Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-03-02, n. 202001503

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-03-02, n. 202001503
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202001503
Data del deposito : 2 marzo 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/03/2020

N. 01503/2020REG.PROV.COLL.

N. 01419/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso numero di registro generale 1419 del 2012, proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. G B T, con domicilio digitale presso il medesimo in assenza di elezione di domicilio fisico in Roma;

contro

Azienda Regionale Territoriale per l’Edilizia della provincia di -OMISSIS- in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avv. M F D, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, via Lazio n. 20/C;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la -OMISSIS- n. -OMISSIS-, resa tra le parti sul ricorso in riassunzione n.r.g. 229/2010, proposto avverso il decreto n. 61 del 16 marzo 2006 dell’Amministratore Unico della A.R.T.E. di -OMISSIS-, con cui l’Ente ha decretato di annullare e/o revocare l’assegnazione in proprietà al sig. -OMISSIS- dell’alloggio sito in -OMISSIS-, via Pagliari n. 4/13.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Regionale Territoriale per l’Edilizia della provincia di -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2020 il Cons. Francesco Guarracino, presente nella sola fase delle istanze preliminari l’avv. M F D per la parte appellante;

Visto l’art. 36, comma 2, cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con atto di citazione innanzi al Tribunale di -OMISSIS-, sede di staccata di -OMISSIS-, il sig. -OMISSIS- conveniva in giudizio l’Azienda Regionale Territoriale per l’Edilizia della provincia di -OMISSIS-già Istituto Autonomo per le Case Popolari della provincia di -OMISSIS-) per ottenere, in via principale, la declaratoria di nullità ovvero l’annullamento del decreto n. 61 del 16 marzo 2006 adottato dall’amministratore unico della medesima Azienda per annullare e/o revocare l’assegnazione in proprietà dell’alloggio sito in -OMISSIS-, via Pagliari n. 4/13, disposta in favore del sig. -OMISSIS- con delibera del consiglio di amministrazione dello I.A.C.P. di -OMISSIS- n. 20 del 6 aprile 1993 ed oggetto del contratto preliminare di vendita, con mutuo, stipulato tra le parti con scrittura privata in data 30 aprile 1993.

Con sentenza n. 322/08, pubblicata il 29 ottobre 2008, il Tribunale civile dichiarava il difetto di giurisdizione in favore del giudice amministrativo, senza alcun’altra statuizione, sicché il sig. -OMISSIS- proponeva ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale per la -OMISSIS- notificato in data 11-12 marzo 2010, per riassumere il giudizio.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la -OMISSIS-, giudicava che “ pur dinanzi all’infondatezza nel merito del gravame, appare a monte fondata l’eccezione di irricevibilità formulata da parte resistente in ordine alla tardività della riassunzione del giudizio , poiché, in mancanza di un termine fissato dal giudice dichiaratosi incompetente, la riassunzione della causa sarebbe dovuta avvenire nei sei mesi dalla comunicazione della sentenza (in base alla disciplina, ratione temporis , dell’art. 50 c.p.c.), e, pertanto, dichiarava il ricorso irricevibile.

Il sig. -OMISSIS- ha appellato davanti a questo Consiglio di Stato la sentenza del T.A.R. sostenendo, col primo motivo, che la riassunzione sarebbe stata tempestiva, perché avvenuta con atto notificato entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale civile, tenendo conto della data di pubblicazione e della sospensione feriale dei termini e, col secondo motivo, in subordine, che il ricorso per riassunzione, munito di autonoma procura alle liti, avrebbe potuto considerarsi come atto introduttivo non della prosecuzione di un giudizio ormai ritenuto estinto, ma di una nuova impugnazione, tempestiva trattandosi di controversia in materia di diritti attratta tra le materie di giurisdizione esclusiva e, pertanto, soggetta ai termini prescrizionali.

Nel merito, l’appellante ha riproposto le censure dedotte in primo grado, ripresentando i motivi I, II, IV e V del ricorso innanzi al T.A.R., riprodotti nell’atto di appello (pagg. 5-9) sotto apposita numerazione (II A, II B, II C, II D);
non ha riproposto, tuttavia, il terzo motivo del ricorso in riassunzione, concernente il preteso difetto di competenza dell’amministratore dell’ l’Azienda Regionale ad adottare il provvedimento di annullamento o revoca (sull’assunto che il potere di verifica della sussistenza dei requisiti sarebbe spettato all’Assessore Regionale o al dipendente delegato dal Presidente della Giunta Regionale, in base alla disposizione applicabile anche agli alloggi di edilizia convenzionata-agevolata realizzati da enti pubblici secondo quanto previsto dall’art. 26, penultimo comma della legge regionale della -OMISSIS- n. 22/85).

Si è costituito in giudizio per resistere all’appello, producendo memoria difensiva, l’Azienda Regionale Territoriale per l’Edilizia di -OMISSIS-.

L’appellante ha depositato memoria in vista dell’udienza di discussione.

Alla pubblica udienza del 25 febbraio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

I primi due motivi di appello, che si prestano ad esame congiunto, sono meritevoli di accoglimento alla luce delle considerazioni di seguito svolte.

Il tema sollevato è quello della tempestività della riassunzione del giudizio originariamente promosso davanti al giudice civile, avendo ritenuto il T.AR. -OMISSIS-che la riassunzione dovesse avvenire, ex art. 50 c.p.c. nel testo vigente ratione temporis , nel termine di sei mesi dall’avvenuta comunicazione della sentenza di declinatoria, che, nel caso di specie, era spirato quasi un anno addietro alla notifica del ricorso in riassunzione e circa un mese prima che la legge n. 69 del 18 giugno 2009 intervenisse non solo a modificare (insieme alla forma della pronuncia sulla competenza: art. 279 c.p.c.) il termine di riassunzione ordinariamente stabilito dall’art. 50, con disposizione applicabile ai soli giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore (art. 58 l. 69/09), ma anche a disciplinare autonomamente le decisioni sulle questioni di giurisdizione (art. 59), con norma, invece, di applicazione immediata (Cass., SS.UU., ord., 2 dicembre 2010, n. 24421, con riferimento alla sua collocazione dopo la disciplina transitoria prevista dall’art. 58, cui, pertanto, la norma resterebbe estranea).

La sentenza del Tribunale di -OMISSIS- è stata pubblicata il 29 ottobre 2008 e la comunicazione del suo deposito è stata effettuata, ai sensi dell’art. 133 c.p.c., con biglietto di cancelleria notificato al difensore della parte attrice il 15 novembre 2008 (doc. 2 della produzione di primo grado dell’odierno appellante depositata presso la segreteria del T.A.R. il 15 marzo 2010).

A quell’epoca, in materia di trasmigrazione dei giudizi davanti al giudice munito della giurisdizione, la Corte costituzionale aveva già dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’art. 30 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, riconoscendo al legislatore il compito di disciplinare, nel modo da esso ritenuto più opportuno, il meccanismo della riassunzione (forma dell’atto, termine di decadenza, modalità di notifica o deposito etc.) e lasciando ai giudici, nelle more, quello di dare attuazione al principio della conservazione degli effetti della domanda nel processo riassunto “ laddove possibile utilizzando gli strumenti ermeneutici ” (C. Cost. n. 77 del 2007).

Il legislatore ha risposto al richiamo intervenendo a colmare il vuoto normativo mediante il menzionato art. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69.

Nelle more, il compito dei giudici di attuare quel principio adoperando gli ordinari strumenti ermeneutici - “ laddove possibile ” - si era rivelato arduo, come testimoniato dal dibattito della dottrina processualcivilistica all’indomani della sentenza della Corte e dalle inevitabili incertezze determinate nella giurisprudenza dalla esigenza di giungere per via meramente pretoria all’elaborazione di un sistema coerente di disposizioni sulla translatio iudicii , nei suoi vari aspetti (esistenza, decorrenza, durata, conseguenze dell’inosservanza del termine di riassunzione etc.), semplicemente adattando l’applicazione di norme processuali che erano state pensate e dettate senza alcun riferimento alla trasmigrazione dei processi tra plessi giurisdizionali diversi.

E sebbene la giurisprudenza fosse generalmente orientata per l’applicabilità della disciplina dell’art. 50 c.p.c. (che, prima di essere modificato dalla legge n. 69/09, al primo comma prevedeva che “ se la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente avviene nel termine fissato nella sentenza dal giudice e in mancanza in quello di sei mesi dalla comunicazione della sentenza di regolamento o della sentenza che dichiara l’incompetenza del giudice adito, il processo continua davanti al nuovo giudice ”), siccome considerata norma generale sulla riassunzione ( ex ceteris , Cass., SS.UU., 22 novembre 2010, n. 23596, punto 4.3;
C.d.S. sez. III, 24 giugno 2014, n. 3190 ed altre), i dubbi sono perdurati fino ai nostri giorni, come dimostra la divergenza di opinioni di cui si dirà poco più avanti.

In questo contesto, prima che l’art. 59 della legge n. 69/09 delimitasse espressamente il termine ultimo per la riassunzione con riferimento al passaggio in giudicato della pronuncia declinatoria della giurisdizione, non era irragionevole credere che, quando questa fosse stata adottata da un giudice di merito, un coordinamento con l’assoggettabilità di quella pronuncia ad ordinari mezzi d’impugnazione potesse consistere, per l’esigenza di evitare che il medesimo processo pendesse, contemporaneamente, davanti a due giudici (quello ad quem e quello investito dall’impugnazione della sentenza a quo ), nell’attendere ovvero nel consentire di attendere, ai fini della riassunzione della causa davanti al giudice indicato come munito della giurisdizione, il passaggio in giudicato di quella decisione (anche se non senza ricadute negative sulla durata complessiva del processo);
e ciò nonostante che - prima che si ponesse concretamente la questione della utilizzabilità delle disposizioni del codice processuale civile ai fini di una translatio iudicii davanti a diversa giurisdizione – la giurisprudenza avesse ritenuto che il termine stabilito dall’art. 50 c.p.c. per riassumere la causa davanti al giudice dichiarato competente decorresse dalla data di comunicazione della sentenza che aveva dichiarato l’incompetenza o, in mancanza, da quella della notificazione, ma non già da quello del momento del passaggio in giudicato della decisione medesima (Cass., sez. lav., 18 novembre 1982, n. 6206).

Ciò risulta tanto più vero, in quanto questo stesso Consiglio ha ancora di recente accreditato, su questo punto specifico, interpretazioni distoniche.

Ora, infatti, ha affermato (C.d.S., Sez. V, 5 marzo 2019, n. 1535) che “ il termine perentorio per la riassunzione, per le fattispecie antecedenti alla disciplina legislativa sulla "translatio iudicii" di cui all’art. 59, l. 18 giugno 2009 n. 69, deve individuarsi, facendo applicazione, in via analogica dell’art. 50 c.p.c. che, nella versione "ratione temporis" vigente, prevedeva un termine di sei mesi dalla comunicazione dell’ordinanza che dichiara l’incompetenza del giudice adito (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 24/06/2014, n. 3190) ”, facendo ancora proprio l’orientamento secondo cui “ l’art. 50 c.p.c., prima dell’entrata in vigore del c. proc. amm. (che all’art. 11 ha disciplinato l’istituto della "translatio judicii"), era pienamente applicabile al processo amministrativo ed in conseguenza la riassunzione del processo innanzi al giudice cui era stata riconosciuta la giurisdizione doveva avvenire, a pena d’inammissibilità, entro il temine determinato dal giudice che si era dichiarato incompetente o, in mancanza di tale fissazione, nel termine di 6 mesi ( poi modificato in 3 mesi dall’art. 45 comma 6, L. 16 giugno 2009, n. 69) decorrenti dalla comunicazione o, se anteriore, dalla notificazione della decisione (cfr. Consiglio di Stato , sez. IV , 07/03/2013 , n. 1402;
Consiglio di Stato , sez. III , 12/12/2014 , n. 6129, ed in precedenza Consiglio di Stato, sez. VI , 10/09/2008 , n. 4318)
”.

Ora, invece, ha manifestato (C.d.S., sez. V, 8 luglio 2019, n. 4782) un diverso avviso, sostenendo che, già prima della legge n. 69/09, il termine per la riassunzione decorresse dal passaggio in giudicato della sentenza declinatoria della giurisdizione, con motivazione che giova riportare per esteso:

…anche prima dell’introduzione nell’ordinamento dell’art. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69 (disciplina sopravvenuta alla translatio iudicii del presente processo, interamente compiuta nel 2008), gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta davanti al giudice dichiaratosi privo di giurisdizione restano fermi se il processo è riassunto (rectius, la domanda è riproposta) tempestivamente dinanzi al giudice indicato come avente giurisdizione.

3.1.1. Quanto alla decorrenza del termine per la riassunzione, si è affermata l’applicabilità per analogia dell’art. 50 cod. proc. civ., e quindi l’applicabilità del termine di sei mesi dalla comunicazione della sentenza (cfr. Cons. Stato, VI, 13 marzo 2008, n. 1059). Tuttavia, si tratta di impostazione che -pur se coerente col sistema in caso di sentenza non più soggetta ad impugnazione (apparendo peraltro più corretta l’applicazione analogica, in mancanza di norma ad hoc, di quanto previsto dall’art. 367, comma 2, cod. proc. civ.)- non va condivisa nel caso di sentenza, del giudice ordinario od amministrativo, declinatoria della giurisdizione, ma soggetto ad impugnazione;
in tale eventualità, la decorrenza del termine per la riproposizione della domanda davanti al giudice del diverso plesso giurisdizionale va fissata nel momento del passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa del difetto di giurisdizione. Tale opzione interpretativa è coerente con i criteri di raccordo tra le giurisdizioni, tanto da essere fatta propria dal legislatore con l’art. 59 del legge n. 69 del 2009 (e, successivamente, con l’art. 11 Cod. proc. amm.).

Va perciò ritenuto applicabile, anche prima dell’introduzione di tali ultime norme, il principio per il quale, sebbene sia in facoltà delle parti di riproporre la domanda davanti al giudice munito di giurisdizione anche prima, il momento ultimo per la decorrenza del termine relativo va individuato nel passaggio in giudicato della sentenza che declina la giurisdizione (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 16 dicembre 2011, n. 24) ”).

A fronte di un quadro normativo connotato da oggettiva equivocità e foriero di contrasti interpretativi tuttora non definitivamente risolti, come appena esemplificato, appare evidente che la parte potesse ben incorrere in errore scusabile quanto alla decorrenza finale del termine di riassunzione, quale che fosse la soluzione ermeneutica più corretta prima della legge n. 69/09, la quale, peraltro, ha plausibilmente cristallizzato un principio (quello del decorso del termine ultimo di riassunzione dal passaggio in giudicato della sentenza sulla giurisdizione) già desumibile dal sistema.

Da qui l’applicabilità dell’art. 37 c.p.a., a mente del quale “ il giudice può disporre, anche d’ufficio, la rimessione in termini per errore scusabile in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto ” (cfr. C.d.S., sez. III, 24 ottobre 2019, n. 7212, per la concessione dell’errore scusabile in considerazione delle oscillazioni giurisprudenziali sulle modalità di presentazione dell’atto di riassunzione del giudizio a seguito di pronuncia declinatoria della propria competenza territoriale da parte del giudice di primo grado).

Occorre, infatti, osservare che nel caso in esame, in cui è stato dedotto, senza contrasto, che la sentenza del Tribunale di -OMISSIS- non è stata notificata, la sentenza, pubblicata il 29 ottobre 2008, è passata in giudicato il 15 dicembre 2009 per proroga dal precedente giorno festivo (domenica), quando era venuto a spirare il termine di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 c.p.c., fissato all’epoca in un anno (la riduzione a sei mesi, disposta dall’art. 46 della legge n. 69/09, vale per i processi instaurati dopo il 4 luglio 2009), computato ex nominatione dierum , al quale andavano aggiunti 46 giorni di sospensione feriale ex artt. 155, co. 1, c.p.c. e art. 1, co. 1, della legge n. 742/69, computati ex numeratione dierum ( ex ceteris , Cass., sez. trib., 4 ottobre 2013, n. 22699).

Sicché, essendosi la res iudicata formata il 15 dicembre 2009, il ricorso in riassunzione innanzi al T.A.R. è stato notificato (l’11 marzo 2010) e depositato (il 15 marzo 2010) entro i tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza declinatoria della giurisdizione (a quella data il termine di riassunzione era stato già fissato in tre mesi dall’art. 59 della legge n. 69/09, norma, come si è visto, di immediata applicazione).

Tanto esime dall’approfondire la possibile interrelazione tra l’effetto estintivo legato alla inosservanza del termine di riassunzione, che secondo l’Azienda sarebbe scaduto l’11 febbraio 2009 (o comunque l’11 maggio 2009, prima che la l. 69/09 fosse promulgata), e la pendenza del termine per appellare la sentenza del giudice ordinario, durante la cui decorrenza, prima dunque del passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di -OMISSIS-, è entrata in vigore la legge n. 69/09 e, con essa, la nuova disciplina sulla translatio iudicii .

Per queste ragioni, in accoglimento dell’appello in parte qua , la sentenza di primo grado dev’essere riformata ed il ricorso in riassunzione dichiarato ricevibile.

Ciò determina la necessità di procedere all’esame dei motivi del ricorso di primo grado riproposti in appello, non vertendosi di ipotesi in cui l’annullamento della sentenza appellata imponga il rinvio della causa al giudice di primo grado.

Alla completa definizione della causa si frappongono, tuttavia, esigenze istruttorie.

Controverse a monte, infatti, sono la stessa natura dell’intervento edilizio realizzato dall’ex IACP di -OMISSIS- (che secondo il provvedimento impugnato in primo grado non sarebbe riconducibile all’edilizia residenziale pubblica agevolata, mentre per la parte appellante si tratterebbe di edilizia convenzionata-agevolata) e le disposizioni applicabili, ratione loci, temporis et materiae , alla vicenda in esame.

Tuttavia, la documentazione agli atti del giudizio risulta incompleta e non consente una sicura ricostruzione di tutti i termini della fattispecie concreta.

Sono agli atti di causa, in copia, la Convenzione del 29 luglio 1991 stipulata ai sensi dell’art. 35 L. n. 865/1971 tra l’Istituto Autonomo Case Popolari di -OMISSIS- ed il comune di -OMISSIS- per la concessione del diritto di superficie in area P.E.E.P. da utilizzare per la realizzazione di un programma edilizio finanziato (cfr. primo punto della premessa);
le deliberazioni n. 178 e n. 179, adottate dal consiglio di amministrazione dello I.A.C.P. di -OMISSIS- nella seduta del 23 dicembre 1991, di approvazione del “ Regolamento per l’assegnazione di alloggi di edilizia convenzionata (art. 36 legge 5/8/1978 n. 457 e successive modificazioni ed integrazioni) ” e del bando-tipo “ bando di concorso per assegnazione in proprietà di alloggi di edilizia convenzionata su aree concesse in diritto di superficie ” (da cui si apprende anche che l’approvazione del regolamento sarebbe stata necessaria perché “ l’assegnazione di detti alloggi non rientra nelle previsioni di cui alla L.R. 6/83 ”, vale a dire della l.r. -OMISSIS-28 febbraio 1983, n. 6, avente ad oggetto “ Procedure, organi e competenze in materia di edilizia residenziale e norme per il controllo degli Istituti autonomi per le case popolari ”, recante al Titolo V “ Disposizioni per l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica ”);
la deliberazione n. 180 del 23 dicembre 1991, con cui il consiglio di amministrazione aveva approvato l’indizione del bando di concorso per l’assegnazione degli alloggi di edilizia convenzionata “ Legge 457/78 ” in -OMISSIS-.

Tuttavia, dalla premessa del contratto preliminare di vendita stipulato tra le parti in causa, parimenti in atti, emerge che il regolamento per l’assegnazione sarebbe stato approvato non soltanto con la suddetta delibera n. 178 del 1991, ma anche con la delibera n. 67 del 6 maggio 1992, che, però, non è stata prodotta in giudizio;
emerge, inoltre, che il bando di concorso per le assegnazioni a cui ha partecipato la parte appellante è stato pubblicato il 1° agosto 1992, eppure anche questo bando non è stato depositato in giudizio (prodotto, come detto, è solo il bando tipo del 1991).

Ancorché dai documenti presenti parrebbe che l’operazione fosse inquadrabile nel novero degli interventi di edilizia agevolata-convenzionata, siccome programmata in zona P.E.E.P. con convenzionamento ex art. 35 l. 865/71 e nello stesso tempo assistita da concessione di contributo, stante l’espresso richiamo all’art. 36 della l. 457/78 (rubricato “Finanziamento per l’edilizia convenzionata-agevolata”), è chiaro che non potrebbe trarsi alcuna conclusione, anche con riferimento ad eventuali previsioni specifiche sui requisiti di assegnazione e sulla conservazione degli stessi, senza l’acquisizione del regolamento nella sua versione definitiva e del bando effettivamente pubblicato.

Ragioni di completezza istruttoria, peraltro, inducono a chiedere documentati chiarimenti sull’intera vicenda, anche al fine di promuovere il più ampio contraddittorio su tutti gli elementi rilevanti nel presente giudizio, nel quale non è fatta questione del corretto esercizio di poteri discrezionali.

Pertanto, vanno disposti incombenti istruttori a carico dell’A.R.T.E. di -OMISSIS- perché provveda a produrre in giudizio, nel termine indicato in dispositivo:

- copia della summenzionata delibera n. 67 del 6 maggio 1992 del consiglio di amministrazione, del bando di concorso per l’assegnazione di alloggi pubblicato il 1° agosto 1992 e di ogni altro provvedimento, atto o documento in base al quale è stato emanato il decreto di annullamento e/o revoca dell’assegnazione che è stato contestato in primo grado, se non già prodotto in giudizio, comprese eventuali ulteriori convenzioni stipulate col Comune di -OMISSIS-;

- una relazione di chiarimenti sulla natura dell’operazione di costruzione e successiva cessione degli alloggi di cui trattasi e sulla disciplina, legislativa, regolamentare o convenzionale, che l’Azienda ha ritenuto di poter applicare per l’adozione del decreto impugnato, in luogo di quella esplicitamente esclusa al punto 3 della lett. n) della sua premessa, stante l’apparente contraddittorietà coi richiami nel punto 1 della medesima lett. n) ed in considerazione dei mutamenti della legislazione regionale avutisi nel lungo arco temporale in cui si è iscritta la vicenda per cui è causa;

- informazioni aggiornate sullo stato dei giudizi civili che sarebbero stati ancora pendenti alla data dell’istanza di prelievo e sullo stato di occupazione dell’immobile assegnato alla parte appellante.

Conclusivamente, in parziale accoglimento dell’appello, la sentenza appellata dev’essere riformata e il ricorso di primo grado dichiarato ricevibile, riservando all’esito degli incombenti istruttori ogni altra decisione in rito, in merito e sulle spese.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi