Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-11-20, n. 202007216

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-11-20, n. 202007216
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202007216
Data del deposito : 20 novembre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/11/2020

N. 07216/2020REG.PROV.COLL.

N. 02027/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2027 del 2012, proposto da
N D F, rappresentato e difeso dagli avvocati D G e F T, con domicilio eletto presso lo studio F T in Roma, largo Messico, 7;

contro

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

M G, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. 07047/2011, resa tra le parti, concernente la mancata ammissione alle prove orali del concorso a 200 posti di Notaio - (ris. danni).


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 novembre 2020 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e dati per presenti, ai sensi dell’art. 84, comma 5, D.L. 17 marzo 2020, n. 18 (conv. in L. 24 aprile 2020, n. 27), richiamato dall’art. 25 D.L. 28 ottobre 2020, n. 137 gli avvocati delle parti costituite in appello.


FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, sez. I, 8 agosto 2011, n. 7047 ha respinto il ricorso proposto dall’attuale parte appellante per l’annullamento del provvedimento riportante i risultati delle prove scritte del concorso a 200 posti di notaio indetto con D.D.G. del 1 settembre 2004, pubblicato il 17 marzo 2007 nei locali del Ministero, ai sensi dell'art. 13, comma 2, stesso D.D.G, nonché ai sensi dell'art. 23, comma 3, R.D. 14 novembre 1926, n. 1253 ed ai sensi dell'art. 21, comma 1, L. n. 1034-1971, come modificato dall'art. 1 della L. n. 205-2000, nella parte in cui il ricorrente non è stato ammesso alla prova orale.

Secondo il TAR, sinteticamente:

- il ricorrente ha partecipato al concorso a n. 200 posti di notaio, indetto con D.D.G. 1° settembre 2004, riportando i seguenti punteggi:

1) Atto tra vivi: 31

2) Ricorso di volontaria giurisdizione: 36

3) Atto di ultima volontà: 30,

per un totale di 97 punti, inferiore al limite minimo di 105 punti che rappresenta la sufficienza per potere essere ammessi agli orali;

- la nuova disciplina circa la motivazione del giudizio di inidoneità non può ritenersi applicabile ai concorsi le cui prove scritte siano state svolte precedentemente, anche nel caso in cui, come nella specie, la correzione delle prove sia materialmente avvenuta dopo l'emanazione del bando di concorso successivo all'entrata in vigore del d.lgs. n. 166-2006;

- il concorso di cui alla presente controversia, in quanto bandito anteriormente all'entrata in vigore del d.lgs. n. 166-2006, rimane disciplinato, per l'aspetto che qui interessa, dall'art. 24 R.D. n. 1953-1926, secondo cui non è ammesso agli orali il concorrente che non abbia riportato almeno trenta punti in ciascuna delle prove scritte e non meno di centocinque nel complesso delle prove stesse, senza nulla indicare circa le motivazioni del giudizio di non idoneità;

- nel caso dei c.d. "novantisti", non c'è un giudizio collettivo che possa essere argomentatamente motivato dalla Commissione, laddove nel caso dell'insufficienza (che viene, infatti, significativamente deliberata a maggioranza) il giudizio negativo è riferibile all'Organo in modo unitario;

- anche nei concorsi notarili il voto numerico attribuito alle prove scritte dei candidati costituisce una motivazione sintetica, ma comunque significativa ed idonea a rendere palese la valutazione compiuta dalla commissione;

- né, infine, appare seriamente sostenibile l'idea che possano prestabilirsi criteri tanto analitici, da determinare, per ogni tipologia di elaborato, l'assegnazione di ogni singolo punto, ed anzi risulta irragionevole la pretesa stessa di negare alla Commissione, in pratica, l'insopprimibile apprezzamento del caso per caso, riducendone l'opera ad una macchinosa sequenza di raffronti delle singole prove ad una congerie di definizioni astratte più o meno differenziate tra loro;

- l'esercizio del sindacato giurisdizionale di legittimità non può tradursi in una rivalutazione dell'elaborato stesso, pena, altrimenti, la pratica sostituzione della statuizione giudiziale all'apprezzamento tecnico-discrezionale invece riservato all'Amministrazione;

- deve quindi escludersi la rilevanza del parere pro veritate versato in atti, volto a confutare la valutazione operata dalla Commissione;

- una presunta disparità di trattamento nei confronti di altro candidato per errori da quest'ultimo commessi nello svolgimento della traccia non è suscettibile di comportare l'illegittimità del giudizio reso nei confronti del ricorrente, potendo al più refluire in un vizio di legittimità del giudizio reso nei confronti dell'altro candidato.

La parte appellante contestava la sentenza del TAR, eccependone l’erroneità e riproducendo, nella sostanza, i motivi del ricorso di primo grado.

Con l’appello in esame chiedeva l’accoglimento del ricorso di primo grado.

Si costituiva la parte appellata, chiedendo il rigetto dell’appello.

All’udienza pubblica dell’11 novembre 2020 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Rileva il Collegio, in via generale, che le valutazioni espresse dalle Commissioni giudicatrici in merito alle prove di concorso, seppure qualificabili quali analisi di fatti (correzione dell’elaborato del candidato con attribuzione di punteggio o giudizio) e non come ponderazione di interessi, costituiscono pur sempre l’espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l’idoneità tecnica e/o culturale, ovvero attitudinale, dei candidati, con la conseguenza che le stesse valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo, se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico od un errore di fatto, o ancora una contraddittorietà ictu oculi rilevabile (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 26 ottobre 2018, n. 6103).

Pertanto, soltanto l’illogicità, l’erroneità o la contraddittorietà manifesta sono apprezzabili quali vizi di illegittimità.

La conseguenza, infatti, è che il giudicante non può ingerirsi negli ambiti riservati alla discrezionalità tecnica dell’organo valutatore (e quindi sostituire il proprio giudizio a quello della Commissione), se non nei casi in cui il giudizio si appalesi viziato sotto il profilo della abnormità logica, vizio la cui sostanza non può essere confusa con l’adeguatezza della motivazione.

Pertanto, si deve preliminarmente ribadire (il che è utile per il prosieguo delle argomentazioni) l’estrema limitatezza del sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni della commissione giudicatrice sulle prove di concorso, atteso che il giudice può annullare la valutazione per eccesso di potere nelle ipotesi-limite di vizi riscontrabili dall’esterno e con immediatezza dalla sola lettura degli atti (errore sui presupposti, travisamento dei fatti, manifesta illogicità o irragionevolezza) (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 871).

2. Corollario del citato orientamento è la regola secondo la quale il giudizio negativo della commissione di un concorso notarile non può essere contestato con un autorevole parere pro veritate (cfr. Consiglio di Stato, Sezione IV, 23 maggio 2016, n. 2110).

Pertanto, ai fini della contestazione del giudizio negativo di una prova scritta del concorso notarile, un autorevole parere pro veritate allegato in giudizio a sostegno della posizione del candidato non può essere contrapposto all’attività di valutazione della commissione connotata da discrezionalità tecnica.

Pareri di tal genere sono sostanzialmente irrilevanti al fine di confutare il giudizio della Commissione, né idonei a dimostrare la possibilità che la traccia d’esame ammettesse una diversa soluzione.

Spetta in via esclusiva a quest’ ultima la competenza a valutare gli elaborati degli esaminandi e, a meno che non ricorra l’ipotesi residuale del macroscopico errore logico, non è consentito al giudice della legittimità sovrapporre alle determinazioni da essa adottate il parere reso da un soggetto terzo, quale che sia la sua qualifica professionale ed il livello di conoscenze e di esperienze acquisite nella materia in discussione.

3. Passando all’esame della normativa applicabile al caso concreto, si deve innanzitutto rilevare l’inapplicabilità al caso di specie della sopravvenuta normativa di cui al d.lgs. n. 166-2006.

L'art. 16, comma 2, di detto decreto legislativo stabilisce che le disposizioni di cui all'art. 11 si applicano con decorrenza dalla data di emanazione del prossimo bando di concorso per la nomina a notaio.

La nuova disciplina non può, tuttavia, ritenersi applicabile ai concorsi le cui prove scritte sono state svolte precedentemente, anche nel caso in cui, come nella specie, la correzione delle prove sia materialmente avvenuta dopo l’emanazione del bando di concorso successivo all'entrata in vigore del d.lgs. n. 166-2006, nonostante la formulazione poco perspicua della norma.

Infatti, è principio consolidato in tema di pubblici concorsi che le disposizioni normative sopravvenute in materia di ammissione di candidati, di valutazione dei titoli o di svolgimento di esami di concorso e di votazioni, non trovano applicazione alle procedure in itinere alla data della loro entrata in vigore, in quanto il principio “tempus regit actum” attiene alle sequenze procedimentali composte di atti dotati di propria autonomia funzionale, e non anche ad attività (quale è quella di espletamento di un concorso) interamente disciplinate dalle norme vigenti al momento in cui essa ha inizio (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 6 luglio 2004, n. 5018).

Né pare che nella specie la disciplina transitoria (rectius, intertemporale, perché, in caso di successione di leggi nel tempo, stabilisce a quali fattispecie, concorsi espletati o meno, si applichino le due discipline succedutesi), abbia un tenore letterale tale da consentire una differente lettura.

Tale regola, peraltro, tutela il principio di affidamento dei candidati per cui i concorsi devono essere svolti in base alla normativa vigente alla data di emanazione del bando o, il che è sostanzialmente è lo stesso, al momento di indizione della procedura relativa.

Pertanto, mentre le norme legislative o regolamentari vigenti al momento della indizione della procedura devono essere applicate anche se non espressamente richiamate nel bando, le norme sopravvenienti, per le quali non è configurabile alcun rinvio implicito nella lex specialis, non modificano, di regola, i concorsi già banditi, a meno che diversamente non sia espressamente stabilito dalle norme stesse (in tal senso Consiglio di Stato, Sez. V, 13 gennaio 1996, n. 46).

Il principio “tempus regit actum” non determina problemi particolari per l’emanazione di un singolo provvedimento amministrativo;
diverso è il caso della sequenza di atti che costituiscono un procedimento, come nel caso delle procedure concorsuali, per la disomogeneità di disciplina che potrebbe derivarne.

Infatti, il procedimento amministrativo è composto da una pluralità di atti dotati di propria autonomia funzionale, susseguenti, diversi e coordinati fra loro, finalizzati all’emanazione di un provvedimento finale.

In tale ipotesi, il principio “tempus regit actum” comporterebbe che ciascun atto del procedimento sia regolato dalle norme in vigore nel momento del compimento del singolo atto (del resto le condizioni di legittimità dell’atto amministrativo vanno riscontrate alla luce delle situazioni di fatto e di diritto esistenti al momento della sua emanazione con irrilevanza dello ius superveniens ;
cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, n. 8341-2003).

Questa regola subisce, però, una logica eccezione in quei procedimenti che possono essere considerati unitari, come ad esempio i concorsi pubblici o i procedimenti di scelta del contraente della pubblica amministrazione mediante bando pubblico.

Sul punto la giurisprudenza amministrativa è consolidata nel ritenere che i concorsi debbano espletarsi in base alla normativa vigente alla data di emanazione del bando, che, com’è noto, costituisce lex specialis del procedimento e, in quanto tale, cristallizza le norme vigenti al momento iniziale del procedimento.

Di conseguenza, il principio “tempus regit actum” attiene alle sequenze procedimentali composte di atti dotati di propria autonomia funzionale, e non anche ad attività, quale è quella di espletamento di un concorso, interamente disciplinate dalle norme vigenti al momento in cui essa ha inizio: pertanto mentre le norme legislative e regolamentari vigenti al momento dell’indizione della procedura devono essere applicate anche se non espressamente richiamate nel bando, le norme sopravvenienti, per le quali non è configurabile alcun rinvio implicito nella lex specialis, di regola non modificano i concorsi già banditi, a meno che diversamente non sia espressamente stabilito dalle norme stesse (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 12 gennaio 2011, n. 124).

È così affermato il principio generale della inefficacia delle norme sopravvenute a modificare le procedure concorsuali in svolgimento ma è altresì prevista la possibilità che, in via speciale e particolare, tali modifiche possano prodursi ad effetto di normative sopravvenute il cui oggetto specifico sia quel medesimo concorso, quando, evidentemente, il legislatore ragionevolmente ravvisi la necessità di un tale intervento” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 24 maggio 2011, n. 9).

Pertanto, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella sentenza n.

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