Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-04-26, n. 201802512
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Pubblicato il 26/04/2018
N. 02512/2018REG.PROV.COLL.
N. 05780/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5780 del 2010, proposto dai signori V N e M D G, rappresentati e difesi dall'avvocato N C, con domicilio eletto presso lo studio Arturo Sforza in Roma, via Ettore Rolli, 24 C/11;
contro
Comune di Giovinazzo, in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sez. II, 28 aprile 2010, n. 1636.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 aprile 2018 il consigliere G C;
Udito per gli appellanti l’avvocato Antonio Calvani su delega dell’avvocato N C;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia recante il n.r.g. 1740/2008, i coniugi V N e M D G, premesso di essere proprietari nel Comune di Giovinazzo di un'area con soprastanti tre fabbricati, hanno impugnato, chiedendone l'annullamento, l'ordinanza comunale n. 124 del 26 agosto 2008, con cui era stata annullata la concessione edilizia in sanatoria n. 13/1994 del 7 ottobre 1999 in relazione all'unità immobiliare adibita a guardiania e ne era stata ordinata la demolizione.
2. La concessione in sanatoria riguardava una unità immobiliare adibita a guardiania, facente parte di un complesso ex industriale, composto anche da un capannone e da un fabbricato ad uso ufficio, acquistato unitamente alla guardiania. Mediante successivi titoli abilitativi intervenuti sino al 2005, che avevano riguardato anche gli altri immobili del complesso, con connessi mutamenti di destinazione d'uso, l'originario capannone industriale era stato trasformato in cinema/teatro e la ex guardiania in bar/rosticceria.
3. A seguito di un esposto ricevuto dal Comune nel 2007 e del riscontro di irregolarità all'esito di un sopralluogo svolto nel corso dello stesso anno, nel 2008 venivano avviati procedimenti per l'annullamento dei titoli edilizi, sia per l'immobile adibito a cinema/teatro, che per quello relativo a bar/rosticceria.
4. Il procedimento relativo al primo veniva archiviato, in ragione della ritenuta assenza di ragioni attuali di interesse pubblico in raffronto alla esigenze di certezza delle situazioni giuridiche;il secondo sfociava invece nel provvedimento di annullamento in autotutela oggetto del presente giudizio.
5. Con sentenza 28 aprile 2010, n. 1636, il T.A.R. adìto, sez. II, ha respinto il ricorso dichiarandolo infondato.
6. Il primo giudice ha ritenuto che l'annullamento d'ufficio della concessione edilizia in sanatoria dell'ottobre del 1999 risultasse giustificato alla luce dell'illegittimità della sanatoria, rilasciata in difetto di istruttoria sulla scorta di una errata prospettazione dello stato dei luoghi, con conseguente situazione permanente contra ius , rispetto alla quale risultava un interesse pubblico in re ipsa al ripristino della legalità violata.
7. La sentenza in epigrafe, dopo aver esposto le ragioni a fondamento del ritenuto ampliamento del manufatto in pendenza della pratica di condono da parte dei nuovi proprietari e aver collegato lo stesso ad una domanda presentata dalla originaria proprietaria in modo ambiguo, previo accordo con i ricorrenti verosimilmente già in trattative per l'acquisto, così essenzialmente argomenta:
a) l'affidamento riposto dai privati nella legittimità della concessione in sanatoria, invocato nel ricorso, non sarebbe degno di tutela in mancanza di buona fede, atteso che la situazione di illegalità è stata determinata dai ricorrenti, ampliando la ex guardiania in epoca successiva all'acquisto;
b) pertanto, l'Amministrazione non avrebbe avuto l'obbligo di verificare se l'interesse al ripristino della legalità violata fosse o meno prevalente sul contrapposto interesse dei privati;né il potere dell'Amministrazione di annullamento dell'atto sarebbe risultato limitato in ragione del lungo tempo trascorso dal rilascio della concessione illegittima;
c) il manufatto, ricadente in zona di inedificabilità assoluta ai sensi della legge regionale pugliese 31 maggio 1980, n. 56 (in tema di “Tutela e uso del territorio” ), non avrebbe potuto essere condonato o altrimenti sanato;
d) nella fattispecie, l'interesse pubblico al ripristino della legalità violata - che nel caso di abusi edilizi risulta in re ipsa e non richiede una particolare motivazione - sarebbe prevalente rispetto all'interesse dei ricorrenti al mantenimento del manufatto abusivo, venendo anche in questione valori ambientali d'importanza prevalente secondo il legislatore regionale;
e) sarebbe irrilevante l’archiviazione del procedimento finalizzato ad annullare la sanatoria rilasciata per l’originario capannone industriale sia perché non ne sarebbero note le precise ragioni sottostanti, sia perché l’eventuale analogia di situazioni non potrebbe di per sé determinare l’illegittimità dell’ordinanza oggetto del giudizio.
8. Gli originari ricorrenti hanno interposto appello avverso la sentenza in questione e ne hanno chiesto la riforma articolando i seguenti motivi:
1) Erronea valutazione della violazione e falsa applicazione dell'art. 21-nonies della l. 241/1990 - Erronea valutazione della violazione dell'art. 3 della l. n. 241/1990 - Erronea valutazione dell'eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità e per motivazione insufficiente ed incongrua - Violazione del principio di proporzionalità. Il Tribunale territoriale avrebbe valorizzato rilievi aerofotogrammetrici, che non costituirebbero prova certa e sarebbero stati in possesso del Comune già al momento del rilascio della sanatoria e comunque alla data del precedente sopralluogo del 4 marzo 2002 (nel quale non sarebbe stata riscontrata alcuna irregolarità), raffrontandoli a fotografie di parte, equivoche e prodotte da terzi autori di numerosi esposti;non sarebbe provato il presunto accordo fra gli appellanti e la precedente proprietaria;mancherebbe qualunque motivazione circa la concretezza e l’attualità dell’interesse pubblico, necessario presupposto per l’esercizio dei poteri di autotutela (anche in considerazione dell’esito del precedente sopralluogo), la comparazione fra l’interesse pubblico e l’interesse privato coinvolti, la valutazione del tempo intercorso trascorso rispetto al momento del rilascio della concessione in sanatoria;non sarebbe stata considerata la necessaria tutela dell’affidamento in presenza di una situazione consolidata;
2) Erronea valutazione dell'eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta. Con provvedimento n. 16690 dell’11 luglio 2008 il Comune avrebbe archiviato il procedimento avente ad oggetto l’annullamento in autotutela dei titoli concessori relativi agli altri immobili con motivazioni diametralmente opposte a quelle poste alla base dell’atto impugnato in questa sede (buona fede e affidamento degli interessati;difetto di attuali ragioni di pubblico interesse);il comportamento dell’Amministrazione sarebbe perciò incoerente;
3) Erronea valutazione dell'eccesso di potere per erroneità dei presupposti, carenza di istruttoria, ingiustizia manifesta - Difetto di motivazione. Non vi sarebbe incongruenza nelle dimensioni degli immobili condonati (due dei quali presenti sulla parte dell’area non acquistata dagli odierni appellanti) rispetto a quelle reali, trattandosi di aree pertinenziali non residenziali destinate a servizi e accessori che, ai fini della sanatoria, rileverebbero nella misura del 60% della superficie complessiva;le considerazioni del Comune, volte a contestare le dimensioni del manufatto sulla base delle rilevazioni fotogrammetriche, sarebbero superficiali e in contrasto con il risultato del sopralluogo del 2002, nel quale non sarebbe stata riscontrata alcuna irregolarità;
4) Violazione degli artt. 7 e 10 della l. n. 241/1990 - Violazione dell'art. 3 stessa legge - Eccesso di potere per carenza di istruttoria, manifesta illogicità, sviamento. Il Comune non avrebbe puntualmente replicato alle osservazioni svolte dagli appellanti in sede di contraddittorio procedimentale. Su tale motivo il T.A.R. avrebbe omesso di pronunziarsi.
9. Il Comune di Giovinazzo non si è costituito in giudizio per resistere all’appello.
10. Con ordinanza 20 ottobre 2010, n. 4799, la Sezione - dopo avere accertato la corretta costituzione del contraddittorio (ordinanza 29 luglio 2010, n. 3606) - ha accolto l’istanza di sospensione degli effetti della sentenza di primo grado, proposta in via incidentale dai privati appellanti.
11. Con ordinanza 19 aprile 2017, n. 1830, la Sezione - premesso che la vicenda di causa risulta governata dalla previsione dell'articolo 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, nel testo introdotto dall'articolo 14 della legge 11 febbraio 2005, n. 15, e ravvisando un contrasto giurisprudenziale circa un punto di diritto centrale ai fini della definizione della controversia - ha sospeso il giudizio e ha rimesso la questione all’Adunanza plenaria articolando il seguente quesito: "se, nella vigenza dell'art. 21-nonies, come introdotto dalla legge n. 15 del 2005, l'annullamento di un provvedimento amministrativo illegittimo, sub specie di concessione in sanatoria, intervenut[o] ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, debba o meno essere motivat[o] in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico valutato in concreto in correlazione ai contrapposti interessi dei privati destinatari del provvedimento ampliativo e agli eventuali interessi dei controinteressati, indipendentemente dalla circostanza che il comportamento dei privati possa aver determinato o reso possibile il provvedimento illegittimo, anche in considerazione della valenza - sia pure solo a fini interpretativi - della ulteriore novella apportata al citato articolo, la quale appare richiedere tale valutazione comparativa anche per il provvedimento emesso nel termine di 18 mesi, individuato come ragionevole, e appare consentire un legittimo provvedimento di annullamento successivo solo nel caso di false rappresentazioni accertate con sentenza penale passata in giudicato".
12. Con sentenza 17 ottobre 2017, n. 8, l’Adunanza plenaria ha enunciato il seguente principio di diritto:
"Nella vigenza dell'articolo 21-nonies della l. 241 del 1990 - per come introdotto dalla l. 15 del 2005 - l'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all'adozione dell'atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole.
In tali ipotesi, tuttavia, deve ritenersi:
i) che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell'annullamento d'ufficio e che, in ogni caso, il termine 'ragionevole' per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell'amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell'atto di ritiro;
ii) che l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell'esercizio del ius poenitendi);
iii) che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell'atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte".
13. L'Adunanza plenaria ha restituito gli atti a questa IV sezione, perché valutasse le concrete ricadute del principio di diritto enunziato ai fini del decidere e statuisse sulle spese di giudizio.
14. Gli appellanti hanno depositato una memoria e documenti (verbale del sopralluogo del 4 marzo 2002, già allegato all’appello).
15. All’udienza pubblica del 12 aprile 2018, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
16. Con il primo complesso motivo dell’appello, i privati: I) contestano la difformità delle dimensioni del manufatto rispetto a quelle indicate nella domanda di condono;II) rimproverano al Comune di non avere comparato l’interesse pubblico con quello provato;III) censurano l’eccessivo lasso di tempo trascorso fra il rilascio della sanatoria e l’adozione dell’annullamento in via di autotutela.
16.1. Nessuno di tali profili è fondato.
16.2. In punto di fatto, le censure rivolte al passaggio motivazionale della sentenza di primo grado circa la concludenza dei rilievi aerofotogrammetrici e delle fotografie dei luoghi, depositati dall’Amministrazione per dimostrare come l’immobile non avesse la forma rettangolare e le dimensioni attuali, sono del tutto generiche e non risolutive: è irrilevante che le fotografie considerate fossero di parte e non è contestato che le immagini della ex guardiania nella sua attuale consistenza risalissero al 1999, cioè a una data successiva a quella della domanda.
16.2.1. Inoltre, non ha avuto replica un’altra delle ragioni poste a base dell’atto di ritiro, e cioè che il condono è stato richiesto per una tipologia di abuso diversa da quella reale (n. 3 e non n. 1 dell’elenco contenuto nell’allegato alla legge n. 47/1985)
16.3. Quanto alla valutazione complessiva degli interessi coinvolti nella vicenda, l’Adunanza plenaria, cui la causa è stata rimessa, ha ritenuto che l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria “deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all'adozione dell'atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole”.
16.3.1. Questo generale principio ammette due sole eccezioni:
a) quando gli interessi pubblici siano di per sé rilevanti e auto-evidenti;
b) quando non sia in concreto configurabile un affidamento del privato, in quanto a fondamento dell’atto ritirato vi sia “il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione della parte”.
16.3.2. Nel caso di specie, il T.A.R. ha ritenuto che il manufatto abusivo si trovi in area gravata di un vincolo di inedificabilità assoluta per la sua vicinanza al mare e per la destinazione urbanistica impressa (non A, B o C). La statuizione non essendo stata impugnata (al riguardo l’appello reca un’osservazione rapidissima e del tutto generica: pag. 11), su di essa si è formato il giudicato interno, cosicché non è contestabile che alla base dell’atto impugnato vi sia un interesse pubblico di per sé idoneo a dare ragione dell’esercizio del potere di autotutela.
16.3.3. A rafforzare tale conclusione, nel senso della inesistenza di un onere di specifica valutazione dei contrapposti interessi, appare inoltre acclarato che - come appena detto - il rilascio dal condono è avvenuto sulla base di una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi.
16.3.4. Inoltre, la tesi che la falsa rappresentazione andrebbe accertata con sentenza penale passata in giudicato: I) è estranea al perimetro della decisione dell’Adunanza plenaria, che dichiara di volerne consapevolmente prescindere (§ 12.2);II) è contenuta solo nella memoria conclusionale, dunque è inammissibile per novità;III) non è coerente con il contenuto della dichiarazione sostitutiva della precedente proprietaria del 25 novembre 1998, che nulla dice circa le dimensioni dell’opera abusivamente realizzata.
16.4. Nemmeno è fondata la doglianza circa il mancato rispetto di un termine ragionevole in quanto: I) diversamente da quanto suggerisce la memoria conclusionale degli appellanti, alla stregua della decisone resa dall’Adunanza plenaria tale termine - con riguardo alla normativa vigente ratione temporis - ha carattere di flessibilità (non vale cioè il termine rigido di diciotto mesi ex art. 6 della legge 7 agosto 2015, n. 124, trattandosi di “un concetto non parametrico ma relazionale, riferito al complesso delle circostanze rilevanti nel caso di specie” ) e decorre non dall’adozione dell’atto, ma - in caso di titoli abilitativi rilasciati sulla base di dichiarazioni oggettivamente non veritiere, come nel caso di specie - dalla conoscenza, da parte dell’Amministrazione, delle ragioni poste poi a base del provvedimento di annullamento d’ufficio;II) non si applica il termine triennale previsto dall’art. 1, comma 136, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (legge finanziaria per il 2005), che è norma di carattere speciale, limitata ai “provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati” (Cons. Stato, sez. III, 17 novembre 2015, n. 5259) e presuppone che l’atto sia stato determinato dall’intento di “conseguire risparmi o minori oneri finanziari” (Cons. Stato, sez. VI, 27 aprile 2011, n. 2488);III) in fatto, è ragionevole supporre che solo a seguito dell’esposto del 2007 il Comune abbia valutato complessivamente i dati in suo possesso e avuto consapevolezza dell’illegittimità del titolo accordato in sanatoria;IV) non vale in contrario la circostanza che da tempo il Comune possa avere avuto a disposizione i dati da cui emergerebbe l’illegittimità del condono, perché così si trasforma la concreta conoscenza, con il correlato onere della prova gravante sulla parte che la deduce, in un onere di conoscenza (dover sapere o non potere non sapere) con una operazione ermeneutica che va oltre le coordinate tracciate dall’Adunanza plenaria (v. in specie § 10.6);V) nel complesso, non è irragionevole il lasso di tempo intercorso fra ricevimento dell’esposto (28 marzo 2007), sopralluogo (7 dicembre 2007), adozione dell’atto impugnato (26 agosto 2008).
17. Il secondo motivo di appello sottolinea la difformità del provvedimento impugnato rispetto all’archiviazione disposta in relazione ad analogo procedimento attivato per l'annullamento dei titoli edilizi relativi all'immobile adibito a cinema/teatro.
17.1. Non sussiste il vizio di eccesso di potere dedotto perché manca la comparabilità delle situazioni (in primo grado il Comune ha dedotto che, nel caso, non sarebbe stata riscontrata l’erronea rappresentazione dello stato dei luoghi) e comunque in nessuna sede è stata scrutinata la legittimità dell’archiviazione.
18. Il terzo motivo (erroneità dei presupposti e carenza di istruttoria), che nega l’incongruenza nelle dimensioni condonate, rappresenta in sostanza una particolare articolazione di un profilo già dedotto con la prima censura;al pari di questa, si scontra con l’acclarata errata rappresentazione dello stato di fatto e va respinto. Inoltre i privati si difendono richiamando l’applicazione di norme che, a loro dire, consentirebbero l’abbattimento della misura della superficie rilevante ai fini del condono (art. 2 del decreto ministeriale 10 maggio 1977, n. 801, e art. 51 della legge n. 47/1985), ma a torto, in quanto entrambe le fattispecie non solo pertinenti: il d.m. del 1977 riguarda la determinazione del costo dei nuovi edifici e il comma 2 dell’art. 51 della legge n. 47/1985 - per effetto del rinvio all’art. 34, quinto comma, lett. e), della medesima legge - disciplina solo l’ipotesi (che qui non viene in questione) in cui “l'opera abusiva sia realizzata nelle zone agricole in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze produttive dei coltivatori diretti o degli imprenditori agricoli a titolo principale”.
19. Privo di pregio, infine, è anche l’ultimo motivo (omessa confutazione delle osservazioni presentate a seguito dell’avviso di avvio del procedimento): non sussiste in capo all’Amministrazione un onere di specifica controdeduzione in merito alle osservazioni presentate dal privato essendo sufficiente che ne abbia dato conto in modo sintetico (da ultimo Cons. Stato, sez. VI, 12 febbraio 2014, n. 682).
20. Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è infondato e va perciò respinto, con conferma della sentenza impugnata.
21. Nulla deve disporsi quanto alle spese del presente grado di giudizio, nel quale non si è costituito il Comune appellato.