Consiglio di Stato, sez. II, parere definitivo 2017-07-06, n. 201701611

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, parere definitivo 2017-07-06, n. 201701611
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201701611
Data del deposito : 6 luglio 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

<a data-decision-id="533304fc-36d5-5296-98cc-3170063bd075" href="/decisions/itcsjxcv32674fmg8w">N. 01667/2012</a> AFFARE

Numero 01611/2017 e data 06/07/2017 Spedizione

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Sezione Seconda

Adunanza di Sezione del 24 maggio 2017




NUMERO AFFARE

01667/2012

OGGETTO:

Ministero dell’economia e delle finanze.


Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal signor L Z, contro il signor S S, per l’annullamento del diniego di patentino per istituzione di nuova rivendita di generi e beni sottoposti a regime di monopolio fiscale.

LA SEZIONE

Vista la nota di trasmissione della relazione in data 5 marzo 2012 con la quale il Ministero dell’economia e delle finanze, Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;

Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere A P;


1. Il signor L Z ha chiesto l’annullamento della disposizione dirigenziale n. 32279 del 13 ottobre 2010, con la quale il Direttore dell’Ufficio regionale della Campania dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato respingeva la richiesta di concessione del patentino per la vendita di generi di monopolio presso il bar Z sito in Napoli, via Consalvo, n. 100/A.

Egli ha dedotto particolare le seguenti censure:

a) violazione del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 di recepimento della direttiva comunitaria sui servizi, cosiddetta “Direttiva Bolkestein”;

b) violazione e/o falsa applicazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114;
violazione del principio di libertà di impresa, della concorrenza, della trasparenza del mercato e della libera circolazione delle merci;
violazione degli artt. 41 e 43 della Costituzione.

L’interessato contesta sostanzialmente l’impugnato diniego sostenendo che, a suo avviso, le disposizioni comunitarie recepite con il decreto legislativo n. 59/2010, trovino applicazione in presenza di qualunque attività economica, di carattere imprenditoriale o professionale, svolta senza vincolo di subordinazione, finalizzata allo scambio di beni o alla fornitura di servizi o altra prestazione, intendendosi per servizio qualsiasi prestazione svolta in forma imprenditoriale fornita senza vincolo di subordinazione e di norma dietro corrispettivo. Richiama il ricorrente la giurisprudenza comunitaria, la quale ha chiarito la nozione d’impresa alla luce del principio della concorrenza, nozione che comprende qualsiasi soggetto che eserciti un’attività economica consistente nell’offerta di beni o servizi su un determinato mercato. Sostiene altresì che nel caso in esame l’attività di rivendita oggetto della richiesta rigettata costituisce attività di tipo commerciale che, ancorché esercitabile a mezzo di patentino e avente ad oggetto beni sottoposti a regime di monopolio fiscale, costituisce comunque attività per la quale si applicano le richiamate norme comunitarie;
per tale attività l’accesso e l’esercizio dell’attività di servizi “costituiscono espressione della libertà di iniziativa economica e non possono essere sottoposti a limitazioni non giustificate e discriminatorie” ai sensi dell’art. 10 del menzionato decreto legislativo n. 59;
richiama inoltre i successivi artt. 11 e 12 del decreto i quali vietano, rispettivamente, di subordinare l’accesso ad una attività di servizi ad una valutazione di carattere economico e l’applicazione di condizioni e restrizioni quantitative territoriali fissate in funzione della popolazione o di una distanza geografica minima tra i prestatori, fatta eccezione per i casi in cui emergano motivi imperativi di interesse generale che non ricorrono nel caso in esame. Pertanto, conclude l’interessato, il diniego impugnato si appalesa del tutto illegittimo proprio perché fondato esclusivamente su valutazioni di carattere economico e di distanza geografica e non appare motivato sulla sussistenza di motivi imperativi di interesse generale.

Con il secondo motivo di impugnativa il signor Z contesta la violazione del decreto legislativo n. 114/1998, il quale reca norme sull’attività di commercio vietando ogni regolamentazione o disciplina incompatibile con i principi di libertà della concorrenza e sull’abuso di posizioni dominanti e con i principi di libertà di impresa e di libera circolazione delle merci, a tutela del consumatore anche attraverso l’evoluzione dell’offerta per il contenimento dei prezzi, nonché con gli obiettivi di pluralismo e diversificazione delle strutture e forme di distribuzione di valorizzazione e salvaguardia del servizio commerciale nelle aree urbane, rurali, montane e similari;
dalle disposizioni dell’invocato decreto legislativo n. 144 fa discendere pertanto l’illegittimità dell’impugnato diniego anche nella parte in cui detto provvedimento è fondato sulla scarsa distanza dell’esercizio del ricorrente rispetto alla rivendita n. 567 e sulle residue valutazioni attinenti all’area in cui si colloca l’esercizio del ricorrente.

Ribadisce con ulteriori argomentazioni il proprio assunto sottolineando come i vincoli di distanza contestati siano imposti da meri atti amministrativi o circolari ministeriali in contrasto con le norme e i principi sanciti dalla normativa di rango legislativo e conclude avanzando istanza di acquisizione degli scritti difensivi dell’Amministrazione e riservandosi di produrre eventuali motivi aggiunti o memorie controdeduttive.

2. L’Amministrazione dei monopoli dal canto suo nella relazione istruttoria in atti respinge le censure avanzate dal ricorrente ritenendole infondate e deduce testualmente quanto segue: “a) in ordine al primo motivo di ricorso “sulla questione in esame, la scrivente ritiene necessario effettuare alcune precisazioni che riguardano in primo luogo la direttiva Bolkestein, ed il relativo decreto legislativo di recepimento ed, in secondo luogo, il sistema di vendita di generi di monopolio attraverso i patentini.

Preliminarmente, si sottolinea che la natura economica delle rivendite e dei locali ove vengono istituiti i patentini non è mai stata messa in dubbio da questa Amministrazione sebbene si sia sempre sottolineata la peculiarità del regime in cui operano, ossia il monopolio fiscale.

Semmai il problema cardine consiste nel verificare se e fino a che punto possa trovare applicazione nel settore che ci interessa il decreto legislativo n. 59 del 2010 di recepimento della Direttiva Bolkestein.

La Direttiva Bolkestein, come è noto, è frutto di un ambizioso progetto della Commissione Europea. Tramite infatti questo unico strumento giuridico si è cercato di dare vita ad una disciplina uniforme relativa ai servizi.

La giurisprudenza comunitaria e la dottrina manualistica al riguardo, parlano di natura orizzontale della Direttiva Bolkestein.

A ben vedere infatti la Direttiva in esame ha avuto il merito di predispone un insieme di principi essenziali e di divieti generali che coprono tutti i settori facenti parte del suo ambito di applicazione e che sono necessari per regolare le questioni fondamentali, garantire la fiducia dei consumatori e realizzare una cooperazione efficace tra i vari Stati membri.

Essa non detta regole precise, non prevede l’armonizzazione totale delle legislazioni nazionali in materia o una sovraregolamentazione. La direttiva, ha un ambito di applicazione molto esteso;
infatti non presenta una lista positiva, un elenco dei servizi ai quali può essere esteso il suo ambito di applicazione;
essa presenta, invece, una lista negativa, un elenco delle categorie di servizi escluse dal suo ambito di applicazione.

Ed è questo il punto cardine su cui soffermarci. Afferma infatti il ricorrente: posto che nel novero dei servizi esclusi, il decreto in argomento non ha previsto le attività di rivendite di generi di monopolio, comprese quelle svolte a mezzo di concessione del patentino, l’impugnato diniego si appalesa illegittimo in quanto, basandosi solo su valutazioni di natura economica e di distanza geografica ... viola il decreto legislativo 26 marzo 2010 n. 59.

In verità, rispetto alle prospettazioni di parte ricorrente, è necessario effettuare delle precisazioni.

In primo luogo l’art. 2 del dlgs 59/2010 stabilisce tra le attività escluse, cui le disposizioni del decreto non si applicano, alla lettera a), le attività connesse con l’esercizio di pubblici poteri quando le stesse implichino una partecipazione diretta e specifica all’esercizio del potere pubblico e alle funzioni che hanno per oggetto la salvaguardia degli interessi generali dello Stato e delle altre collettività pubbliche, alla lettera b), la disciplina fiscale dei servizi;
alla lettera c) i servizi di interesse economico generale assicurati alla collettività in regime di esclusiva da soggetti pubblici o da soggetti privati, ancorché scelti con procedura ad evidenza pubblica che operino in luogo e sotto il controllo di un soggetto pubblico.

Tali disposizioni sono proprio da riferirsi all’attività di rivendita di generi di monopolio. Il titolare selezionato sulla base di una procedura ad evidenza pubblica che garantisce la piena e più trasparente partecipazione dei concorrenti, diviene un concessionario dello Stato. Il rivenditore esercita con la supervisione dell’Amministrazione una funzione pubblica di vigilanza, garantisce, nel rispetto dei primari obiettivi di tutela della salute la vendita di prodotti genuini, non contraffatti e non oggetto di contrabbando, assicurando che gli stessi non siano alienati ai minori di 16 anni.

I tabacchi quali beni ad elevata fiscalità, possono essere immessi nella rete legale di vendita soltanto a seguito dell’assolvimento dei relativi oneri fiscali e l’assoggettamento ai necessari controlli sui componenti”. Sottolinea inoltre l’Amministrazione che l’art. 7, riferito agli altri servizi esclusi alla lettera d) ricomprende le reti di acquisizione del gettito, e tra queste, per le ragioni sopra esplicate, anche le reti di rivendite di generi di monopolio. Sostiene altresì che:

“Tale norma deve essere letta in combinato disposto con l’art. 19 della legge 241/90, come novellato dalla legge 122/2010 attinenti alla segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). La disposizione citata prevede che la procedura semplificata non si applichi agli atti rilasciati da alcune amministrazioni vigilanti i settori nevralgici dello Stato, tra queste è espressamente annoverata l’istituzione preposta all’amministrazione delle finanze. Sono ulteriormente esclusi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito.

Un’interpretazione sistematica delle norme consente di evidenziare come il legislatore abbia ritenuto, in una visione generale dell’ordinamento, di non poter liberalizzare/semplificare attività che permettono allo Stato - a mezzo di una capillare rete distribuita su tutto il territorio di propri soggetti fiduciari - di acquisire il gettito fiscale. Proprio per la delicatezza e per il rilievo delle funzioni svolte da tali concessionari lo Stato non può rinunciare, neppure per esigenze di liberalizzazione/semplificazione, all’esercizio delle proprie potestà pubblicistiche.

Le rivendite di tabacchi costituiscono infatti importanti centri per l’assolvimento di oneri fiscali, tributari, amministrativi e per tali motivi dispongono di una serie di concessioni rilasciate dai diversi compatti dell’Amministrazione finanziaria (Aams, Agenzia delle Entrate).

Peraltro è opportuno aggiungere, nonostante appaia evidente l’intendimento del legislatore comunitario e nazionale di escludere la rete di rivendita di generi di monopolio dalle attività disciplinate dalla direttiva e dal relativo decreto di recepimento che l’indicazione negativa delle attività escluse dalla normativa richiamata non esaurisce l’elenco delle attività non soggette al suo ambito di applicazione.

Infatti, come recentemente affermato anche dalla giurisprudenza amministrativa, l’indicazione delle attività escluse dall’ambito di applicazione della direttiva, risulta essere indefinito, aperto ed evolutivo.

In primo luogo, il decreto non riguarda i vincoli che devono essere rispettati da tutti, a prescindere dallo svolgimento di un’attività economica.

Ciò che si ricava dal Considerando 9 della Direttiva che stabilisce: “La presente direttiva si applica unicamente ai requisiti che influenzano l’accesso all’attività di servizi o il suo esercizio. Pertanto essa non si applica a requisiti come le norme del codice stradale, le norme riguardanti lo sviluppo e l’uso delle terre, la pianificazione urbana e rurale, le regolamentazioni edilizie nonché le sanzioni amministrative comminate per inosservanza di tali norme che non disciplinano o non influenzano specificatamente l’attività di servizi, ma devono essere rispettate dai prestatori nello svolgimento della loro attività economica, alla stessa stregua dei singoli che agiscono a titolo privato”.

In secondo luogo, le norme del decreto legislativo hanno carattere residuale rispetto ad altre discipline riguardanti l’accesso alla prestazione di servizi attuative delle direttive comunitarie. Di conseguenza in caso di conflitti fra disposizioni prevalgono quelle speciali (art. 9 del decreto legislativo n. 59 del 2010).

Ma ai fini che ci interessano sembra decisivo il Considerando n. 8 della Direttiva 2006/123/CF. Si stabilisce infatti che “le disposizioni della presente direttiva relative alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei servizi si applichino soltanto nella misura in cui le attività in questione sono aperte alla concorrenza e non obblighino pertanto gli Stati membri a liberalizzare i servizi d’interesse economico generale, a privatizzare gli enti pubblici che forniscono tali servizi o ad abolire i monopoli esistenti per quanto riguarda altre attività o certi servizi di distribuzione”.

Pertanto, se la sussistenza dei monopoli fiscali è ritenuta non incisa dalla Direttiva cd. Bolkestein, come si è appena detto, nemmeno la disciplina normativa quale quella vigente in Italia, contenuta nel decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, che ha trasposto in Italia la suddetta Direttiva, può ritenersi rilevante con riferimento alla sussistenza e al regime dei monopoli fiscali in Italia, come quello in oggetto, dovendo la normativa nazionale (specie quella che effettua l’adeguamento ad hoc con disposizioni normative specifiche) essere interpretata in modo compatibile con le pertinenti disposizioni comunitarie contenute nella Direttiva (c.d. obbligo di interpretazione conforme: da ultimo, ex multis , Corte giustizia CE, sez. I, 16 settembre 2010, n. 149 e Corte giustizia CE, sez. III, 28 gennaio 2010, n. 406)”.

La stessa Amministrazione svolge poi ulteriori e diffuse considerazioni a sostegno della asserita esclusione delle attività di rivendita di generi di monopoli dall’ambito della direttiva invocata dal ricorrente e del mantenimento del regime autorizzatorio previsto dalla normativa nazionale;

b) con riferimento al secondo motivo di impugnativa, sottolinea che l’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 144/98 esclude esplicitamente dalla nuova disciplina del commercio le rivendite di generi di monopolio, precisando che l’avverbio “esclusivamente” utilizzato dalla citata disposizione: “ vale a sottolineare il solo fatto che vendere generi di monopolio non può naturalmente esimere il rivenditore che commerci anche altri generi dal sottostare alle regole proprie di tale diversa attività, ferma restando, ovviamente, l’applicazione anche della normativa specifica per la rivendita dei generi di monopolio” (Cons. Stato, n. 4857/2009).

Volendo esemplificare, nel caso di un bar - tabacchi, il titolare sarà tenuto al rispetto della normativa che regola il commercio degli altri generi (ad esempio la somministrazione di bevande e alimenti) e della normativa specifica per la rivendita di generi di monopolio.

Infine priva di rilievo appare altresì la considerazione dei limiti distanziali. Secondo il Ministero riferente nel caso di specie, l’ufficio regionale ha rigettato l’istanza di rilascio del patentino non già in ragione della distanza con la rivendita n. 567 ma in ragione del carattere di sussidiarietà che riveste il patentino nel sistema di distribuzione e vendita di generi di monopolio.

Con successiva nota prot. n. DAC/CRV/4228/2012 del 9 marzo 2012 l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato ha poi trasmesso una memoria di replica alla relazione difensiva (inviata al ricorrente con lettera dell’H gennaio 2012, notificata il 18 gennaio 2012) prodotta dall’avv. De Angelis Maurizio nell’interesse del ricorrente, con la quale si limita a confermare le conclusioni formulate nella relazione istruttoria.

3. Questa Sezione ritiene di dover far proprie le conclusioni cui di recente è pervenuta la Quarta Sezione di questo Consiglio con la sentenza 17 febbraio 2017, n. 725.

La giurisprudenza di questo Consiglio ha chiarito che la disciplina delle distanze stabilita dal D.M. 21 febbraio 2013 n. 38, va incontro alla necessità di contemperare concorrenza e salvaguardia della salute, lesa, quest’ultima, da un’offerta di prodotti da fumo sproporzionata rispetto alla domanda (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 marzo 2015 n. 1427;
Id., 26 luglio 2016, n. 3333). In particolare, con riferimento al rilascio di patentini l’art. 24, comma 42, lett. f), d.l. n. 98/2011, stabilisce che lo stesso deve valutarsi in relazione alla natura complementare e non sovrapponibile degli stessi rispetto alle rivendite di generi di monopolio, anche attraverso l’individuazione e l’applicazione, rispettivamente, del criterio della distanza nell’ipotesi di rilascio, e del criterio della produttività minima per il rinnovo.

Nell’operare la detta valutazione l’art. 7, comma 3, del citato D.M. indica una pluralità di elementi rimessa alla valutazione dell’Ufficio procedente, ossia: “ a) l’orario prolungato dell’esercizio rispetto a quello delle rivendite circostanti;
b) il giorno di riposo settimanale praticato dall’esercizio in un giorno diverso da quello delle rivendite ordinarie più vicine;
c) la distanza dell’esercizio dalla rivendita più vicina, comunque non inferiore a 100 metri;
d) l’ubicazione e la dimensione dell’esercizio;
e) la redditività dell’esercizio prodotta negli ultimi ventiquattro mesi, valutata anche mediante verifica del numero di scontrini fiscali ovvero di biglietti di accesso emessi quotidianamente, nonché dalle dichiarazioni dei redditi ed IVA;
f) l’eventuale presenza di distributori automatici nella rivendita ordinaria più vicina;
g) l’assenza di eventuali pendenze fiscali e/o di morosità verso l’Erario o verso l’Agente della riscossione definitivamente accertate o risultanti da sentenze non impugnabili
”.

Nella fattispecie in esame la valutazione operata dall’amministrazione appellante non mostra alcun deficit istruttorio o motivazionale, dal momento che il provvedimento impugnato ha valutato che il locale dove esercitare l’attività di rivendita è ubicato in zona adeguatamente servita.

L’esercizio del potere discrezionale di evitare che vi sia una sovraofferta di prodotti da fumo risulta esercitato in modo legittimo, dal momento che la ponderazione rimessa all’amministrazione deve tenere in considerazione tutti gli elementi indicati dal citato art. 7, in caso di positivo riscontro della richiesta, ma non deve in caso di diniego estrinsecarsi su ognuno degli stessi, ben potendo concorrere anche uno solo di questi a formare una compiuta valutazione di diniego dell’istanza in esame. Sotto questo profilo, infatti, deve rimarcarsi come spetta all’amministrazione l’esercizio di un potere valutativo circa il delicato bilanciamento tra le ragioni della concorrenza e quelle della salute dei cittadini.

4. La Sezione esprime il parere che il ricorso debba essere respinto.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi