della società con la sentenza n. 858 del 2020 e il debito ancora oggetto di liquidazione.
La società rappresentava di non essere potuta pervenire ad un accordo con il Comune e che questo, anziché fornire elementi utili alla determinazione del proprio credito secondo i criteri indicati dal Tribunale, aveva tratto occasione dalla sentenza per imporre un accordo a chiusura di altre ragioni di contesa totalmente estranee al decisum, e senza che la richiesta di specificazione (importo e relative causali) dell’entità del danno reclamato fosse corrisposta.
La ricorrente concludeva, chiedendo al Tribunale: “ affinchè, in attuazione di quanto disposto, sia determinata, avendosi conto dei criteri indicati nella sentenza medesima, l’entità dell’importo dovuto al Comune a titolo di risarcimento è, per l’effetto, sia disposta la condanna del Comune al pagamento del saldo in un termine certo e con determinazione di penale per il ritardo ai sensi dell’art. 114.4 lett. e) c.p.a. e nomina di Commissario perché disponga il pagamento”. Nel corso del giudizio di primo grado, il Comune resistente, oltre a contestare la debenza della somma di euro 365.562,79 sulla complessiva somma già accertata di euro 1.387.813,75, proponeva domanda riconvenzionale, chiedendo di ‘ accertare la possibilità di opporre in compensazione legale gli ulteriori crediti di cui il comune è titolare ’ , specificando che essi erano quantificabili in ero 213.115,26, a titolo di sanzione per ritardato versamento del contributo di costruzione, importo mai versato dalla società, euro 279.372,00 a titolo di ‘crediti insoluti’ per ‘tributi (ICI, IMU, TASI) non versati’
2. Il Tribunale adito, con sentenza non definitiva n. 2549 del 18 dicembre 2020, dichiarava l’inammissibilità delle domande proposte in riconvenzione dal Comune, richiamando l’indirizzo della giurisprudenza amministrativa che considerava non proponibili, in sede di ottemperanza, le eccezioni di compensazione estranee alla questione decisa con la statuizione ottemperanda. Il Collegio di prima istanza non ravvisava sussistere neppure i presupposti per la conversione delle domande riconvenzionali in domande autonome, ai sensi dell’art. 32 c.p.a., come richiesto dal Comune in via subordinata. Riteneva, invece, ammissibile la domanda riconvenzionale per la parte attinente alla richiesta di compensazione del credito della società, accertato con sentenza, con quello del Comune vantato a titolo di sanzione per ritardato pagamento del contributo di costruzione per euro 213.115,26, precisando, con riferimento al merito, che la sussistenza dei presupposti per l’effettuazione della compensazione sarebbe stato oggetto della sentenza definitiva, dovendo la decisione essere assunta unitariamente a quella relativa alla liquidazione del credito del Comune per indebita occupazione delle aree. Il Tribunale, al fine di giungere alla liquidazione del credito vantato dal Comune, la cui spettanza era stata riconosciuta con la sentenza da ottemperare, disponeva una verificazione ai sensi dell’art. 66 c.p.a., rinviando ad altra camera di consiglio per la discussione del merito delle questioni non decise con la sentenza non definitiva.
3. Con sentenza definitiva n. 1678 del 2021, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, in esito alle conclusioni della disposta verificazione, determinava il credito risarcitorio vantato dal Comune, disponendo che il diritto di credito della società Immobiliare Bovisio Centro s.r.l. nei confronti del Comune di Bovisio Masciago, già accertato per un importo di euro 1.387.813,75, con la sentenza n. 858 del 2020, doveva essere parzialmente compensato, sino alla residua somma di euro 974.632,73;conseguentemente, veniva accolta la domanda formulata dalla società ricorrente di condanna del Comune al pagamento di quanto di spettanza, pari all’importo residuo di euro 974.632,73, una volta operate le compensazioni predette.
4. Con ricorso in appello, notificato nei termini e nelle forme di rito, il Comune di Bovisio Masciago ha impugnato le predette sentenze, denunciando: “1. Error in iudicando: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112, comma 5, del d.lgs. n. 104/2010. Difetto di motivazione. Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto”; 2. Error in procedendo: Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32, comma 2, e dell’art. 42 del d.lgs. n. 104/2010. Difetto di motivazione. Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto”.
5. Si è costituita in resistenza l’Immobiliare Bovisio Centro s.r.l., concludendo per il rigetto dell’appello.
6. L’appellante con successiva memoria ha ribadito le proprie difese.
7. All’udienza del 20 ottobre 2022, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
8. L’appellante, con il primo mezzo, lamenta che il giudice di primo grado avrebbe equivocato sull’oggetto della domanda riconvenzionale articolata nel corso del giudizio, ritenendo che la stessa fosse idonea ad estendere l’oggetto del giudizio, quando, in realtà, tale eventualità poteva ritenersi sussistente solo nell’ipotesi della conversione del rito richiesta per l’accertamento, ove ritenuto necessario, dell’effettiva spettanza delle somme da ripetersi e dei crediti vantati dall’amministrazione comunale. L’ente comunale contesta l’erronea applicazione da parte del giudice di prime cure dell’art. 112, comma 5, del d.lgs. n. 104 del 2010, il quale dispone che il ricorso per ottemperanza può essere proposto anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza, e proprio in tal senso doveva essere interpretata la domanda riconvenzionale proposta in via principale, essendosi subordinata la verifica degli aspetti menzionati all’applicazione dell’art. 32 del d.lgs. n. 104 del 2010.
9. Con il secondo motivo, l’Ente comunale denuncia l’errore commesso dal Tribunale adito, il quale, ritenendo di non poter trattare in sede di ottemperanza le questioni oggetto della domanda riconvenzionale, ha affermato che, nel caso di specie, non potevano dirsi integrati: “ i presupposti per la conversione delle stesse in domande autonome, ai sensi dell’art. 32 c.p.a., come richiesto dal Comune in via subordinata” poichè “ la memoria di costituzione contenente domanda riconvenzionale risulta notificata alla parte presso il procuratore costituito nel giudizio di ottemperanza’, e, per questo motivo, difetterebbe “ il requisito della forma, consistente nella notifica alla parte personalmente ai sensi dell’art. 41 c.p.a., perché la domanda possa essere considerata come introduttiva di un giudizio autonomo e così convertita”.
Secondo l’appellante, le predette statuizioni sarebbero prive di pregio, tenuto conto che l’Adunanza Plenaria n. 2 del 2013 avrebbe ammesso la conversione della suddetta azione in presenza dei presupposti, che ricorrerebbero nel caso di specie. L’esponente ritiene che il richiamo all’art. 41 del d.lgs. n. 104 del 2010 non sarebbe nella specie conferente, atteso che la disposizione non ritiene la doverosità dell’adempimento formale, oltre al fatto che quanto sostenuto dai giudici di prima istanza sarebbe palesemente in contrasto con l’art. 42 del d.lgs. n. 104 del 2010, tenuto conto che l’interesse a vedere riconosciuti e compensati gli ulteriori crediti dell’Ente sorgerebbe proprio in dipendenza del ricorso in ottemperanza ex adverso proposto per la liquidazione dei maggiori importi liquidati nella sentenza n. 858 del 2020. Sarebbe evidente l’errore commesso dal primo giudice nell’applicazione della normativa procedimentale di riferimento, considerando che, a norma di legge, nel caso in cui la controparte sia costituita, la notifica non deve essere fatta alla stessa personalmente ma, ai sensi dell’art. 170 c.p.c., al procuratore costituito, come in effetti avvenuto. L’appellante conclude affermando che, a fronte della domanda articolata nell’interesse del Comune di Bovisio Masciago in via riconvenzionale/incidentale ai sensi dell’art. 42 del d.lgs. n. 104 del 2020, non si comprenderebbe come la stessa possa essere stata dichiarata inammissibile per un requisito di forma, nella specie insussistente, tenuto conto che il giudice di prima istanza avrebbe dovuto, prevalendo nel diritto amministrativo la sostanza sulla forma, ab origine, classificare l’azione proposta in via riconvenzionale come cumulativa rispetto al ricorso introduttivo ex adverso proposto applicando all’intera causa il rito ordinario, rilevandosi in particolare che, a differenza di quanto precisato nella sentenza impugnata, la materia del contendere di cui alla riconvenzionale non può certo definirsi quale giudizio autonomo ma, al contrario, come dipendente e strettamente connesso alla definizione della complessa vertenza per cui si procede.
10. I motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto logicamente connessi, sono infondati.
11. La questione all’esame di questa Sezione verte sull’ammissibilità della domanda riconvenzionale di compensazione dei crediti non inerenti al decisum proposta nell’ambito di un giudizio di ottemperanza.
Il Comune ha declinato la domanda di compensazione, specificando che i crediti da opporre in compensazione sarebbero quantificabili in euro 213.115,16 a titolo di sanzione per ritardato versamento del contributo di costruzione, importo mai versato dalla società, ed euro 279.372, 00 a titolo di crediti insoluti per tributi (ICI, IMU, TASI). L’appellante in primo grado ha, altresì, dedotto che: “ il credito per la ripetizione del contributo di costruzione riconosciuto da codesto Ill.mo T.A.R. non era interamente di spettanza della società ricorrente la quale chiede oggi, illegittimamente, il pagamento di quest’ultimo nonostante sappia che una parte delle somme a suo tempo versate sono state incassate dal Comune a mezzo della riscossione della fideiussione prestata a garanzia degli obblighi convenzionali senza che, ad oggi, Immmobiliare Bovisio Centro s.r.l. abbia rimborsato Liguria – Società di Assicurazioni – S.p.a. (oggi incorporata da UnipolSai Assicurazioni), alla quale spettano dette somme’.
11.1. Il Collegio non ritiene ammissibile opporre in compensazione ulteriori crediti di cui il ricorrente in ottemperanza è titolare, che non sono in alcun modo riconducibili al decisum della sentenza ottemperanda.
Come correttamente precisato dal giudice di primo grado, il Comune di Bovisio Masciago ha proposto, in sede di ottemperanza, una inammissibile eccezione ‘in senso stretto’, finalizzata a contestare l’importo dovuto alla società ricorrente, che invece avrebbe dovuto proporre in sede di cognizione.
Il giudizio di ottemperanza è, in via principale, finalizzato a determinare la portata e gli effetti dell’accertamento contenuto nella sentenza, in linea con la consolidata giurisprudenza per la quale spetta al giudice dell’ottemperanza delimitare la reale portata della regola di diritto derivante dal giudicato, esercitando poteri di natura non meramente esecutiva, ma anche cognitiva, affinchè sia assicurata la realizzazione sostanziale del bene della vita perseguito con il giudizio (Cons. Stato, sez. V, 12 novembre 2013, n. 5380;Cons. Stato, sez. VI, 17 maggio 2013, n. 2680).
In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha affermato: “ Il giudizio amministrativo preordinato ad attuare l’adempimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi al giudicato ha natura, sotto il profilo della struttura formale, di giudizio di cognizione, ancorchè possa presentare la sostanza della mera esecuzione in relazione ai contenuti concreti del giudicato al quale l’amministrazione deve ottemperare. Tale natura discende dal presupporre nel giudizio di ottemperanza vi sia sempre la possibilità di scegliere i modi concreti di esecuzione, cosicchè l’intervento del giudice amministrativo è diretto a imporre alla Pubblica Amministrazione di eseguire quanto comandato dal giudicato, sostanzialmente costringendola ad eseguire spontaneamente l’obbligo, cioè dall’interno e non ab externo” (Cass. Sez. Un. 31 marzo 2006, n. 7578).
L’Adunanza Plenaria, con sentenza n. 2 del 2013, ha, infatti, evidenziato la natura polisemica del giudizio di ottemperanza, chiarendo che sotto tale unica definizione, si raccolgono azioni diverse, talune meramente esecutive, altre di chiara natura cognitoria, il cui comune denominatore è rappresentato dall’esistenza, quale presupposto, di una sentenza passata in giudicato, e la cui comune giustificazione consiste nel dare concretezza al diritto alla tutela giurisdizionale, “ di conseguenza il giudice dell’ottemperanza, come identificato per il tramite dell’art. 113 c.p.a., deve essere attualmente considerato come il giudice naturale della conformazione dell’attività amministrativa successiva al giudicato e delle obbligazioni che da quel giudicato discendono o che in esso trovano il proprio presupposto”
La funzione tipica ed essenziale del giudizio di ottemperanza è quella di adeguare la realtà giuridica e materiale al giudicato. Per suo mezzo, il giudice accerta la violazione da parte dell’amministrazione dell’obbligo di conformarsi alla pronuncia giurisdizionale e dispone le misure necessarie a realizzare gli stessi effetti che deriverebbero dall’adempimento dell’obbligo. Quando è la medesima sentenza a realizzare come effetto suo proprio l’adeguamento della realtà sopra menzionato, cosicchè non vi è necessità di alcuna ulteriore attività amministrativa per rendere attuale il deciso, non può che darsi ingresso ad un giudizio che l’ordinamento appresta a quel fine esclusivo, in questo caso, infatti, mancherebbe il presupposto essenziale costituito dalla difformità tra realtà e giudicato (v. Cons. Stato, sez. III, 14 gennaio 2013, n. 130).
Le doglianze proposte dall’appellante con riferimento all’errata interpretazione dell’art. 112 c.p.a., non colgono nel segno, atteso che “ il ricorso di cui all’art. 112, comma 5, c.p.a., proposto al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza, pur inserito nell’ambito del giudizio di ottemperanza ha sue precise caratteristiche e peculiarità atteso che con esso non si insorge contro la volontà di non ottemperare né contro una intervenuta violazione o elusione del giudicato ma si chiede al giudice, che ha pronunciato una precedente sentenza, di fornire chiarimenti su punti del decisum che presentano elementi di dubbio o di non immediata chiarezza, senza che possono essere introdotte ragioni di doglianze volte a modificare e/o solo integrare il proprium delle statuizioni rese con la decisione di merito” (Cons. Stato, sez. V, 16 maggio 2017, n. 2324;Cons. Stato, sez. V, 6 settembre 2017, n. 4232;Cons. Stato, sez. IV, 3 marzo 2015, n. 1036). La c.d. ottemperanza di chiarimenti costituisce un mero incidente sulle modalità di esecuzione del giudicato, utilizzabile quando vi sia una situazione di incertezza da dirimere che impedisce la sollecita esecuzione del titolo esecutivo, e non un’azione o una domanda in senso tecnico. Lo strumento in esame non può trasformarsi in un pretesto per investire il giudice dell’esecuzione, in assenza dei presupposti suindicati, di questioni che devono trovare la loro corretta risoluzione nella sede dell’esecuzione del decisum , nell’ambito del rapporto tra privati e amministrazione, salvo che successivamente si contesti l’aderenza al giudicato dei provvedimenti così assunti.
Nella specie, il Comune appellante ha in concreto espresso inammissibili contestazioni al decisum , e, in particolare, all’importo della somma oggetto di ripetizione, come accertato con la sentenza n. 858 del 2020 ottemperanda, così incorrendo nella violazione dell’art. 112, comma 5, c.p.a. che lo stesso in maniera inconferente richiama. Sicchè non di richiesta di chiarimenti si è trattato, ma di una chiara ed inequivocabile domanda riconvenzionale finalizzata a contestare il giudicato espresso nella sentenza di cui si è chiesta l’esecuzione.
Ne consegue che, correttamente, il giudice del merito ha ritenuto inammissibile tale domanda, finalizzata a denunciare in sede di ottemperanza che l’importo non era dovuto nella sua integralità alla società Immobiliare Bovisio Centro s.r.l., ciò in ragione del fatto che la stessa doveva essere proposta in sede di cognizione.
Il principio è stato confermato dalla giurisprudenza amministrativa, che ha ribadito che costituisce ius receptum quello, secondo il quale, in sede di giudizio di ottemperanza, non possono essere proposte domande che non siano contenute nel decisum della sentenza da eseguire (v. anche Cons. Stato, 18 agosto 2010, n. 5817;C.G.A.R.S., sez. giur. 15 maggio 2018, n. 276). In sostanza, non può essere riconosciuto un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello fatto valere ed affermato con la sentenza da eseguire, anche se sia ad essa conseguente o collegato (Cons. Stato, Sez. VI, 17 gennaio 2002, n. 247). Il Collegio, pertanto, ritiene che alla soluzione della presente controversia debba pervenirsi muovendo dai principi giurisprudenziali da ultimo richiamati, che impongono al giudice dell’ottemperanza di ricostruire il quadro processuale al fine di garantire all’interessato l’utilità o il bene della vita per il quale ha agito in giudizio, ottenendo una sentenza che se non eseguita determina una vanificazione delle originarie pretese e mette in dubbio l’efficacia sostanziale della stessa giurisdizione.
In definitiva, va ribadito l’approdo argomentativo sostenuto dal Collegio di prima istanza, il quale ha precisato che, nel giudizio di ottemperanza, come non può essere riconosciuto a favore del privato un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello fatto valere ed affermato con la sentenza da eseguire, allo stesso modo, al fine di giustificare la mancata esecuzione del giudicato, non può essere opposto in compensazione da parte dell’amministrazione un proprio credito, del tutto estraneo alla questione decisa con la sentenza ottemperanda.
Ciò in quanto, nel giudizio di ottemperanza, il giudice deve procedere ad una puntuale verifica dell’esatto adempimento da parte dell’Amministrazione dell’obbligo di conformarsi al giudicato, per far conseguire concretamente all’interessato l’utilità o il bene della vita già riconosciutogli in sede di cognizione. Detta verifica deve essere condotta nell’ambito dello stesso quadro processuale che ha costituito il substrato fattuale e giuridico della sentenza di cui si chiede l’esecuzione, e comporta da parte del giudice dell’ottemperanza una delicata attività di interpretazione del giudicato, al fine di enucleare e precisare il contenuto del comando, attività da compiersi esclusivamente sulla base della sequenza ‘ petitum- causa petendi- motivi – decisum ’.
11.2. Vanno respinte anche le ulteriori censure.
Il Tribunale adito ha correttamente ritenuto l’insussistenza dei presupposti per la conversione delle domande riconvenzionali finalizzate ad eccepire la compensazione dei crediti, ai sensi dell’art. 32 c.p.a., come richiesto dall’ente comunale in via subordinata. Il giudicante ha precisato che la memoria di costituzione contenente la domanda riconvenzionale è stata notificata alla parte presso il procuratore costituito nel giudizio di ottemperanza, mentre andava notificata alla parte personalmente ai sensi dell’art. 41 c.p.a., in quanto domanda introduttiva di un giudizio autonomo. Neppure potrebbe predicarsi un eventuale raggiungimento dello scopo, non potendosi desumere dalla notifica di un atto al procuratore costituito la conoscenza legale, per la parte personalmente, del medesimo atto a valere come atto introduttivo di un autonomo giudizio.
Il Collegio ritiene che alla soluzione della questione dell’ammissibilità della conversione delle suddette domande riconvenzionali in domande autonome ai sensi dell’art. 32 c.p.a. debba pervenirsi muovendo dai principi giurisprudenziali enunciati dall’Adunanza Plenaria con sentenza n. 2 del 15 gennaio 2013, che ha precisato: “ Quando l’Amministrazione rinnova l’esercizio delle sue funzioni dopo l’annullamento di un atto operato dal giudice amministrativo, l’interessato che si duole (anche) delle nuove conclusioni raggiunte dall’amministrazione può proporre un unico giudizio davanti al giudice dell’ottemperanza lamentando la violazione o elusione del giudicato ovvero la presenza di nuovi vizi di legittimità nella rinnovata determinazione;il giudice dell’ottemperanza è quindi chiamato, in primo luogo, a qualificare le domande prospettate, distinguendo quelle attinenti propriamente all’ottemperanza da quelle che invece hanno a che fare con il prosieguo dell’azione amministrativa, traendone le necessarie conseguenze quanto al rito ed ai poteri decisori”.
Orbene, premesso l’insussistenza dei suindicati presupposti, va osservato che la precisazione ‘ traendone le necessarie conseguenze quanto a rito ed ai poteri decisori ’ induce chiaramente il giudice dell’ottemperanza e riflettere sull’ ammissibilità in rito della domanda autonoma.
Stante la dichiarata inammissibilità delle domande riconvenzionali in sede di ottemperanza per i rilievi sopra ampiamente illustrati, dovendo ritenere che l’eccezione di compensazione dei crediti costituisce una domanda autonoma, la stessa ne segue ovviamente le medesime sorti processuali. Pertanto, il procedimento notificatorio, per la corretta instaurazione del contraddittorio, deve essere eseguito nei confronti della parte personalmente quale atto introduttivo di un autonomo giudizio, e non ai sensi dell’art. 170 c.p.c., ossia alla parte presso il procuratore costituito in sede di ottemperanza.
12. In definitiva, l’appello va respinto, e la sentenza impugnata va confermata.
La complessità, anche fattuale, della controversia integra le ragioni che per legge giustificano la compensazione tra le parti delle spese di lite del grado.