Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-03-30, n. 201501648
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N. 01648/2015REG.PROV.COLL.
N. 09494/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9494 del 2014, proposto da D D, rappresentata e difesa dagli avvocati E R, M S M, con domicilio eletto presso M S M in Roma, Via Antonio Gramsci, 24;
contro
Universita' degli Studi di Modena e Reggio Emilia, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati L C, P P, F Giuffre', con domicilio eletto presso F Giuffrè in Roma, Via dei Gracchi, 39;
Regione Emilia Romagna, in persona del Presidente
pro tempore
, rappresentata e difesa dall'avvocato R V R, presso la quale è elettivamente domiciliata in Roma, piazza Grazioli, 5;
Ministero della Salute, Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, in persona dei Ministri in carica rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - BOLOGNA: SEZIONE I n. 968/2014, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Universita' degli Studi di Modena e Reggio Emilia, della Regione Emilia Romagna, del Ministero della Salute e del Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 3 marzo 2015 il consigliere Maurizio Meschino e uditi per le parti gli avvocati Masini, Canullo, Giuffrè, Valentini e l’avvocato dello Stato Tortora;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La dott.ssa in medicina D D (in seguito “ricorrente”), ammessa per concorso al corso triennale di formazione specifica in Medicina generale 2012/15, ne ha chiesto la riduzione da 3 a 2 anni, come è previsto dall’art. 24 del d.lgs. n. 368 del 1999 e s.m.i. (recante attuazione della direttiva 93/16/CE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi), laddove l’interessato abbia già frequentato 1 anno di formazione pratica durante gli studi universitari.
Dovendo però trattarsi, a norma della citata disposizione, di formazione notificata dall’Università al competente Ministero, la ricorrente ha diffidato l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia (in seguito “Università”) a provvedere sia a tale notifica che sulla correlata domanda di riduzione della durata del corso.
2. La ricorrente, con il ricorso n. 504 del 2014 proposto al Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, ha chiesto l’annullamento del silenzio e/o provvedimento negativo-tacito di diniego riguardo la suddetta domanda.
3. Il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sezione prima, con la sentenza n. 968 del 2014, ha dichiarato il ricorso improcedibile per cessazione della materia del contendere, poiché “ Dopo la proposizione dell’odierno ricorso ex art. 117 C.p.a. avverso il silenzio sulla diffida, prima del deposito dello stesso, è intervenuto provvedimento negativo espresso, determinante cessazione della materia del contendere ed autonomamente impugnabile secondo il rito ordinario .”. Ha compensato tra le parti le spese del giudizio.
4. Con l’appello in epigrafe è chiesto:
- in via preliminare, di sollevare la questione di legittimità costituzionale dei commi 2- bis e 2- ter dell’art. 24 del d.lgs. n. 368 del 1999;
- nel merito: l’annullamento della sentenza di primo grado e l’accertamento della fondatezza della richiesta di riduzione del corso presentata dalla ricorrente “previa dichiarazione di illegittimità costituzionale dei commi 2- bis e 2- ter , dell’art. 24 del D.lgs. 368/1999 e per l’effetto condannare la Regione Emilia Romagna a concedere all’appellante la riduzione della durata del corso ai sensi dell’art. 24, comma 2- bis , D.Lgs. n. 268/1999”;la condanna dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia a risarcire alla ricorrente il danno derivante da ritardo della stessa, nella misura ritenuta equa.
5. Alla camera di consiglio del 3 marzo 2015 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Nell’appello si censura la sentenza di primo grado, per violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 cod. proc. civ., poiché non recante alcuna statuizione sulle domande, pure proposte con il ricorso, di accertamento dell’obbligo dell’Università a emettere il provvedimento e della fondatezza della richiesta di riduzione del corso triennale, nonché per la condanna della Regione Emilia Romagna a concedere la detta riduzione e, in subordine, la condanna dell’Università al risarcimento del danno subito dalla ricorrente per l’inerzia nel provvedere.
In particolare il primo giudice si sarebbe dovuto pronunciare sulle domande, che vengono riproposte in appello, di accertamento della fondatezza della richiesta di riduzione del corso triennale e di condanna della Regione a provvedere in tal senso, avendo l’Università violato il bando di concorso nella parte in cui impone di disporre tale riduzione (art. 14, comma 2), non residuando alcuna discrezionalità al riguardo quando, come nella specie, sussistano in capo al richiedente i previsti requisiti.
Si rileva inoltre che l’Università ha riconosciuto il diritto alla riduzione alla dott.ssa Silvia Riccomi (che ha frequentato negli stessi anni accademici il medesimo corso della ricorrente) in applicazione del comma 2- ter dell’art. 24 del d.lgs. n. 368 del 1999, dovendosi al riguardo proporre la questione di legittimità costituzionale dei commi 2- bis e 2- ter del detto articolo (introdotti dall’art. 9, comma 1, lett. h ), del d.lgs. n. 277 del 2003), per violazione dell’art. 3 della Costituzione, considerato che, nella specie, il medesimo corso, frequentato nello stesso periodo, è considerato in maniera differente se sono applicati il comma 2- bis o il comma 2- ter .
Si ripropone poi, specificamente, la domanda di risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 2- bis della legge n. 241 del 1990, dovuto per la tardività nel provvedere da parte dell’Università, che non può considerarsi assorbita dalla ritenuta cessazione della materia del contendere, essendo stato emanato il provvedimento negativo oltre il termine di conclusione del procedimento con assoluta imprevedibilità dell’azione amministrativa.
2. L’appello deve essere respinto per le ragioni che seguono.
2.1. Il Collegio rileva, anzitutto, la correttezza della pronuncia del primo giudice di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.
Questo Consiglio ha infatti chiarito che “… il presupposto per la condanna ai sensi dell'art. 117 c.p.a. è il fatto che al momento della pronuncia del giudice perduri l'inerzia dell'Amministrazione inadempiente (e che dunque non sia venuto meno il relativo interesse ad agire);sotto tale angolazione si ritiene che: I) in linea generale l'adozione di un provvedimento esplicito (in risposta all'istanza dell'interessato o in ossequio all'obbligo di legge), rende il ricorso o inammissibile per carenza originaria dell'interesse ad agire (se il provvedimento intervenga prima della proposizione del ricorso) o improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse (se il provvedimento intervenga nel corso del giudizio all'uopo instaurato) ;” (Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 273).
Nel caso di specie il provvedimento espresso (di contenuto negativo sulla richiesta riduzione delle durata del corso), di cui alla diffida a provvedere della ricorrente, è intervenuto durante il giudizio poiché adottato dall’Università il 26 maggio 2014, prima del deposito del ricorso eseguito il 30 maggio successivo, con conseguente sopravvenuta carenza di interesse al giudizio sul silenzio.
2.2. In questo quadro, riguardo la domanda della ricorrente di giudicare sulla fondatezza della sua pretesa, si osserva che il giudizio di fondatezza può essere reso nell’ambito del rito sul silenzio ovvero, ai sensi del comma 5 dell’art. 117, cod. proc. amm., con il rito ordinario quale giudizio sulla legittimità del provvedimento espresso sopravvenuto, se impugnato con motivi aggiunti.
Nella specie il giudizio sul silenzio è divenuto improcedibile e il provvedimento sopravvenuto non risulta impugnato con motivi aggiunti.
Ne consegue che correttamente il primo giudice non si è pronunciato al riguardo;né può farlo il giudice di appello poiché, in tal modo, verrebbe a sindacare la legittimità di un provvedimento amministrativo non oggetto di un giudizio di primo grado.
2.3. Quanto sopra vale anche rispetto alla rilevanza della dedotta questione di costituzionalità, non dovendosi applicare nel presente giudizio le norme asseritamente incostituzionali poiché afferenti alla valutazione della fondatezza o meno della pretesa della ricorrente alla riduzione della durata del corso.
2.4. Riguardo, infine, alla domanda di risarcimento del danno da ritardo, pur se si volesse prescindere dalla sua inammissibilità poiché non proposta in primo grado - (nell’ambito del quale, comunque, avrebbe potuto essere esaminata, ai sensi dell’art.117, comma 6, c.p.a., solo seguendo il rito ordinario in prosecuzione di quello camerale, che qui è osservato in ragione dell’oggetto esclusivo della sentenza appellata, quale sopra esattamente definito), si deve comunque rilevare che il solo ritardo non è sufficiente a giustificare il risarcimento del danno se non vi è prova dello stesso, fermi gli ulteriori elementi costitutivi della domanda quanto al nesso causale e al dolo o colpa del danneggiante (Cons. Stato, sez. V, 13 gennaio 2014, n. 63);gravando la prova sul ricorrente, che deve allegare con precisione i fatti costitutivi del danno che asserisce, e non potendo ciò essere surrogato con il ricorso alle presunzioni semplici ovvero alla valutazione equitativa del danno, di cui agli articoli 2729 e 1226 cod. civ.
Nella specie la ricorrente non ha fornito alcuna prova del danno che avrebbe subito a causa del lamentato ritardo dell’azione amministrativa, salvo richiamarne genericamente la “imprevedibilità”. Ciò, come già detto, ad abundantiam , posto che la questione risarcitoria, per pervenire ammissibilmente all’esame in grado di appello, avrebbe dovuto essere proposta con il ricorso introduttivo di primo grado e successivamente seguire, in quella sede, il rito ordinario, risultando a doppio titolo inammissibile nella presente sede, camerale e d’appello.
3. Per i motivi che precedono, non sussistendo ragione per sollevare la dedotta questione di costituzionalità in quanto non rilevante, si conclude per l’infondatezza dell’appello che deve, perciò, essere respinto.
Il Collegio tuttavia, considerata la natura della causa in relazione alla peculiarità della pretesa azionata, ritiene giustificato disporre la compensazione tra le parti delle spese del presente grado del giudizio.